GP2 Discorsi 1998 22


VIAGGIO APOSTOLICO

DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

A CUBA (21-26 GENNAIO 1998)

CERIMONIA DI BENVENUTO


Aeroporto Internazionale «José Martí» di La Habana

21 gennaio 1998



Signor Presidente,
Signor Cardinale e Fratelli nell'Episcopato,
Eccellentissime Autorità,
Membri del Corpo Diplomatico,
Carissimi fratelli e sorelle di Cuba:

1. Rendo grazie a Dio, Signore della storia e dei nostri destini, che mi ha permesso di venire in questa terra, definita da Cristoforo Colombo come «la più bella che occhi umani abbiano mai visto». Nel giungere su quest'Isola, dove fu piantata, più di cinquecento anni fa, la Croce di Cristo — croce oggi gelosamente custodita come un tesoro nella chiesa parrocchiale di Baracoa, nell'estremità orientale del Paese — saluto tutti con particolare emozione e grande affetto.

È giunto il felice giorno, tanto a lungo desiderato, in cui posso rispondere all'invito che i Vescovi di Cuba mi hanno formulato già da tempo, invito che anche il Signor Presidente della Repubblica mi ha rivolto e che mi ha ribadito personalmente in Vaticano in occasione della sua visita nel mese di novembre del 1996. Mi riempie di soddisfazione visitare questa Nazione, stare con Voi e poter condividere così alcune giornate piene di fede, di speranza e di amore.

23 2. Mi è gradito rivolgere un saluto in primo luogo al Signor Presidente, Dr. Fidel Castro Ruz, che ha compiuto il gesto di venire a ricevermi e al quale desidero manifestare la mia gratitudine per le sue parole di benvenuto. Esprimo ugualmente il mio riconoscimento alle altre autorità qui presenti, così come al Corpo Diplomatico e a quanti hanno offerto la loro preziosa collaborazione per preparare questa Visita pastorale.

Saluto con profondo affetto i miei Fratelli nell'Episcopato, in particolare il Signor Cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino, Arcivescovo di La Habana e ciascuno degli altri Vescovi cubani come pure quelli che sono venuti da altri Paesi per partecipare agli eventi di questa Visita pastorale e rinnovare così e rafforzare, come in tante altre occasioni, gli stretti vincoli di comunione e di affetto delle loro Chiese particolari con la Chiesa che è a Cuba. In questo saluto il mio cuore si apre anche con grande affetto ai cari sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi, alle religiose, ai catechisti e ai fedeli, ai quali sono debitore nel Signore come Pastore e Servitore della Chiesa Universale (cfr Cost. dogm. Lumen gentium
LG 22). In tutti voi vedo l'immagine di questa Chiesa locale, tanto amata e sempre presente nel mio cuore, e mi sento molto solidale e vicino alle vostre aspirazioni e ai vostri legittimi desideri. Dio voglia che questa Visita che inizia oggi serva a ravvivare in tutti l'impegno a mettere in atto il proprio sforzo per soddisfare queste aspettative con il contributo di ogni cubano e con l'aiuto dello Spirito Santo. Voi siete e dovete essere i protagonisti della vostra storia personale e nazionale.

Saluto anche cordialmente tutto il popolo cubano, rivolgendomi a tutti senza eccezioni: uomini e donne, anziani e giovani, adolescenti e bambini, alle persone che incontrerò e a quelle che non potranno partecipare alle varie celebrazioni per motivi diversi.

3. Con questo Viaggio apostolico vengo, nel nome del Signore, a confermarvi nella fede, ad animarvi nella speranza, ad incoraggiarvi nella carità; per condividere il vostro profondo spirito religioso, le vostre pene, le vostre gioie e le vostre sofferenze, celebrando, come membri di una grande famiglia, il mistero dell'Amore divino e renderlo più profondamente presente nella vita e nella storia di questo nobile popolo, che ha sete di Dio e dei valori spirituali che la Chiesa, in questi cinque secoli di presenza sull'Isola, non ha mai smesso di dispensare. Vengo come pellegrino dell'amore, della verità e della speranza, con il desiderio di dare un nuovo impulso all'opera evangelizzatrice che, anche in mezzo alle difficoltà, questa Chiesa locale prosegue con vitalità e dinamismo apostolico camminando verso il terzo Millennio cristiano.

