GP2 Discorsi 1997 179


MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II

AL REV.MO PADRE JOSÉ MARIA BALCELLS XURIACH,

PREPOSITO GENERALE DEI PADRI SCOLOPI




Al Reverendissimo Padre

JOSE' MARIA BALCELLS XURIACH

Preposito Generale dei Padri Scolopi

1. Nel IV Centenario dell'apertura in Roma della «prima scuola pubblica popolare gratuita d'Europa» ad opera di San Giuseppe Calasanzio, desidero unirmi alla gioia di codesto Istituto e di quanti, grazie al ministero educativo ed evangelizzatore dei Padri Scolopi, hanno ricevuto una solida formazione umana e cristiana.

L'incontro, nella primavera del 1597, tra Giuseppe Calasanzio e Antonio Brendani, parroco di Santa Dorotea, fu l'occasione per il vostro Fondatore di una conversione più totale al Vangelo, che lo portò ad abbandonare legittime aspirazioni personali per trovare nella piccola scuola di Trastevere un "migliore modo di servire a Dio con aggiutare questi poveri figliuoli" (Vincenzo Berro, Annotazioni della Fondatione della Congregatione e Religione delle Scuole Pie (1663), tomo 1·, pag. 73).

Da quella prima esperienza educativa, convenientemente trasformata e qualificata dal Calasanzio, nacque nell'autunno successivo il primo nucleo delle Scuole Pie, esempio di istruzione cristiana aperta a tutti, che avrebbe dato origine alle scuole popolari in senso moderno.

180 Come ricordava il mio venerato Predecessore Benedetto XV in occasione del terzo centenario dell'approvazione dell'opera calasanziana, "egli (il Calasanzio), primo fra tutti, inventò per la carità cristiana anche questa via: quando ai ragazzi veniva a stento offerta l'istruzione elementare, egli si assunse il compito di insegnare gratuitamente ai figli dei poveri, perché a causa della povertà non fossero privati totalmente dell'istruzione" (AAS 1917, 9, pag. 105).

2. Giuseppe Calasanzio, interprete sapiente dei segni del suo tempo, considerò l'educazione, data in modo "breve, semplice ed efficace" (cfr Constitutiones anni 1622, n. 216), garanzia di successo nella vita degli alunni e fermento di rinnovamento sociale ed ecclesiale. Egli vide, inoltre, nella scuola una maniera nuova di evangelizzare, e per questo volle che ad assumersi il compito di educatori fossero religiosi e preferibilmente sacerdoti, impegnandoli ad offrire al bambino una cultura globale, in cui la dimensione religiosa fosse considerata e vissuta in modo profondo. Il Calasanzio tracciava di conseguenza la figura del sacerdote educatore dei piccoli e dei poveri, elevando nello stesso tempo a dignità ministeriale un ufficio ritenuto dai contemporanei umile e di scarso prestigio.

Seguendo le sue orme, gli Scolopi, quei tanti "Scolopi ignoti", di cui fece l'elogio Pio XII (Udienza del 22 novembre 1948), hanno reso testimonianza, nel corso dei secoli, di fedeltà a Cristo nella dedizione quotidiana alla missione educativa verso i fanciulli ed all'annuncio del Vangelo. Essi sono stati e continuano ad essere seminatori di speranza. Anzi, l'educatore diventa egli stesso seme capace di produrre frutti per un mondo migliore.

3. Il Calasanzio aprì, con la sua geniale intuizione, un fertile solco nella società, che poi molti altri fondatori e fondatrici hanno continuato ed approfondito e così la scuola è oggi uno dei campi in cui la Chiesa può compiere con maggiore efficacia la sua missione evangelizzatrice. A ragione, pertanto, il mio venerato Predecessore Pio XII, nel 1948, lo proclamò "Patrono celeste di tutte le Scuole popolari cristiane del mondo" (Pio XII, Providentissimus Deus, in: AAS 1948, 11, PP 454-455).

I contemporanei del Calasanzio videro nella sua opera di "evangelizzazione dei poveri" (cfr
Lc 7,22) un segno della vicinanza del Regno dei Cieli e ne favorirono la rapida espansione in numerosi Paesi d'Europa. Oggi, quattro secoli dopo, le iniziative del Calasanzio sono presenti in una trentina di Nazioni del mondo. L'odierno impegno per l'educazione, ritenuto uno dei doveri fondamentali di uno stato moderno, non solo non vanifica il compito delle Scuole Cattoliche, bensì lo rende ancor più urgente. Esse, infatti, da una parte consentono di rispondere al diritto delle famiglie di assicurare ai figli un'educazione fondata sui perenni valori del Vangelo e, dall'altra, offrono all'intera società autentici centri educativi, in cui alla qualità dell'istruzione si unisce quella di un serio lavoro formativo. Rinnovo pertanto con forza l'auspicio che in tutti i Paesi democratici si dia finalmente attuazione concreta ad una vera parità per le scuole non statali, che sia al contempo rispettosa del loro progetto educativo: tali scuole infatti offrono un servizio di pubblico interesse, apprezzato e ricercato da molte famiglie.

