GP2 Discorsi 1999


1999


AGLI EX ALUNNI DEL


PONTIFICIO COLLEGIO AMERICANO DEL NORD


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Sala Clementina - Venerdì, 8 gennaio 1999

Eminenze,

Eccellenze,
Cari Amici,

sono molto lieto di salutare gli alunni del Pontificio Collegio Americano del Nord in occasione della loro riunione annuale. Porgo un affettuoso benvenuto al Rettore, alla facoltà e agli studenti del Collegio e anche ai sacerdoti studenti della Casa Santa Maria dell'Umiltà.

Siete tornati a Roma, dove avete ricevuto la vostra formazione sacerdotale, per rivivere le profonde esperienze che hanno plasmato la vostra identità e hanno nutrito la vostra spiritualità di sacerdoti. Grazie ai vostri studi nella Città Eterna siete stati in grado di affrontare in maniera unica la tradizione viva della Chiesa e il mistero della sua unità cattolica, basate sulla testimonianza degli Apostoli e garantite dal ministero del Successore di Pietro. Oggi, di fronte alle numerose e inquietanti tendenze alla polarizzazione e alla divisione nell'ambito della società, è quanto mai urgente che i sacerdoti siano servitori e testimoni di quella comunione soprannaturale con Dio e con gli altri che è il centro autentico della nostra appartenenza alla Chiesa.

Che questi giorni di ricordo e di rendimento di grazie rafforzino la vostra determinazione a essere ministri fedeli della Chiesa e buoni Pastori del gregge di Cristo in America. Il Pontificio Collegio Americano del Nord fu fondato in un periodo in cui i cattolici erano una piccola minoranza di immigrati negli Stati Uniti. Oggi, grazie all'opera incessante di generazioni di sacerdoti, religiosi e laici, la Chiesa nel vostro Paese possiede risorse incomparabili per annunciare il Vangelo e per portare la ricca eredità della dottrina morale e sociale della Chiesa nei grandi dibattiti che plasmano il futuro della vostra nazione. La grande sfida attuale dei cattolici in America in tutti i settori della vita e della cultura nazionale consiste nel recare una testimonianza pubblica convincente e univoca di quelle verità sulla persona e sulla comunità umana che sono rivelate da Dio, accessibili alla ragione e incarnate nei documenti fondanti della vostra Repubblica. Auspico che il Collegio, formando predicatori del Vangelo intelligenti, saggi e santi, risponda a questa sfida ed eserciti un'influenza costruttiva e profetica per il rinnovamento morale della società americana.

Cari amici, all'alba del terzo millennio cristiano, prego affinché siate sempre più fedeli e solleciti araldi di Gesù Cristo, «Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre» (
He 13,8). Affidando tutti voi all'amorevole intercessione di Maria Immacolata, Patrona del vostro Paese e del Collegio, vi imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica quale pegno di forza e di pace nel Signore.




AI MEMBRI DEL CORPO DIPLOMATICO


ACCREDITATO PRESSO LA SANTA SEDE,


PER LA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI


DEL NUOVO ANNO


Sala Regia - Lunedì, 11 gennaio 1999

Eccellenze,

Signore e Signori,

2 1. Vi sono profondamente riconoscente per gli auguri che, attraverso il vostro decano, l'Ambasciatore della Repubblica di San Marino, signor Giovanni Galassi, mi avete espresso all'inizio di questo ultimo anno prima del 2000. Essi si aggiungono ai numerosi segni di affettuoso attaccamento che mi sono giunti da parte delle Autorità dei vostri Paesi e dai vostri concittadini, in occasione del ventesimo anniversario del mio pontificato e del nuovo anno. Desidero rinnovare a tutti i miei più vivi ringraziamenti.

Questa cerimonia annuale riveste il carattere di un incontro familiare e, perciò, mi è particolarmente cara. Innanzitutto perché, attraverso di voi, sono qui presenti quasi tutte le nazioni della terra, con le loro realizzazioni, le loro speranze, ma anche i loro interrogativi. Poi perché un tale incontro mi offre la gradita occasione di esprimervi i ferventi voti che formulo nella preghiera per voi, per le vostre famiglie e per i vostri concittadini. Prego Dio di concedere a ognuno salute, prosperità e pace. Sapete di poter contare sul Papa e sui suoi collaboratori quando si tratta di sostenere quello che ogni Paese intraprende, con le sue migliori energie, per l'elevazione spirituale, morale e culturale dei cittadini o per lo sviluppo di tutto ciò che contribuisce alla buona intensa fra i popoli, nella giustizia e nella pace.

2. La famiglia delle nazioni, che ha recentemente condiviso la gioia propria del Natale e si è ritrovata unita per accogliere l'Anno nuovo, ha senza alcun dubbio qualche motivo per gioire.

In Europa penso in particolare all'Irlanda, dove l'accordo firmato lo scorso Venerdì santo ha gettato le basi della pace tanto attesa, che dovrà riposare su una vita sociale stabile, fondata sulla fiducia reciproca e sul principio dell'equità del diritto per tutti.

Un altro motivo di soddisfazione per tutti noi è il processo di pace che, in Spagna, consente per la prima volta alle popolazioni dei territori baschi di vedere allontanarsi lo spettro della violenza cieca e di pensare seriamente a un processo di normalizzazione.