4. Nel compimento del mio ministero, ho sempre annunciato la verità su Gesù Cristo, il quale ci ha rivelato la verità sull'uomo, la sua missione nel mondo, la grandezza del suo destino e la sua inviolabile dignità. A tale proposito, il servizio all'uomo è il cammino della Chiesa. Oggi vengo a condividere con Voi la mia profonda convinzione che il Messaggio del Vangelo conduce all'amore, alla dedizione, al sacrificio e al perdono, in modo che se un popolo percorre questo cammino vuol dire che è un popolo che ha la speranza di un futuro migliore. Perciò, fin dai primi momenti della mia presenza fra di Voi, voglio dire con la stessa forza dell'inizio del mio Pontificato: «Non abbiate paura di aprire il vostro cuore a Cristo», lasciate che Egli entri nella vostra vita, nelle vostre famiglie, nella società, affinché in questo modo tutto venga rinnovato. La Chiesa ripete questo appello, convocando tutti, senza eccezioni: persone, famiglie, popoli, affinché seguendo fedelmente Gesù Cristo incontrino il senso pieno della loro vita, si pongano al servizio dei loro simili, trasformino i rapporti familiari, lavorativi e sociali, il che andrà sempre più a beneficio della Patria e della società.

5. La Chiesa a Cuba ha annunciato sempre Gesù Cristo, anche se a volte ha dovuto farlo con un numero insufficiente di sacerdoti e in circostanze difficili. Desidero esprimere la mia riconoscenza a tanti credenti cubani per la loro fedeltà a Cristo, alla Chiesa e al Papa, come anche per il rispetto dimostrato nei confronti delle tradizioni religiose più autentiche apprese dagli avi e per il coraggioso e perseverante spirito di dedizione di cui hanno dato prova nelle loro sofferenze e aspirazioni. Tutto ciò è stato ricompensato in molte occasioni dalla solidarietà dimostrata da altre comunità ecclesiali dell'America e del mondo intero. Oggi, come sempre, la Chiesa a Cuba desidera poter disporre dello spazio necessario per continuare a servire tutti in conformità alla missione e agli insegnamenti di Gesù Cristo.

Amati figli della Chiesa cattolica a Cuba: so bene quanto avete atteso il momento della mia Visita e voi sapete quanto io l'ho desiderato. Per questo accompagno con la preghiera i miei migliori auspici affinché questa terra possa offrire a tutti un clima di libertà, di fiducia reciproca, di giustizia sociale e di pace duratura. Possa Cuba aprirsi con tutte le sue magnifiche possibilità al mondo e possa il mondo aprirsi a Cuba, affinché questo popolo che come ogni uomo e ogni nazione ricerca la verità, lavora per andare avanti, aspira alla concordia e alla pace, possa guardare al futuro con speranza.

6. Con la fiducia riposta nel Signore e sentendomi profondamente unito agli amati figli e figlie di Cuba, ringrazio di cuore per questa calorosa accoglienza con la quale inizia la mia Visita pastorale, che affido alla materna protezione della Santissima «Virgen de la Caridad del Cobre». Benedico di cuore tutti e, in modo particolare, i poveri, i malati, gli emarginati e quanti soffrono nel corpo e nello spirito.

Sia lodato Gesù Cristo!

Molte Grazie.

VIAGGIO APOSTOLICO

DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

A CUBA (21-26 GENNAIO 1998)

Aula Magna dell'Università di La Habana

24
23 gennaio 1998



Signor Presidente della Repubblica, grazie per la sua presenza.
Signori Cardinali e Vescovi,
Autorità universitarie,
Illustri Signore e Signori!

1. È per me motivo di gioia incontrarvi in questo venerabile luogo dell'Università di La Habana. Rivolgo a tutti il mio saluto affettuoso e, innanzitutto, desidero ringraziare il Signor Cardinale Jaime Ortega y Alamino per le parole che ha voluto rivolgermi, a nome di tutti, per darmi il benvenuto, così come il Signor Rettore di questa Università per l'amabile saluto con cui mi ha accolto in questa Aula Magna. In essa si conservano le spoglie del grande sacerdote e patriota, il Servo di Dio, Padre Félix Varela, davanti alle quali ho pregato. Grazie, Signor Rettore, per avermi presentato a questa distinta assemblea di donne e di uomini che dedicano i loro sforzi alla promozione della cultura autentica in questa nobile nazione cubana.