L'ambiente secolarizzato in cui, purtroppo, si trovano a vivere le nuove generazioni esige, infatti, che la Scuola cristianamente ispirata continui ad essere offerta a quanti cercano in essa un luogo ottimale di formazione e di evangelizzazione. I modelli negativi che vengono spesso proposti ai giovani del nostro tempo domandano ai religiosi impegnati nell'ambito educativo di continuare "con fedeltà creativa" (cfr Vita consecrata VC 37) la loro missione, al fine di realizzare il comando di Gesù: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15).

In effetti l'educazione costituisce un moderno areopago, nel quale la Chiesa, oggi più che mai, è chiamata a svolgere la sua missione di evangelizzazione e di carità culturale (cfr Vita consecrata VC 96).

4. Il Calasanzio non si limitò a promuovere la "scuola per tutti", ideale che più tardi è stato riconosciuto come uno dei diritti fondamentali dell'uomo; egli volle che la sua scuola, animata da maestri specialmente impegnati nell'evangelizzazione, fosse destinata "principalmente ai ragazzi poveri" (Constitutiones anni 1622, n. 4, 198). Tale impostazione, che apparve particolarmente innovativa nel secolo XVI, si rivela quanto mai attuale anche oggi. Infatti nelle zone emarginate dei Paesi del benessere e soprattutto nelle Nazioni in via di sviluppo, molti bambini sono ancora insufficientemente scolarizzati o totalmente abbandonati alla loro sorte, così che l'evangelizzazione dei poveri continua ad essere un segno profetico della presenza del Regno di Dio tra gli uomini (cfr Vita consecrata VC 89-90). Se il Calasanzio seppe vedere nel volto di quei fanciulli romani, abbandonati a se stessi, il riflesso del volto di Cristo, tocca adesso a voi, in un mondo in cui i popoli e le persone sono apprezzati e considerati solo in funzione della loro rilevanza economica, mostrare al mondo che i piccoli e i poveri continuano ad essere i preferiti del cuore di Cristo.

Se la Scuola Cattolica è un luogo preferenziale di evangelizzazione, la scuola popolare calasanziana è oggi in molti casi un posto di missione. Come ho ricordato nell'Esortazione post-sinodale Vita consecrata, i religiosi educatori devono sentirsi particolarmente impegnati "ad essere fedeli al loro carisma originario ed alle loro tradizioni, consci che l'amore preferenziale per i poveri trova una sua particolare applicazione nella scelta dei mezzi atti a liberare gli uomini da quella grave forma di miseria che è la mancanza di formazione culturale e religiosa" (n. 97).

5. Nelle vostre opere educative sono sempre più numerosi i laici che condividono con voi il ministero calasanziano in modi e gradi diversi. Sull'esempio del vostro Fondatore che, fin dall'inizio, associò sacerdoti e laici al suo apostolato educativo, vi esorto ad intraprendere insieme cammini di qualificata e fraterna collaborazione nell'ambito della elaborazione e della trasmissione della cultura, perché la ricchezza del carisma peculiare del vostro Istituto possa continuare a produrre frutti nella Chiesa e nella società (cfr Vita consecrata VC 54). A tale scopo sarà necessario intensificare la formazione spirituale, teologica e culturale, perché religiosi e laici possano realizzare l'ideale dell'educatore cristiano nella triplice fedeltà "allo spirito del vostro Fondatore, alla Chiesa e alla causa della Scuola Cattolica" (Paolo VI, Allocuzione del 26 agosto 1967).

A Maria, la prima maestra e discepola di Gesù, sotto la cui protezione vi pose il vostro Fondatore, chiamandovi "Poveri della Madre di Dio" (Constitutiones anni 1622, n. 4), affido Lei, Reverendissimo Padre, e l'intero Ordine calasanziano. L'esempio della Vergine vi incoraggi a seguire in tutto il Cristo con lo spirito dei fanciulli destinatari privilegiati del Regno di Dio (cfr Lc 18,16-17).

181 Con tali auspici, imparto di cuore a tutti una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 24 Giugno 1997.

IOANNES PAULUS PP. II


MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


A S.E. MONS. GIULIO NICOLINI, VESCOVO DI CREMONA


NELL'VIII CENTENARIO DELLA MORTE DI SANT'OMOBONO




Al Venerato Fratello

GIULIO NICOLINI

Vescovo di Cremona

1. Il 13 novembre 1197 Omobono Tucenghi, commerciante di stoffe in Cremona, chiudeva la sua esistenza terrena contemplando il Crocifisso, mentre partecipava, come era solito fare ogni giorno, alla Santa Messa nella chiesa della sua parrocchia cittadina di sant'Egidio.

