GP2 Discorsi 1997 21


AL SINDACO E AGLI AMMINISTRATORI CAPITOLINI


Giovedì, 30 gennaio 1997




Onorevole Signor Sindaco!
Signori Rappresentanti dell’Amministrazione Capitolina!

1. Vi accolgo con gioia e porgo a ciascuno di Voi un cordiale benvenuto. Rivolgo un particolare saluto al Signor Sindaco, esprimendo un grazie cordiale per le cortesi espressioni che ha voluto rivolgermi. Con lui desidero salutare i membri della Giunta, i Consiglieri e quanti nei diversi settori dell’Amministrazione Capitolina prestano il loro quotidiano servizio alla cittadinanza. Si tratta di un lavoro spesso nascosto, che esige dedizione, disponibilità e competenza; un lavoro dal quale dipende in gran parte la qualità della vita della nostra Città.

All’inizio del nuovo anno, questo tradizionale appuntamento offre al Vescovo di Roma ed agli Amministratori cittadini la possibilità di esprimere il comune impegno per l’Urbe, riflettendo insieme sulla sua vocazione storica e su quanto è necessario per realizzarla.

2. Mancano ormai solo tre anni al Grande Giubileo del Duemila, data in cui i cristiani commemoreranno i venti secoli dalla nascita di Gesù Cristo. Rilevante è il ruolo che la Chiesa e la Comunità civile di Roma sono chiamate a svolgere nella preparazione e nello svolgimento di questo evento. È comune convinzione che esso porrà, forse come non mai, la nostra Città al centro dell’attenzione del mondo, rendendo anche più concreto l’appellativo di “Caput mundi”, che le è comunemente attribuito. Occorre pertanto chiamare a raccolta le migliori energie spirituali e materiali della Comunità cittadina, perché essa giunga all’appuntamento giubilare in grado di mostrare ai numerosi pellegrini che la visiteranno il suo volto più autentico: la Roma nota non solo per la sua dimensione propriamente cristiana, ma anche per la sua tradizionale capacità di accoglienza e per la coscienza del ruolo universale affidatole dalla storia.

22 3. Per contribuire alla realizzazione di tali obiettivi, ho indetto la grande Missione cittadina, che ha preso avvio in Piazza san Pietro nella scorsa Veglia di Pentecoste, e che prosegue entrando sempre più nel tessuto umano della Città.

La Chiesa intende proporre con rinnovato vigore ad ogni cristiano che vive a Roma, come pure alla cittadinanza nel suo complesso, il messaggio di salvezza che si incarna nella persona, nelle parole e nei gesti di Gesù Cristo. Come simbolo di tale impegno, nei prossimi mesi verrà consegnato a ciascuna famiglia romana il Vangelo di Marco, scritto proprio a Roma dal discepolo e fedele interprete di Pietro, l’Apostolo che qui versò il suo sangue. Sono lieto di consegnarne oggi una copia anche a Voi, nella convinzione che il “gioioso annuncio di Gesù Cristo” è sapienza di vita che giova anche alla civile convivenza di quanti risiedono nell’Urbe.

A sostegno e completamento dell’annuncio missionario, la Chiesa prosegue nel suo impegno per la promozione umana e per il servizio agli ultimi. Attraverso la Caritas diocesana e le numerose strutture ecclesiali presenti sul territorio, continua a farsi vicina alle innumerevoli necessità materiali e morali di non pochi abitanti, vittime di antiche e nuove povertà. Essa si sta pure impegnando ad attrezzare numerose Parrocchie della periferia di luoghi di culto idonei e di spazi di vita comunitaria, che costituiranno per i nuovi quartieri significativi riferimenti di fede e di accoglienza, come pure elementi di identità e avamposti di cultura.

La Comunità ecclesiale cerca, altresì, di prepararsi ad offrire una degna ospitalità a quanti verranno in occasione del prossimo Giubileo, che è un evento spirituale di altissimo profilo, la cui riuscita esige dai singoli e dalle comunità innanzitutto un impegno di sincera conversione.

La caratteristica di evento pubblico del Giubileo richiede la realizzazione di condizioni strutturali, ambientali e morali che chiamano in causa, in particolar modo, gli Amministratori della Città. Profitto volentieri di questa occasione per ringraziare ciascuno di Voi per quanto da tempo state facendo al fine di risolvere i problemi della viabilità, del traffico, dei parcheggi, delle strutture di accoglienza e dell’ambiente. Il mio cordiale auspicio è che tutto questo avvenga sempre nel pieno rispetto delle finalità religiose proprie dell’evento giubilare.

Si continui, pertanto, a porre ogni cura perché le attese in vista dell’Anno Santo da parte della Chiesa, dei Romani e della Comunità internazionale vengano pienamente realizzate e la Città possa presentarsi a tale storico appuntamento rinnovata materialmente e spiritualmente.

4. Si tratta di un ambizioso obiettivo che, esige un ulteriore incremento degli sforzi per risolvere i mali antichi e nuovi di Roma. Innanzitutto occorre affrontare quella specie di stagnazione economica che grava da alcuni anni sulla vita cittadina e che si rende visibile nel rallentamento di alcuni importanti settori produttivi e nella contrazione preoccupante del numero dei posti di lavoro.

