GP2 Discorsi 1997 110


AI PELLEGRINI DELLA DIOCESI


DI SAN MARINO-MONTEFELTRO


Aula Paolo VI - Sabato, 19 aprile 1997


Carissimi Fratelli e Sorelle di San Marino-Montefeltro!

1. Siete venuti numerosi e festosi a rinnovarmi l’espressione della comune letizia per la riorganizzazione della vostra Diocesi, dopo anni di incertezza e di provvisorietà, nonostante l’amorevole cura dei Pastori che hanno retto contemporaneamente la Diocesi riminese e quella feretrana. Ad essi va il mio cordiale ringraziamento.

Saluto e ringrazio il vostro Vescovo, Mons. Paolo Rabitti, giunto nella vostra Comunità “toto corde”, cioè con cuore grande, per aiutarvi a rimanere una Chiesa unita e fervida. Saluto i sacerdoti, i religiosi e le religiose, le autorità civili che vi accompagnano e tutti voi qui presenti.

2. Cari Fratelli e Sorelle! Insieme col vostro Vescovo vi dico anch’io: “Chiesa di San Marino-Montefeltro, alzati e cammina!”.

Voi vivete in un territorio complesso e variegato. Abitate, in parte, una natura piuttosto incontaminata, ma bisognosa di attenzione ecologica, di rigenerazione del tessuto sociale e occupazionale, di miglioramento di reti viarie, di restauro dei beni culturali che rischiano il degrado. E in parte - specie nella Repubblica di San Marino - assistete ad una vitalità urbanistica, commerciale, turistica, ospedaliera, diplomatica che reclama un’“anima”, cioè una saggia gradualità e armonia, per essere autentica e durevole.

Come cristiani, voi ben sapete che dovete essere fermento nel mondo e, pertanto, non potete sottrarvi all’impegno nell’una e nell’altra situazione della Diocesi, mostrandovi sia nel Montefeltro che a San Marino cristiani presenti, intraprendenti e coerenti. Il Vangelo è la risorsa per ogni situazione. I credenti sono chiamati ad essere per la società ciò che è l’anima per il corpo: sorgente di vitalità, di verità, di onestà. Come gli antichi monaci hanno dissodato le vostre terre e rianimato con il loro lavoro i vostri monti, così voi, cristiani di oggi, ponetevi con impegno a dissodare gli animi, affinché tutti riscoprano l’ottimismo della speranza e la gioia di collaborare insieme al bene comune.

Si riprenda il gusto della vita, della famiglia, della borgata; venga promossa una sana modernità, senza incappare nelle stanchezze e nelle chiusure di quei contesti sociali che non hanno un domani.

3. La venuta del Vescovo residenziale ha rincuorato la vostra Comunità, stimolandovi a rinnovato impegno. Tenete vivo l’entusiasmo del momento e accettate l’inevitabile fatica di animare la compagine diocesana. È necessario anzitutto che viviate nella più cordiale e fattiva comunione ecclesiale. Amate, aiutate, ascoltate il vostro Vescovo, affinché Egli possa darvi con gioia e con frutto il servizio che voi attendete da Lui.

111 Sacerdoti, Religiosi e Religiose di San Marino-Montefeltro, solo la vostra unione di intenti e di azione potrà mettervi in condizione di dar forza alla Diocesi. All’età media piuttosto elevata ed alle molteplici esigenze pastorali potrete far fronte se opererete uniti e con grande generosità missionaria. Benedico ed incoraggio l’impegno che già ponete in questa vostra missione.

Anche presso di voi si sente l’urgenza di una ripresa delle vocazioni sacerdotali e di speciale consacrazione.Esse sono la più eloquente verifica della vitalità di una Chiesa. Faccio appello alle famiglie e ai giovani, perché aprano l’animo ad una pronta risposta alla chiamata del Signore. I Sacerdoti, da parte loro, sanno che la cura delle vocazioni è il primo degli obiettivi della loro azione pastorale.

A voi, Laici, raccomando di impegnarvi attivamente nella Comunità. Accanto ai vostri peculiari compiti civici, politici, sociali, culturali, va sottolineata la vita pastorale, cioè la catechesi, la liturgia, la formazione, i Sacramenti, la vita cristiana in famiglia e negli ambienti sociali, la carità. Vorrei immaginare le vostre Parrocchie, le Case dei Religiosi, l’Azione Cattolica, le associazioni, i gruppi, quali operosi alveari di impegno apostolico, missionario, evangelizzatore.

Cari laici, siete Chiesa: siate Chiesa!

4. La Repubblica di San Marino costituisce parte cospicua e singolare della Diocesi. Ad essa, ai Capitani Reggenti, alle Autorità qui presenti o, comunque, a noi unite ed a tutti i cittadini invio un cordiale e grato pensiero. Carissimi, conosco l’impegno da voi posto in atto per portare il vostro Paese ad essere presente e attivo nel mondo con il tipico senso di libertà e di umanità derivato dal vostro santo Patrono Marino e insito nel vostro Popolo. E di ciò esprimo vivo compiacimento. Anche una piccola Nazione è grande, se poggia sulla roccia della verità e se irradia la luce della giustizia.

La vostra Repubblica è intenta a trasformarsi in Paese moderno, a costruirsi uno sviluppo di livello europeo, a rispondere alla sua vocazione turistica e culturale, a rinnovare l’urbanizzazione, a rendersi accogliente per le esigenze internazionali.

Faccio voti che tale trasformazione avvenga secondo una retta gerarchia di valori e raccomando ai Sammarinesi di rimanere saldamente ancorati ai valori morali, familiari e sociali caratteristici della loro storia. Si tratta di conseguire la prosperità economica senza dilapidare secoli di civiltà.