Poco più di un anno dopo, il 12 gennaio 1199, il mio Predecessore Innocenzo III lo iscriveva nel catalogo dei Santi, aderendo alla petizione che il Vescovo Sicardo gli aveva rivolto, recandosi pellegrino a Roma con il parroco Osberto e un gruppo di cittadini, dopo aver valutato le numerose testimonianze anche scritte dei prodigi attribuiti all'intercessione di Omobono.

Ad otto secoli di distanza, la figura di sant'Omobono continua ad essere costantemente viva nella memoria e nel cuore della Chiesa e della città di Cremona, che lo venerano quale loro Patrono. Egli è il primo ed unico fedele laico, non appartenente alla nobiltà o a famiglie reali o principesche, canonizzato nel Medioevo (cfr A. Vauchez, I laici nel Medioevo, Milano 1989, p. 84; La santità nel Medioevo, Bologna 1989, p.340). "Padre dei poveri", "consolatore degli afflitti", "assiduo nelle continue preghiere", "uomo di pace e pacificatore", "uomo buono di nome e di fatto", questo Santo, secondo l'espressione usata dal Papa Innocenzo III nella bolla di canonizzazione Quia pietas, è tuttora albero piantato lungo corsi d'acqua che dà frutto nel nostro tempo.

2. Perciò ho appreso con vivo compiacimento che Ella, venerato Fratello, ha stabilito di dedicare alla sua memoria il percorso di tempo che va dal 13 novembre 1997 al 12 gennaio 1999, denominandolo «Anno di sant'Omobono», da celebrarsi con peculiari iniziative spirituali, pastorali e culturali, articolate nel cammino di preparazione al Grande Giubileo dell'Anno Duemila e nello spirito di comunione creato dal Sinodo che la Diocesi ha recentemente celebrato.

Pur così lontano nel tempo, Omobono ci appare, infatti, un Santo per la Chiesa e la società del nostro tempo. Non soltanto perché la santità è una sola, ma per le caratteristiche della vita e delle opere con cui questo fedele laico ha vissuto la perfezione evangelica. Esse trovano singolari riscontri con le esigenze del presente, e conferiscono alla ricorrenza giubilare un senso profondo di "contemporaneità".

3. Unanimi le testimonianze dell'epoca definiscono Omobono "pater pauperum", padre dei poveri. E' la definizione che, rimasta nella storia di Cremona, riassume in un certo modo le dimensioni dell'alta spiritualità e della straordinaria avventura del mercante. Dal momento della sua conversione alla radicalità del Vangelo, Omobono diventa artefice e apostolo di carità. Trasforma la sua casa in casa di accoglienza. Si dedica alla sepoltura dei defunti abbandonati. Apre il cuore e la borsa ad ogni categoria di bisognosi. Si impegna fortemente nel dirimere controversie, che nella città lacerano fazioni e famiglie. Esercita a piene mani le opere di misericordia spirituale e corporale e, nello stesso tempo, protegge l'integrità della fede cattolica in presenza di infiltrazioni eretiche, con il medesimo fervore con cui partecipa quotidianamente all'Eucaristia e si dedica alla preghiera.

Percorrendo la strada delle Beatitudini evangeliche, nell'epoca comunale in cui denaro e mercato tendono a costituire il centro della vita cittadina, Omobono coniuga giustizia e carità e fa dell'elemosina il segno di condivisione, con la spontaneità con cui dalla assidua contemplazione del Crocifisso impara a testimoniare il valore della vita come dono.

182 4. Fedele a queste scelte evangeliche, egli affronta e supera ostacoli che gli provengono sia dall'ambiente familiare, poiché la moglie non condivide le sue scelte, sia da quello parrocchiale, che considera con un certo sospetto la sua austerità, e dal settore stesso del lavoro, per la concorrenza e la mala fede di alcuni, che cercano di ingannare l'onesto mercante.

Emerge così l'immagine di Omobono lavoratore, che vende e compra stoffe e, mentre vive le dinamiche di un mercato che prende la via di città italiane e europee, conferisce dignità spirituale al suo lavoro: quella spiritualità che è l'impronta di tutta la sua operosità.

Nella sua esperienza non v'è soluzione di continuità tra le varie dimensioni. In ognuna egli trova il "luogo" in cui esplicare la tensione alla santità: nel nucleo familiare, come sposo e padre esemplare; nella comunità parrocchiale, come fedele che vive la liturgia ed è assiduo alla catechesi, profondamente legato al ministero del sacerdote; nel contesto della città, in cui effonde il fascino della bontà e della pace.