2. La cultura è quella forma peculiare con cui gli uomini esprimono e sviluppano le loro relazioni con il creato, fra di loro e con Dio, formando l'insieme dei valori che caratterizzano un popolo e i tratti che lo definiscono. Intesa in questo modo, la cultura ha un'importanza fondamentale per la vita delle nazioni e per lo sviluppo dei valori umani più autentici. La Chiesa, che accompagna l'uomo nel suo cammino che si apre alla vita sociale e che cerca gli spazi per la sua azione evangelizzatrice, si avvicina, con la sua parola e la sua azione, alla cultura.

La Chiesa cattolica non si identifica con nessuna cultura in particolare, ma è vicina a tutte con spirito aperto. Nel proporre con rispetto la propria visione dell'uomo e dei valori, essa contribuisce alla crescente umanizzazione della società. Nell'evangelizzazione della cultura è Cristo stesso che agisce attraverso la sua Chiesa, giacché con la sua Incarnazione «entra nella cultura» e «reca ad ogni cultura storica il dono della purificazione e della pienezza» (Conclusioni di Santo Domingo 228).

«Qualsiasi cultura è uno sforzo di riflessione sul mistero del mondo e in particolare dell'uomo: è un modo di dare espressione alla dimensione trascendente della vita umana» (Discorso all'ONU, 5 ottobre 1995, n. 9). Rispettando e promuovendo la cultura, la Chiesa rispetta e promuove l'uomo, il quale si sforza di rendere più umana la sua vita e di avvicinarla, anche se a tentoni, al mistero nascosto di Dio. Ogni cultura possiede un nucleo intimo di convinzioni religiose e di valori morali che ne costituiscono «l'anima»; è lì che Cristo vuole arrivare con la forza risanatrice della sua grazia. L'evangelizzazione della cultura è un'elevazione della sua «anima religiosa», che le infonde un dinamismo nuovo e potente, il dinamismo dello Spirito Santo, che la porta alla massima attuazione delle sue potenzialità umane. In Cristo, ogni cultura si sente profondamente rispettata, valorizzata e amata; poiché ogni cultura è sempre aperta, nella sua più autentica parte, ai tesori della Redenzione.

3. Cuba, per la sua storia e la sua situazione geografica, ha una cultura propria che, nella sua formazione, ha subito diverse influenze: quella spagnola, che portò il cattolicesimo, quella africana la cui religiosità fu permeata dal cristianesimo, quella dei vari gruppi di immigranti e quella propriamente americana. È giusto ricordare l'influenza che il Seminario di «San Carlos y San Ambrosio» di La Habana ha avuto nello sviluppo della cultura nazionale sotto l'influsso di figure come José Agustín Caballero, chiamato da Martí «padre dei poveri e della nostra filosofia», e il sacerdote Felix Varela, vero padre della cultura cubana. La superficialità o l'anticlericalismo di alcuni settori di quell'epoca non sono effettivamente rappresentativi di ciò che è stata la vera caratteristica di questo popolo, che nella sua storia ha visto la fede cattolica come fonte dei ricchi valori dell'identità cubana che, assieme a espressioni tipiche, quali le canzoni popolari, le dispute contadine e le raccolte di proverbi popolari, ha una profonda matrice cristiana; il che è oggi una ricchezza e una realtà costitutiva della Nazione.

4. Figlio illustre di questa terra è Padre Félix Varela y Morales, considerato da molti come pietra angolare della nazionalità cubana. Egli costituisce di per sé la sintesi migliore che possiamo trovare tra fede cristiana e cultura cubana. Sacerdote esemplare di La Habana e indiscusso patriota, fu un insigne pensatore che rinnovò nella Cuba del secolo XIX i metodi pedagogici e i contenuti dell'insegnamento filosofico, giuridico, scientifico e teologico. Maestro di generazioni di cubani, insegnò che, per assumere la responsabilità dell'esistenza, la prima cosa che bisogna imparare è la difficile arte di pensare in modo corretto e con la propria testa. Fu il primo a parlare di indipendenza in questa terra. Parlò anche di democrazia, considerandola il progetto politico più consono alla natura umana, sottolineando al tempo stesso le esigenze che da essa derivano.

