GP2 Discorsi 1996 251


AI MEMBRI DELLA FONDAZIONE


«CENTESIMUS ANNUS PRO PONTIFICE»


Sala Clementina - Sabato, 23 novembre 1996




Signor Cardinale,
Venerati Fratelli nell’Episcopato,
Gentili Signore e Signori!

1. Sono lieto di porgere il mio saluto cordiale, a voi tutti, convenuti qui in Vaticano, per l’annuale Convegno di studio organizzato dalla Fondazione “Centesimus annus - Pro Pontifice” sul tema “La solidarietà nell’insegnamento papale”.

Il mio pensiero va, anzitutto, al Signor Cardinale Rosalio José Castillo Lara e a Mons. Lorenzo Antonetti, che ringrazio per le gentili espressioni rivoltemi anche a nome di ciascuno di voi. Saluto anche Mons. Claudio Maria Celli e tutti voi, cari Soci della Fondazione, che insieme ai vostri familiari avete voluto rendermi visita.

2. Gli scopi del vostro benemerito Sodalizio si ispirano alla Lettera Enciclica Centesimus annus, che pubblicai per ricordare quanto aveva scritto un secolo prima il mio venerato Predecessore, il Papa Leone XIII, nella Rerum novarum, documento che tanti frutti ha portato nella Chiesa e nel mondo.

Mi congratulo, quindi, per questa vostra visita, che mi consente di seguire da vicino quanto andate facendo a sostegno della Dottrina sociale della Chiesa nell’ambito sia del suo approfondimento che della sua diffusione ed applicazione.

Questa Dottrina, infatti, non può essere considerata semplicemente come una teoria; essa intende in primo luogo offrire fondamento e motivazione per un coerente impegno applicativo (cf. Giovanni Paolo II, Centesimus annus CA 57). A tale proposito, nella citata Enciclica osservavo: “Oggi più che mai la Chiesa è cosciente che il suo messaggio sociale troverà credibilità nella testimonianza delle opere, prima che nella sua coerenza e logica interna” (Ivi).

È da qui che trae motivo e scopo la vostra riflessione odierna, mirata com’è a trasporre nel concreto della vita quotidiana delle persone e dei loro impegni umani e professionali il ricco insegnamento della Chiesa sulla solidarietà.

252 3. Mi compiaccio vivamente di questa vostra scelta: essa mette in luce il valore di testimonianza evangelica che la generosa applicazione dei principi della Dottrina sociale della Chiesa riveste (cf. Ivi, 54). La solidarietà non consiste in qualche gesto isolato o in “un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone” (Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis SRS 38), ma è una virtù e, come tale, manifesta “la determinazione ferma e perseverante d’impegnarsi per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti” (Ivi).

La solidarietà deve informare e trasformare, per così dire, dall’interno la vita e le scelte di ciascuno, impegnando la persona anche quanto all’uso dei beni materiali che il Signore le ha concesso, e di cui è, più che proprietaria, amministratrice per l’utilità di tutti.

Come potrebbe una società veramente umana ignorare il valore della solidarietà o lasciarlo soltanto all’iniziativa privata? In quanto formata da esseri da Dio creati uguali, la società ha il dovere di promuovere nel suo seno la solidarietà e di darsi anche delle strutture che la rendano operativa, nel rispetto della legittima autonomia dei vari soggetti sociali e del principio della sussidiarietà. Ciò si applica pure a livello internazionale, in presenza del diffuso fenomeno della “mondializzazione dell’economia” (cf. Giovanni Paolo II, Centesimus annus CA 58).

4. In quest’ambito il ruolo dei cristiani è decisivo. Se veramente hanno fatto dell’insegnamento sociale della Chiesa e, in particolare, della solidarietà, il criterio del loro agire in campo personale e sociale, essi non mancheranno di rendere concreta testimonianza dei valori che si fondano sulla carità e sulla giustizia. Non avranno che da seguire, in ciò, l’esempio del loro divino Maestro, che si è fatto “servo” di tutti “fino alla morte e alla morte di croce” (cf. Fil Ph 2,7-8). Egli stesso li assicura: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).