Il passaggio alla moneta unica e l'allargamento verso l'Est offriranno senza dubbio all'Europa - in ogni caso è questo il nostro più grande auspicio - la possibilità di diventare sempre più una comunità di destino, un'autentica "comunità europea". Ciò evidentemente presuppone che le nazioni che la compongono sappiano conciliare la loro storia con uno stesso progetto, per permettere a tutti di considerarsi partner uguali, desiderosi solo di ottenere il bene comune. Le famiglie spirituali che hanno apportato tanto alla civiltà di questo continente - penso naturalmente al cristianesimo - hanno un ruolo che mi appare sempre più decisivo. Di fronte ai problemi sociali che mantengono ampie frange delle popolazione nella povertà, di fronte alle ineguaglianze sociali che sono un fermento d'instabilità cronica o di fronte alle giovani generazioni alla ricerca di punti di riferimento in un mondo spesso incoerente, è importante che le Chiese possano proclamare la tenerezza di Dio e l'appello alla fraternità che la recente solennità del Natale ha fatto ancora una volta risplendere per tutta l'umanità.

Un motivo ulteriore di soddisfazione su cui desidero richiamare la vostra attenzione, Signore e Signori, riguarda il Continente americano. Si tratta dell'accordo firmato fra Ecuador e Perù, a Brasilia, il 26 ottobre scorso. Grazie alla perseverante azione della comunità internazionale - in particolare dei Paesi garanti -, due popoli fratelli hanno avuto il coraggio di rinunciare alla violenza, di accettare un compromesso e di risolvere le loro controversie pacificamente. È un esempio da proporre a tante altre nazioni ancora bloccate nelle loro divisioni e discordie. Nutro la ferma convinzione che questi due popoli, grazie soprattutto alla fede cristiana che li unisce, sapranno raccogliere la grande sfida della fraternità e della pace e voltare così una pagina dolorosa della loro storia, che peraltro risale ai primi momenti della loro esistenza come Stati indipendenti. Ai cattolici dell'Ecuador e del Perù rivolgo un appello pressante e paterno affinché, mediante la preghiera e l'azione, siano artefici convinti della riconciliazione e contribuiscano a far passare la pace dai trattati al cuore di ognuno.

Si deve parimenti gioire per gli sforzi compiuti dal grande popolo della Cina, impegnato con determinazione in un dialogo che unisce le popolazioni di entrambe le rive dello Stretto. La comunità internazionale - e la Santa Sede in particolare - segue con grande interesse questo felice sviluppo, in attesa di progressi significativi che saranno senza dubbio benefici per il mondo intero.

3. Tuttavia la cultura della pace è lungi dall'essere universalmente diffusa, come attestano tenaci focolai di dissenso.

Non lontano da noi, la regione dei Balcani continua a vivere un periodo di grande instabilità. Non si può ancora parlare di normalizzazione in Bosnia ed Erzegovina, dove le conseguenze della guerra si fanno ancora sentire nei rapporti inter-etnici, dove la metà della popolazione è sfollata e le tensioni sociali persistono pericolosamente. Il Kosovo è stato, ancora di recente, teatro di scontri cruenti per motivi al contempo etnici e politici che hanno impedito un dialogo sereno fra le parti, così come qualsiasi sviluppo economico. Occorre fare tutto il possibile per aiutare i Kosovari e i Serbi a ritrovarsi intorno a un tavolo, al fine di ovviare senza indugio alla sfiducia armata che paralizza e che uccide. L'Albania e la Macedonia sarebbero le prime a beneficiarne, poiché è vero che nell'area balcanica tutto è connesso. Molti altri Paesi dell'Europa centrale e orientale, piccoli e grandi, sono in preda all'instabilità politica e sociale, stentano nel cammino della democratizzazione e non riescono ancora a vivere in un'economia di mercato capace di offrire a ognuno la sua parte legittima di benessere e di crescita.

Il processo di pace intrapreso in Medio Oriente continua a seguire un cammino accidentato, e non ha ancora apportato alle popolazioni la speranza e il benessere di cui hanno diritto di godere. Non le si può mantenere all'infinito fra la guerra e la pace senza correre il rischio di accrescere pericolosamente tensioni e violenze. Non si può neanche ragionevolmente rinviare ancora la questione dello statuto della Città Santa di Gerusalemme, verso la quale i credenti delle tre religioni monoteistiche volgono lo sguardo. Le parti coinvolte devono affrontare questi problemi con un acuto senso delle proprie responsabilità. La crisi scoppiata di recente in Iraq ha dimostrato, ancora una volta, che la guerra non risolve i problemi; anzi li complica e ne fa sopportare le drammatiche conseguenze alle popolazioni civili. Sono il dialogo leale, la reale preoccupazione per il bene delle persone e il rispetto dell'ordine internazionale che, soli, possono condurre a soluzioni degne di una regione in cui si radicano le nostre tradizioni religiose. Se la violenza è spesso contagiosa, anche la pace può esserlo, e sono certo che un Medio Oriente stabile contribuirebbe efficacemente a ridare speranza a molti popoli. Penso, ad esempio, alle popolazioni martiri dell'Algeria e dell'Isola di Cipro, che si trovano in una situazione di stallo.

3 Lo Sri Lanka ha celebrato qualche mese fa il cinquantenario della sua indipendenza, ma purtroppo è ancora oggi lacerato da lotte etniche che hanno ritardato l'avvio di negoziati sereni che soli condurranno alla pace.