25 Fra queste esigenze ne metteva in evidenza due: che ci siano persone educate alla libertà e alla responsabilità con un progetto etico interiormente forgiato e che traggano il meglio dall'eredità della civiltà e i perenni valori trascendenti, per essere in tal modo capaci di svolgere compiti decisivi al servizio della comunità; e, in secondo luogo, che le relazioni umane, così come lo stile della convivenza sociale, favoriscano gli spazi adeguati dove ogni persona possa, con il rispetto e la solidarietà necessari, svolgere il ruolo storico che le spetta per rendere dinamico lo Stato di Diritto, garanzia essenziale di qualsiasi convivenza umana che voglia considerarsi democratica.

Padre Varela era consapevole del fatto che, nella sua epoca, l'indipendenza era un ideale ancora irraggiungibile; per questo si dedicò a formare persone, uomini di coscienza che non fossero superbi con i deboli, né deboli con i potenti. Dal suo esilio di New York utilizzò i mezzi che aveva a disposizione: la corrispondenza personale, la stampa e quella che potremmo considerare la sua opera principale, le «Cartas a Elpidio sobre la impiedad, la superstición y el fanatismo en sus relaciones con la sociedad», autentico monumento di insegnamento morale che costituisce la sua preziosa eredità alla gioventù cubana. Durante gli ultimi trent'anni della sua vita, lontano dalla sua cattedra di La Habana, continuò a insegnare dall'estero, creando in questo modo una scuola di pensiero, uno stile di convivenza sociale e un atteggiamento verso la patria che devono illuminare, ancora oggi, tutti i cubani.

Tutta la vita di Padre Varela fu ispirata ad una profonda spiritualità cristiana. Fu questa la sua motivazione più forte, la fonte delle sue virtù, la radice del suo impegno con la Chiesa e con Cuba: cercare la gloria di Dio in ogni cosa. Questo lo portò a credere nella forza di ciò che è umile, nell'efficacia dei semi della verità, nell'opportunità che i cambiamenti verso le grandi e autentiche riforme avvengano con la dovuta gradualità. Giunto alla fine del suo cammino, poco prima di chiudere gli occhi alla luce di questo mondo e di aprirli alla Luce intramontabile, portò a compimento quella promessa che aveva sempre fatto: «Guidato dalla fiaccola della fede, cammino verso il sepolcro al margine del quale spero, con la grazia divina, di fare, con l'ultimo respiro, una professione della mia salda fede e un fervente voto per la prosperità della mia patria» (Cartas a Elpidio, tomo I, lettera 6, p. 182).

5. Questa è l'eredità lasciata da Padre Varela. Il bene della sua patria continua ad aver bisogno della luce senza tramonto che è Cristo. Cristo è la via che conduce l'uomo alla pienezza delle sue dimensioni, il cammino che conduce ad una società più giusta, più libera, più umana e più solidale. L'amore per Cristo e per Cuba, che illuminò la vita di Padre Varela, fu radicato profondamente nella cultura cubana. Ricordate la fiaccola che appare sullo stemma di questo Ateneo: non è soltanto memoria ma anche progetto. I propositi e le origini di questa Università, la loro traiettoria e la loro eredità caratterizzano la sua vocazione ad essere madre di sapienza e di libertà, ispiratrice di fede e di giustizia, crogiolo dove si fondono scienza e coscienza, maestra di universalità e di identità cubana.

La fiaccola che, accesa da Padre Varela, doveva illuminare la storia del popolo cubano, fu raccolta, poco dopo la sua morte, da quella personalità eminente della nazione che fu José Martí: scrittore e maestro nel senso più pieno del termine, profondamente democratico e indipendentista, patriota, amico leale anche di quelli che non condividevano il suo programma politico. Egli fu, soprattutto, un uomo illuminato, coerente con i suoi valori etici e animato da una spiritualità di natura eminentemente cristiana. È considerato un propugnatore del pensiero di Padre Varela che chiamò «il santo cubano».