Fratelli e Sorelle nel Signore, possiate essere sempre fedeli amministratori e provvidi realizzatori della solidarietà secondo lo spirito del Vangelo. In tal modo continuerete a difendere e promuovere, secondo lo spirito di Cristo e l’insegnamento della Chiesa, la dignità dell’uomo. Siate operosi testimoni della vostra fede. Contribuirete, così, fattivamente alla costruzione dell’auspicata civiltà dell’amore, la cui prima regola è di promuovere il rispetto per ogni essere umano.

Affido questo auspicio ed il vostro impegno alla materna intercessione di Maria Santissima. Sia Ella a guidare la vostra azione a favore di tanti fratelli e sorelle bisognosi.

Con tali sentimenti, imparto con affetto a voi e ai vostri collaboratori la Benedizione Apostolica, che volentieri estendo a quanti vi sono cari.




AL PELLEGRINAGGIO DI CREMONA A


CONCLUSIONE DEL SINODO DIOCESANO


Aula Paolo VI - Sabato, 23 novembre 1996




Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Sono lieto di porgervi il mio cordiale benvenuto nel corso di questo pellegrinaggio alle Tombe degli Apostoli, con il quale avete voluto concludere l’intenso lavoro del Sinodo della vostra Diocesi.

Rivolgo un fraterno saluto al vostro Pastore, Mons. Giulio Nicolini, e lo ringrazio per le amabili parole indirizzatemi a nome di tutti, come pure per il dono della venerata immagine della Madonna di Caravaggio. Saluto, altresì, i sacerdoti, i consacrati e le consacrate, i seminaristi, come pure i fedeli laici, particolarmente impegnati nella vita ecclesiale al servizio della nuova evangelizzazione. Un deferente pensiero rivolgo pure alle Autorità che vi hanno accompagnato per questa visita: al Presidente della Provincia, al Sindaco della vostra Città ed a quanti, a vario titolo, sono preposti al bene pubblico.

253 2. Carissimi Fratelli e Sorelle! Durante la Visita pastorale che ebbi occasione di compiere alla vostra Città nel giugno del 1992, invitai la vostra Comunità diocesana ad una riflessione sui compiti del vostro Sinodo. Notai, allora, che “voi, discepoli di questa Chiesa, siete convocati non tanto per rinnovare le strutture organizzative ai fini di una maggiore efficienza, ma per edificare un tempio spirituale di persone distaccate, libere, accoglienti, fedeli a Dio e amiche dell’uomo, impegnate a far conoscere i prodigi di Colui che dalle tenebre ci ha chiamati alla sua mirabile luce” (Insegnamenti, XV, 1 [1992] 1923).

Nei sette anni di Sinodo, voi avete “camminato insieme”: presbiteri, consacrati, laici in unità con il vostro Pastore. Le decisioni appena promulgate, delle quali con atto gentile mi avete portato copia, vogliono rendere operanti gli obiettivi scaturiti dall’assise sinodale. In particolare, vi sentite impegnati a crescere nella comunione ecclesiale, grazie alla quale la Comunità diventa luogo di autentica accoglienza fraterna, dove i diversi doni e carismi d’ognuno sono condivisi e ridondano a beneficio di tutti.

3. Questa comunione, che si alimenta alle fonti stesse della grazia nell’ascolto della parola di Dio e nella celebrazione dei divini misteri, è necessaria per poter affrontare l’altro impegno che vi siete prefissi: quello di dare all’evangelizzazione ed alla missione un effettivo primato nella vita diocesana. Sull’esempio dei primi cristiani, che interiormente irrobustiti dalla preghiera e mossi dallo Spirito, “annunziavano la parola di Dio con franchezza” a tutti (
Ac 4,31) e vivevano la medesima fede con “un cuore solo e un’anima sola” (Ac 4,32), anche la vostra Comunità vuole prepararsi ad affrontare la grande sfida della nuova evangelizzazione e di un rinnovato impegno missionario.

Il vostro Sinodo si è svolto all’insegna dell’icona evangelica di Emmaus. I due discepoli, in cammino da Gerusalemme verso quel piccolo villaggio della Giudea, furono istruiti dal Maestro in ciò che nelle Scritture si riferiva a lui (cf. Lc Lc 24,27) e, quando Egli spezzò il pane, “si aprirono i loro occhi e lo riconobbero” (Lc 24,31). Anche oggi è necessario un costante ascolto di Cristo, la cui voce risuona nelle Scritture. Ecco perché voi ritenete fondamentale l’impegno della formazione permanente. La comprensione della fede, infatti, esige un assiduo discepolato che attinga ai tesori di verità e di vita custoditi nel cuore del Maestro divino. Illuminati dai suoi insegnamenti e corroborati dalla sua grazia, potrete affrontare senza paura i numerosi problemi del nostro tempo e contribuire efficacemente alla loro soluzione.