La Repubblica di San Marino sa che, da tante parti, si guarda alla sua attuale esperienza come ad un significativo “test” di sana laicità coniugata ad un autentico rispetto e promozione dei valori religiosi; di ammodernamento sapiente della vita sociale senza azzerare il retaggio della tradizione; di partecipazione cordiale alla vita internazionale senza accodarsi a dinamismi egemonici, ma recando sempre un contributo intriso di democrazia e di libertà.

Sono lieto che tale spirito abbia permeato anche i rapporti fra Stato e Chiesa così che autorevoli e degne Persone (alcune qui presenti) hanno potuto redigere il recente Accordo fra la Santa Sede e la Repubblica di San Marino, che costituisce sicuramente un’altra pagina di civiltà nella più che millenaria storia della Repubblica.

5. Carissimi Fratelli e Sorelle della Diocesi Sammarinese-Feretrana, grazie per la visita, grazie per i doni!

Chiedo al Signore che il fermo proposito di far riprendere piena vitalità alla vostra Diocesi riceva il sigillo della grazia del Signore. Per questo, invocando l’intercessione della Beata Vergine delle Grazie e dei Santi Marino e Leo, imparto a voi tutti, Feretrani e Sammarinesi, presenti e assenti, la Benedizione Apostolica.

AI NOVE NUOVI AMBASCIATORI IN OCCASIONE

DELLA PRESENTAZIONE DELLE LETTERE CREDENZIALI


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Sala Clementina - Giovedì, 24 aprile 1997




Signori Ambasciatori,

1. È con piacere che ricevo dalle mani delle Vostre Eccellenze le Lettere che vi accreditano presso la Santa Sede come Ambasciatori straordinari e plenipotenziari delle vostre rispettive nazioni. All’inizio della vostra nuova missione, formulo per voi voti cordiali e vi porgo il benvenuto a Roma, in questa città dove una civiltà antica ha lasciato la sua impronta, non solo nelle pietre, ma anche nella cultura e nell’espressione dei valori morali e spirituali che gli uomini hanno vissuto nel corso dei tempi.

2. Il mio recente viaggio a Sarajevo m’invita a lanciare nuovamente, attraverso di voi, un vibrante appello a favore della pace fra le comunità umane all’interno di ogni Paese e fra le nazioni. Conoscete il valore che la Chiesa attribuisce alla buona intesa fra i popoli, per permettere a ognuno di vivere in serenità e per edificare insieme la città terrena. I fenomeni di mondializzazione che si sviluppano sono talvolta all’origine di tensioni sociali. Tuttavia essi possono essere una fonte di dinamismo per i Paesi e per gli scambi amichevoli fra gli uomini. Ciò presuppone che siano incessantemente approfondite le regole della vita internazionale, ispirandosi a principi etici.

È opportuno innanzitutto ricordare il ruolo principale dell’uomo fatto per vivere in società, ma che non può essere ridotto a questa dimensione comunitaria della sua esistenza. Per le sue prerogative e per le sue funzioni, lo Stato è il primo garante delle libertà e dei diritti della persona umana, ossia del rispetto per ogni persona, in virtù della sua dignità; in effetti, essendo un essere spirituale, l’uomo è il valore fondamentale e conta più di tutte le strutture sociali alle quali partecipa. “Ogni minaccia contro i diritti dell’uomo, sia nel quadro dei suoi beni spirituali o in quello dei suoi beni materiali, fa violenza a questa dimensione fondamentale” (Giovanni Paolo II, Discorso all’UNESCO, n. 4, 2 giugno 1980. Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III, 1 (1980) 1638). Questa attenzione ai diritti dell’uomo da parte delle Autorità infonde in ogni cittadino la fiducia nelle istituzioni nazionali, incaricate di garantire la sua tutela.

3. Nella vita pubblica, così come nei diversi ambiti della vita sociale, tutti gli uomini devono anche favorire il dialogo. Ciò permette a ogni persona e a ogni gruppo di essere riconosciuto nella sua diversità e, allo stesso tempo, di sentirsi chiamato a servire la sua patria. Spetta a coloro che, a qualsiasi titolo esercitano una responsabilità pubblica, vegliare sull’integrazione delle persone che vivono in uno stesso territorio, per far sì che la loro azione vada a beneficio di tutti. Quando dei membri della comunità nazionale non sono parte integrante del destino del loro Paese, la loro progressiva emarginazione apre la via a molteplici forme di violenza. Al contrario, il riconoscimento delle differenze religiose e culturali, la loro considerazione da parte dello Stato, l’appello affinché ognuno operi in vista del bene comune, sono elementi che rafforzano in tutti i cittadini l’amore per la patria, il desiderio di adoperarsi per la sua unità e per la sua crescita, e l’apertura agli altri che va fino all’accoglienza fraterna degli sfollati e degli stranieri.

4. A livello di ogni Paese e della comunità internazionale, le Autorità e i partner sociali si preoccupano di sviluppare una solidarietà effettiva fra i cittadini e fra i popoli. Dinanzi alle crescenti difficoltà che numerosi Paesi attraversano, una maggiore solidarietà si traduce innanzitutto in aiuti d’urgenza. A tale proposito, apprezzo gli sforzi della comunità internazionale e di numerosi organismi a favore dell’aiuto umanitario, per assistere i Paesi più poveri del pianeta, per prestare soccorso alle popolazioni civili nelle zone dei conflitti, per accogliere le persone costrette a lasciare la propria terra e per offrire assistenza alle regioni colpite da diverse catastrofi naturali.