5. Una vita tanto ricca di meriti non poteva che lasciare un solco profondo nella memoria. E', infatti, ammirevole la perseveranza d'affetto e di culto che Cremona ha conservato nei confronti di questo suo singolare esponente, scaturito proprio dal ceto popolare.

E' significativo che, nel 1592, la chiesa Cattedrale sia stata dedicata a lui insieme a Santa Maria Assunta. E non è meno significativo che a sceglierlo patrono della città, nel 1643, siano stati i membri del Consiglio della Città stessa, tra l'esultanza, "l'immensa allegrezza", le "lagrime di devozione" del popolo. Un Santo laico, eletto come patrono dai laici stessi.

Né è motivo di meraviglia che il culto di sant'Omobono si sia diffuso in molte diocesi italiane ed oltre i confini nazionali. E' Omobono un Santo che parla ai cuori. Ed è bello constatare che i cuori ne sentono l'amabile attrattiva. Lo dimostra l'incessante accorrere alle sue spoglie mortali, soprattutto, ma non solo, nel giorno della sua festa liturgica, e l'intensa devozione che gli riserva la popolazione, memore delle grazie ricevute e fiduciosa nell'intercessione dell'amato "trafficante celeste".

6. Nell'anno giubilare la sua voce, per taluni aspetti essenziali, parla con gli accenti, come osservavo all'inizio, della "contemporaneità".

I tempi non sono più quelli di ottocento anni fa. Alla canonizzazione di Omobono, maturata nel clima e nelle procedure medioevali, non possiamo attribuire il carattere di una "promozione del laicato", nel senso che noi diamo oggi a questo concetto.

E' vero, tuttavia, che proprio in questa luce leggiamo l'avventura spirituale che ha solcato la secolare storia cremonese. Ed in questa luce riscopriamo il messaggio, tuttora originale, dell'insigne Patrono. Egli è pur sempre il fedele laico che, da laico, si è guadagnato il dono della santità.

La sua vicenda assume un valore esemplare come chiamata alla conversione senza restrizioni di alcun genere e, quindi, alla santificazione non riservata ad alcuni, ma proposta a tutti indistintamente.

Il Concilio Vaticano II fa della santità un elemento costitutivo dell'appartenenza alla Chiesa, quando afferma che "tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità" (Lumen gentium
LG 40); e rileva che "da questa santità è promosso, anche nella società terrena, un tenore di vita più umano" (Ibid.). Proprio di questo abbiamo bisogno nella situazione di inarrestabile transizione che stiamo vivendo: ne abbiamo bisogno per sviluppare le premesse positive presenti e rispondere alle gravi sfide derivanti dalla profonda crisi di civiltà e di cultura, che investe l'ethos collettivo.

183 7. La chiamata alla santità comporta e valorizza l'essere e l'operare del laicato, come pure insegna il Concilio ed io stesso ho ribadito nell'Esortazione Apostolica postsinodale Christifideles Laici.

Sulla filigrana di quest'ultimo documento vedo avvicinarsi a noi e, in particolare, all'oggi della Chiesa e della società cremonese, la vicenda esistenziale di sant'Omobono. Per intraprendere una nuova evangelizzazione, infatti, "urge dovunque rifare il tessuto cristiano della società umana. Ma la condizione è che si rifaccia il tessuto cristiano delle stesse Comunità ecclesiali" (Christifideles Laici
CL 34).

I fedeli laici devono sentirsi pienamente coinvolti in questo compito, con i peculiari carismi della "laicità". Le situazioni nuove, sia ecclesiali che sociali, economiche, politiche e culturali, reclamano con una forza del tutto particolare la loro specifica partecipazione (Ibid., n. 3).

8. E' una felice coincidenza che la celebrazione giubilare di questo "Santo della carità" venga ad inserirsi nella conclusione dell'ultimo decennio del nostro secolo, che la Comunità ecclesiale in Italia ha consacrato al programma "Evangelizzazione e testimonianza della carità".

Come scrivevo ancora nella Christifideles Laici, la carità nelle sue varie forme, dall'elemosina alle opere di misericordia, "anima e sostiene un'operosa solidarietà attenta alla totalità dei bisogni dell'essere umano" (n. 41). Essa è e sarà sempre necessaria, da parte dei singoli e delle Comunità. E "si fa più necessaria quanto più le istituzioni, diventando complesse nell'organizzazione e, pretendendo di gestire ogni spazio disponibile, finiscono per essere rovinate dal funzionalismo imperante, dall'esagerata burocrazia, dagli ingiusti interessi privati, dal disimpegno facile e generalizzato" (Ibid.).