4. Questo è il vostro impegno, carissimi Fratelli e Sorelle, nella nuova stagione post-sinodale che si apre dinanzi a voi. Sostenuti dal soffio dello Spirito che ha visitato la vostra Chiesa, proseguite con fiducia il vostro cammino, risalendo costantemente alle sorgenti della vostra fede. Sorgenti sono, innanzitutto, la persona di Gesù Cristo, poi la parola di Dio nella Bibbia e i sacramenti amministrati dalla Chiesa, tra i quali fondamentale è il Battesimo: su questi temi la Chiesa intera è invitata a riflettere lungo tutto il 1997, primo anno del triennio di preparazione al Grande Giubileo del Duemila (cf. Giovanni Paolo II, Tertio Millennio adveniente TMA 40-41).

Ho appreso, altresì, con piacere che la vostra Diocesi intende appuntare il suo sforzo pastorale sulla comunicazione sia interpersonale che dei mass-media. In tale prospettiva avete appena inaugurato la “Casa della comunicazione”, luogo di raccordo tra le varie iniziative in questo ambito. Pure importante è la fondazione “Gregorio decimo quarto per l’educazione e la cultura” che, operante ormai da due anni, si propone di sostenere le attività della scuola cattolica, affinché, pur tra molteplici difficoltà, continui ad offrire alle giovani generazioni i contenuti e i valori propri del grande patrimonio cristiano.

Tutto ciò sarà vostra cura realizzare con uno sguardo di attenzione singolare rivolto ai giovani.Da loro dipende il futuro della Comunità sia ecclesiale che civile. È urgente aiutarli a discernere, attraverso le fasi della crescita, la chiamata che Dio rivolge a ciascuno e sostenerli poi nella risposta. È assecondando con generosità il progetto di Dio che il giovane realizza se stesso e scopre la gioia. Da voi, giovani, la Chiesa del Duemila attende il contributo di una coraggiosa testimonianza cristiana!

5. Carissimi Fratelli e Sorelle, nel cammino post-sinodale della vostra Chiesa avete posto anche la celebrazione, a partire dal novembre del 1997, dell’“anno omoboniano”, per ricordare l’ottavo centenario della morte del vostro Patrono, sant’Omobono. Sia anche questa un’occasione provvidenziale che stimoli tutti ad un’adeguata preparazione al Grande Giubileo del Duemila.

Affido questi auspici alla Santa Vergine di Caravaggio, da voi venerata con particolare devozione. Ella vi guidi nel vostro itinerario di fede e di vita comunitaria e vi sostenga perché possiate essere “sale della terra e luce del mondo” (Mt 5,13 Mt 5,14).

Con tali sentimenti, imparto cordialmente la mia Benedizione a voi qui presenti ed all’intera vostra Comunità diocesana.




AI PELLEGRINI CONVENUTI A ROMA PER LA BEATIFICAZIONE


DI OTTO NEURURER, JAKOB GAPP E CATHERINE JARRIGE


Aula Paolo VI - Lunedì, 25 novembre 1996




254 Cari Fratelli nell’Episcopato,

Care Sorelle e cari Fratelli,

Saluto di cuore tutti voi che oggi, il giorno dopo la beatificazione del Parroco Otto Neururer, del Padre Jakob Gapp e della suora Catherine Jarrige, siete venuti a questa udienza. In particolare, saluto voi, cari Fratelli nell’Episcopato, così come i sacerdoti e i religiosi, e voi, cari pellegrini che così numerosi siete giunti soprattutto dal Tirolo del Nord, dell’Est e del Sud. Saluto di cuore i pellegrini di Wattens, luogo d’origine di Padre Jakob Gapp, coloro che provengono da Piller, paese natale del Parroco Otto Neururer e da Götzens, dove è stato sepolto.

I nuovi Beati ci parlano in particolare con il linguaggio della Croce, poiché ci riportano indietro ai tempi nei quali i cristiani venivano perseguitati. Ci hanno lasciato un sacrificio eroico; in loro “la morte e la vita si affrontano in un prodigioso duello” (sequenza pasquale). Anche se la morte sembra aver trionfato, essi, secondo il divino disegno salvifico di liberazione, hanno ricevuto in dono la pienezza della vita.