Tuttavia questa solidarietà si manifesta anche in altri modi. In effetti, mediante un’assistenza tecnica e una formazione appropriata, è opportuno incoraggiare i Paesi che escono da periodi difficili a dotarsi di istituzioni democratiche stabili, a valorizzare le proprie ricchezza per il bene di tutti gli abitanti e ad assicurare alle popolazioni un’educazione morale, civica e intellettuale. È solo attraverso la promozione integrale delle persone che si potranno aiutare realmente i Paesi a svilupparsi, a essere artefici del loro progresso e partner della vita internazionale, e a considerare il futuro con fiducia. Da parte sua, grazie agli obiettivi del decennio per lo sradicamento della povertà, determinati nel vertice di Copenaghen, l’ONU ha lanciato un appello particolarmente opportuno a tutti i Paesi per intensificare gli sforzi in questo ambito.

5. I vostri concittadini cattolici, clerici e laici, sono desiderosi di impegnarsi nella società nazionale, fondandosi sui principi morali che la Santa Sede non cessa di insegnare e di sviluppare. In particolare, essi prendono parte attiva all’educazione, alla sanità e all’azione caritativa, che sono tre forme di servizio grazie alle quali vogliono aiutare i giovani a costruire la loro personalità e stare accanto alle persone che soffrono. Essi manifestano anche a quanti li circondano, nel rispetto delle credenze specifiche e senza spirito di proselitismo, il volto d’amore di Dio. La libertà di religione e la libertà di coscienza di cui devono godere, insieme ai loro compatrioti, in virtù dell’equità fra tutti i cittadini di una nazione, consentono loro di sviluppare la propria vita spirituale, trovando nella preghiera personale e nelle celebrazioni comunitarie la fonte del loro dinamismo nel mondo.

6. Signori Ambasciatori, il nostro incontro è l’occasione per fare queste riflessioni. Al termine di questa cerimonia, il mio pensiero si volge agli Stati che rappresentate presso il Successore di Pietro e ai loro dirigenti. Vi sarei grato se esprimeste loro i sentimenti profondi che provo nei loro riguardi e l’attenzione che presto loro. Nella preghiera formulo per i vostri concittadini voti di pace e di prosperità.

Su voi, sulle vostre famiglie, sui vostri collaboratori e sui vostri concittadini invoco l’abbondanza dei benefici divini.




A S.E. IL SIGNOR DANIEL MICALLEF,


NUOVO AMBASCIATORE DELLA


REPUBBLICA DI MALTA PRESSO LA SANTA SEDE


113
Giovedì, 24 aprile 1997




Signor Ambasciatore,

1. Con vero piacere Le porgo il benvenuto, nel momento in cui Vostra Eccellenza presenta le Lettere Credenziali ed inizia solennemente la sua missione di Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario di Malta presso la Santa Sede. La prego di voler trasmettere al Signor Presidente Ugo Mifsud Bonnici l'espressione della mia riconoscenza per i sentimenti di cortese deferenza da lui manifestati e dall'Eccellenza Vostra a me gentilmente significati. Formulo altresì auspici di pace e di prosperità per il caro Popolo maltese.

La ringrazio di cuore, Signor Ambasciatore, per le nobili espressioni che mi ha rivolto, e fin d'ora Le porgo i migliori auguri per un fruttuoso adempimento del suo alto incarico al servizio dei suoi connazionali.

2. Tale missione, Signor Ambasciatore, Le è stata affidata in un periodo storico singolare, in special modo per la Santa Sede: alla vigilia cioè dell'Anno Duemila, che rappresenta per il mondo intero un traguardo epocale e, per i credenti in Cristo, il bimillenario dell'Incarnazione, e che verrà celebrato con un Grande Giubileo. Tutti i popoli di cultura cristiana, e tra di essi anche l'antico e nobile Popolo maltese, avvertono l'importanza di questa ricorrenza. Essa, certo, costituisce un evento eminentemente spirituale, ma non v'è dubbio che i suoi risvolti culturali e sociali siano assai rilevanti e non dubito che i cittadini di Malta prestino grande attenzione ad entrambi gli aspetti dell'avvenimento.

3. Ella, Signor Ambasciatore, ha voluto incentrare il suo discorso sull'impegno in favore della pace.

Come Ella ha opportunamente ricordato, nella tradizione del Popolo maltese quella della pace è un'autentica vocazione, favorita anche dalla posizione geografica dell'Isola. Per alimentarsi e portare frutto, tale vocazione richiede di rimanere ancorata alle sue profonde e solide radici cristiane. La pace, infatti, non è semplicemente un valore accanto agli altri, ma è come la sintesi ed il frutto pieno di tutti i valori che costituiscono l'integrale sviluppo della persona umana e delle sue relazioni sociali. Non vi è impegno per la pace senza impegno per la verità, la giustizia, la solidarietà operante, la libertà, come ricordava il mio venerato predecessore il Papa Giovanni XXIII nella memorabile Enciclica Pacem in terris (cfr Giovanni Paolo II, Pacem in Terris, cap. III, AAS 55 [1963], 279-284).

Ecco perché i popoli che hanno ricevuto ed accolto nel corso dei secoli il messaggio cristiano sono chiamati, di generazione in generazione, a seguirne la luminosa ispirazione, come ribadisce la recente Lettera pastorale dei Vescovi maltesi. Tale esigenza è più che mai valida e necessaria per gli uomini del nostro tempo, se essi intendono lasciare in eredità alle generazioni del terzo millennio delle solide fondamenta spirituali ed etiche, per costruire quella che la Chiesa chiama la "civiltà dell'amore".

Ciò comporta l'arduo compito di coniugare i valori della modernità e del progresso, nei vari campi del sapere e dell'agire umano, con le verità e i valori perenni che hanno animato anche la cultura del Popolo maltese.

4. Tra questi valori desidero sottolineare quelli primari della vita umana e della famiglia, la cui retta comprensione è oggi minacciata da concezioni relativistiche, diffuse spesso dai mezzi di comunicazione di massa.

