Leone Magno


COLLANA DI TESTI PATRISTICI diretta da


ANTONIO QUACQUARELLI 109

2 Introduzione

Leone Magno

LETTERE DOGMATICHE

Traduzione, introduzione e note a cura di Giulio Trettel

città nuova editrice

Copertina di Gyorgy Szokoly

Con approvazione ecclesiastica

© 1993, Città Nuova Editrice, via degli Scipioni, 265 - 00192 Roma ISBN 88-311-3109-5


INTRODUZIONE

Tra svettanti vette dolomitiche cuori cordiali e generosi.

Con riconoscenza

Primiero, estate 1993

1. Vita di S. Leone Magno

Le notizie, a nostra disposizione, sui primi anni della vita di san Leone Magno, papa, non sono molte1.

Il Liber pontificalis lo dice natione Tuscus ; altri, i più, lo pensano nativo di Roma; forse la famiglia era oriunda della Tuscia, probabilmente di Volterra, dato che in tale città il culto per il papa Leone I è molto antico. Era nato, con ogni verisimiglianza, verso la fine del IV secolo. Come risulta anche dal cursus latino presente nella sua opera (lettere, omelie), venne educato non solo nelle discipline ecclesiastiche, ma pure nelle lettere classiche. In più d’una lettera al testo latino si accompagna anche quello greco (specialmente quando debba scrivere a personaggi di Costantinopoli, come imperatori, imperatrici, vescovi, monaci, dato che lì si parlava il greco). E non è detto che

11 testo greco non possa essere anche uscito (ma non necessariamente) dalla penna di Leone Magno.

Comunque, sia per il luogo natale, che per la data di nascita, come per la prima formazione del futuro papa, ci si può fondare soltanto su deduzioni, e non su notizie e attestazioni dirette.

1  Per quanto si dirà più avanti, nella bibliografia, la trattazione più ampia intorno a san Leone Magno, ci pare quella di U. Moricca, Storia della letteratura latina cristiana, SEI, Torino 1932, III/I, pp. 1031-1106 (con bibliogr. , pp. PP 995-997). Di altro si dirà in seguito; ma occorre subito aggiungere che tantissimo è entro i voll. della Patrologia Latina del Migne (= PL o ML) che raccolgono l'opera di papa Leone I. Si veda pure l'Enciclopedia Cattolica, vol. VII, coll.1139-1144.

Ben presto entrò a far parte dei clerici di Roma. Sotto papa Celestino I (422-432) fu diacono (o arcidiacono). E fu sotto Celestino I che si celebrò il Concilio di Efeso (anno 431), che condannò l’eresia di Nestorio, vescovo di Costantinopoli, il quale - sulla scia della teologia di Antiochia di Siria - negava che Gesù Cristo fosse veramente e realmente figlio di Dio. Tale negazione - tra le altre gravissime conseguenze di ordine dogmatico - finiva per disconoscere la divina maternità di Maria, che sarebbe stata - a suo avviso - solo cristotovko\ e non anche qeotovko\2.

Leone, ancor diacono, aveva invitato il monaco Cassiano, forse della Scizia, ma allora a Marsiglia, a comporre un’opera che rispondesse agli errori di Nestorio. Ne risultò il De incarnatione Domini contra Nestorium libri VII. Leone avrebbe preferito che a tale invito avesse potuto rispondere sant’Agostino; ma questi era ormai anziano e, per di più, si trovava in una città assediata dai Vandali.

L’opera di Cassiano presenta la sintesi cristologica del futuro papa Leone, dato che proprio Leone si trovò - durante il suo pontificato - ad affrontare due eresie, tutt’e due - in qualche modo - scoppiate a Costantinopoli, anche se - per dir così - «importate»: l’eresia di Nestorio (vicino alla teologia di Antiochia) e l’eresia di Eutiche (eresia che derivava dalla teologia di Alessandria)3.