Tutti i fratelli e tutte le sorelle, che hanno sofferto a causa della propria fede, hanno partecipato in maniera eccezionale alla croce di Cristo. La croce porta con il suo intervento di morte il corpo di Cristo, fino a quando “tutto è compiuto”. Questo mistero continua nella storia del mondo. Allo stesso modo continua la splendida liberazione che sempre sarà legata alla croce del calvario. Attraverso questa croce Dio non morirà mai nella storia dell’uomo!

Una celebrazione di beatificazione ha sempre in sé qualcosa di triste e di solenne. Essa è un esempio della vittoria definitiva di Cristo alla fine dei tempi. Portate a casa un po’ di questa speranza; poiché di fatto sarebbe troppo poco se non rimanesse nient’altro che un bel ricordo di una giornata trascorsa a Roma e una data sul calendario liturgico, nella quale ricordiamo i beati. I martiri Jakob Gapp e Otto Neururer incarnano un appello alla nostra quotidianità di cristiani; essi intendono essere un esempio entusiasmante per la nostra vita.

Padre Jakob Gapp costituisce per noi un modello grazie alla sua coraggiosa testimonianza della verità. La sua vita e la sua morte hanno qualcosa di Giovanni Battista, che con coraggio disse al tiranno: “Non puoi...” e per questo venne ucciso. Padre Gapp è il modello dell’esortatore scomodo, quando si tratta della verità rivelata da Cristo. Il parroco Otto Neururer ci ricorda sempre la santità del matrimonio cristiano, per la quale andò in prigione, e la fedeltà al servizio sacerdotale, per il quale venne ucciso.

La sua testimonianza concerne pertanto due pilastri della vita cristiana. Quando tornerete a casa, vi prego di custodire nel vostro cuore il ricordo, l’esempio e il messaggio di questi due grandi personaggi, fiduciosi che essi ci saranno vicini mediante la loro intercessione. A voi tutti e ai vostri cari imparto di cuore la Benedizione Apostolica.

Un benvenuto a voi, cari Fratelli e care Sorelle che, con il vostro Pastore, Monsignor René Séjourné, siete venuti dal centro della Francia per partecipare alla beatificazione di una figlia della vostra terra. Un benvenuto a voi, pellegrini di lingua francese e a voi, figli e figlie della grande famiglia domenicana, una delle cui primogenite nella fede ha preso posto nell’immensa folla dei santi e dei beati che circondano Cristo Re dell’universo.

Come sapete, Catherine Jarrige era soprannominata Catinon-Menette, la “suorina dei poveri”. “Menette” significa “monaca di clausura”; era di fatto consacrata, sposa dell’Unico Amore, dell’amore che racchiude, trascende e vivifica tutti gli altri, l’amore di Cristo risorto.

La sua carità si manifestò costantemente presso i più bisognosi. I poveri, i prigionieri, i malati, i morenti la vedevano arrivare con sollievo, poiché ella portava loro conforto e consolazione nella prova. Che quanti fra voi si consacrano al loro servizio trovino qui l’espressione della mia gratitudine e di quella dell’intera Chiesa! Che continuino con perseveranza ad alleviare le sofferenze del corpo e dell’anima!

255 Attraverso l’esempio della sua vita, l’esercizio della sua professione, il suo spirito di preghiera e il suo generoso servizio al prossimo, Catherine Jarrige si donò interamente al Signore. Che ella sia in mezzo a voi, cari Fratelli e care Sorelle, un’amica vera, un’ispiratrice e una guida verso Cristo Salvatore! Le affido la vostra vita cristiana, il vostro apostolato e le chiedo, così come chiedo ai beati Otto Neururer e Jakob Gapp, di accompagnarvi lungo le vie del Regno.

A ognuno di voi, alle vostre famiglie e a quanti sono uniti a voi con il pensiero, imparto di tutto cuore la mia Benedizione Apostolica.




AI PARTECIPANTI ALLA PRIMA SEDUTA PUBBLICA


DELLE PONTIFICIE ACCADEMIE


Aula del Sinodo - Giovedì, 28 novembre 1996




Signori Cardinali,
Venerati Fratelli nell’Episcopato,
Illustri Signori e Signore!