La sensibilità di Omobono stimola esemplarmente ad aprirsi all'intero orizzonte della carità nella varietà delle sue espressioni, oltre quelle materiali: carità della cultura, carità politica, carità sociale, in ordine al bene comune. Un esempio tanto eloquente può efficacemente contribuire a rasserenare l'attuale clima politico e sociale, favorendo uno stile di concordia, di reciproca fiducia, di impegno partecipativo.

9. Sono particolarmente lieto che la celebrazione dell'«Anno di sant'Omobono» si estenda a tutto il 1998, secondo anno della fase preparatoria al Grande Giubileo, dedicato specialmente allo Spirito Santo.

La cara figura dell'antico mercante accompagni dal cielo il provvidenziale evento. Invocato con la profonda e tradizionale devozione e con una fede sempre più consapevole, egli ottenga a tutti i battezzati la fedeltà ai doni dello Spirito, ricevuti soprattutto nel sacramento della Confermazione. Ai fedeli laici ottenga una più matura consapevolezza che la loro partecipazione alla vita della Chiesa "è talmente necessaria che senza di essa lo stesso apostolato dei Pastori non può per lo più raggiungere la sua piena efficacia" (Apostolicam actuositatem AA 10). A tutti i componenti della Chiesa cremonese ottenga dal Signore l'ardore richiesto ai nuovi evangelizzatori, chiamati nella stagione post-sinodale ad essere veri testimoni di fede, speranza e carità.

Con questi fervidi auspici, memore della mia Visita pastorale a Cremona, nel giugno 1992, e del successivo incontro con quanti sono venuti a Roma in pellegrinaggio, nel novembre dell'anno scorso, a suggello del Sinodo diocesano, imparto di cuore a Lei, venerato Fratello, ai presbiteri, ai diaconi, ai consacrati e alle consacrate, ai fedeli laici, a ogni famiglia, a ogni parrocchia e alla Città tutta un'affettuosa Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 24 Giugno 1997

IOANNES PAULUS PP. II



ALLE SUORE DELLA CONGREGAZIONE ARMENA


DELL'IMMACOLATA CONCEZIONE


Venerdì, 27 giugno 1997




184 Reverenda Madre Superiora,
Care Sorelle della Congregazione delle Suore dell'Immacolata Concezione,

1. In occasione del centocinquantesimo anniversario dell'istituzione della vostra Congregazione, fondata dal Catholicos Antoine Pierre IX Hassoun e da Madre Srpuhì Hagiantonian, sono lieto di accogliervi nella casa del Successore di Pietro, dove si trovavano, qualche giorno fa, i Vescovi del Patriarcato Armeno cattolico, riuniti in Sinodo a Roma. Mentre vi ricevo, il mio pensiero va al popolo armeno duramente provato nel corso di questo secolo; mi ricordo anche della recente visita del Patriarca Karekine e del Patriarca Aram ai quali rinnovo di tutto cuore in questa occasione i miei sentimenti fraterni.

Desidero rendere grazie al Signore per la fedeltà dei vostri fondatori alla Santa Sede e per il loro attaccamento alla causa dell'unità della Chiesa; nella prospettiva cara a Nervès IV Šnorhali e a Gregorio l'IIluminatore, la comunità cristiana armena si sforza di fare della comunione ecclesiale il primo dovere dei Pastori e dei fedeli. Alcune religiose che vi hanno preceduto hanno donato la loro vita per rimanere fedeli a Cristo e alla sua Chiesa, e anche alla loro consacrazione; possa il sangue dei martiri armeni essere un seme evangelico, affinché si realizzi pienamente l'unità dei cristiani per la quale Gesù ha pregato il Padre!

2. Fin dall'origine, eredi d'Hripsimè e delle sue compagne, le religiose del vostro Istituto hanno cercato di rendere testimonianza a Cristo mediante la preghiera, la vita ascetica, la diffusione della parola di Dio e l'aiuto caritativo alle famiglie povere; nei periodi della storia recente in cui gli Armeni hanno più sofferto, esse si sono instancabilmente dedicate a confortare i loro fratelli, con carità profonda.

Forti della vostra eredità spirituale in seno alla comunità cristiana armena che si appresta a celebrare il suo diciassettesimo centenario, conservate la vostra vocazione specifica. Con la contemplazione, contribuite a elevare il mondo a Dio e partecipate misteriosamente alla santificazione di tutto il popolo.

Meditando il Vangelo e pregando il Signore con l'aiuto dei salmi, ricevete le grazie necessarie alle vostre missioni.

Vi esorto inoltre a proseguire i vostri compiti di formatrici della gioventù, in Armenia e nei Paesi dove siete presenti, al fine di aprire i giovani ai valori umani, civici e cristiani, e di favorire la promozione della donna, così come i rapporti fra i cristiani delle diverse confessioni e con i non-cristiani.