6. In questa Università vengono conservati, come uno dei suoi tesori più preziosi, le spoglie di Padre Varela. Ovunque, a Cuba, si vedono anche i monumenti che la venerazione dei cubani ha innalzato a José Martí. Sono convinto che questo popolo ha ereditato le virtù umane, di matrice cristiana, di ambedue questi uomini, dato che tutti i cubani condividono in modo solidale la loro impronta culturale. A Cuba si può parlare di «un dialogo culturale fecondo» che è garanzia di una crescita più armoniosa e di un incremento di iniziative e di creatività della società civile. In questo Paese, la maggior parte degli artefici della cultura — cattolici e non cattolici, credenti e non credenti — sono uomini di dialogo, capaci di proporre e di ascoltare. Vi esorto a proseguire nei vostri sforzi per trovare una sintesi nella quale tutti i cubani possano identificarsi, a cercare il modo di consolidare un'identità cubana armoniosa che possa integrare al suo interno le molteplici tradizioni nazionali. La cultura cubana, se sarà aperta alla Verità, consoliderà la propria identità nazionale e la farà crescere in umanità.

La Chiesa e le istituzioni culturali della Nazione devono incontrarsi nel dialogo e contribuire così allo sviluppo della cultura cubana. Entrambe hanno un cammino e una finalità in comune: servire l'uomo, coltivare tutte le dimensioni del suo spirito e rendere feconde tutte le sue relazioni comunitarie e sociali. Le iniziative già esistenti in tal senso devono trovare appoggio e continuità in una pastorale per la cultura, in dialogo permanente con persone e istituzioni dell'ambito intellettuale.

Pellegrino in una Nazione come la vostra, con la ricchezza di un'eredità meticcia e cristiana, confido che nel futuro i cubani riescano ad ottenere una civiltà della giustizia e della solidarietà, della libertà e della verità, una civiltà dell'amore e della pace che, come diceva Padre Varela, «sia la base del grande edificio della nostra felicità». Per questo mi permetto di porre nuovamente nelle mani dei giovani cubani quel testamento, sempre necessario e sempre attuale, del padre della cultura cubana, quella missione che Padre Varela affidò ai suoi discepoli: «Di' loro che sono la dolce speranza della patria e che non c'è patria senza virtù, né virtù con empietà».

VIAGGIO APOSTOLICO

DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

A CUBA (21-26 GENNAIO 1998)

INCONTRO CON I MALATI


Santuario di san Lazzaro a La Habana

24 gennaio 1998


Carissimi fratelli e sorelle:

26 1. Nella mia visita a questa nobile terra non poteva mancare un incontro con il mondo del dolore, perché Cristo è molto vicino a quanti soffrono. Vi saluto con tutto il mio affetto, cari malati, ricoverati nel vicino Ospedale Dottor Guillermo Fernández Hernández-Baquero, che oggi gremite questo Santuario di San Lazzaro, l'amico del Signore. Attraverso di voi desidero salutare anche gli altri malati di Cuba, gli anziani che sono soli, quanti soffrono nel corpo e nello spirito. Con la mia parola e il mio affetto desidero raggiungere tutti, seguendo l'esortazione del Signore: «Ero... malato e mi avete visitato» (Mt 25,35-36). Vi accompagnano l'affetto del Papa, la solidarietà della Chiesa e il calore fraterno degli uomini e delle donne di buona volontà.

Saluto le Figlie della Carità di San Vincenzo de' Paoli che lavorano in questo Centro e attraverso di loro saluto le altre anime consacrate che, appartenenti a diversi Istituti religiosi, lavorano con amore in altri luoghi di questa bella Isola per alleviare le sofferenze di ogni persona bisognosa. La comunità ecclesiale vi è molto grata poiché in tal modo contribuite alla missione concreta secondo il vostro carisma particolare, poiché «il Vangelo si rende operante attraverso la carità, che è gloria della Chiesa e segno della sua fedeltà al Signore» (Vita consecrata VC 82).

Desidero salutare anche i medici, gli infermieri e il personale ausiliario che con competenza e dedizione utilizzano le risorse della scienza per alleviare la sofferenza e il dolore. La Chiesa stima il vostro operato perché, animato dallo spirito di servizio e di solidarietà verso il prossimo, ricorda l'opera di Gesù che «guarì tutti i malati» (Mt 8,16). Sono a conoscenza dei grandi sforzi che si compiono a Cuba nel campo della sanità, malgrado le limitazioni economiche a cui il Paese è sottoposto.