Guidò il concilio di Efeso (431) Cirillo di Alessandria, la cui teologia si sarebbe dovuta richiamare ad Atanasio (l’alfiere dell’ortodossia di Nicea contro il presbitero Ario, pure alessandrino); in realtà - senza saperlo - Cirillo si rifaceva, invece - quanto alla cristologia -, ad Apollinare di Laodicea (310-390 ), presentando un Verbo

2  Per Nestorio, come poco più avanti, per Cassiano, per il concilio di Efeso, ecc., si vedano le trattazioni ad hoc, in Enciclopedie, in manuali, in testi di storia...

3  Per avere qualche idea sulle due «scuole» di Antiochia e di Alessandria d'Egitto si veda, ad es., M. Simonetti, Letteratura cristiana antica greca e latina, Firenze-Milano 1969, alle pp. 101.187.297.

dimezzato nella natura umana, perché la parte razionale dell’anima (ilnous) sarebbe stata «occupata» dal Logos4.

Nel sinodo di Efeso, dunque, non è assente l’opera di Leone, attivo diacono della Chiesa di Roma, accanto a papa Celestino. Defunto costui, successe Sisto III (432440), il cui pontificato non ha grande rilievo ai fini del dibattito teologico. Elevato al pontificato all’indomani del concilio di Efeso, si trattava piuttosto, per lui, di risolvere i problemi che erano rimasti insoluti, assieme ad altri, quali - ad esempio - le pretese di Giovenale vescovo di Gerusalemme 5.

Un altro problema, alla soluzione del quale ebbe modo di concorrere il diacono Leone, fu il caso di Giuliano d’Eclano (in Campania), eretico inficiato di pelagianesimo, che avrebbe voluto riavere la sua sede vescovile 6.

Può darsi che si debba considerare conseguenza del concilio di Efeso l’abbellimento di Santa Maria Maggiore, sull’Esquilino, ad opera di papa Sisto 7.

Nel 440 Sisto III veniva a morire, mentre Leone si trovava in Gallia quale messaggero di pace, al fine di ricomporre il contrasto sorto tra i due generali romani Ezio e Albino. Sul trono imperiale dell’Occidente sedeva Valentiniano III; ma la politica era guidata da sua madre Galla Placidia. Ecco perché Leone era assente da Roma. Ciò non impedì tuttavia che clero e popolo tutto volessero Leone come successore di Sisto III, considerata la sua spiccata personalità e santità. Gli fu inviata una delegazione che gli notificasse l’avvenuta elezione, mentre lo pregavano ardentemente che volesse

4  Anche per Cirillo di Alessandria, per Atanasio, per Ario, per Apollinare di Laodicea, si consultino trattazioni specifiche. Per Cirillo, Simonetti, op. cit., pp. 315-316; così per Atanasio, ivi, pp. 196-206; per Apollinare di L., ivi, pp. 223-225. Sulla formula cristologica di Apollinare, ma fatta propria da Cirillo di Al. (Una natura del Logos di Dio incarnata), si veda nel seguito della trattazione.

5     Si vedano le lettere 109 e 139 di san Leone Magno.

6 Cf. Moricca, op. cit., p. 1032, un intervento di Leone diacono, attestato da san Prospero d'Aquitania.

7     Di ciò in archeologia cristiana e in arte.

accettare l’unanime indicazione a vescovo di Roma. Come scrive Prospero di Aquitania 8, «Roma - priva del suo pastore - era in ansiosa attesa che giungesse il diacono Leone».

Leone accettò, pur non ignorando il grave peso cui stava per sottoporsi (risulta soprattutto dai sermoni tenuti nell’anniversario della sua elezione, o quelli tenuti per la festa dei santi Pietro e Paolo).