L'Africa continua ad essere un continente a rischio. Dei cinquantatrè Stati che la compongono, diciassette vivono conflitti militari interni e fra Stati. Penso in particolare al Sudan, dove ai crudeli combattimenti si aggiunge un terribile dramma umanitario, all'Eritrea e all'Etiopia, ridivenute antagoniste, e alla Sierra Leone, le cui popolazioni sono ancora una volta vittime di lotte spietate. In questo grande continente si contano otto milioni di rifugiati e di espulsi praticamente abbandonati alla loro sorte. Nei Paesi della regione dei Grandi Laghi le piaghe degli eccessi dell'etnocentrismo non si sono ancora rimarginate ed essi si dibattono fra la povertà e l'insicurezza; è quello che accade in Rwanda e in Burundi dove un embargo aggrava ulteriormente la situazione. La Repubblica democratica del Congo è lungi dall'aver concluso la sua transizione e dal conoscere la stabilità a cui le sue popolazioni legittimamente aspirano, come testimoniano i massacri compiuti proprio all'inizio dell'anno nei pressi della città di Uvira. L'Angola è sempre alla ricerca di una pace introvabile e la sua situazione sperimenta in questi giorni uno sviluppo molto preoccupante, che non ha risparmiato la Chiesa cattolica. Le notizie che mi giungono regolarmente da queste regioni tormentate confermano la mia convinzione che la guerra comporta sempre la disumanità e che la pace è senza alcun dubbio la prima condizione dei diritti dell'uomo. A tutte queste popolazioni che mi rivolgono spesso richieste di aiuto, desidero dire che resto loro vicino. Sappiano anche che la Santa Sede non lesina sforzi affinché le loro sofferenze siano abbreviate e si trovino, sul piano sia politico sia umanitario, soluzioni eque ai gravi problemi esistenti.

Questa cultura della pace è ancora contrastata dalla legittimazione e dall'uso delle armi a fini politici.Esperimenti nucleari compiuti di recente in Asia e i tentativi di altri Paesi che lavorano occultamente alla realizzazione della loro potenza nucleare potrebbero condurre poco a poco a una banalizzazione della forza nucleare e, di conseguenza, a un superarmamento che minerebbe a fondo i lodevoli sforzi compiuti a favore della pace, rendendo così vana qualsiasi politica di prevenzione dei conflitti.

A ciò si aggiunge la produzione di armi di fabbricazione poco costosa come le mine anti-uomo, felicemente bandite dalla Convenzione di Ottawa del dicembre 1997 (che la Santa Sede si è peraltro affrettata a ratificare lo scorso anno) e le armi di piccolo calibro, che, mi sembra esigano maggiore attenzione da parte dei responsabili politici al fine di controllarne gli effetti perversi. I conflitti regionali, dove spesso i bambini vengono arruolati per i combattimenti, indottrinati e incitati a uccidere, esortano a un serio esame di coscienza e a un'autentica concertazione.

Non bisogna infine sottovalutare i rischi che fanno correre alla pace le disuguaglianze sociali e una crescita economica artificiale. La crisi finanziaria che ha scosso l'Asia ha mostrato quanto la sicurezza economica somigli alla sicurezza politica e militare, poiché richiede la trasparenza, la concertazione e il rispetto di precisi punti di riferimento etico.

4. Dinanzi a questi problemi che vi sono familiari, Signore e Signori, vi rendo partecipi di una mia convinzione: in questo ultimo anno prima del 2000 s'impone un sussulto della coscienza.

Mai come ora gli attori della comunità internazionale hanno potuto disporre di un complesso di norme e di convenzioni tanto precise e complete. Ciò che manca è la volontà di rispettarle e di applicarle. L'ho detto nel mio messaggio del 1° gennaio, facendo riferimento ai diritti dell'uomo: "Quando si accetta senza reagire la violazione di uno qualsiasi dei diritti umani fondamentali, si pongono a rischio tutti gli altri" (n. 12). Questo principio mi sembra doversi applicare a tutte le norme giuridiche. Il diritto internazionale non può essere quello del più forte, né quello di una semplice maggioranza di Stati, e neppure quello di un'organizzazione internazionale, ma quello che è conforme ai principi del diritto naturale e della legge morale, che s'impongono sempre alle parti in causa e nelle varie controversie.

La Chiesa cattolica, come anche le comunità di credenti in generale, resterà sempre al fianco di coloro che si sforzeranno di far prevalere il bene supremo del diritto su qualsiasi altra considerazione. È inoltre necessario che i credenti possano farsi udire e partecipino al dialogo pubblico nelle società delle quali sono membri a pieno diritto. Ciò mi porta a condividere con rappresentanti qualificati degli Stati quali voi siete la mia dolorosa preoccupazione di fronte alle troppo numerose violazioni della libertà di religione nel mondo di oggi.