2. Vengo come pellegrino della verità e della speranza al Santuario di San Lazzaro, come testimone, nella mia carne, del significato e del valore che ha il dolore quando lo si accoglie avvicinandosi fiduciosamente a Dio «ricco di misericordia». Questo luogo è sacro per i cubani, poiché qui sperimentano la grazia quanti si rivolgono con fede a Cristo con la stessa certezza di San Paolo: «Tutto posso in colui che mi dà la forza» (Ph 4,13). Qui si possono ripetere le parole con le quali Marta, sorella di Lazzaro, espresse a Gesù Cristo piena fiducia, ottenendo il miracolo della risurrezione del fratello: «Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà» (Jn 11,22) e le parole con le quali, in seguito, confessò: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, Figlio di Dio che deve venire nel mondo» (Jn 11,27).

3. Carissimi fratelli, ogni essere umano sperimenta nella propria vita, in un modo o nell'altro, il dolore e la sofferenza e non può non interrogarsi su di essi. Il dolore è un mistero molte volte imperscrutabile alla ragione. Esso fa parte del mistero della persona umana che si chiarisce solo in Gesù Cristo che rivela all'uomo la sua identità. Solo a partire da Lui potremo trovare il senso di tutto ciò che è umano.

«La sofferenza», come ho scritto nella Lettera Apostolica Salvifici doloris, «infatti, non può essere trasformata e mutata con una grazia dall'esterno, ma dall'interno... Non sempre, però, un tale processo interiore si svolge in modo uguale... Cristo, infatti, non risponde direttamente e non risponde in astratto a questo interrogativo umano circa il senso della sofferenza. L'uomo ode la sua risposta salvifica man mano che egli stesso diventa partecipe delle sofferenze di Cristo. La risposta che giunge mediante tale partecipazione... è... una chiamata...: «Seguimi», Vieni! Prendi parte con la tua sofferenza a quest'opera di salvezza del mondo, che si compie per mezzo della mia sofferenza. Per mezzo della mia croce» (n. 26).

È questo il vero significato e il valore del dolore, delle sofferenze fisiche, morali e spirituali. È questa la Buona Novella che desidero comunicarvi. All'interrogativo umano, il Signore risponde con una chiamata, con una vocazione speciale che, in quanto tale, ha il suo fondamento nell'amore. Cristo non si presenta a noi con spiegazioni e ragioni per tranquillizzarci o per turbarci, ma viene a dirci: Venite con me. Seguitemi lungo il cammino della Croce. La Croce è sofferenza. «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,23). Gesù Cristo si è posto alla nostra testa nel cammino della croce: ha sofferto per primo. Egli non ci spinge alla sofferenza, ma la condivide con noi e vuole che abbiamo la vita e l'abbiamo in abbondanza (cfr Jn 10,10).

Il dolore si trasforma quando sperimentiamo in noi la vicinanza e la solidarietà del Dio vivente: «Io lo so che il mio Vendicatore è vivo e che... vedrò Dio» (Jb 19,25-26). Con questa certezza si acquisisce la pace interiore e dalla gioia spirituale, serena e profonda, che scaturisce dal «Vangelo della sofferenza», si trae la consapevolezza della grandezza e della dignità dell'uomo che soffre generosamente e offre il proprio dolore «come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rm 12,1). In tal modo, colui che soffre non è un peso per gli altri, ma contribuisce alla loro salvezza con la propria sofferenza.

La sofferenza non è soltanto di natura fisica, come può esserlo la malattia. Esiste anche la sofferenza dell'anima, quella che vivono i segregati, i perseguitati, i detenuti per crimini diversi o per motivi di coscienza, per le loro idee pacifiche, ma non condivise. Questi ultimi subiscono l'isolamento e una pena alla quale la loro coscienza non li condanna, mentre desiderano integrarsi nella vita attiva con spazi in cui possano esprimere e proporre le proprie opinioni con rispetto e tolleranza. Incoraggio a promuovere gli sforzi in vista del reinserimento sociale della popolazione penitenziaria. È un gesto di grande umanità e un seme di riconciliazione che fa onore all'autorità che lo promuove e al contempo rafforza la convivenza pacifica nel Paese. A tutti i detenuti, alle loro famiglie che soffrono per la separazione ed aspirano a ricongiungersi, invio il mio cordiale saluto, esortandoli a non lasciarsi sopraffare dal pessimismo e dallo scoraggiamento.