1. È per me motivo di gioia poter presiedere, questa mattina, la prima Seduta pubblica delle vostre Pontificie Accademie, opportunamente promossa e preparata dal Consiglio di coordinamento. Da quando il mio venerato Predecessore, il Servo di Dio Paolo VI, dette avvio all’opera di rinnovamento delle vostre Accademie, voi avete portato avanti in questi anni con pazienza e determinazione l’iniziativa, nell’intento di rendere ciascuna delle vostre Istituzioni più rispondente alle istanze culturali emergenti. Ringrazio quanti, nel corso di questi decenni, hanno operato a tal fine e sono lieto di suggellare con l’odierno incontro il cammino sinora compiuto. Per la prima volta, infatti, accolgo le Accademie rinnovate, pronte per un’azione più incisiva nel fecondo dialogo tra Vangelo e culture alle soglie del nuovo millennio.

La mia gratitudine va agli illustri Presidenti e ai distinti Membri delle singole Pontificie Accademie, che, alla luce della loro lunga e ricca esperienza, si sono impegnati per una presenza rinnovata delle rispettive Istituzioni nel cuore delle culture del nostro tempo, promuovendo quella sistematica collaborazione interdisciplinare che il progresso scientifico rende ormai indispensabile. Voglio esprimere la mia riconoscenza anche al Pontificio Consiglio della Cultura e, in modo particolare, al suo Presidente, il Cardinale Paul Poupard, che ha coordinato questo lavoro e ne ha dato succinta relazione nel cordiale indirizzo rivoltomi poc’anzi.

Saluto i Signori Cardinali che hanno voluto, con la loro presenza, dare lustro alla vostra riunione e rivolgo un deferente pensiero agli illustri Rappresentanti del Corpo Diplomatico, qui convenuti per la circostanza. In questo momento il mio pensiero si porta con deferenza verso tutti i centri accademici del mondo dove innumerevoli uomini e donne di cultura, riuniti da un nobile ideale, pongono in costante comunione la scienza, l’esperienza e la saggezza, per contribuire a tracciare un cammino di civiltà, in cui ogni uomo ed ogni donna possa pervenire alla piena realizzazione delle proprie più alte aspirazioni. In tale ambito, illustri Accademici, il vostro specifico contributo è di grande rilievo ed io vi ringrazio per il lavoro che generosamente svolgete.

2. Se è vero che ogni Pontificia Accademia ha un proprio compito ed un campo peculiare di attività, è anche vero che la recente riforma risponde ad un’esigenza di necessario coordinamento del rispettivo lavoro, pur salvaguardando la legittima autonomia di ciascuna. L’iniziativa di coordinarne opportunamente i programmi è nata dal desiderio di fare delle Pontificie Accademie un soggetto privilegiato nel dialogo tra fede e cultura nel nostro tempo. Questo compito, di per sé, spetta ad ogni istituzione cristiana che abbia vocazione intellettuale, poiché il pensiero cristiano è aperto alla verità, ovunque essa si trovi; è pensiero disposto a confrontarsi con opinioni diverse presenti nell’universo di altre tradizioni religiose e culturali.

È ben noto, a questo proposito, l’apporto che in campo culturale arrecano vari Organismi della Santa Sede o con essa collegati: dalla Congregazione per la Dottrina della Fede a quella per l’Educazione Cattolica, dal Pontificio Consiglio della Cultura alle Pontificie Commissioni per i Beni Culturali e di Archeologia Sacra, dall’Archivio Segreto e Biblioteca Apostolica ai Musei Vaticani, dalle Università Pontificie esistenti nell’Urbe ai vari Centri di cultura cattolica sparsi nel mondo. Un loro particolare titolo ad essere soggetto nel dialogo tra fede e cultura hanno le Pontificie Accademie.