Questa situazione penalizza pesantemente soprattutto le famiglie. Quello della disoccupazione è problema che merita priorità assoluta nell’impegno dei pubblici Amministratori, dai quali la popolazione s’attende interventi concreti per creare nuove opportunità di lavoro, soprattutto per chi ha a carico una famiglia o è in procinto di formarsela. Ovviamente, il benessere delle famiglie non dipende soltanto da migliori condizioni di vita materiale. Come insegna la vicenda di molti popoli, solo coniugando in modo armonico benessere materiale e morale è possibile raggiungere alti traguardi di civiltà.

Gravi e sorprendenti episodi di violenza, che non hanno risparmiato rappresentanti del Clero attivamente dediti al servizio dei fratelli, sono sintomi non solo della mancanza di sicurezza in cui vivono numerosi cittadini, ma anche della carenza di valori che rende problematica la convivenza civile.

5. La constatazione di tali situazioni non può non spingere gli Amministratori comunali a fare ogni sforzo per rendere più vivibili e sicuri i quartieri della Città. Tuttavia, la difesa dell’ordine pubblico, isolata da un’adeguata formazione delle persone e dalla tensione etica, rischia di non conseguire successi duraturi. Occorre, pertanto, una vasta e corale cooperazione per promuovere concrete iniziative a tutela e sostegno dei valori e delle istituzioni portanti della società, a cominciare dalla famiglia fondata sul matrimonio. È necessario resistere a quelle tendenze che, coprendosi dietro un falso concetto di libertà, cercano di introdurre negli ordinamenti legislativi ed amministrativi un indebito allargamento del concetto di famiglia o, comunque, una sua impropria parificazione ad altre situazioni di vita, non solo moralmente ma anche socialmente precarie.

Nel contesto, poi, della politica familiare, come in quello del tempo libero, della formazione e della solidarietà è necessario guardare con attenzione al mondo giovanile, indicando e testimoniando alle nuove generazioni alti ideali umani e spirituali, quali l’impegno altruistico, il rispetto della verità e il culto dell’autentico amore. Bisogna denunciare con coerenza e coraggio atteggiamenti ambigui come quelli di chi esprime preoccupati giudizi sulla condizione di molti giovani, ma favorisce di fatto comportamenti ispirati al lassismo e privi di genuino senso morale.

23 Intervenire in tante situazioni di emarginazione e di degrado, presenti nell’ambito di Roma, non è facile e non di rado la vostra disponibilità si scontra con ostacoli e resistenze, che non rendono praticabili le auspicate soluzioni. Non bisogna perdersi d’animo, ma intensificare lo sforzo per sanare le ferite ancora aperte nella vita cittadina, attraverso interventi organici ed una vasta opera di sensibilizzazione.

6. Signor Sindaco, gentili Signore ed illustri Signori!

Nel solco della tradizione biblica, il Giubileo, “anno di grazia del Signore”, esorta a considerare con animo nuovo il rapporto con gli uomini e a farsi carico del dovere di ripristinare la giustizia di Dio di fronte alle situazioni di peccato e di schiavitù, presenti nella società (cfr Giovanni Paolo II, Tertio Millennio adveniente
TMA 14-15).

All’inizio del 1997, primo anno di preparazione immediata al Grande Giubileo del Duemila, ho voluto sottoporre all’attenzione di ciascuno di Voi alcuni problemi che ho avuto occasione di meglio conoscere durante le visite alle Parrocchie, negli incontri pastorali e attraverso i numerosi appelli che mi giungono da fedeli romani. Tali suggestioni sono un invito a realizzare, anche nella Città di Roma, il progetto di giustizia che, attraverso la grazia del Giubileo, il Signore affida agli uomini ed alle donne del nostro tempo.

Affido alla Madre del Signore ed agli Apostoli Pietro e Paolo i progetti che codesta Amministrazione va elaborando al servizio del bene comune, mentre imparto di cuore a ciascuno dei presenti, alle rispettive famiglie ed alla diletta città di Roma una speciale Benedizione Apostolica.




AI PELLEGRINI DI ZADAR (CROAZIA) IN OCCASIONE


DEL VI CENTENARIO DELLA FONDAZIONE


DELLO STUDIO GENERALE DELL'ORDINE DOMENICANO


Sala Clementina - Venerdì, 31 gennaio 1997




Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Sono lieto di incontrarvi in occasione delle Celebrazioni del VI centenario dell’antico Studio Generale dei Domenicani di Zadar. Rivolgo un particolare pensiero a Mons. Ivan Prendja, Arcivescovo di Zadar, ringraziandolo per le cordiali espressioni che ha voluto rivolgermi. Saluto poi il Suo predecessore, Mons. Marijan Oblak, i rappresentanti dell’Ordine dei Predicatori, il Presidente della Contea di Zadar-Knin, il Sindaco e le Autorità cittadine, come pure il Decano, i Docenti e gli studenti della Facoltà di Lettere di Zadar.

La vicenda dello Studio Generale Domenicano nella vostra Diocesi, anche se lontana nel tempo, costituisce un messaggio importante per i cristiani d’oggi, chiamati a confrontarsi con le mutate situazioni culturali, talora così distanti dal Vangelo.

È vicenda che testimonia innanzitutto l’impegno della Chiesa Cattolica per la promozione della cultura: la fondazione, nel 1396, del prestigioso Centro Accademico costituisce solo un aspetto del più vasto dialogo tra Scienza e Fede, che ha prodotto splendidi frutti, tuttora ben visibili nel patrimonio spirituale di molti popoli.