Recentemente, ad esempio, in terra d'Asia, episodi di violenza hanno drammaticamente provato la comunità cattolica: chiese distrutte, personale religioso malmenato e persino assassinato. Altri fatti deplorevoli sarebbero parimenti da segnalare in diversi Paesi dell'Africa. In altre regioni, in cui l'Islam è maggioritario, da deplorare sono sempre le gravi discriminazioni di cui sono vittime i credenti delle altre religioni. Vi è persino un Paese in cui il culto cristiano è completamente vietato e possedere una Bibbia è un crimine punibile dalla legge. Ciò è reso ancora più doloroso dal fatto che, in molti casi, i cristiani hanno ampiamente contribuito allo sviluppo di questi Paesi, soprattutto nel campo dell'educazione e della sanità. In certi Paesi dell'Europa occidentale si osserva uno sviluppo altrettanto inquietante che, sotto l'influenza di una falsa concezione del principio di separazione fra lo Stato e le Chiese o di un agnosticismo tenace, tende a confinare queste ultime nel solo ambito cultuale, accettando difficilmente una parola pubblica da parte loro. Infine, alcuni Paesi dell'Europa centrale e orientale stentano molto a riconoscere il pluralismo religioso proprio delle società democratiche e si adoperano per restringere mediante una pratica amministrativa limitativa e puntigliosa, la libertà di coscienza e di religione che le loro Costituzioni proclamano solennemente.

Ricordando le persecuzioni religiose del passato e del presente, credo che sia giunta l'ora, in questa fine secolo, di far sì che ovunque nel mondo vengano assicurate le corrette condizioni per una effettiva libertà di religione. Ciò richiede, da un lato, che ogni credente sappia riconoscere nell'altro un po' dell'amore universale di Dio per le sue creature e, dall'altro, che le Autorità pubbliche - chiamate per vocazione a pensare in maniera universale - sappiano a loro volta accogliere la dimensione religiosa dei loro concittadini con la sua inevitabile espressione comunitaria. Per fare ciò, abbiamo dinanzi a noi non solo le lezioni della storia, ma anche preziosi strumenti giuridici che chiedono solo di essere messi in atto. In un certo senso, da questa relazione ineluttabile fra Dio e la Città dipende il futuro delle società in quanto, come ho affermato durante la mia visita alla sede del Parlamento europeo, l'11 ottobre 1988, "laddove l'uomo non si appoggia più su una grandezza che lo trascende, rischia di abbandonarsi al potere senza freno dell'arbitrio e degli pseudo-assoluti che lo annientano" (n. 10).

5. Questi sono alcuni dei pensieri che mi vengono alla mente e nel cuore, quando guardo il mondo di questo secolo che sta finendo. Se Dio, mandando suo Figlio in mezzo a noi, si è interessato così da vicino agli uomini, facciamo in modo di contraccambiare un amore così grande! Egli, Padre universale, ha stretto con ognuno di noi un'alleanza che nulla potrà infrangere. Dicendoci e dimostrandoci di amarci, ci infonde allo stesso tempo la speranza di poter vivere in pace; ed è vero che solo colui che è amato può a sua volta amare. È bene che tutti gli uomini scoprano questo amore che li precede e che li attende. Questo è il mio augurio più caro, per ognuno di voi e per tutti i popoli della terra!


AI PARTECIPANTI AL SIMPOSIO PRE-SINODALE SULL'EUROPA


PROMOSSO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA CULTURA


4
Sala del Concistoro - Giovedì, 14 gennaio 1999




Signor Cardinale,
Cari Amici.

1. È con gioia che vi accolgo mentre concludete il Simposio presinodale sul tema: Cristo, sorgente di una nuova cultura per l'Europa alle soglie del Terzo Millennio. Ringrazio il Cardinale Paul Poupard, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, e i suoi collaboratori per aver organizzato con competenza questo simposio, permettendo ai rappresentanti di diverse discipline di rivelare le ricchezze culturali e spirituali dell'Europa.

2. La storia dell'Europa da due millenni è legata al cristianesimo. Si può persino dire che il rinnovamento culturale è nato dalla contemplazione del mistero cristiano, che consente di rivolgere uno sguardo più profondo alla natura e al destino dell'uomo, così come all'insieme del creato. Anche se non tutti gli Europei si riconoscono cristiani, i popoli del continente sono tuttavia profondamente contrassegnati dall'impronta evangelica, senza la quale sarebbe difficile parlare di Europa. È in questa cultura cristiana, che costituisce le nostre radici comuni, che troviamo i valori capaci di guidare il nostro pensiero, i nostri progetti e la nostra azione. Nel corso delle vostre giornate di incontro, come in una vera sinfonia concertante, avete fatto udire le vostre voci dai timbri diversi, forti di una storia ricca e anche dolorosa, ma tutte ispirate dallo stesso tema fondamentale: Cristo, sorgente di una nuova cultura per l'Europa alle soglie del nuovo millennio.

3. Voi siete oggi i testimoni di un cambiamento culturale che, nel corso di questo secolo, ha scosso l'Europa fino alle sue fondamenta, e del desiderio di approfondire il significato dell'esistenza, legittimamente manifestato dai nostri contemporanei. L'incontro fra le culture e la fede è un'esigenza della ricerca della verità. Esso «ha dato vita di fatto a una realtà nuova. Le culture, quando sono profondamente radicate nell'umano, portano in sé la testimonianza dell'apertura tipica dell'uomo all'universale e alla trascendenza » (Fides et ratio, n. 70). In tal modo gli uomini troveranno un aiuto e un sostegno per ricercare la verità e, con il dono della grazia, incontrare Colui che è il loro Creatore e Salvatore. E «in realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo . . . Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione... Tale e così grande è il mistero dell'uomo, che chiaro si rivela agli occhi dei credenti, attraverso la rivelazione cristiana» (Gaudium et spes
GS 22). Cristo rivela l'uomo all'uomo stesso nella sua pienezza di figlio di Dio, nella sua dignità inalienabile di persona, nella grandezza della sua intelligenza, capace di raggiungere la verità, e della sua volontà, capace di agire bene. È grazie a un dialogo assolutamente indispensabile con le persone di tutte le culture e di tutte le razze che la Chiesa desidera annunciare il Vangelo (cfr. Discorso al Pontificio Consiglio della Cultura, 18 gennaio 1983, n. 6).