3. Continuate oggi l'opera iniziale «in onore dell'Immacolata Concezione della Vergine Maria». Per farlo, vi invito a riporre sempre la vostra fiducia nella Madre del Salvatore e a prenderla ogni giorno come modello dell'amore verso Dio e il prossimo; in effetti, ella ha saputo accogliere le parole dell'angelo, rendersi disponibile alla chiamata divina e mettersi al servizio di sua cugina Elisabetta.

Al termine del nostro incontro, vi affido alla Vergine Immacolata, chiedendole di assistervi nella vostra vita religiosa e nell'apostolato che svolgete.

Di tutto cuore imparto la Benedizione Apostolica a voi, a tutte le vostre Sorelle e alle persone che beneficiano del vostro zelo pastorale.

AD UN GRUPPO DI FEDELI DELLE

DIOCESI DELL'ERZEGOVINA


185
Venerdì, 27 giugno 1997




Venerato Fratello nell'Episcopato,
cari Fratelli e Sorelle!

1. L'odierna vostra presenza mi fa rivivere l'indimenticabile Visita pastorale a Sarajevo, che ho potuto effettuare nello scorso aprile. Ringrazio ancora una volta la Provvidenza Divina, che mi ha dato l'occasione di recarmi in quella amata città per confermare nella fede tanti fratelli e sorelle, e per manifestare la solidarietà della Chiesa Cattolica verso quelle popolazioni duramente provate dalla triste esperienza di un lungo conflitto. A Sarajevo ho cercato di seminare speranza, esortando gli abitanti della regione a costruire insieme un futuro di pace, basato sul rispetto dei diritti e dei doveri e sul soddisfacimento delle legittime attese di ogni singola persona e di ogni popolo.

Il mio particolare grazie va, oggi, anche ad ognuno di voi, per il vostro impegno generoso che tanto ha contribuito al successo della Visita. Voi avete collaborato senza risparmio di energie nella preparazione dell'evento, favorendo poi la partecipazione ad esso delle vostre due Diocesi di Erzegovina, quella di Mostar-Duvno e quella di Trebinje- Mrkan. In tale modo avete voluto manifestare il vostro attaccamento alla Chiesa, il vostro sostegno ai cattolici croati delle altre due diocesi della Bosnia ed Erzegovina ed il vostro vivo desiderio di pace nella giustizia.

2. Sono lieto, inoltre, di vedervi qui uniti, come fedeli laici, intorno al vostro Vescovo, pronti sempre a collaborare con lui, quale visibile rappresentante di Cristo, Buon Pastore e Capo della Chiesa. Infatti, l'ininterrotta Tradizione della Chiesa insegna che «i Vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli, quali pastori della Chiesa: chi li ascolta, ascolta Cristo, chi li disprezza, disprezza Cristo e colui che Cristo ha mandato» (Lumen Gentium
LG 20). Rimanendo, pertanto, in comunione con il vostro Vescovo, voi avete dinanzi vasti campi per il vostro impegno laicale, sia all'interno della comunità ecclesiale che fuori di essa, per promuovere il bene comune e per dare un'impronta evangelica al vivere ed operare dell'uomo.

Uno stimolo particolare all'azione apostolica vostra, oltre che dei vostri sacerdoti, sempre in sintonia col Vescovo, proviene dalla prospettiva del Grande Giubileo dell'Anno 2000. Gli anni di preparazione a quello storico evento sono per voi segnati anche dall'impegno della ricostruzione, materiale e spirituale, della vostra terra dalle rovine causate dalla guerra di recente terminata e dalla dittatura comunista degli ultimi cinque decenni. E' un compito che richiede generosità grande e prontezza al sacrificio. Sappiate che nella vostra quotidiana fatica vi è accanto il Papa, il Quale vi accompagna con la Sua preghiera e con la Sua Benedizione.

Siano lodati Gesù e Maria.

MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO


DEI VESCOVI E DEI SUPERIORI RELIGIOSI


DELLE CHIESE ORIENTALI CATTOLICHE D'EUROPA



Al Signor Cardinale

ACHILLE SILVESTRINI

Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali

1. Sono particolarmente lieto e commosso di far giungere per il suo gentile tramite, Venerato Fratello, il mio saluto nel Signore ai partecipanti all'incontro, previsto ad Hajdudorog (Ungheria) dal 30 giugno al 6 luglio prossimi, dei Vescovi e dei Superiori religiosi delle Chiese Orientali Cattoliche in Europa con i rappresentanti della Congregazione per le Chiese Orientali.