Per oltre quattro secoli, lo Studio Generale dei Domenicani fu un luogo fiorente di ricerca scientifica e di inculturazione della fede, aperto al clero ed ai laici di vari Paesi d’Europa. Purtroppo, agli inizi del secolo XIX, l’Istituzione Accademica cessò la sua provvida funzione. In nome di un falso concetto di libertà, si poneva così fine, in modo violento, ad una significativa espressione di impegno culturale cristianamente ispirato.

24 2. La presenza di uno Studio Generale in Zadar, agli albori dell’epoca moderna, si inseriva, inoltre, nella vasta ed articolata azione delle Diocesi e degli Ordini religiosi per l’evangelizzazione e l’educazione morale e civile delle popolazioni croate. Attraverso le scuole e i diversi centri pastorali, la Chiesa offrì un contribuito determinante al progresso culturale del vostro Popolo, promuovendone, altresì, l’inserimento nel più ampio scenario della cultura europea.

Tale benefico impegno ecclesiale ha subito un particolarmente doloroso rallentamento nei decenni appena trascorsi, a causa del predominio dell’ideologia marxista e della successiva guerra che ha recentemente insanguinato la Croazia con la Bosnia ed Erzegovina. Dopo questi eventi, che hanno prodotto gravi devastazioni materiali e morali, oggi la situazione socio-politica offre alla Chiesa Cattolica nuove possibilità di impegnarsi per la promozione dell’uomo nella vostra Patria.

A tale compito la Comunità ecclesiale si accinge assolvendo innanzitutto la missione di evangelizzare, affidatale dal Signore. Pur non identificandosi con alcuna cultura, il Messaggio evangelico penetra nei particolari contesti storici e antropologici, e, nel rispetto dei loro valori e delle loro ricchezze peculiari li aiuta “a far sorgere dalla propria viva tradizione espressioni originali di vita, di celebrazione e di pensiero che siano cristiani” (Giovanni Paolo II, Cathechesi Tradendae, 53). L’evangelizzazione, infatti, consiste nel “raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti d’interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno di salvezza” (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi EN 19), al fine di promuovere condizioni di vita sempre più degne dell’uomo e del suo destino soprannaturale.

3. Carissimi Fratelli e Sorelle! Il VI centenario della fondazione dello Studio Generale dei Domenicani di Zadar, richiami i cattolici croati ad una forte presenza nei Centri Accademici per sostenere il necessario dialogo tra Scienza e Fede. È impegno che presuppone nei credenti una rinnovata responsabilità verso la propria cultura e il suo sviluppo. Nel confronto diuturno con il Vangelo essi sappiano purificare le diverse espressioni culturali da prospettive di morte e da pseudo-valori, per riscoprire l’autentica vocazione umana, secondo l’originario progetto del Creatore.

In un tempo segnato da profonde e rapide trasformazioni, i cattolici sono chiamati ad offrire al proprio Paese nuove energie intellettuali e morali per costruire un futuro ispirato alla civiltà dell’amore. La trasparenza in ogni ambito di convivenza sociale, la disponibilità al perdono reciproco ed alla riconciliazione, l’accoglienza dei più deboli e il sostegno ai poveri, il rispetto della persona e della sua dignità, l’attenzione alle autentiche necessità della famiglia, cellula primaria di ogni società, siano riferimenti irrinunciabili nel cammino verso il nuovo Millennio cristiano!

4. Guardando alle grandi realizzazioni del passato, i credenti non possono non sentirsi chiamati a dare una nuova vitalità alla cultura croata ed a promuoverne gli autentici valori, trasmessi dai Padri. Tale eredità, pienamente assunta, costituirà la migliore garanzia per la realizzazione di un moderno sistema educativo e per la costruzione di ulteriori traguardi di civiltà e di progresso.

Affido tale impegno alla celeste intercessione di Maria, Madre del Redentore, da voi invocata anche come l’“Advocata Croatiae fidelissima” e, mentre auspico ogni bene per la vostra diletta Nazione, imparto a ciascuno di voi ed alle vostre Famiglie una speciale Benedizione Apostolica.

Siano lodati Gesù e Maria!



Febbraio 1997



AI PARTECIPANTI AL SIMPOSIO INTERNAZIONALE


SULLA "PROVIDA MATER ECCLESIA"


Sala Clementina - Sabato, 1° febbraio 1997




Signor Cardinale,
Venerati Fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,
25 Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Vi accolgo con grande affetto in questa speciale Udienza con cui si vuole ricordare e celebrare una data importante per gli Istituti Secolari. Ringrazio il Signor Cardinale Martínez Somalo per le parole con le quali, interpretando i sentimenti di voi tutti, ha posto nella sua giusta luce il significato di questo incontro, che raccoglie simbolicamente in quest’Aula innumerevoli persone sparse nel mondo intero. Ringrazio anche il vostro rappresentante che ha parlato dopo il Cardinale.

La materna sollecitudine ed il sapiente affetto della Chiesa per i suoi figli, che dedicano la vita a Cristo nelle varie forme di speciale consacrazione, si espresse cinquant’anni fa nella Costituzione Apostolica Provida Mater Ecclesia, che intese dare nuovo assetto canonico all’esperienza cristiana degli Istituti Secolari (cfr Pio XII, Provida Mater Ecclesia, AAS 39 [1947], 114-124).