Per quanto riguarda il valore della vita, Lei ben sa che la Chiesa è mobilitata su scala mondiale in una grande sfida, su molteplici fronti, antichi e nuovi. Con la Lettera Enciclica Evangelium vitae ho inteso richiamare ai credenti, ma anche a tutti gli uomini di buona volontà, il messaggio cristiano sulla vita e l'esigenza di promuovere una rinnovata cultura della vita umana.

114 Questo impegno comincia proprio dalla famiglia, la quale, fondata sul matrimonio, costituisce l'ambiente naturale in cui la persona, nelle varie stagioni della sua esistenza, viene accolta, educata, curata, dal concepimento fino alla morte.

Affinché questi due valori primari siano adeguatamente tutelati, è importante che le istituzioni civili, grazie all'impegno delle persone che in esse sono chiamate ad operare, facciano riferimento a criteri etici veramente rispettosi dell'uomo e della sua dignità.

5. Per tutti questi motivi, Signor Ambasciatore, è altamente auspicabile la collaborazione tra la Chiesa e lo Stato, e sono certo che Ella saprà contribuire allo sviluppo di tale cooperazione secondo le migliori tradizioni del suo Paese. Le assicuro che potrà sempre trovare, nei miei collaboratori, accoglienza, attenzione e sollecita comprensione.

Mentre Le rinnovo gli auspici di serena e proficua missione, che accompagno con voti di ogni bene per i suoi Cari, invoco su di Lei, sui Governanti e sull'intero Popolo di Malta l'abbondanza delle celesti Benedizioni.




AI MEMBRI DELLA PONTIFICIA


ACCADEMIA DELLE SCIENZE SOCIALI


Sala dei Papi - Venerdì, 25 aprile 1997




Signor Presidente,
Signore e Signori Accademici,

1. Sono lieto di incontrarvi in occasione della sessione plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, dedicata alla riflessione sul tema del lavoro, già avviata lo scorso anno. La scelta di questo tema è particolarmente opportuna, poiché il lavoro umano “è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale” (Giovanni Paolo II, Laborem excercens, n. 3). Le profonde trasformazioni economiche e sociali che viviamo fanno sì che il tema del lavoro sia sempre più complesso e che abbia gravi ripercussioni umane, poiché fa nascere angosce e speranze in numerose famiglie e persone, soprattutto nei giovani.

Ringrazio il vostro Presidente, il Professor Edmond Malinvaud, per le sue cortesi parole e per la disponibilità di cui ha dato prova nella giovane Pontificia Accademia. Rinnovo a tutti voi l’espressione della mia gratitudine per la generosità con la quale mettete le vostre competenze, in seno a questa Istituzione, non solo al servizio della scienza, ma anche della dottrina sociale della Chiesa (cfr Statuta, art. 1).

2. In effetti, il servizio che deve rendere il Magistero in questo ambito è diventato oggi più impegnativo, in quanto deve far fronte a una situazione del mondo contemporaneo che cambia con straordinaria rapidità. Certo, la dottrina sociale della Chiesa, nella misura in cui propone principi fondati sulla Legge naturale e sulla Parola di Dio, non cambia a seconda dei mutamenti della storia.

Tuttavia questi principi possono essere incessantemente precisati, soprattutto nelle loro applicazioni pratiche. La storia mostra come il corpus della dottrina sociale si arricchisca continuamente di prospettive e di aspetti nuovi, in relazione con gli sviluppi culturali e sociali. Mi compiaccio di sottolineare la continuità fondamentale e la natura dinamica del Magistero in materia sociale, in coincidenza con il trentesimo anniversario dell’Enciclica Populorum progressio, nella quale Papa Paolo VI, il 26 marzo 1967, sulle orme del Concilio Vaticano II e nel cammino aperto da Papa Giovanni XXIII, proponeva una rilettura perspicace della questione sociale nella sua dimensione mondiale. Come non ricordare il grido profetico che lanciò, facendosi voce dei senza voce e dei popoli più bisognosi? Paolo VI voleva così risvegliare le coscienze, mostrando che l’obiettivo da raggiungere era lo sviluppo integrale mediante la promozione “di ogni uomo e di tutto l’uomo” (Paolo VI, Populorum progressio PP 14). In occasione del ventesimo anniversario di questo documento, ho pubblicato l’Enciclica Sollicitudo rei socialis, in cui ho ripreso e approfondito il tema della solidarietà. Nel corso di questi ultimi dieci anni, numerosi eventi sociali, in particolare il crollo dei sistemi comunisti, hanno considerevolmente cambiato il volto del mondo. Dinanzi all’accelerazione dei mutamenti sociali, è opportuno oggi effettuare continuamente verifiche e valutazioni. È questo il ruolo della vostra Accademia, che, a tre anni dalla sua fondazione, ha già apportato contributi illuminanti; il suo intervento è particolarmente promettente per il futuro.