Il 29 settembre del 440 Leone dava inizio al suo servizio pastorale come vescovo di Roma e al compito di attendere alla Chiesa universale. Iniziava così uno dei pontificati più straordinari che la Chiesa ricordi nella sua storia bimillenaria, un pontificato segnato anche da una serie di anni ricchi di vicende ecclesiali e politiche. Leone resse la cattedra di Pietro per 21 anni (440-461). Certo che fu un pontificato dei più straordinari, al chiudersi dell’età antica e prossimi alle soglie dell’età di mezzo 9.

Anni densi di avvenimenti, s’è detto, su due versanti: quello ecclesiale (si era all’indomani del 1° concilio di Efeso, 431) e vicini a quello che Leone stesso definì latrocinium Ephesii (ossia latrocinio, o conciliabolo, o brigantaggio) (che avrebbe dovuto essere - nelle intenzioni di tutti - il 2° ecumenico di Efeso), e - a causa dell’eresia monofisita di Eutiche - in vista del concilio ecumenico di Calcedonia (451), di cui si dirà. Sul versante della storia civile compaiono le figure di Attila (452, distruzione di Aquileia), di Genserico, re dei Vandali (455, saccheggio di Roma), le varie personalità della corte imperiale di Costantinopoli, delle quali si dirà via via che si incontreranno. La documentazione di un’attività, che non è esagerazione definire prodigiosa, svolta da papa Leone I - cui ben si addice l’appellativo di «magno» che la storia gli serbò - è proprio entro le pagine stesse della storia del suo tempo, documentata di persona dalle numerose lettere (in numero di 143; 173 ne annovera il suo epistolario), dai riferimenti reperibili nei 96 sermoni,

8     Cronaca fino all'anno 440; vedi Moricca, op. cit., p. 1033.

9  In Moricca, op. cit, p. 1031, una sintesi dei meriti del papa Leone.

tenuti in varie circostanze. Fu grande, grandissimo papa, Leone, vescovo di Roma, tutto dedito al servizio del popolo affidato alle sue cure e con l’alta coscienza del suo ministero di confermare i fratelli nella fede (cf. Lc. Lc 22,32).

Non è questo il luogo per tracciare una sia pur sommaria biografia di san Leone Magno10.

In sintesi, essa può così venire riassunta: fu uomo che «dette prova di una saggezza pratica, di un buon senso, di una rettitudine senza pari in tutte le questioni sia politiche che religiose che gli si presentarono nel non breve corso del suo pontificato» 11.

Oltre a ciò che si è detto, in questa sede è pur consentito accennare a qualcuno dei più rilevanti problemi ai quali Leone si trovò a far fronte. A parte, si dirà in particolare della celebrazione del sinodo ecumenico di Calcedonia, che - come si vedrà - fu uno dei più impegnativi dei primi secoli del cristianesimo, alla pari di Nicea, di Efeso, del Costantinopolitano I.

I grandi dibattiti teologici cui papa Leone I si trovò a far fronte furono quelli relativi a Nestorio ed Eutiche soprattutto; ma non ne mancarono altri, e rilevanti. Vi facciamo cenno, seguendo la successione del suo epistolario, perché in esso trova puntuale documentazione.

Così ebbe a che fare con i manichei 12, che dall’Africa erano passati in Italia, per sottrarsi alle persecuzioni dei Vandali.

Non mancarono problemi sollevati dai pelagiani, ancora attivi entro le comunità cristiane. Uno di essi - s’è detto - fu relativo al vescovo Giuliano d’Eclano13.

Altro intervento resosi necessario fu contro i priscillianisti, diffusi in modo particolare nella Spagna. Ad una sollecitazione di Ceponio, vescovo di Astorga,

10     Cf. alla nota 1.

11     Moricca, op. cit., p. 1034.

12  San Leone Magno, Discorsi XVI (PL 54, 176ss., nn. 3-5) e XXXIV (ivi, 244, nn. 4-5).

13     Cf. nota 6.

risponde san Leone I esponendo minutamente le loro dottrine; ma non mancano - in tale occasione - riferimenti ad altri eretici. Ciò è detto nella lunga lettera 15a indirizzata a Turibio. Quella priscillianista, a giudizio di Leone, è sintesi di tanti errori dogmatici e di storture morali mutuati ora dagli ariani (cf. per la cristologia), ora dai fotiniani, ora da talune distorte visioni filosofiche, ora