256 Occorre però subito precisare che la condizione per dialogare nel miglior modo con culture differenti è l’essere noi stessi creativi. Prima del dialogo formale, sarà la creatività del pensatore, dello studioso e dell’artista cristiano - ciascuno secondo le esigenze proprie del suo campo di ricerca - a fare di lui un interlocutore credibile e stimolante. Erede di un patrimonio culturale ricchissimo, il pensatore, non meno dell’artista cristiano, è chiamato a presentare questo immenso tesoro con grande onestà nei confronti dell’interlocutore non credente. Né questo basta. Egli è impegnato, altresì, ad elaborare sue proposte originali che, pur radicate saldamente nella parola di Dio e nella tradizione della Chiesa, siano in grado di affrontare i problemi nuovi e di offrire risposte valide alle istanze presenti nelle correnti culturali contemporanee. Attingendo a piene mani alla ricchezza inesauribile della Rivelazione, egli può raccogliere l’uno o l’altro aspetto della “bellezza antica e sempre nuova” che splende sul volto del Redentore, per alimentare un’autentica vena creativa nei vari settori dell’espressività umana. La storia di venti secoli di seminagione evangelica documenta ampiamente la splendida messe maturata, sotto i più diversi cieli, nel campo fecondo dell’umanesimo cristiano.

3. Anche le Pontificie Accademie hanno, in questo scorcio di secolo e di millennio, il compito di collaborare, secondo il singolare genio di ciascuna, alla preparazione del grande Giubileo dell’anno Duemila. So che il tema da voi scelto, come vostro contributo particolare a questa vasta azione di riflessione e d’impegno spirituale e missionario, è appunto quello dell’umanesimo cristiano. È una decisione che approvo ed incoraggio. Sia questo il vostro campo di ricerca e di azione per i prossimi anni: una sfida davvero magnifica!

Il mistero dell’Incarnazione ha segnato una spinta formidabile per il pensiero e per il genio artistico dell’uomo. Proprio riflettendo sull’unione delle due nature, l’umana e la divina, nella persona del Verbo incarnato, i pensatori cristiani sono venuti precisando il concetto di persona quale centro unico e irripetibile di libertà e di responsabilità, a cui deve essere riconosciuta una inalienabile dignità. Questo concetto di persona si è rivelato come la pietra angolare di ogni civiltà autenticamente umana. Guardando i secoli, non è difficile rendersi conto che il mistero dell’Incarnazione ha molto spesso orientato la ragione umana verso orizzonti impervi e mai raggiunti, dando vita a sistemi di pensiero di mirabile ampiezza e profondità. Basti pensare agli scritti dei Padri della Chiesa, oppure alle Somme teologiche medievali, prima fra le quali la Somma di San Tommaso d’Aquino, ed alle opere di tanti altri pensatori e ricercatori cristiani.

È vero! Il mistero dell’Incarnazione ha suscitato, durante i due millenni ormai trascorsi, una fede, una gioia, uno stupore che non hanno cessato di essere fonte di ispirazione del genio cristiano, espressosi in innumerevoli e splendide opere d’arte: dall’architettura alla pittura, dalla scultura alla musica, dalla letteratura alle altre forme artistiche.

4. Nell’anno Duemila ci prepariamo a celebrare questo evento straordinario, che divide la storia in due - prima e dopo Cristo - e, al tempo stesso, ne costituisce il centro unificatore. Confido che, alla luce di tale evento, le vostre Pontificie Accademie sappiano offrire un contributo originale all’edificazione del rinnovato umanesimo cristiano, presentando l’umanità del Cristo come modello per le generazioni del nuovo millennio. Splendido programma: creare il bello, attingere al buono, cogliere ed esprimere il vero!

La fecondità culturale del messaggio evangelico, che si è manifestata in tanti capolavori nel corso dei secoli, non è certo esaurita. Il grande ideale delle Beatitudini rimane per l’uomo - per l’uomo di ogni tempo, di ogni luogo e di ogni cultura - un’incomparabile fonte di ispirazione per la meraviglia che suscita e la dilatazione che causa alla sua capacità di essere e di agire, di contemplare e di creare.

5. Illustri Signori e Signore, possa ciascuno di voi, consapevole del fondamentale ruolo della cultura, rinnovare con audacia il proprio impegno creativo in un tempo come il nostro, che il Concilio Vaticano II non ha esitato a definire: “nuova epoca della storia umana” (Gaudium et spes
GS 54).