4. Le frontiere fra gli Stati si sono aperte; bisogna evitare che nuove barriere si erigano fra gli uomini e che nuove inimicizie sorgano fra i popoli per motivi ideologici. La ricerca della verità deve essere il motore di qualsiasi approccio culturale e di rapporti di fraternità in seno al continente. Ciò presuppone il pieno rispetto della persona umana e dei suoi diritti, a cominciare dalla libertà di parola e dalla libertà religiosa. È quindi importante dare ai nostri contemporanei un'educazione vera, fondata sui valori essenziali, spirituali, morali e civili. In tal modo ogni uomo prenderà coscienza della sua vocazione specifica e del suo posto unico nella comunità umana, al servizio dei fratelli. Questa prospettiva è degna di suscitare l'adesione degli uomini e di rispondere alle attese dei giovani, chiamati a riconoscere il Salvatore e a costruire fraternamente la città di domani.

5. La fede, pur essendo ciò che vi è di più personale per ogni essere umano, non è tuttavia un semplice fenomeno privato. Nel corso dei secoli, la fede in Cristo e la vita spirituale degli uomini hanno lasciato la loro impronta nelle diverse espressioni della cultura. La Chiesa oggi desidera proseguire e favorire questo cammino, che apre indirettamente l'uomo all'eternità beata, che gli ridà vera speranza e che contribuisce all'unità fra le persone e fra i popoli. In un mondo in cui le difficoltà sono numerose, il messaggio di Cristo apre un orizzonte infinito e apporta un'energia incomparabile, luce per l'intelligenza, forza per la volontà, amore per il cuore. Attraverso la vostra missione, siete anche chiamati a ridare al nostro tempo il gusto della ricerca del bello, del buono, del bene e della verità, così come il gusto del Vangelo, per sviluppare una sana antropologia e un'autentica comprensione della fede di cui abbiamo attualmente bisogno. Nel modo che vi è proprio e secondo la vostra vocazione, contribuite a un'evangelizzazione rinnovata e al contempo a una nuova primavera culturale in Europa, che s'irradieranno in tutti i continenti.

6. Al termine del vostro incontro, tengo a ringraziarvi vivamente per aver accettato di apportare il vostro contributo alla riflessione della Chiesa alle soglie del terzo millennio, in vista della prossima Assemblea speciale per l'Europa del Sinodo dei Vescovi, al fine di conferire un nuovo slancio all'evangelizzazione. Affidandovi all'intercessione dei santi e delle sante che hanno partecipato allo sviluppo umano e culturale dell'Europa, vi imparto di tutto cuore la Benedizione Apostolica.


A DIRIGENTI, FUNZIONARI, AGENTI DELL'ISPETTORATO


DI PUBBLICA SICUREZZA PRESSO IL VATICANO


Sala Clementina - Giovedì, 14 gennaio 1999




Signor Prefetto,
5 Signori Funzionari e Agenti di Pubblica Sicurezza!

1. Benvenuti a quest'incontro! Rendo grazie al Signore, che ci offre la gioia di rivederci, all'inizio di questo nuovo anno, per formularci reciprocamente fervidi voti augurali. L'occasione è quanto mai propizia per rinnovarvi l'espressione della più viva riconoscenza per il servizio che svolgete: tutti saluto e ringrazio di vero cuore.

Il mio saluto va, in particolare, al Dottor Enrico Marinelli, Prefetto Coordinatore dei Servizi di Sicurezza presso il Vaticano, che ringrazio per le nobili parole con cui s'è fatto interprete dei comuni sentimenti. Desidero esprimerLe la mia riconoscenza, Signor Prefetto, per l'instancabile e generosa dedizione con cui Ella si prodiga nel Suo servizio, trasmettendo anche ai collaboratori convinto entusiasmo per gli ideali che hanno sempre orientato la Sua azione.

A voi che fate parte dell'Ispettorato di Pubblica Sicurezza presso il Vaticano, del Nucleo Polstrada Vaticano, come pure alle rappresentanze della Questura di Roma e della Polizia Italiana, esprimo la mia fiducia, confermando, anche in questa circostanza, il mio apprezzamento per il qualificato lavoro che esplicate con senso di alta responsabilità.

Mi è ben noto il necessario ed impegnativo servizio d'ordine che vi è affidato. La presenza discreta e intelligente, che sempre vi contraddistingue, mira ad impedire e scoraggiare ogni elemento di disturbo, affinché l'attività del Papa possa svolgersi in un clima di serenità, che assicuri ai pellegrini che vengono a farGli visita ed a pregare nei luoghi sacri della cristianità la possibilità di un'autentica esperienza religiosa.