14  Data l'attenzione portata soprattutto sulle eresie di Nestorio ed Eutiche, non diamo la traduzione della lettera 15a; ne offriamo però qui uno schema: 1) Leone confuta gli errori dei priscillianisti, i quali pensano che, nella Trinità, non di persone reali si tratti, ma di semplici nomi; 2) contro coloro che pensano che il Figlio sia venuto all'esistenza successivamente al Padre; 3) contro quei tali che ritengono che l'unigenito Figlio del Padre abbia assunto il nome di Cristo solo dopo che è nato dalla Vergine; 4) il Natale del Signore, nella celebrazione del quale i priscillianisti fanno digiuno; 5) contro quelli che pensano che l'anima dell'uomo sia di sostanza divina; 6) contro coloro che ritengono che il diavolo sia un essere sussistente oppure derivato dal caos; cosa dica la Scrittura a tale proposito; 7) contesta le affermazioni di quelli che pensano che il matrimonio e la procreazione siano un male; 8) controbatte la sentenza di coloro i quali ritengono che i corpi umani siano creatura del diavolo, da questi fatti nel seno della madre; 9) rifiuta l'idea che i figli della promessa (cf. Rom. Rm 8,14 poi Ps 118,75 Giob. Ps 10,8 Jr 1,5) siano stati concepiti ad opera dello Spirito Santo; 10) rifiuta l'idea peregrina di coloro che asseriscono che le anime sono state confinate entro corpi umani per avere esse peccato quand'erano in cielo (influssi platonici? manichei?); 11) contro gli astrologi che ritengono che le stelle condizionino le attività dell'uomo; 12) per quelli che pensano che le anime siano soggette a determinate forze e i corpi ad altre ancora; 13) i priscillianisti ritengono che le Scritture vadano sotto il nome dei 12 patriarchi, in quanto rappresenterebbero le 12 virtù che devono regolare la vita degli uomini; 14) ancora contro la persuasione dell'influsso delle stelle e dei segni zodiacali; 15) apocrifi in uso dei priscillianisti; 16) circa gli scritti di un certo Dittinio, che avrebbe scritto per conto dei priscillianisti; ma non è vero; sono scritti composti da loro stessi; 17) risponde infine al dubbio che non pochi - nella Spagna - ponevano intorno alla sepoltura del Signore: se il suo corpo sia o meno stato deposto nel sepolcro realmente (risponde con la Scrittura: Jn 2,19 Jn 2,21 Ps 15,9-10 ciò finisce per rifiutare anche il significato dell'incarnazione e della redenzione: a tanto arrivano gli eretici manichei e priscillianisti!); infine invita il vescovo a farsi promotore di un sinodo perché si possano annunciare le verità

dai manichei; la lettera raccoglie, in una specie di galleria, quelli che sono errori d’ogni sorta14.

2. Nestorio ed Eutiche

Insieme, ma diametralmente opposti, gli errori di Nestorio e di Eutiche. La battaglia condotta da papa Leone, di gran lunga la più decisiva, fu quella combattuta contro le due eresie (che si elidevano a vicenda); alludiamo all’opera di pastore e di maestro che sostenne per la verità totale del Cristo contro Nestorio prima, contro Eutiche dopo.

S’è detto della diversa posizione delle due scuole (a rigore, solo quella di Alessandria si può definire «scuola») di Antiochia di Siria e di Alessandria di Egitto 15. La prima esaltava tanto la natura umana del Verbo incarnato (la vera umanità di Cristo), quasi sino al punto di assorbire/annullare la divinità; il Cristo sarebbe stato semplicemente un uomo su cui si sarebbe posato lo Spirito di Dio. La preoccupazione - ad Antiochia - di salvare e affermare l’umanità del Verbo incarnato finiva quasi inevitabilmente per cancellarne (o quanto meno, sminuirne) la divinità dello stesso, ossia del Cristo.