115 3. Fra le vostre attuali ricerche di grande interesse è l’approfondimento del diritto del lavoro, soprattutto se si considera la tendenza attuale alla “deregolamentazione del mercato”. Si tratta di un tema sul quale il Magistero si è espresso in diverse occasioni. Personalmente vi ho ricordato l’anno scorso il principio morale secondo il quale le esigenze del mercato, fortemente segnate dalla competitività, non devono “andare contro il diritto fondamentale di qualsiasi uomo ad avere un lavoro che gli consenta di vivere con la sua famiglia” (Giovanni Paolo II, Discorso ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, del 22 marzo 1996, n. 3: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIX, 1 (1996) 593). Riprendendo oggi questo tema, tengo a sottolineare che, quando enuncia questo principio, la Chiesa non intende assolutamente condannare la liberalizzazione del mercato in sé, ma chiede che essa venga prospettata e applicata nel rispetto del primato della persona umana, alla quale devono sottostare i sistemi economici. La storia mostra ampiamente la caduta dei regimi segnati dalla pianificazione che attenta alle libertà civiche ed economiche. Ciò non accredita però modelli diametralmente opposti. Di fatto l’esperienza sfortunatamente dimostra che un’economia di mercato, lasciata a una libertà incondizionata, è lungi dal portare più vantaggi possibili alle persone e alle società. É vero che il sorprendente slancio economico di alcuni Paesi recentemente industrializzati sembra confermare il fatto che il mercato possa produrre ricchezza e benessere, anche nelle regioni povere. Tuttavia, in una prospettiva più ampia, non si può dimenticare il prezzo umano di questo processo. Soprattutto non si può dimenticare lo scandalo persistente delle gravi ineguaglianze fra le diverse nazioni, e fra le persone e i gruppi all’interno di ogni Paese, come avete sottolineato nella vostra prima sessione plenaria (cfr Pontificia Accademia delle Scienze Soiciali, The study of the tension between human equality and social inequalities from the perspective of the various social sciences, Città del Vaticano 1996).

4. Ci sono ancora troppe persone povere nel mondo, che non hanno accesso neanche a una minima parte dell’opulenta ricchezza di una minoranza. Nel quadro della “globalizzazione”, chiamata anche “mondializzazione” dell’economia (cfr Giovanni Paolo II, Centesimus annus
CA 58), il facile trasferimento delle risorse e dei sistemi di produzione, realizzato unicamente in virtù del criterio del massimo profitto e in base a una competitività sfrenata, se da un lato accresce le possibilità di lavoro e il benessere di alcune regioni, dall’altro esclude altre regioni meno favorite e può aggravare la disoccupazione in Paesi di antica tradizione industriale. L’organizzazione “globalizzata” del lavoro, approfittando dell’estrema indigenza delle popolazioni in via di sviluppo, porta spesso a gravi situazioni di sfruttamento, che offendono le esigenze fondamentali della dignità umana.

Dinanzi a tali orientamenti, è essenziale che l’azione politica assicuri un equilibrio di mercato nella sua forma classica, mediante l’applicazione dei principi di sussidiarietà e di solidarietà, secondo il modello dello Stato sociale. Se quest’ultimo funzionerà in maniera moderata, eviterà anche un sistema di assistenza eccessivo, che crea più problemi di quanti ne risolva. Se così farà, sarà una manifestazione di civiltà autentica, uno strumento indispensabile per la difesa delle classi sociali più sfavorite, spesso schiacciate dal potere esorbitante del “mercato globale”. In effetti, ci si avvale oggi del fatto che le nuove tecnologie offrono la possibilità di produrre e di scambiare quasi senza alcun limite, in ogni parte del mondo, per ridurre la manodopera non qualificata e imporle numerose costrizioni potendo contare, dopo la fine dei “blocs” e la progressiva eliminazione delle frontiere, su una nuova disponibilità di lavoratori scarsamente remunerati.

5. Del resto, come sottovalutare i rischi di questa situazione, non solo in funzione delle esigenze della giustizia sociale, ma anche in funzione delle più ampie prospettive della civiltà? Di per sé un mercato mondiale organizzato con equilibrio e una buona regolamentazione possono portare, oltre al benessere, allo sviluppo della cultura, della democrazia, della solidarietà e della pace. Ci si deve però aspettare effetti ben diversi da una mercato selvaggio che, con il pretesto della competitività, prospera sfruttando a oltranza l’uomo e l’ambiente. Questo tipo di mercato, eticamente inaccettabile, non può che avere conseguenze disastrose, per lo meno a lungo termine. Esso tende ad omologare, in generale in senso materialistico, le culture e le tradizioni vive dei popoli; sradica i valori etici e culturali fondamentali e comuni; rischia di creare un grande vuoto di valori umani, “un vuoto antropologico”, senza considerare che ciò compromette in modo più pericoloso l’equilibrio ecologico. Allora, come non temere un’esplosione di comportamenti devianti e violenti, che genererebbero forti tensioni nel corpo sociale? La libertà stessa verrebbe minacciata, e anche il mercato che aveva tratto profitto dell’assenza di ostacoli. Tutto sommato, la realtà della “globalizzazione” considerata in modo equilibrato nelle sue potenzialità positive, così come nei suoi aspetti preoccupanti, invita a non rinviare un’armonizzazione fra le “esigenze dell’economia” e le esigenze dell’etica.

6. Occorre tuttavia riconoscere che, nell’ambito di un’economia “mondializzata”, la regolamentazione etica e giuridica del mercato è obiettivamente più difficile. Per giungervi efficacemente, in effetti le iniziative politiche interne dei diversi Paesi non bastano; occorrono la “concertazione fra i grandi Paesi” e il consolidamento di un ordine democratico planetario con istituzioni in cui “siano equamente rappresentanti gli interessi della grande famiglia umana” (Centesimus annus CA 58). Le istituzioni non mancano a livello regionale o mondiale. Penso in particolare all’Organizzazione delle Nazioni Unite e alle sue diverse agenzie con vocazione sociale. Penso anche al ruolo che svolgono entità quali il Fondo Monetario Internazionale e l’Organizzazione Mondiale del Commercio. È urgente che, nel terreno della libertà, si consolidi una cultura delle “regole” che non si limiti alla promozione del semplice funzionamento commerciale, ma che si occupi, grazie a strumenti giuridici sicuri, della tutela dei diritti umani in ogni parte del mondo. Più il mercato è “globale”, più deve essere equilibrato da una cultura “globale” della solidarietà attenta ai bisogni dei più deboli. Sfortunatamente, nonostante le grandi dichiarazioni di principio, questo riferimento ai valori è sempre più compromesso dal risorgere di egoismi da parte di nazioni o di gruppi, così come, a un livello più profondo, da un relativismo etico e culturale molto diffuso che minaccia la percezione del significato stesso dell’uomo.