Carissimi fratelli: i cubani hanno bisogno di forza interiore, di pace profonda e della gioia che scaturisce dal «Vangelo della sofferenza». Offrite tutto ciò in modo generoso affinché Cuba «veda Dio faccia a faccia», cioè affinché cammini nella luce del suo Volto verso il Regno eterno e universale, perché ogni cubano, dal più profondo del proprio essere, possa dire: «Io lo so che il mio Vendicatore è vivo» (Jb 19,25-26). Questi non è altri che Gesù Cristo, Nostro Signore.

4. La dimensione cristiana della sofferenza non si riduce soltanto al suo significato profondo e al suo carattere redentore. Il dolore invita all'amore, ossia deve generare solidarietà, dedizione, generosità in quanti soffrono e in quanti si sentono chiamati ad assisterli e ad aiutarli nelle loro sofferenze. La parabola del Buon Samaritano (cfr Lc seg.), che ci presenta il Vangelo della solidarietà verso il prossimo che soffre, «è diventata una delle componenti essenziali della cultura morale e della civiltà universalmente umana» (Salvifici doloris, 29). In effetti, in questa parabola, Gesù ci insegna che il prossimo è colui che incontriamo sul nostro cammino, ferito e bisognoso di aiuto: egli deve essere sostenuto nei mali che lo affliggono, con i mezzi adeguati, prendendosi cura di lui fino alla completa guarigione. La famiglia, la scuola, le altre istituzioni educative, anche se solo per motivi umanitari, devono lavorare con perseveranza per risvegliare e affinare quella sensibilità verso il prossimo e la sua sofferenza, di cui la figura del samaritano è il simbolo. L'eloquenza della parabola del Buon Samaritano, come anche di tutto il Vangelo è praticamente questa: l'uomo deve sentirsi chiamato personalmente a testimoniare l'amore nel dolore. «Le istituzioni sono molto importanti e indispensabili; tuttavia, nessuna istituzione può da sola sostituire il cuore umano, la compassione umana, l'amore umano, l'iniziativa umana, quando si tratti di farsi incontro alla sofferenza dell'altro» (Ibidem, n. 29).

27 Tutto ciò si riferisce alle sofferenze fisiche, ma vale ancora di più per le molteplici sofferenze morali e dell'anima. Per questo, quando una persona soffre nell'anima o quando è l'anima di una nazione a soffrire, il dolore deve invitare alla solidarietà, alla giustizia, alla edificazione della civiltà della verità e dell'amore. Un segno eloquente della volontà d'amore dinanzi al dolore e alla morte, al carcere e alla solitudine, alle separazioni familiari forzate o all'emigrazione che divide le famiglie, deve essere il fatto che ogni organismo sociale, ogni istituzione pubblica, così come tutte le persone che hanno responsabilità nel campo della sanità, della sollecitudine verso i bisognosi e della rieducazione dei detenuti, rispettino e facciano rispettare i diritti dei malati, degli emarginati, dei reclusi e dei loro familiari, in definitiva, i diritti di ogni uomo che soffre. In tal senso, la Pastorale sanitaria e quella penitenziaria devono trovare gli spazi per realizzare la loro missione al servizio dei malati, dei detenuti e delle loro famiglie.

L'indifferenza di fronte al dolore umano, la passività dinanzi alle cause che provocano le sofferenze di questo mondo, i rimedi estemporanei che non portano a sanare in profondità le ferite delle persone e dei popoli, sono omissioni gravi. Davanti ad esse ogni uomo di buona volontà deve convertirsi ed ascoltare il grido dei sofferenti.

5. Amati fratelli e sorelle: nei momenti difficili della vita personale, familiare e sociale, le parole di Gesù ci aiutano nella prova: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu» (
Mt 26,39). Il povero che soffre trova nella fede la forza di Cristo che gli dice per mezzo di Paolo: «Ti basta la mia grazia» (2Co 12,9). Nessuna sofferenza va perduta, nessun dolore cade nel vuoto: Dio li accoglie tutti come ha accolto il sacrificio di suo Figlio Gesù Cristo.