La scuola di Alessandria, invece, muoveva dalla preoccupazione opposta: intenta com’era ad affermare la divinità (a natura divina, dunque) del Verbo incarnato finiva per misconoscere, in qualche modo, la natura umana, «assorbita» dalla divinità.

È capitolo di estrema importanza per la fede, realtà essenziali l’una come l’altra: la natura divina, la natura umana; l’essere vero Dio, ed essere vero e perfetto uomo che si devono riconoscere al Cristo: diversamente tutta la fede crolla, se il Cristo non è vero Dio e vero uomo unitamente e insieme. La posta in gioco era enorme; non

essenziali della fede retta, senza esitazioni.

In una lettera più breve, la successiva non numerata, Tur(r)ibio espone qualcosa dei suggerimenti di papa Leone, ai vescovi Idacio e Ceponio (sugli scritti apcrifi; gli errori dei priscillianisti): cf. Moricca, op. cit., pp. 1037-40.

15  Cf. nota 3.

era da meno di quella scatenatasi cent’anni prima per l’eresia del prete Ario; anzi: ne era conseguenza che muoveva da quelle premesse. La difficoltà stava tutta nel riuscire a concepire un unico Dio, ma in tre persone eguali e distinte; di avvertire in Cristo Gesù un’unica persona sì, ma in due nature, la divina e l’umana, integre, complete, indivisibili16.

Si spiega. Anche a non tenere conto di una terza «scuola» - che si suole definire «asiana» e che, in qualche modo, si faceva risalire alla catechesi di Giovanni apostolo -, le due nominate sopra erano all’origine del cristianesimo. Alessandria era un «emporio» culturale e cultuale 17 18 19. Ad Alessandria aveva operato il filosofo giudeo, ma anche platonico e pitagorico, Filone (25 ca. a.C. - 50 ca. d.C.). Ad Alessandria i culti pagani (come, del resto, in Siria) trovavano abbondante esca e rigogliosa espressione. Ad Alessandria - si disse - c’era stata la versione della Scrittura che va sotto il nome di «Bibbia dei settanta». L’allegoria (tipologia figurale per il cristianesimo) si avvaleva della scuola platonica, dando luogo ad interpretazioni della Scrittura che si collocavano su posizioni diametralmente opposte a quelle di Antiochia. Sempre ad Alessandria (e quanto sulla scia di Filone?) erano sorte delle figure straordinarie, quali Panteno (fiorito verso il 180), Clemente Alessandrino (150-215 ), Origene (185-253 ) «il padre dell’esegesi cristiana», Atanasio (295-373), Didimo il Cieco (CA 51254), alla cui scuola furono anche san Girolamo e Rufino di Concordia, e poi Cirillo di Alessandria (370-444), e tanti altri. La scuola di Alessandria fu faro cui attinsero

16  Anche per l’eresia ariana la bibliografia è sterminata; ci accontentiamo di inviare a M. Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo, Roma 1975, pp. 589.

17  Di ciò i manuali di filosofia e di letteratura cristiana in lingua greca; vedi, ad es., ai singoli autori, Simonetti, Letteratura cristiana..., cit., nomi rilevabili dall’indice.

18  Utile, a questo fine, M. Simonetti, Cristianesimo antico e cultura greca, Borla, Roma 1983.

19     Per la letteratura greca si veda, ad es., Filone (giudeo),

luce tante sedi e scuole vescovili dell’Occidente; Alessandria fu uno dei punti di riferimento obbligati: è un capitolo tutto a sé, e che va studiato nel rapporto fede/cultura 18.

L’esegesi di Alessandria si fondava (è stato anticipato) sul metodo allegorico, che era già stato applicato dai filosofi (di solito di estrazione platonica) per spiegare miti e poeti, a cominciare da Omero19.