7. È questo - e la Chiesa non si stancherà mai di ripeterlo! - il nodo gordiano da sciogliere, il punto cruciale in rapporto al quale le prospettive economiche e politiche devono porsi, per precisare i loro fondamenti e la loro possibilità di incontro. È dunque a giusto titolo che avete inserito nel vostro programma, insieme ai problemi del lavoro, quelli della democrazia.Le due problematiche sono inevitabilmente legate. In effetti, la democrazia è possibile solo “sulla base di una retta concezione della persona umana” (Centesimus annus CA 46), il che implica che a ogni uomo venga riconosciuto il diritto a partecipare attivamente alla vita pubblica, in vista della realizzazione del bene comune. Tuttavia, come si può garantire la partecipazione alla vita democratica a qualcuno che non è convenientemente tutelato sul piano economico e che manca del necessario? Quando persino il diritto alla vita, dal concepimento al suo termine naturale, non viene pienamente rispettato come un diritto assolutamente imprescrittibile, la democrazia viene snaturata dall’interno e le regole formali di partecipazione divengono un alibi che dissimula la prevaricazione dei forti sui deboli (cfr Evangelium vitae EV 20 Evangelium vitae, nn. 20 e 70).

8. Signore e Signori Accademici, vi sono molto riconoscente per le riflessioni che conducete su questi temi fondamentali. L’obiettivo non è solo quello di una testimonianza ecclesiale sempre più pertinente, ma anche la costruzione di una società che rispetti pienamente la dignità dell’uomo, che non può essere mai considerato come un oggetto o una mercanzia, in quanto porta in sé l’immagine di Dio. I problemi che si presentano a noi sono immensi, ma le generazioni future ci chiederanno di rendere conto del modo in cui abbiamo esercitato nel nostre responsabilità. Ancor più noi ne siamo responsabili dinanzi al Signore della storia. La Chiesa conta dunque molto sul vostro lavoro, improntato al rigore scientifico, attento al Magistero e al contempo aperto al dialogo con le molteplici tendenze della cultura contemporanea.

Su ognuno di voi invoco l’abbondanza delle Benedizioni divine.


AI PRESULI DELLA CONFERENZA EPISCOPALE


DELLA SCOZIA IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»


Venerdì, 25 aprile 1997


Eminenza,
Cari Fratelli Vescovi,

116 1. Mentre la Chiesa continua a celebrare con gioia pasquale “la risurrezione di Gesù Cristo dai morti” (1P 1,3), vi do il benvenuto, Vescovi della Scozia, nell’amore del nostro Signore e Salvatore: “Grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene” (Ap 1,4). La vostra visita ad Limina Apostolorum è una celebrazione della natura profonda e piena di grazia della comunione collegiale che ci unisce nel servizio a Cristo e alla sua Chiesa. Presso le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo riaffermate la vostra fedeltà e quella del popolo cattolico della Scozia al Successore di Pietro, la pietra sulla quale il Signore continua a edificare la sua Chiesa (cfr Mt 16,18). Desidero che voi sappiate che nelle gioie e nelle speranze, nelle sofferenze e nelle inquietudini del vostro ministero non ho mai smesso di ricordarmi di voi “nelle mie preghiere, perché sento parlare della” vostra “carità per gli altri e della fede che” avete (Phm 4-5).

Mentre ci prepariamo a entrare nel Terzo Millennio, lo Spirito Santo esorta la Chiesa a svolgere il suo sacro compito di predicare il Vangelo a tutto il creato (cfr Mc 16,16). Il grande Giubileo dell’Anno 2000 ci invita a intensificare i nostri sforzi per adempiere la missione di Cristo nel mondo. La Chiesa in Scozia sta celebrando due suoi grandi anniversari che conferiscono una forza e un vigore particolari a questo invito. Il 9 giugno sarà il 1.400 anniversario della morte di S. Columba, il grande apostolo degli altipiani e delle isole della Scozia. Le sue opere apostoliche diedero rinnovato impulso alla diffusione della fede, portata due secoli prima nella Bretagna settentrionale da San Niniano del quale, per una felice coincidenza, celebrerete quest’anno, nel mese di agosto, il 1600 anniversario.

L’eroismo, la dedizione e la santità di questi coraggiosi evangelizzatori risplendono ancora oggi come modelli per tutti i Pastori di anime nella proclamazione di Gesù Cristo “lo stesso ieri, oggi e sempre” (He 13,8).

2. Siete fortunati ad avere come collaboratori sacerdoti che sono realmente “uomini di Dio”, generosi nell’affrontare le sfide perenni e tuttavia sempre nuove del loro ministero. Anche a loro invio il mio affettuoso saluto e in questo contesto vi invito a incoraggiare, sviluppare e approfondire le iniziative elaborate negli ultimi anni e volte a rafforzare la spiritualità del sacerdozio diocesano, inteso come “comunione sempre più profonda con la carità pastorale di Gesù” (Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis PDV 57). Fate tutto il possibile per promuovere un saldo e fedele senso dell’identità sacerdotale. Ciò costituirà la base indispensabile per un ingente sforzo volto alla promozione di un maggior numero di vocazioni al servizio del Popolo di Dio nel ministero ordinato.

Se la Chiesa in Scozia intende affrontare con successo la sfida dell’evangelizzazione nel Terzo Millennio cristiano, essa deve continuare ad assicurare che un numero sufficiente di giovani uomini di talento rispondano ora alla chiamata di Cristo. I vostri seminari hanno il delicato compito di ispirare questi candidati agli Ordini con l’ideale del sacerdozio cosicché, dopo la formazione spirituale, intellettuale e pastorale che la Chiesa con la sua saggezza ha predisposto per i futuri ministri dell’Altare, nuovi sacerdoti possano continuare a edificare, attraverso la loro predicazione e la celebrazione dei sacramenti, comunità cristiane incentrate sulla presenza salvifica del Signore risorto.