Con felice intuizione, anticipando alcuni temi che avrebbero trovato nel Concilio Vaticano II la loro adeguata formulazione, il mio predecessore di venerata memoria, Pio XII, confermò con la sua autorità apostolica un cammino e una forma di vita che già da un secolo avevano attirato molti cristiani, uomini e donne: essi si impegnavano nella sequela di Cristo vergine, povero e obbediente, rimanendo nella condizione di vita del proprio stato secolare. È bello riconoscere, in questa prima fase della storia degli Istituti Secolari, la dedizione e il sacrificio di tanti fratelli e sorelle nella fede, che affrontarono intrepidi la sfida dei tempi nuovi. Essi offrirono una testimonianza coerente di vera santità cristiana nelle condizioni più diverse di lavoro, di abitazione, d’inserimento nella vita sociale, economica e politica delle comunità umane alle quali appartenevano.

Non possiamo dimenticare l’intelligente passione con la quale alcuni grandi uomini di Chiesa accompagnarono tale cammino negli anni che precedettero immediatamente la promulgazione della Provida Mater Ecclesia. Tra i tanti, oltre al citato Pontefice, mi piace ricordare con affetto e gratitudine l’allora Sostituto della Segreteria di Stato, il futuro Papa Paolo VI, Mons.Giovanni Battista Montini, e colui che al tempo della Costituzione Apostolica era Sotto-Segretario della Congregazione dei Religiosi, il venerato Cardinale Arcadio Larraona, che ebbero grande parte nella elaborazione e definizione della dottrina e delle scelte canoniche contenute nel documento.

2. A distanza di mezzo secolo, la Provida Mater Ecclesia ci appare ancora di grande attualità. L’avete messo in evidenza durante i lavori del vostro Simposio internazionale. Essa anzi si caratterizza per un suo afflato profetico, che merita di essere sottolineato. La forma di vita degli Istituti Secolari, infatti, oggi più che mai, si mostra come una provvidenziale ed efficace modalità di testimonianza evangelica nelle circostanze determinate dall’odierna condizione culturale e sociale nella quale la Chiesa è chiamata a vivere e ad esercitare la propria missione. Con l’approvazione di tali Istituti la Costituzione, coronando una tensione spirituale che animava la vita della Chiesa almeno dai tempi di San Francesco di Sales, riconosceva che la perfezione della vita cristiana poteva e doveva essere vissuta in ogni circostanza e situazione esistenziale, essendo la vocazione alla santità universale (cfr Pio XII, Provida Mater Ecclesia, 118). Di conseguenza, affermava che la vita religiosa - intesa nella sua propria forma canonica - non esauriva in se stessa ogni possibilità di sequela integrale del Signore, ed auspicava che attraverso la presenza e la testimonianza della consacrazione secolare si determinasse un rinnovamento cristiano della vita familiare, professionale e sociale, grazie al quale scaturissero nuove ed efficaci forme di apostolato, rivolte a persone ed ambienti normalmente lontani dal Vangelo e quasi impenetrabili al suo annuncio.

3. Già anni fa, rivolgendomi ai partecipanti al secondo Congresso internazionale degli Istituti Secolari, affermavo che essi si trovano “per così dire, al centro del conflitto che agita e divide l’animo moderno” (Giovanni Paolo II, Alla Conferenza mondiale degli Istituti secolari, 28 ago. 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. III, 2, 1980, p. 469). Con questa espressione intendevo riprendere alcune considerazioni del mio venerato predecessore, Paolo VI, che aveva parlato degli Istituti Secolari come della risposta ad un’ansia profonda: quella di trovare la strada della sintesi tra la piena consacrazione della vita secondo i consigli evangelici e la piena responsabilità di una presenza e di un’azione trasformatrice al di dentro del mondo, per plasmarlo, perfezionarlo e santificarlo (cfr Paolo VI, Ai rappresentanti degli Istituti secolari sacerdotali e laicali, 2 feb. 1972: Insegnamenti di Paolo VI, vol. X, 1972, p. 102).

Da un lato, infatti, assistiamo al rapido diffondersi di forme di religiosità che propongono esperienze affascinanti, in qualche caso anche impegnative ed esigenti. L’accento, però, è posto sul livello emotivo e sensibile dell’esperienza, più che su quello ascetico e spirituale. Si può riconoscere che tali forme di religiosità tentano di rispondere ad un sempre rinnovato anelito di comunione con Dio, di ricerca della verità ultima su di Lui e sul destino dell’umanità. E si presentano con il fascino della novità e del facile universalismo. Queste esperienze, però, suppongono una concezione di Dio ambigua, che s’allontana da quella offerta dalla Rivelazione. Esse, inoltre, risultano avulse dalla realtà e dalla concreta storia dell’umanità.

A questa religiosità si contrappone una falsa concezione della secolarità, secondo cui Dio resta estraneo alla costruzione del futuro dell’umanità. La relazione con Lui va considerata come una scelta privata e una questione soggettiva, che può essere tutt’al più tollerata, purché non pretenda di incidere in qualche modo sulla cultura o sulla società.