Quanto ad Antiochia non si sa bene se lì i cristiani siano stati chiamati con tale epiteto, per la prima volta, o per dileggio o per altro (cf. Atti 11, 26). Sfuggito miracolosamente alle mene del re Erode (cf. Atti 12), prima di venire a Roma, l’apostolo Pietro aveva inizialmente posto la sua sede ad Antiochia. Dopo Pietro, vescovo della città era stato un innamorato straordinario dell’umanità del Cristo: sant’Ignazio martire esposto alle fiere nel circo di Roma verso il 110 20. L’esegesi della scuola di Antiochia procedeva in base ad un criterio rigorosamente scientifico, nonché storico-grammaticale. Da Antiochia vennero l’irridente scrittore sofista Luciano, nativo di Samosata (120 ca. e morto dopo il 180); Eustazio vescovo della città (f 337), strenuo avversario dell’arianesimo a Nicea, morto in esilio; Diodoro di Tarso, nato ad Antiochia, uno dei protagonisti del concilio ecumenico di Costantinopoli del 381; da lui, in qualche modo prende avvio la cosiddetta «scuola» di Antiochia; tra i suoi discepoli furono Teodoro di Mopsuestia (350 ), altra notevole figura, e il massimo oratore cristiano dell’antichità san Giovanni Crisostomo (344407), patriarca di Costantinopoli e che l’invidia relegò in esilio; Giovanni era nativo di Antiochia. Questa dunque la serie delle grandi figure che onorarono Antiochia o

Plutarco, Cratete di Mallo,... l'anonimo autore Del sublime...

20  Per Ignazio di Antiochia, cf. in questa stessa collana il n. 5, I Padri apostolici, a cura di A. Quacquarelli.

21  Anche per i nomi di questo capoverso si vedano le rispettive letterature.

22  Il card. De Lubac ha definito Origene «padre dell'esegesi cristiana».

direttamente o indirettamente21.

Ma l’influsso delle due scuole (allegoristica l’una, scientifica l’altra) non si chiude entro le cerehie delle rispettive mura. Origene 22 era stato costretto a lasciare Alessandria; così aveva aperto una scuola a Cesarea di Palestina. Tra gli allievi, il martire Panfilo (secc. III-IV), maestro di Eusebio vescovo di Cesarea (263 ); vescovo «palatino» nella corte della «nuova Roma», potè esercitare un grande influsso su Costantino I; tra i discepoli di Origene va annoverato pure san Gregorio detto il Taumaturgo (f CA 270). Poi c’è la serie dei tre grandi cappàdoci: san Basilio Magno (330-379), il suo amico san Gregorio di Nazianzo (329-390 ), il fratello di san Basilio, Gregorio di Nissa (335-395 ). Costoro cercavano di conciliare Alessandria con Antiochia, temperandone le punte estreme. Edessa, nella Mesopotamia, accolse l’influsso della scuola di Antiochia; la più prestigiosa personalità è sant’Efrem Siro (Nisibi 306 - Edessa 373 ).

In Occidente prevalse l’influsso della scuola di Alessandria; così è di santuario di Poitiers (315-367 ), il più grande teologo dell’Occidente                                    prima di

sant’Agostino; di sant’Ambrogio (339-397), nel quale si rende evidente la mediazione teologica dei tre cappàdoci. Ma sarebbe stato necessario parlare degli apologeti africani, in particolare di Tertulliano (160 f dopo il 220),  per la sua     robustissima concezione

«incarnazionista», ed al quale - forse - si deve far risalire il primo latino nella Chiesa dell’Occidente; di san Cipriano vescovo di Cartagine e martire (200/10-258). A parte andrebbe collocato Ippolito romano, presbìtero di Roma, morto martire verso il 235. Difficile rannodare tutti i fili dell’ampliamento della fede, del deposito dottrinale che si fa pure cultura e che si diffonde per vie spesso non controllabili.