Nel servire la Chiesa voi e i vostri sacerdoti potete contare sul sostegno dei membri devoti degli Istituti di vita consacrata presenti nel vostro Paese, che testimoniano quell’amore indiviso per Cristo e per la sua Chiesa espresso attraverso l’osservanza dei consigli evangelici. Insieme ringraziamo il Signore delle messi per i religiosi delle vostre Diocesi. Fate in modo che siano amati e apprezzati in qualità di collaboratori a voi affidati nella comunità di fede.

3. L’aspetto del vostro ministero episcopale sul quale principalmente desidero riflettere con voi è quello del vostro ruolo di maestri della fede. I fedeli si aspettano che i Vescovi siano “i dottori autentici, cioè rivestiti dell’autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede” (Lumen gentium LG 25). Per questo, con l’Apostolo Paolo, vi esorto con solennità: “annunzia la parola, in ogni occasione opportuna e non opportuna” (2Tm 4,2). Il primo dovere di un Vescovo è di predicare Gesù Cristo “la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze” (Ph 3,10). In Lui soltanto l’uomo può trovare il significato della sua esistenza qui sulla terra: Egli è il centro della creazione e tutta la storia umana è rivolta a Lui, che è la sua unica spiegazione e il suo unico fine. Il dovere di proclamare senza timore il Vangelo diviene sempre più pressante quando la società comincia a perdere il senso di Dio: in quanto Vescovi dobbiamo essere instancabili nel richiamare i nostri compagni alla conoscenza e all’amore di Gesù Cristo.

Per questo vi esorto a “rendere testimonianza alla verità” (Jn 18,37) con costanza e con determinazione, assicurandovi che il vostro popolo riceva quella verità che lo rende libero (cfr Jn 8,32). L’insegnamento coraggioso, persuasivo e diretto che applica la dottrina della Chiesa a situazioni pratiche locali è essenziale per sostenere la vita morale e spirituale dei fedeli. Esso è anche un mezzo efficace per evangelizzare di nuovo coloro che “hanno perduto il senso vivo della fede, o addirittura non si riconoscono più come membri della Chiesa, conducendo un’esistenza lontana da Cristo e dal suo Vangelo” (Giovanni Paolo II, Redemptoris missio RMi 33). Elaborare gli effetti che il Vangelo ha sulla vita cristiana nel mondo e applicarlo alle nuove situazioni è fondamentale per la vostra guida ecclesiale, in particolare attraverso le Lettere Pastorali individuali o congiunte su importanti questioni di fede e di morale. È tempo per i cattolici, insieme agli altri cristiani, di portare la freschezza del Vangelo nella lotta per difendere e promuovere i valori fondamentali sui quali edificare una società autenticamente degna dell’uomo.

4. Come avete spesso proposto nel vostro insegnamento, il rinnovamento della comunità cristiana e della società all’alba del Terzo Millennio passa attraverso la famiglia. Il rafforzamento della comunione di persone nella famiglia è il grande antidoto all’autoindulgenza e al senso di isolamento così comuni oggi. La sollecitudine pastorale verso la famiglia esige da voi “interessamento, sollecitudine, tempo, personale, risorse; soprattutto, però, appoggio personale alle famiglie e a quanti, nelle diverse strutture diocesane, lo aiutano nella pastorale della famiglia” (Familiaris consortio FC 73). Dovete infondere una nuova fiducia nel fatto che Cristo, lo sposo, accompagna i coniugi, rafforzandoli con la forza della Sua grazia e mettendoli in grado di servire la vita e l’amore secondo il disegno di Dio “dall’inizio” (cfr Mt 19,6). Le agenzie diocesane interessate, così come le parrocchie e le scuole, dovrebbero essere consapevoli dell’urgente necessità di preparare i giovani alla vita matrimoniale e ad essere genitori, e dovrebbero fare tutto il possibile per elaborare modalità pratiche per sostenere i matrimoni già esistenti e per assistere le coppie in difficoltà.

Preoccupata per il bene degli individui e della società e obbediente alla volontà divina, la Chiesa non cessa mai di proclamare che il matrimonio è un’alleanza permanente di vita e di amore. Tuttavia, come sapete bene, oggi esiste il particolare problema dei divorziati e dei risposati. La carità pastorale esige che essi non vengano emarginati dalla comunità di fede, ma che venga invece mostrato loro l’amore che il Pastore nutre per coloro che si trovano in difficoltà (cfr Lc 15,3-7). Senza spezzare una canna incrinata o spegnere uno stoppino dalla fiamma smorta (cfr Is 42,3), o, all’altro estremo, svuotare di significato l’insegnamento della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio, ogni parrocchia dovrebbe essere considerata come una famiglia nella quale ognuno può sperimentare l’accoglienza e la consolazione così come il perdono e la riconciliazione, offerte dal Padre che è “ricco di misericordia” (Ep 2,4).

5. Allo stesso modo, desidero esprimere a voi e ai fedeli scozzesi il mio profondo apprezzamento per i vostri risoluti sforzi volti a difendere la dignità inviolabile della vita umana contro le vecchie e le nuove minacce, minacce a volte mascherate da compassione e rivolte contro i nascituri, i disabili, coloro che sono gravemente malati e i morenti. Gli individui, le famiglie, i movimenti e le associazioni hanno ampio spazio per svolgere il compito di edificare “una società nella quale la dignità di ogni persona sia riconosciuta e tutelata, e la vita di tutti sia difesa e promossa” (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae EV 90). I vostri sforzi per aiutare le madri incerte se accogliere o meno il nascituro meritano il sostegno di tutta la comunità ecclesiale e di fatto di tutte le persone di buona volontà.