4. Come, dunque, affrontare questo immane conflitto che attraversa l’animo e il cuore dell’umanità contemporanea? Esso diventa una sfida per il cristiano: la sfida a diventare operatore di una nuova sintesi tra il massimo possibile di adesione a Dio e alla sua volontà e il massimo possibile di partecipazione alle gioie e alle speranze, alle angosce e ai dolori del mondo, per volgerli verso il progetto di salvezza integrale che Dio Padre ci ha manifestato in Cristo, e continuamente mette a nostra disposizione attraverso il dono dello Spirito Santo.

I membri degli Istituti Secolari proprio a questo si impegnano, esprimendo la loro piena fedeltà alla professione dei consigli evangelici in una forma di vita secolare, carica di rischi e di esigenze spesso imprevedibili, ma ricca di una potenzialità specifica ed originale.

26 5. Portatori umili e fieri della forza trasformante del Regno di Dio e testimoni coraggiosi e coerenti del compito e della missione di evangelizzazione delle culture e dei popoli, i membri degli Istituti Secolari sono, nella storia, segno di una Chiesa amica degli uomini, capace di offrire consolazione per ogni genere di afflizione, pronta a sostenere ogni vero progresso dell’umana convivenza, ma insieme intransigente contro ogni scelta di morte, di violenza, di menzogna e d’ingiustizia. Essi sono, pure, segno e richiamo per i cristiani del compito di prendersi cura, in nome di Dio, di una creazione che rimane oggetto dell’amore e del compiacimento del suo Creatore, anche se segnata dalla contraddizione della ribellione e del peccato, e bisognosa di essere liberata dalla corruzione e dalla morte.

C’è da meravigliarsi se l’ambiente con cui essi dovranno misurarsi sarà spesso poco disposto a comprendere ed accettare la loro testimonianza?

La Chiesa oggi attende uomini e donne che siano capaci di una rinnovata testimonianza al Vangelo e alle sue esigenze radicali, stando dentro alla condizione esistenziale della gran parte delle creature umane. Ed anche il mondo, spesso senza averne coscienza, desidera l’incontro con la verità del Vangelo per un vero e integrale progresso dell’umanità, secondo il piano di Dio.

In una condizione di tal genere, si richiede ai membri degli Istituti Secolari una grande determinazione e una limpida adesione al carisma tipico della loro consacrazione: quello di operare la sintesi di fede e vita, di Vangelo e storia umana, di integrale dedizione alla gloria di Dio e di incondizionata disponibilità a servire la pienezza della vita dei fratelli e delle sorelle, in questo mondo.

I membri degli Istituti Secolari sono per vocazione e per missione al punto d’incrocio tra l’iniziativa di Dio e l’attesa della creazione: l’iniziativa di Dio, che portano nel mondo attraverso l’amore e l’intima unione a Cristo; l’attesa della creazione, che condividono nella condizione quotidiana e secolare dei loro simili, caricandosi delle contraddizioni e delle speranze di ogni essere umano, soprattutto dei più deboli e dei sofferenti.

Agli Istituti Secolari, in ogni caso, è affidata la responsabilità di richiamare a tutti questa missione, attestandola con una speciale consacrazione, nella radicalità dei consigli evangelici, affinché l’intera comunità cristiana svolga con sempre maggior impegno il compito che Dio, in Cristo, le ha affidato con il dono del suo Spirito (Giovanni Paolo II, Vita consecrata
VC 17-22).

6. Il mondo contemporaneo appare particolarmente sensibile alla testimonianza di chi sa assumersi con coraggio il rischio e la responsabilità del discernimento epocale e del progetto di edificazione di un’umanità nuova e più giusta. I nostri sono tempi di grandi rivolgimenti culturali e sociali.

Per questo motivo appare sempre più chiaro che la missione del cristiano nel mondo non può essere ridotta a un puro e semplice esempio di onestà, competenza e fedeltà al dovere. Tutto ciò va presupposto. Si tratta di rivestirsi degli stessi sentimenti di Cristo Gesù per essere nel mondo segni del suo amore. Questo è il senso e lo scopo dell’autentica secolarità cristiana, e quindi il fine e il valore della consacrazione cristiana vissuta negli Istituti Secolari.

In questa linea si rivela quanto mai importante che i membri degli Istituti Secolari vivano intensamente la comunione fraterna sia all’interno del proprio Istituto che con i membri di Istituti diversi. Proprio perché dispersi come il lievito e il sale in mezzo al mondo, essi dovrebbero considerarsi testimoni privilegiati del valore della fraternità e dell’amicizia cristiana, oggi tanto necessarie, soprattutto nelle grandi aree urbanizzate che ormai raccolgono la gran parte della popolazione mondiale.

Mi auguro che ogni Istituto Secolare diventi questa palestra di amore fraterno, questo focolare acceso al quale molti uomini e donne possano attingere luce e calore per la vita del mondo.

7. Infine, chiedo a Maria di dare a tutti i membri degli Istituti Secolari la lucidità del suo sguardo sulla situazione del mondo, la profondità della sua fede nella parola di Dio e la prontezza della sua disponibilità a compierne i misteriosi disegni per una collaborazione sempre più incisiva all’opera della salvezza.

27 Affidando alle sue mani materne il futuro degli Istituti Secolari, porzione eletta del popolo di Dio, imparto a ciascuno di voi qui presenti la Benedizione Apostolica, che estendo volentieri a tutti i membri degli Istituti Secolari sparsi nei cinque continenti.