2. Inoltre, la vostra attività, alla luce della fede, si arricchisce di significati profondi, ai quali ciascuno può rifarsi per trovare incitamento e sprone nell'adempimento del quotidiano dovere, specialmente nei momenti che richiedono più fatica e sacrifici.

Il mio augurio è che l'ordine esteriore, da voi mantenuto con attenta vigilanza, sia immagine di un armonico ordine interiore: ordine di pensieri, di scelte e di convinzioni; ordine di orientamenti di vita, di ideali umani, di impegno morale e religioso, specialmente in vista del Grande Giubileo dell'anno 2000, che domanda un'intensa preparazione spirituale. Com'è noto, esso avrà inizio con l'apertura della Porta Santa in San Pietro, nella Notte del prossimo Natale. Siamo ben consapevoli di doverci predisporre ad accogliere, in occasione di questo evento epocale, una folla considerevole di pellegrini e turisti provenienti da ogni parte del mondo. Assicurare loro serenità e protezione toccherà anche al vostro Ispettorato, in collaborazione con le altre forze di sicurezza al servizio dei cittadini, specialmente in occasione delle principali celebrazioni programmate nella Basilica ed in Piazza San Pietro, lungo tutto l'anno giubilare. So che vi state organizzando per rispondere in modo adeguato alle esigenze che l'Anno Santo comporterà, con uno sforzo concertato di mezzi tecnici e di risorse umane. Di questo vi sono profondamente grato.

3. Carissimi, vi aiuti il Signore e sempre vi accompagni la sua protezione. Affido voi ed il vostro lavoro a Maria Santissima, Madre di Gesù e Madre nostra. Lei, che conosce le responsabilità a voi affidate e le difficoltà della vostra quotidiana attività, vi sia accanto, affinché ideali, propositi, aspirazioni e progetti siano tutti da Dio benedetti e producano i frutti desiderati. Vi assicuro da parte mia un costante ricordo nella preghiera e, mentre formulo auguri di serenità e di letizia per il 1999 appena iniziato a voi ed alle vostre famiglie, a tutti imparto con affetto una speciale Benedizione Apostolica.


AI VESCOVI DELLA BOSNIA ED ERZEGOVINA


IN VISITA «AD LIMINA APOSTOLORUM»


Venerdì, 15 gennaio 1999




Signor Cardinale,
Cari Fratelli nell'Episcopato!

6 1. «Mi sono fatto servo di tutti... Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe con loro» (1Co 9,19 1Co 9,23). Vi saluto con queste parole di San Paolo, cari Pastori della Chiesa che è in Bosnia ed Erzegovina, venuti ad limina Apostolorum » per visitare il Successore di Pietro. Ringrazio il Signor Cardinale Vinko Puljiae per le cortesi parole che ha voluto indirizzarmi anche a vostro nome. Egli ha ricordato le gioie e le speranze, le angosce e i timori che hanno segnato la vita della Chiesa e dell'intera vostra Patria in quest'ultimo decennio del secondo millennio. Anch'io ho avuto modo di sentirmi partecipe degli eventi accaduti nella vostra regione dal 1991 ad oggi. Vorrei, in proposito, richiamare alla memoria la Visita pastorale che ho potuto finalmente compiere il 12 e il 13 aprile 1997. Essa è stata per me esperienza indimenticabile, che mi ha dato occasione concreta di verificare gli effetti devastanti della guerra e, al tempo stesso, la decisa volontà della popolazione di riprendere la vita normale. Né posso dimenticare i numerosi interventi della Santa Sede a favore della pace, del perdono e della riconciliazione in quella regione, che auspico possa diventare, insieme con l'intero Sud Est d'Europa, una serena dimora di pace, nel rispetto della dignità e dei diritti di tutti. Esprimo ammirazione per la forza spirituale con la quale le vostre Comunità ecclesiali hanno saputo affrontare grandi prove e sacrifici durante il recente conflitto, come pure in questo non facile periodo del dopo guerra, per rimanere fedeli a Cristo e alla missione da lui affidata ai suoi discepoli di ogni tempo. Insieme con il vostro presbiterio avete fatto tutto «perché la verità del Vangelo continuasse a rimanere salda» nella vostra Patria (cfr Ga 2,5), anche a costo della vita.

2. Vorrei quest'oggi esortarvi a proseguire su questo cammino e, per vostro tramite, vorrei incoraggiare i presbiteri a continuare con instancabile generosità il loro servizio ai fratelli, nella piena fedeltà alla loro vocazione. In effetti, per mezzo della sacra Ordinazione, essi sono partecipi del vostro stesso ministero; sono i primi vostri cooperatori (cfr Presbyterorum Ordinis ), i vostri più stretti collaboratori e consiglieri (cfr Ibid., 7; Lumen gentium LG 28), prediletti fratelli e amici (cfr Lumen gentium LG 28). Il Concilio Vaticano II pone bene in luce questo peculiare ruolo dei sacerdoti quando ricorda che «in ragione dell'Ordine e del ministero, tutti i sacerdoti, sia diocesani sia religiosi, sono cooptati nel corpo dei Vescovi e, secondo la loro vocazione e grazia, sono al servizio del bene di tutta la Chiesa» (Ibid.). Dice ancora il Concilio: i Presbiteri sono chiamati a vivere «in mezzo agli altri uomini come in mezzo a fratelli» (cfr Presbyterorum Ordinis PO 3). Consacrati interamente all'opera per la quale il Signore li ha assunti (cfr Ac 13,2), agiscono «come padri in Cristo» (Presbyterorum Ordinis PO 28), modelli del gregge loro affidato (cfr 1P 5,2-4), avendo cura di tutti, sull'esempio del Signore, soprattutto dei poveri e dei più deboli (cfr Presbyterorum Ordinis PO 6).