186 Il convegno costituisce un evento di indubbia importanza: i maggiori responsabili delle Chiese Orientali Cattoliche si ritroveranno insieme per comprendere sempre meglio ciò che la Chiesa universale attende dagli Orientali in piena comunione con la Sede di Roma. L'incontro è reso possibile dalla ritrovata libertà, che pone le Chiese Orientali Cattoliche d'Europa di fronte a possibilità ed impegni inediti. Esse hanno pagato un tributo altissimo alla loro scelta di rimanere fedeli al Signore ed alla comunione con il Vescovo di Roma. Il prezzo è stato a volte quello supremo del dono della vita. Private per decenni del loro clero, spesso imprigionato o, comunque, sottoposto ad una sorveglianza estenuante e ad una continua limitazione di libertà nell'agire pastorale, oggi queste Chiese, indebolite nelle forze, ma fiduciose in Colui che ha vinto il mondo, si trovano ad affrontare l'arduo compito di riemergere dalle catacombe per rispondere alle esigenze dei fedeli, finalmente sciolti dal vincolo dell'oppressione, ma sollecitati da nuovi miraggi e sottoposti a nuove sfide.

2. Molto opportunamente il Dicastero della Curia Romana, che Ella, Signor Cardinale, presiede, ha promosso questo incontro per dare ai Vescovi, alcuni dei quali sono veri confessori della fede, la possibilità di incontrarsi, di pregare e di riflettere insieme con i collaboratori della Congregazione, in modo che questa possa meglio conoscere le loro attese ed esprimere con più incisiva immediatezza gli orientamenti della Santa Sede per gli Orientali cattolici. Attraverso la Congregazione per le Chiese Orientali è il Papa stesso che si pone accanto ad esse, come pietra sulla quale costruire l'edificio sempre nuovo della fedeltà al Signore Gesù. E' con questa semplicità di reciproco ascolto che si costruisce la Chiesa.

Sono certo che questa esperienza di convivenza arricchirà tutti, rafforzando nelle Chiese Orientali Cattoliche l'impegno ad individuare sempre meglio le modalità secondo cui apportare il proprio contributo specifico: esse rendono presente nel cuore della Chiesa il tesoro dell'Oriente cristiano e partecipano, ad un tempo, al flusso di grazia che percorre il corpo, variegato e multiforme, della Chiesa Cattolica. Nella fedeltà a questa duplice vocazione si colloca la comune attesa. Confido che una più chiara coscienza di questa identità valga a facilitare la precisa collocazione degli Orientali cattolici nel quadro ecumenico, favorendo il superamento di incomprensioni e di tensioni che hanno portato e portano con sé non poca sofferenza. Ciò ribadisce quanto ho avuto modo di dire nella mia Lettera ai Vescovi del Continente europeo circa i rapporti tra cattolici ed ortodossi nella nuova situazione dell'Europa centrale ed orientale: "Auspico di cuore che, ovunque vivano insieme cattolici ed ortodossi, si instaurino relazioni fraterne, di reciproco rispetto e di sincera ricerca di una testimonianza comune all'unico Signore" (Giovanni Paolo II, Lettera ai Vescovi del Continente europeo circa i rapporti tra Cattolici e Ortodossi nella nuova situazione dell'Europa Centrale e Orientale, 31 maggio 1991: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIV, 1 (1991) 1383 ).

Più le Chiese orientali saranno se stesse, più incisiva sarà la loro testimonianza, più visibile la loro appartenenza all'Oriente cristiano, più feconda e preziosa la loro complementarietà rispetto alla tradizione occidentale.

3. Chiedo ai martiri, noti e sconosciuti, di codeste Chiese venerande di voler accompagnare questo evento, intercedendo presso il Padre comune per ottenere a tutti l'apertura del cuore e della mente, il coraggio della fedeltà, la santa speranza nel giorno del Signore.

Con questo auspicio imparto di cuore a Lei, Signor Cardinale, ed a tutti i partecipanti all'incontro la Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 28 giugno 1997, memoria liturgica di sant'Ireneo

IOANNES PAULUS PP. II



AI MEMBRI DELL'ASSOCIAZIONE SANTI PIETRO E PAOLO


IN OCCASIONE DEL 25° ANNIVERSARIO DI ISTITUZIONE


Sabato, 28 giugno 1997




Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Sono lieto di accogliervi, in occasione del venticinquesimo anniversario di istituzione dell'"Associazione Santi Pietro e Paolo", voluta dal mio venerato Predecessore Paolo VI. A ciascuno rivolgo il mio saluto con le parole dell'apostolo Pietro: "A coloro che hanno ricevuto in sorte con noi la stessa preziosa fede per la giustizia del nostro Dio e salvatore Gesù Cristo: grazia e pace" (2P 1, 2s).