AI VESCOVI DELLA REGIONE APOSTOLICA


DELL'OVEST DELLA FRANCIA IN OCCASIONE


DELLA VISITA "AD LIMINA APOSTOLORUM"


Sabato, 1° febbraio 1997




Cari Fratelli nell’Episcopato,

1. Dopo i Vescovi del vostro Paese che ho già ricevuto, voi, Pastori delle Diocesi dell’Ovest della Francia, venite a vostra volta ad limina Apostolorum. Ricordo naturalmente la mia recente visita a Saint-Laurent-sur-Sèvre, nella Diocesi di Luçon, e a Sainte-Anne-d’Auray, nella Diocesi di Vannes, nello scorso mese di settembre. L’accoglienza calorosa che ho ricevuto da parte dei fedeli di tutta la vostra regione ha fatto di quell’autunno incipiente un autentico segno dell’eterna primavera della Chiesa.

Ringrazio vivamente Monsignor Jacques Fihey, Vescovo di Coutances e vostro Presidente, per il sintetico bilancio che ha presentato a vostro nome della situazione pastorale nella vostra Regione apostolica dell’Ovest. Siate i benvenuti nella dimora del Successore di Pietro, nella Città in cui viene esercitato nella continuità il mandato affidato da Cristo al Principe degli Apostoli che ha reso al Signore la testimonianza del sangue.

2. La formazione dei fedeli laici rappresenta una delle attività frequentemente affrontata nelle vostre relazioni, con un senso pastorale che tengo a incoraggiare. Il cammino della vostra Conferenza episcopale, che ha portato alla Lettera intitolata “Proporre la fede nella società attuale”, permetterà di guidare proficuamente i vostri diocesani e di spronarli affinché la loro testimonianza sia sempre più ponderata. Desidero dedicare questo incontro a sottolineare alcuni punti significativo per i diversi tipi di formazione che siete chiamati a impartire.

Ogni cristiano è costantemente invitato ad approfondire la sua fede; ciò l’aiuterà ad avvicinarsi maggiormente a Cristo risorto e ad essere un testimone nella società. In effetti, in un mondo in cui le persone non cessano di perfezionare le loro conoscenze scientifiche e tecniche, le conoscenze di fede possono ridursi al catechismo appreso durante l’infanzia. Per crescere umanamente e spiritualmente, il cristiano ha un bisogno evidente di formazione permanente. Senza di essa, rischia di non essere più illuminato nelle scelte talvolta difficili che deve fare nel corso della sua vita e nello svolgimento della sua missione cristiana specifica, in mezzo ai propri fratelli. Poiché, come dice uno dei più antichi testi della letteratura patristica, “l’anima abita nel corpo, anche i cristiani sono sparsi per le città del mondo . . . Dio ha assegnato loro un posto così sublime e ad essi non è lecito abbandonarlo” (Lettera a Diogneto, n. 6).

Incoraggio dunque tutti i discepoli di Cristo a rispondere ai vostri appelli e a dedicare tempo a sviluppare la loro vita cristiana e la loro comprensione della fede. I cristiani devono essere consapevoli di questa fondamentale verità: Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e gli ha conferito il potere di dominare il creato, per metterlo al suo servizio e per rendere gloria al Creatore. Nel crearlo essere ragionevole, gli ha anche dato la possibilità di accedere a una forma di conoscenza razionale di Dio che inoltre l’invita a intraprendere un cammino di fede.

La formazione permanente ha come interesse principale quello di offrire ai fedeli la possibilità d’interiorizzare tutte le conoscenze acquisite per permettere loro di unificare il loro essere e la loro vita intorno a quel punto centrale della persona che i Padri della Chiesa chiamavano il “cuore del cuore”; così, dal profondo della loro anima, aderiranno a Cristo e svilupperanno tutte le dimensioni della loro esistenza, in particolare nel loro impegno professionale e nella loro vita sociale. Ogni fedele ha infatti il dovere di partecipare all’edificazione della società, mettendosi al servizio dei propri fratelli attraverso la ricerca del bene comune. Mediante il suo lavoro, che gli permette di provvedere ai suoi bisogni e a quelli della sua famiglia, partecipa anche allo sviluppo e al perfezionamento del creato.

In virtù del suo battesimo, il cristiano è chiamato a essere membro pienamente consapevole e attivo di tutto il Corpo della Chiesa: “in lui anche voi insieme con gli altri”, dice san Paolo, “venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito” (Ep 2,22). Portando in sé Cristo, egli è chiamato a farlo scoprire ai suoi fratelli e a diventare un apostolo, ossia un inviato.

3. Nelle città e nei paesi delle vostre Diocesi, alcuni laici stanno assumendo sempre più responsabilità nella vita ecclesiale. Essi sono disposti a prender parte all’evangelizzazione; assicurano servizi di catechesi, di animazione liturgica e di preparazione ai sacramenti, di assistenza spirituale ai malati o ai prigionieri, di riflessione e di azione in diversi ambiti della vita sociale. Per farlo nello spirito del Vangelo, vi chiedono spesso di aiutarli ad acquisire la formazione necessaria. Nelle vostre Diocesi, come ha messo in evidenza Monsignor Fihey nella sua relazione regionale, vengono prese molteplici iniziative; a livello di singole Diocesi o anche di diverse Diocesi associate, voi organizzate cicli di formazione, dalla durata a volte di diversi anni, rivolti alle persone chiamate a ricevere responsabilità; è degno di nota il fatto che fedeli laici adottino gli strumenti per svolgere nel miglior modo possibile le funzioni che potete affidare loro.