La fede in Cristo, Verbo incarnato, ci riporta con occhi nuovi all’uomo. In certo senso, ci consente di credere nell’uomo, creato ad immagine e somiglianza divina, microcosmo del mondo ed insieme icona di Dio. Una visione antropologica di tale ampiezza costituisce un fermento di impareggiabile energia spirituale per superare i limiti di ogni cultura, ingrandendone le potenzialità creatrici. Se si pensa alle esitazioni ed alle incertezze caratteristiche del nostro tempo, tutto questo si pone come fattore di un’autentica metamorfosi. Dalla crisi contemporanea viene, infatti, un appello a creare “un nuovo umanesimo” (Ivi, 55), che restituisca all’uomo la sua piena dimensione umana, aiutandolo nel contempo a prendere coscienza della sua straordinaria vocazione divina. I Padri della Chiesa lo ripetevano continuamente: “Dio si è fatto uomo affinché l’uomo diventi Dio” (Sant’Atanasio, Sull’Incarnazione del Verbo, 54,3: PG 25,192). In cerca di libertà e di verità, di amore e di bellezza, l’uomo trova nella contemplazione del Verbo della Vita, Figlio di Dio e Figlio di Maria, “ragioni di vita e di speranza” (Gaudium et spes GS 31). È qui la sorgente inesauribile della cultura, che rende l’uomo “più uomo” (Ivi, 41).

6. Dalle presenti riflessioni, illustri Signori e Signore, emerge che le vostre Pontificie Accademie, proprio in forza della loro prestigiosa eredità, rappresentano un notevole potenziale ed una ricca fonte di speranza per la Chiesa e per l’umanità. Sappiate essere testimoni efficaci della perenne novità del Vangelo, mostrando come il patrimonio cristiano costituisca un humus culturale straordinariamente fecondo.

Per aiutarvi nello svolgimento di questo compito, ho deciso di istituire un Premio delle Pontificie Accademie, che intende sostenere i talenti o le iniziative promettenti, che emergeranno nei vari campi culturali da voi coltivati: teologia e mariologia, archeologia, storia religiosa e culto dei martiri, lettere e arti. Su indicazione del Presidente del Consiglio di Coordinamento fra le Pontificie Accademie, avrò io stesso la gioia, a Dio piacendo, di attribuire, ogni anno, tale Premio all’insigne destinatario, in occasione dell’annuale pubblica seduta delle vostre Accademie.

Illustri Signori e Signore, la Buona Novella dell’amore salvifico di Dio, della quale la Chiesa è portatrice, ispiri continuamente la vostra attività e la vostra creatività. E le vostre Pontificie Accademie rinnovate e pronte a raccogliere le sfide del nuovo millennio, come una potente sinfonia diano testimonianza dell’eterna novità di Dio e delle meraviglie del creato.

257 A tal fine prego il Signore perché vi colmi dei Suoi inesauribili doni di intelligenza, saggezza e amore, per una nuova primavera di cultura cristiana “tertio millennio adveniente”. Accompagno questi auspici con l’Apostolica Benedizione.




AI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL SENEGAL,


DELLA MAURITANIA, DI CAPO VERDE E DELLA


GUINEA-BISSAU, IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»


Venerdì, 29 novembre 1996




Caro Signor Cardinale,
Cari Fratelli nell’Episcopato,

1. È con grande gioia che vi accolgo in questa casa mentre adempite la vostra visita “ad limina”.Voi, Pastori della Chiesa in Senegal, in Mauritania, a Capo Verde e nella Guinea Bissau, siete venuti a manifestare la vostra comunione con il Successore di Pietro, a trovare la forza e l’incoraggiamento presso le tombe degli Apostoli al fine di proseguire il vostro ministero episcopale a capo del popolo che vi è stato affidato. Attraverso voi, saluto affettuosamente tutti gli abitanti della vostra regione, ricordando ancora con piacere le mie visite a Capo Verde e nella Guinea Bissau nel 1990 e in Senegal nel 1992. Ringrazio Monsignor Théodore-Adrien Sarr, Vescovo di Kaolack e Presidente della vostra Conferenza Episcopale, per il cordiale indirizzo che mi ha rivolto a vostro nome.

Formulo i miei incoraggiamenti ai nuovi Vescovi, soprattutto a quello di Nouakchott, Diocesi della quale conosco la particolare situazione, e quello di Zinguinchor, dove, tutti speriamo, finirà per prevalere un’ampia disponibilità al dialogo che renda possibile, nel Casamance, il raggiungimento di una intesa equa e definitiva.