3. Grazie a Dio, non mancano nelle vostre Chiese vocazioni di speciale consacrazione, sia maschili che femminili. Anzi, si assiste ad una provvidenziale fioritura. Si tratta di un prezioso dono e di un grande tesoro spirituale per la Comunità cristiana, grazie al quale i battezzati sono aiutati a rispondere con più grande generosità alla comune chiamata alla santità. Nella varietà dei carismi, i consacrati e le consacrate sono chiamati a dedicarsi completamente alla testimonianza evangelica nei vari settori della vita ecclesiale e sociale. Perché tale testimonianza dia i frutti sperati occorre, tuttavia, che le attività apostoliche siano opportunamente adattate alle necessità attuali della Chiesa e condotte in piena comunione con i Pastori diocesani. Prego il Signore perché non si affievolisca, ed anzi si accresca lo slancio vitale che ha caratterizzato la Chiesa in Bosnia ed Erzegovina nel corso dei secoli. Voglio qui ricordare l'apporto che i Religiosi, in primo luogo i Frati Minori Francescani, hanno dato nella conservazione della fede cattolica durante gli oltre quattro secoli dell'occupazione ottomana. Il ricordo del passato rappresenta una spinta profetica a cercare incessantemente forme consone ai tempi per aiutare il popolo cristiano a crescere ed a maturare nella fedeltà al Vangelo e nella carità, evitando ogni cosa che potrebbe incrinare l'unità della Chiesa, creare confusione o scandalo tra i fedeli.

4. So che il vostro costante sforzo pastorale è finalizzato a far sì che, in continuità con la grande tradizione cattolica, tutti gli operatori pastorali in Bosnia ed Erzegovina attuino fedelmente le direttive del Concilio Vaticano II e seguano docilmente le norme canoniche. Non c'è dubbio che la sintonia negli intenti apostolici e la stretta collaborazione di tutti, presbiteri, consacrati, consacrate e laici, sotto la solerte guida dei Vescovi porterà frutti abbondanti di fede, di carità e di santità. Ciò non gioverà soltanto alla Chiesa, proiettandola con coraggio verso il futuro, ma anche alla società civile. Venerati Fratelli nell'Episcopato, siete voi i responsabili principali della pastorale ecclesiale: spetta a voi guidarla, in virtù del mandato evangelico ricevuto con l'Ordinazione episcopale, in piena comunione con il Successore di Pietro, erede di «un sicuro carisma di verità» (sant'Ireneo, Adversus haereses, IV, 26, 2: PG 7, 10, 53). Sant'Ignazio di Antiochia insegna che «laddove vi è un Vescovo, vi è anche la Chiesa» (Lettera agli Smirnioti, VIII, 2). Un'opera pastorale pur interessante, ma non in linea con questi principi fondamentali, rischia di influire negativamente sul sano sviluppo dell'intero corpo ecclesiale, anche se chi la promuove è persuaso di operare in nome di Dio, per il bene dei fedeli e della stessa Chiesa. Auspico vivamente che si possano trovare serene e soddisfacenti soluzioni ai problemi riguardanti l'organizzazione delle attività apostoliche. Questo è necessario affinché tutti gli agenti pastorali pongano con rinnovato entusiasmo le loro energie a servizio del Vangelo. All'insostituibile ministero dei presbiteri, alla profetica testimonianza dei consacrati va unita l'azione coraggiosa dei fedeli laici, chiamati anche nel vostro Paese ad una presenza intrepida ed incisiva, mediante un'azione fedele alla dottrina apostolica, col sostegno del frequente ricorso ai Sacramenti. È questa la vocazione di tutti i fedeli, a qualunque settore sociali appartengano: agricolo o industriale, del commercio o dei servizi, della cultura o della politica. Certo, questa loro presenza apostolica richiede un'adeguata formazione cristiana, che è frutto di un impegno costante e sistematico.