Ringrazio l'Avvocato Gianluigi Marrone, che si è fatto interprete dei sentimenti di voi tutti, il vostro Assistente Spirituale, Mons. Carmelo Nicolosi, ed il Vice-Assistente, Mons. Franco Follo. Aggiungo un particolare ricordo per il Dottor Pietro Rossi, Presidente Emerito, e Mons. Giovanni Coppa, primo Assistente Spirituale, attualmente Nunzio Apostolico nella Repubblica Ceca, come pure per il compianto Mons. Nicolino Sarale, che tra voi ha speso non poche delle sue energie sacerdotali.

187 2. Sono passati venticinque anni da quando il Papa Paolo VI di venerata memoria volle che la grande tradizione della Guardia Palatina d'Onore proseguisse in forma più consona alle mutate esigenze dei tempi. Questi cinque lustri di attività documentano che tale tradizione è stata sapientemente incrementata, senza soluzione di continuità con lo spirito delle origini.

Conformemente al motto ereditato dalla Guardia Palatina: "Fide constamus avita", voi non solo avete voluto perseverare nella fede ricevuta, bensì accrescerla, grazie ad accurati incontri di catechesi, al fattivo servizio liturgico nella Basilica di San Pietro e all'attività caritativa nella Casa Dono di Maria e presso l'Ambulatorio per bambini extracomunitari, annesso alla Casa Santa Marta.La presenza tra voi di alcune religiose Missionarie della Carità e Suore della Carità di San Vincenzo de' Paoli fa pensare che anche esse, in un certo senso, sono parte della vostra famiglia associativa, alla cui collaborazione debbono, se è loro possibile, recare un silenzioso e prezioso aiuto a non pochi fratelli bisognosi.

3. Insieme con il compiacimento per l'opera qualificata che prestate al Successore di Pietro ed al suo ministero di carità, vorrei oggi esprimere la mia gratitudine per l'opera che svolgete nella Città del Vaticano. Grazie per i molteplici servizi che rendete e, soprattutto, per lo spirito con cui ad essi vi dedicate! Perseverate nelle vostre iniziative, tenendo sempre ben presente l'esortazione dell'apostolo Paolo: "Veritatem facientes in caritate" (
Ep 4,15): vivete la verità nella carità. Questa espressione indica la legge fondamentale che, con l'aiuto della grazia divina, sostiene l'esistenza cristiana. "Realizzare la verità nella carità" è possibile quando la vita dei credenti cresce e si alimenta per mezzo di azioni sostenute dalla grazia santificante e orientate a Dio nella carità, sotto la spinta della consapevolezza che la fede senza le opere è morta (cfr Jc 2,17).

Quali siano le opere di cui la fede abbisogna per vivere, è suggerito dalla volontà amorosa di Dio consegnata nei comandamenti. La forza per tradurre in atto tale volontà è assicurata dalla grazia, la cui sorgente è lo stesso Verbo incarnato: "Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo" (Jn 1,17).

Vi esorto, pertanto, ad essere sempre uniti a Cristo, come i tralci alla vite, perché l'annunzio e la testimonianza della verità siano congiunti con l'amore ed avvengano nell'amore. La verità del Vangelo si compie, infatti, e si manifesta nell'amore.

Vivendo la verità nella carità, voi partecipate all'edificazione della Chiesa e alla crescita del mondo intero sulle orme di Colui che ne è Capo e Signore, Cristo Gesù.

4. Carissimi Fratelli e Sorelle! Continuate nel vostro generoso lavoro con la dedizione di sempre. L'approssimarsi del Grande Giubileo aumenti in voi l'entusiasmo, giacché la celebrazione giubilare vi chiederà un impegno ancor più grande, specialmente per quanto concerne la "custodia" della Porta Santa della Basilica Vaticana. Si tratta di un servizio di onore e di carità che voi avete compiuto nel corso dell'Anno Santo del 1975 ed in quello Straordinario del 1983. Esso vi porterà a contatto quotidiano con tantissimi pellegrini che accederanno alla Basilica passando attraverso quella Porta, ed ai quali sarete chiamati a prestare premurosa assistenza.

Cari membri dell'Associazione Santi Pietro e Paolo, vorrei concludere questo nostro incontro rinnovandovi l'invito ad essere sempre autentici e "speciali" testimoni della carità di Dio, come è ben indicato nel vostro Statuto. Affido a Maria, "Virgo Fidelis", voi, i vostri familiari e tutte le persone a voi care. Vegli la Vergine Santa con il suo materno amore su ciascuno di voi e vi ottenga dal Redentore il dono della perseveranza nel bene e della serenità.

Vi accompagni, inoltre, la mia Benedizione, che estendo volentieri alle vostre famiglie, ricordando specialmente i bambini e le persone ammalate.

                                                                Luglio 1997


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