Un saluto particolare a don Paolino Evora e a don Settímio Ferrazzetta, che, per la prima volta, adempiono la visita “ad limina” come membri di questa Conferenza Episcopale. Essi portano con sé una lunga storia di cristianesimo: la Diocesi di Santiago de Capo Verde fu edificata nel 1533, mentre la Diocesi di Bissau, eretta solo nel 1977, inizierà, il prossimo 8 dicembre, un anno giubilare nel quale si commemoreranno i quattrocento anni dei primi battesimi, a Cacheu.

2. La preparazione e la celebrazione dell’Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi hanno rappresentato, per ognuna delle vostre Diocesi, un tempo di grazia in vista del rinnovamento della testimonianza resa a Cristo Salvatore nelle vostre Diocesi. Sono lieto di ricordare qui il ruolo di primo piano assunto dal caro Cardinale Hyacinthe Thiandoum nel corso dei lavori di questo Sinodo come Relatore generale. Mediante l’Esortazione Apostolica Ecclesia in Africa, ho voluto rafforzare le comunità cristiane dell’Africa nella fede ed “esortar(le) a perseverare nella speranza che dona il Cristo risorto, vincendo, ogni tentazione di scoraggiamento” (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 7). Vi invito dunque ad approfondire e a mettere in pratica nelle vostre Diocesi i grandi orientamenti di questo documento. In esso troverete la migliore preparazione all’ingresso nel nuovo millennio e alla celebrazione del grande Giubileo.

Nel corso di questa assemblea sinodale, la Chiesa ha voluto, in effetti, cercare le vie di un annuncio della Buona Novella di Cristo in Africa, interrogandosi su se stessa, su ciò che è e su ciò che deve compiere affinché la sua parola sia pertinente e credibile. Essa ha voluto esortare i cristiani presenti nel vostro continente a rafforzare la loro fede e incoraggiarli a testimoniarla chiaramente. Mentre entriamo in una nuova fase della preparazione del grande Giubileo dell’anno 2000, vi invito a suscitare presso tutti i fedeli “un vero anelito alla santità, un desiderio forte di conversazione e di rinnovamento personale in un clima di sempre più intensa preghiera e di solidale accoglienza del prossimo, specialmente quello più bisognoso” (Giovanni Paolo II, Tertio Millennio adveniente TMA 42). Approfondendo il proprio rapporto con Cristo, i cristiani diventeranno quelle “pietre vive” con le quali si edifica la Chiesa Famiglia di Dio, segno e strumento dell’unione intima con Dio e dell’unità di tutto il genere umano (cf. Lumen gentium LG 1).

3. Dall’appello alla santità deriva per i discepoli di Cristo l’appello alla missione. Come ha sottolineato il Sinodo, è in Comunità ecclesiali vive che la Chiesa Famiglia potrà dare la sua piena misura. Esse dovranno essere “luoghi in cui provvedere innanzitutto alla propria evangelizzazione per poi portare la Buona Novella agli altri; dovranno perciò essere luoghi di preghiera e di ascolto della Parola di Dio; di responsabilizzazione dei membri stessi; di apprendistato di vita ecclesiale; di riflessione sui vari problemi umani, alla luce del Vangelo” (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Africa, 89). In queste comunità è necessario che i laici assumano una rinnovata consapevolezza della loro vocazione particolare, attraverso una partecipazione attiva e responsabile alla vita ecclesiale. Mediante il battesimo e l’opera dello Spirito Santo, ognuno diviene idoneo e si impegna a mettere in pratica i doni ricevuti dal Signore per il servizio ai propri fratelli. Vi incoraggio vivamente a continuare a sviluppare l’apostolato dei laici, esortandoli a rendere testimonianza in mezzo ai loro fratelli, innanzitutto attraverso una vita fondata sul Vangelo. Saluto anche i catechisti e tutti i laici che sono impegnati al servizio delle loro comunità e dell’annuncio della Parola di Dio.

4. Non posso non congratularmi con voi, amati Fratelli, per il grande anelito di formazione dimostrato dagli agenti pastorali delle vostre Diocesi, al punto che alcune di esse l’hanno incluso fra le loro priorità d’azione. Mi è grato pensare che tale anelito si è rafforzato con il cammino sinodale intrapreso dalle comunità cristiane africane, che le ha portate a riconoscersi come la Famiglia di Dio, il cui “antenato comune” è Dio creatore e il “più vecchio” di una moltitudine di fratelli è Cristo.


GP2 Discorsi 1996 251