5. Ascoltandovi, venerati Fratelli, negli incontri con voi avuti nel corso di questa visita ad limina, ho ben compreso come il compito primario che sta davanti alla Chiesa che è in Bosnia ed Erzegovina, dopo le recenti devastazioni, è quello di organizzare la vita delle Diocesi e delle Parrocchie. Allo stesso tempo, occorre continuare ad aiutare le popolazioni locali a ricostruire quanto è stato distrutto dalla furia bellica ed offrire loro la speranza di un prospero futuro di pace. Desidero incoraggiarvi in questo non facile compito che, talvolta, è ostacolato dalla complessa situazione che vive il vostro Paese, situazione sulla quale, purtroppo, voi potete influire poco. Mi è noto l'impegno delle vostre Chiese per aiutare tutte le popolazioni a riprendere la vita normale. Continuate a difendere i diritti inalienabili di ogni persona e di ogni Popolo, come avete fatto sin dall'inizio del sanguinoso conflitto che ha lasciato dietro di sé odio e sfiducia, morti e profughi, allontanando da regioni intere popolazioni che in esse vivevano da secoli. Come non soffrire al pensiero che il numero dei cattolici è stato più che dimezzato? Come non ricordare le devastazioni che si sono avute un po' dovunque, ma soprattutto in vaste zone delle circoscrizioni ecclesiastiche di Banja Luka e di Sarajevo, l'antica Vrhbosna, ed anche in una parte delle Diocesi di Trebinje-Mrkan e di Mostar-Duvno? Mentre mi rallegro per i numerosi segni di un consolidamento della pace, non posso non citare le ombre che sono motivo di preoccupazione. In primo luogo, la mancata soluzione dello spinoso problema del ritorno dei profughi, come pure il non uguale trattamento delle tre componenti che formano la Bosnia ed Erzegovina, specialmente per quanto attiene al pieno rispetto delle identità religiose e culturali. Mi sono noti gli ostacoli che trovano le popolazioni cattoliche delle zone della Bosnia centrale, di Banja Luka e della Posavina nel loro tentativo di ricongiungersi con i propri focolari. L'aspetto prioritario, da cui dipende l'equa soluzione di diversi altri problemi, resta la creazione di condizioni imparziali per questo auspicato ritorno dei profughi e degli esuli nelle proprie case, assicurando ad essi un futuro sereno.

6. Quanto viene chiesto per i cattolici, vale per gli appartenenti alle altre comunità religiose e ai gruppi etnici di tutto il territorio della Bosnia ed Erzegovina, senza favorire gli uni a scapito degli altri. A tutti devono essere garantiti i diritti fondamentali; ad ognuno devono essere offerte le stesse opportunit à. La verità, la libertà, l'uguaglianza, la giustizia, il rispetto reciproco, la solidarietà sono base di un futuro di serenità e di progresso per ciascuno e per tutti. Su tali valori si edifica un Paese, costituito da popoli, culture e comunità religiose diversi. È l'uomo, ogni uomo, la risorsa più preziosa di ogni Paese. Possa la vigilia del terzo millennio in Bosnia ed Erzegovina essere caratterizzata dalla pace, dal rispetto dei diritti inalienabili di ogni persona e di ogni gruppo sociale; possa ogni Popolo della vostra Patria vedere promosse la propria dignità e le proprie legittime aspirazioni di uguaglianza e di sviluppo; possa ogni famiglia guardare con serenità verso il futuro, un futuro di libertà, di solidarietà e di pace.

7. Carissimi Fratelli, continuate a promuovere e sostenere il metodo del dialogo con lo spirito dei Pastori, nel rispetto del campo d'azione proprio dei politici, ai quali sono affidati compiti precisi circa l'organizzazione della società umana. Perseguite con fiducia l'impegno ecumenico con i fratelli ortodossi, come pure il dialogo con la Comunità ebraica e con la Comunità islamica. Conosco quanto avete fatto a questo riguardo nei momenti più difficili degli anni passati. L'entusiasmo di quel periodo continui anche oggi e si trasformi in un concreto servizio all'uomo e alla causa della pace.

Siate messaggeri infaticabili di perdono e di riconciliazione. La Chiesa sa che quest'opera è parte integrante dell'annuncio del Vangelo e della testimonianza della misericordia del Padre celeste. In tale contesto, è lodevole la vostra iniziativa, anche in vista della preparazione al Grande Giubileo, di proclamare il 1999 «Anno della Riconciliazione ». Ricordavo a Marija Bistrica il 3 ottobre 1998 che «perdonare e riconciliarsi vuol dire purificare la memoria dall'odio, dai rancori, dalla voglia di vendetta; vuol dire riconoscere come fratello anche colui che ci ha fatto del male; vuol dire non farsi vincere dal male, ma vincere col bene il male (cfr Rm 12,21)» (L'Osservatore Romano, 4 ottobre 1998, p. 6/7). L'impegno per l'uomo e per il suo bene è impegno evangelico e, pertanto, fa parte della missione della Chiesa nel mondo (Mt 25,34-46 Lc 4,18-19). In questa luce, va incoraggiata l'attività della Caritas e la messa in opera da parte della Chiesa di iniziative di carattere sociale, a favore dei singoli e delle famiglie bisognosi. Ma, nell'offrire a chi ha bisogno il pane quotidiano, sia vostra costante cura assicurare il Pane della vita eterna ai fratelli nella fede, e annunziare a tutti Cristo come «la Via, la Verità e la Vita» (cfr Jn 14,6).

8. La luce di Cristo Salvatore, che abbiamo recentemente contemplato nel mistero del Natale, illumini le famiglie e le comunità ecclesiali della Bosnia ed Erzegovina. Accogliendo con amore la parola di Dio che salva, le vostre comunità ecclesiali rimangano fedeli a Cristo fino al compimento del mistero di Dio (cfr Ap 10,7) e si facciano attente a quanto dice loro lo Spirito in questo passaggio epocale tra il secondo ed il terzo millennio. Maria, Madre della Chiesa e dell'umanità redenta, ottenga per voi tutti il dono della fedeltà, della concordia, della speranza. Nel vostro instancabile lavoro e zelo apostolico vi accompagni la Benedizione Apostolica, che di cuore imparto a voi, al clero delle vostre Diocesi, unitamente ai religiosi e alle religiose e a tutti i fedeli laici affidati alle vostre cure pastorali. «La grazia del Signore Gesù sia con tutti» (Ap 22,21).


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