28 Più alla base, gruppi biblici o formazioni teologiche elementari vengono proposti ai parrocchiani desiderosi di essere testimoni del Vangelo. Non posso che invitarvi a proseguire in tal senso i vostri sforzi già molto positivi, con l’abnegazione di un apostolo, poiché “altro è colui che semina, altro è colui che raccoglie”.

Pur sapendo quante difficoltà ciò può presentare in ogni Diocesi, vi chiedo di conferire una reale priorità alla formazione di alcuni sacerdoti o laici, e anche di religiosi e di religiose, a cui occorre permettere di acquisire una competenza rafforzata e un’esperienza duratura per essere essi stessi buoni formatori. Si tratta di investimenti indispensabili, i cui frutti matureranno nel corso degli anni. La vostra regione beneficia di una Università cattolica il cui ruolo è essenziale nella formazione. A lungo termine, è opportuno preparare professori e ricercatori che assumeranno l’incarico e conferiranno uno slancio alla teologia e al contempo alla pastorale.

4. Non intendo delineare qui programmi per le diverse istanze di formazione: desidero piuttosto ricordarne qualche caratteristica essenziale. Soprattutto quando si tratta di persone chiamate a svolgere servizi di ordine pastorale, è opportuno vegliare sull’equilibrio fra l’insegnamento e l’impegno effettivo in una missione. La formazione raggiungerà tanto più il suo obiettivo quanto più concernerà persone che vivono un’esperienza cristiana attiva: non isolare il lavoro intellettuale richiesto alle persone dal loro impegno nella comunità perché progrediscano nel senso della Chiesa. Mentre si offrono strumenti di formazione teorica e pratica, non bisogna dimenticare di offrire anche gli strumenti per un vero ritorno spirituale alle fonti, ossia un’iniziazione continua alla preghiera e tempi dedicati al raccoglimento o ai ritiri.

5. Come in ogni formazione o attività catechetica, la Sacra Scrittura occuperà un posto privilegiato. Come ha ricordato il Concilio Vaticano II nella costituzione dogmatica Dei Verbum, la Sacra Scrittura è l’anima della teologica (cfr Dei Verbum
DV 24). San Gerolamo diceva che “l’ignoranza della Scrittura, è l’ignoranza di Cristo” (San Gerolamo, Comm. su Isaia, prol.). Sappiamo che, letta nella Chiesa, la Scrittura è la terra in cui può crescere l’albero della scienza di Dio. Il Popolo di Dio non può sperare di condividere la vita del suo Maestro se non assimila le parole che gli sono state trasmesse, affinché, credendo in Cristo, abbia “la vita in suo nome” (Jn 20,31). Una buona familiarità con la Scrittura alimenta la vita spirituale e permette di partecipare a fondo alla liturgia.

Due millenni di meditazione e di riflessione sul Mistero di Cristo hanno portato la Chiesa a una comprensione della fede che ognuno deve far propria. I cristiani, per non essere “portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina” (Ep 4,14), trarranno profitto da una solida riflessione sul Credo, il che non vuole necessariamente dire uno studio erudito. Nella cultura diffusa del nostro tempo, l’immagine di Cristo può venire deformata se si omette di scoprirne la ricchezza grazie all’elaborazione fatta nel corso dei secoli dai Concili, dai Padri, dai teologi, senza dimenticare gli spirituali. Lo studio del Credo, correttamente condotto, non ha niente di un cammino intellettuale gratuito; esso conferisce una struttura alla fede e aiuta a trasmetterla. È in questo spirito che il Concilio Vaticano II ha chiaramente mostrato che la Chiesa trova la sua ragione d’essere in Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, rivelati dall’opera di Cristo redentore. Il Catechismo della Chiesa Cattolica è stato realizzato per fornire degli indispensabili punti di riferimento, che la vostra Conferenza episcopale, come altre nel mondo, ha già ripreso seguendo una pedagogia consona alla vostra cultura.

6. Messi in luce da una chiara e solida presentazione, gli elementi della fede contribuiranno efficacemente a fare capire che l’adesione a Cristo presuppone una regola di vita, una legge che, invece di limitare, rende liberi. Il legame profondo che esiste fra la fede e la morale sfugge a molti nostri contemporanei che ne colgono solo le proibizioni, come rivelano diverse vostre relazioni. È importante permettere ai fedeli attenti di cogliere il senso positivo e vitale dell’insegnamento morale della Chiesa. Mi è sembrato necessario esporre ciò soprattutto nelle Encicliche Veritatis splendor ed Evangelium vitae.

Giorno dopo giorno, i cattolici hanno bisogno di praticare un discernimento illuminato dinanzi a correnti di opinione la cui influenza si diffonde e di fronte alle quali bisogna restare liberi. Si tratti della morale personale o della morale sociale, un discepolo di Cristo deve sapere riconoscere dove si trovano veramente la giusta via, la verità dell’uomo e il rispetto della vita. Ciò che viene chiamata evoluzione dei costumi non può di per sé riformare regole di vita fondate sulla legge naturale, che ogni uomo di buona volontà è capace di cogliere mediante la giusta ragione, e sul Vangelo. Ciò che norme giuridiche civili autorizzano non corrisponde necessariamente alla verità della vocazione umana, né al bene che ogni uomo deve cercare di compiere nelle sue scelte personali e nella sua condotta di rispetto agli altri.