117 I fedeli si aspettano anche che voi facciate conoscere, con chiarezza e compassione, l’insegnamento della Chiesa sulle questioni concernenti la fine della vita che sempre più famiglie e il personale sanitario devono affrontare. Nelle Sacre Scritture nulla è più chiaro della sovranità del Signore sulla vita e sulla morte. La parola di Dio insegna che nessuno può “scegliere arbitrariamente di vivere o di morire; di tale scelta, infatti, è padrone soltanto il Creatore” (Evangelium vitae EV 47). Egli è Colui nel quale “viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (Ac 17,28). Questo insegnamento dovrebbe essere inteso nel contesto più ampio del generale approccio cristiano alla vita laddove “il valore salvifico di ogni sofferenza, accettata e offerta a Dio con amore, scaturisce dal sacrificio di Cristo, che chiama le membra del suo mistico corpo ad associarsi ai suoi patimenti” (Redemptoris missio RMi 78). Il cammino verso una cultura della vita passa necessariamente attraverso la condivisione del mistero del Calvario.

Incoraggio la Chiesa in Scozia, in particolare i suoi sacerdoti, i catechisti e gli insegnanti cattolici, a non perdersi animo nella lotta per difendere il valore sacro e inviolabile di ogni vita, ma a vegliare, a proteggere i deboli e i vulnerabili e a operare per convincere i vostri concittadini che il rinnovamento della società deve basarsi sul rispetto per le verità e i valori morali obiettivi e universalmente validi.

6. Fra gli altri motivi di interesse del vostro ministero considerate giustamente le scuole cattoliche come fondamentali nella missione della Chiesa in Scozia. Immensa gratitudine meritano i sacerdoti, i religiosi e i laici che operano così generosamente nell’ambito dell’apostolato dell’educazione. Queste scuole devono offrire un tipo di ambiente educativo nel quale i bambini e gli adolescenti possano divenire maturi nell’amore per Cristo e per la Chiesa. L’identità specifica delle scuole cattoliche dovrebbe rispecchiarsi in tutto il corso di studi e in ogni settore della vita scolastica, affinché esse possano essere comunità nelle quali si alimenta la fede e i bambini vengono preparati per la loro missione nell’ambito della Chiesa e della società. Più che nel passato, le scuole cattoliche devono sottolineare l’evangelizzazione e la catechesi perché in molti casi nelle famiglie manca una corretta formazione religiosa (cfr Catechesi tradendae CTR 18-19). Gli insegnanti delle scuole cattoliche devono poter e voler trasmettere la fede cattolica in tutta la sua pienezza, la sua bellezza e la sua forza. Per questo, essi devono essere guidati nella loro vita dalla parola di verità (cfr Ep 1,13) che è il Vangelo della salvezza. Sono consapevole del fatto che avete riaffermato con forza il diritto della Chiesa a fondare, guidare e gestire scuole liberamente e in accordo con il diritto dei genitori cattolici ad avere i mezzi per assicurare ai propri figli un’educazione nella fede (cfr Gravissimum educationis GE 8). Quando questi diritti vengono minacciati è necessaria una risposta decisa

7. Cari Fratelli nell’Episcopato, parlando di educazione dei giovani ricordiamoci dell’imminente Giornata Mondiale della Gioventù a Parigi, un raduno di giovani, uomini e donne, che in futuro saranno guide di evangelizzazione e di rinnovamento sociale (cfr Giovanni Paolo II, Christifideles laici CL 46). In quanto Vescovi abbiamo la responsabilità di invitare e accogliere i giovani adulti, con la loro fame spirituale, il loro idealismo e la loro vitalità, in maniera più completa nella vita della Chiesa. Essi cercano, a volte in modo confuso, quella pienezza di vita che si trova soltanto in Gesù Cristo, “la via, la verità e la vita” (Jn 14,6).Si aspettano che la Chiesa e i suoi responsabili presentino un serio programma di formazione nella sana dottrina cattolica e incoraggino la preghiera liturgica e personale e la ricezione frequente del sacramento della Riconciliazione e della santa Eucaristia. I giovani attendono che la Chiesa lanci loro delle sfide alle quali sanno rispondere con grande generosità. Quando incoraggiamo la loro passione per la giustizia, la loro solidarietà verso gli emarginati e il loro desiderio di pace, il loro impegno offre un contributo unico per “edificare il Corpo di Cristo” (Ep 4,12). Il ministero dei giovani dovrebbe concentrarsi sulla parrocchia per assicurare che essi non restino isolati dalla più ampia comunità di fede e di culto. Come conferma l’esperienza, è spesso utile integrare le attività parrocchiali con l’appartenenza ad associazioni, movimenti e gruppi cattolici giovanili che si occupino delle particolari necessità dei giovani (cfr Redemptoris missio RMi 37).

8. All’approssimarsi del grande Giubileo, la Chiesa avanza nel suo pellegrinaggio, vegliando e aspettando il suo Signore, l’Alfa e l’Omega, che rende “nuove tutte le cose” (Ap 21,5). Invito la Chiesa in Scozia a implorare dal “Padre misericordioso” (2Co 1,3) la grazia di “essere conformi all’immagine del Figlio suo” (Rm 8,29). Prego affinché il Signore Risorto continui a aumentare il fervore dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici delle vostre Diocesi e affinché l’opera buona che ha iniziato in loro possa giungere a compimento (cfr Ph 1,6). Ringraziandovi per il vostro impegno e per la vostra dedizione e affidandovi alla protezione amorevole di Maria, Madre della Chiesa, e all’intercessione dei vostri Patroni celesti, vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.

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