Ai piedi della Croce, con le braccia aperte e il cuore trafitto sta nostra Madre, la Vergine Maria, Nostra Signora dei Dolori e della Speranza, che ci accoglie nel suo grembo materno pieno di grazia e di pietà. Ella è un cammino sicuro verso Cristo, nostra pace, nostra vita, nostra risurrezione.

Maria, Madre di chi soffre, pietà di chi muore, calda consolazione di chi è scoraggiato: volgi lo sguardo verso i tuoi figli cubani che attraversano la dura prova del dolore e mostra loro Gesù, frutto benedetto del tuo ventre! Amen.

VIAGGIO APOSTOLICO

DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

A CUBA (21-26 GENNAIO 1998)

INCONTRO CON I RAPPRESENTANTI

DI ALTRE CONFESSIONI RELIGIOSE RICEVUTI


NELLA NUNZIATURA A LA HABANA


MESSAGGIO DI GIOVANNI PAOLO II


Solennità della Conversione di San Paolo

La Habana, 25 gennaio 1998


1. In questo importante giorno mi è gradito ricevere voi, rappresentanti del Consiglio delle Chiese di Cuba e di diverse confessioni cristiane, accompagnati da alcuni esponenti della comunità ebraica che partecipa al Consiglio in qualità di osservatore. Vi saluto tutti con grande affetto e vi assicuro della gioia che mi dà questo incontro con coloro con i quali condividiamo la fede nel Dio vivo e vero. L'ambiente favorevole ci fa dire fin dall'inizio: «Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!» (Ps 132,1).

Sono venuto in questo Paese come messaggero della speranza e della verità, per infondere coraggio e confermare nella fede i Pastori e i fedeli delle diverse Diocesi di questa Nazione (cfr Lc 22,32), ma ho voluto anche che il mio saluto giungesse a tutti i cubani, quale segno concreto dell'amore infinito di Dio per tutti gli uomini. In questa visita a Cuba — come sono solito fare nei miei viaggi apostolici — non poteva mancare questo incontro con voi, per condividere gli sforzi volti a ristabilire l'unità fra tutti i cristiani e a rendere più stretta la collaborazione per il progresso integrale del popolo cubano, tenendo conto dei valori spirituali e trascendenti della fede. Questo è possibile grazie alla comune speranza nelle promesse di salvezza che Dio ci ha fatto e manifestato in Cristo Gesù, Salvatore del genere umano.

2. Oggi, solennità della Conversione di San Paolo, l'Apostolo «conquistato da Gesù Cristo» (Ph 3,12), che da quel momento dedicò le sue energie a predicare il Vangelo a tutte le nazioni, conclude la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani che quest'anno abbiamo celebrato con il motto «Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza» (Rm 8,26). Con questa iniziativa, che è stata avviata molti anni fa e che ha assunto un'importanza sempre più grande, non solo si vuole richiamare l'attenzione di tutti i cristiani sul valore del movimento ecumenico, ma si vogliono anche sottolineare in modo pratico e inequivocabile i pilastri su cui devono fondarsi tutte le sue attività.

Questa circostanza mi offre l'opportunità di riaffermare, in questa terra suggellata dalla fede cristiana, l'irrevocabile impegno della Chiesa a non desistere dalla sua aspirazione alla piena unità dei discepoli di Cristo, ripetendo costantemente con Lui: «Padre... siano anch'essi in noi una cosa sola» (Jn 17,21), obbedendo così alla sua volontà. Questo non deve mancare in nessun angolo della Chiesa, qualunque sia la situazione sociale in cui essa si trova. È vero che ogni nazione possiede una propria cultura e una propria storia religiosa e che le attività ecumeniche hanno pertanto nei diversi luoghi, caratteristiche distinte e peculiari, ma, al di là di tutto, è molto importante che le relazioni fra tutti coloro che condividono la fede in Dio siano sempre fraterne. Nessuna contingenza storica e nessun condizionamento ideologico o culturale dovrebbero intorpidire queste relazioni, il cui nucleo centrale e il cui fine devono essere unicamente al servizio dell'unità voluta da Gesù Cristo.


GP2 Discorsi 1998 22