In un contesto culturale che tende a relativizzare la maggior parte delle convinzioni, il fedele deve dedicarsi alla ricerca e all’amore della verità. Questo è un principio centrale. Il Signore Gesù ha detto: “Io sono la Via, la Verità e la Vita” (Jn 14,6). ed ha promesso ai suoi discepoli lo Spirito della verità che “guiderà alla verità tutta intera” (Jn 16,13). Occorre ripetere ancora una volta che una formazione che aiuti realmente a vivere la condizione cristiana implica un’adesione intelligente e responsabile alla verità ricevuta da Dio mediante il Vangelo.

7. È opportuno ricordare qui che la formazione è fra gli obiettivi dei movimenti che riuniscono i cristiani secondo diverse finalità e che sostengono il dinamismo degli individui. I movimenti di spiritualità, di apostolato o di mutuo soccorso, i gruppi di accoglienza e di preparazione ai sacramenti, portano i loro membri a mettersi al servizio di fratelli e sorelle praticanti occasionali o di persone lontane dalla Chiesa. Essi possono essere i migliori divulgatori del messaggio cristiano in ambienti in cui il Vangelo resta sconosciuto o deformato, mediante la loro testimonianza di fede e di amore concreto per il prossimo.

Voi mi avete informato dello sviluppo attuale del catecumenato di giovani o di adulti nelle vostre Diocesi. Si tratta naturalmente di un luogo privilegiato di formazione per uomini e donne che aspirano a scoprire la fede nella Chiesa. Mi felicito con voi per lo spirito fraterno e per la competenza dei numerosi cristiani che seguono catecumeni e neofiti nel loro cammino.

Prolungando ancora il mio discorso, desidero incoraggiare anche i fedeli che operano nei mezzi di comunicazione sociale, cristiani e non, a livello nazionale o locale, affinché illuminino molti lettori o utenti sul senso della loro vita e sul senso degli eventi. La comunicazione sociale delle comunità richiede dei portavoce ben formati, che sappiano a loro volta offrire elementi di formazione positivi a quanti li ascoltano.

29 8. Da un altro punto di vista, desidero ricordare anche che l’azione pastorale deve essere attenta ai diversi stati di vita che i fedeli possono scegliere e che hanno tutti un grande valore. Vissuti nella fedeltà alla scelta iniziale, essi sono una forma eminente di professione di fede, in quanto mostrano che, nei momenti di gioia così come nelle difficoltà, la vita con Cristo è il cammino della felicità. È il caso di quanti sono impegnati nel sacerdozio, nel diaconato o nella vita consacrata, di cui ho già parlato con i Vescovi di un altra regione apostolica.

Coloro che vivono nel matrimonio sono i testimoni privilegiati dell’alleanza di Dio con il suo popolo. Mediante il sacramento, il loro amore umano assume un valore infinito, in quanto i coniugi rendono presente, in modo particolare, l’amore del Padre e ricevono una responsabilità importante nel mondo: quella di generare figli chiamati a divenire figli di Dio e aiutarli nella loro crescita umana e spirituale. Nel mondo attuale, l’amore umano viene spesso schernito. I Pastori e le coppie impegnate nella Chiesa avranno particolarmente a cuore l’approfondimento della teologia del sacramento del matrimonio, per aiutare i giovani sposi e le famiglie in difficoltà a riconoscere meglio il valore del loro impegno e ad accogliere la grazia dell’alleanza. Invito i laici sposati a rendere testimonianza della grandezza della vita coniugale e familiare, fondata sull’impegno e sulla fedeltà. Solo il dono totale rende pienamente liberi per amare veramente, non solo secondo la dimensione affettiva del proprio essere, ma con ciò che si ha di più profondo dentro di sé, per realizzare l’unione dei cuori e dei corpi, fonte di gioia profonda e immagine dell’unione dell’uomo con Dio alla quale siamo tutti chiamati.

Non dimentico quanti non hanno avuto la possibilità di realizzare un simile progetto di vita. Se il loro celibato non è stato scelto, essi possono, di fatto, avere la sensazione che la loro vita sia in parte fallita. Che non si perdano d’animo, perché Cristo non abbandona mai quanti si affidano a Lui! Essi sanno dedicarsi agli altri e instaurare rapporti fraterni fecondi. Sono esempi per molti. Hanno un posto nella comunità ecclesiale. In ogni condizione, una vita donata è fonte di gioia.

9. In occasione della mia recente visita in Francia, ho detto che apprezzavo la vitalità della Chiesa nel vostro Paese, nonostante le difficoltà che essa incontra. Sono convinto che le vostre iniziative negli ambiti della formazione dei fedeli, così come la vostra preoccupazione di aiutare ognuno a realizzarsi nella comunità e a testimoniare nella società, produrranno i loro frutti in questo tempo di rinnovamento che è l’approssimarsi del Grande Giubileo.

Cari Fratelli nell’Episcopato, attraverso voi, i vostri diocesani sono presenti qui. Nell’anno del centenario della morte di santa Teresa del Bambin Gesù e del Sacro Volto, affido alla sua intercessione voi, il vostro ministero, e tutti i fedeli della vostra Regione apostolica. È pensando a tutti loro che, di cuore, vi imparto la mia Benedizione apostolica.




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