E, si deve dire, la scuola di Alessandria, pur con i suoi limiti (che tendevano - magari - ad enfatizzare l’allegoria, anzichè condurre una «lettura» tipologico/figurale; l’allegoria è nelle idee; la tipologia è nei fatti, nei personaggi, negli avvenimenti), fu di gran

lunga superiore e immensamente più ricca di quella di Antiochia. Alessandria - in sostanza - si poneva idealmente nella linea esegetica tracciata da Cristo stesso (cf. Lc. Lc 24 o Jn 5,39) e della prima catechesi apostolica (cf., ad es., Atti, i primi capitoli: così 1, 15-26; 2, 14-36; ecc.). Ma si deve pure aggiungere che la teologia antiochena ha concorso a moderare la tendenza di un eccessivo allegorismo proprio di Alessandria.

Questa, dunque, la diversa impostazione sostanziale della esegesi e della cristologia nelle due scuole, che però - come s’è detto - non sono le uniche, e la cui articolazione e sottolineature varia secondo sensibilità, tempi, modalità dei singoli autori. In qualsiasi caso il “luogo” di incontro e di confronto resta sempre la Scrittura (AT/NT) e, di solito, la Tradizione.

Ma il luogo immediato di confronto (più spesso terreno di scontro) delle due scuole non fu l’una o l’altra città, presso le quali si erano sviluppate le differenti visioni teologiche; fu invece, piuttosto, la «nuova Roma».

Nestorio, rinomato predicatore di Antiochia, cresciuto forse alla scuola di Teodoro di Mopsuestia (350 ), nel 428, fu consacrato vescovo di Costantinopoli. Nella sua predicazione Nestorio aveva imprudentemente sostenuto delle tesi estremiste sulla cristologia, urtando - tra l’altro - anche contro la pietà semplice dei fedeli; per esempio, quando affermava che Maria poteva essere detta soltanto madre di Cristo (cristotovko\) e madre dell’Uomo, ma non madre di Dio (qeotovko'J. Lo scalpore sollevato da affermazioni tanto ardite portarono ben presto alla convocazione del concilio di Efeso (431); un concilio ecumenico, di taglio cristologico, nel contesto del quale è però affermato anche il rapporto di Maria con il Cristo: Maria fu definita madre di Dio (qeotovko\).

Antesignano e propugnatore della divina maternità di Maria fu san Cirillo di Alessandria (370-444). 23

23  Vedi nota 4: «una natura del Logos di Dio incarnata»: miva fuvsij tou qeou Lovgou sesarkwmevnh.

Difendendo la divina maternità di Maria, Cirillo intendeva richiamarsi al suo grande predecessore, Atanasio (295373), che - per l’ortodossia di Nicea - aveva subìto ripetuti esilii. In realtà la formula di cui Cirillo fece ampio e fondamentale uso (una sola natura del Logos di Dio fatta carne)23 non era di Atanasio, ma - all’insaputa di Cirillo - apparteneva ad Apollinare di Laodicea (310-390 ), amico intimo di sant’Atanasio, ed altro grande assertore dell’ortodossia di Nicea. Formula ambigua e che poteva facilmente prestarsi ad una interpretazione eterodossa. Tale fu, di fatti, immediatamente visibile in Eutiche (378 morto dopo il 454). Eutiche era un monaco di Costantinopoli, che intendeva opporsi a tutta forza a Nestorio, ma che finiva per cadere però nell’errore esattamente opposto a quello di Nestorio. Non solo Eutiche negava che nel Verbo incarnato ci fossero due persone (ed era nel giusto), ma negava anche che ci fossero in lui le due nature, la divina e l’umana, del Cristo. Eutiche non faceva altro che tirare le ultime estreme conseguenze della formula che Cirillo aveva attinto da Apollinare di Laodicea. Altro scalpore, altra convocazione di concilio. Avrebbe dovuto tenersi ad Efeso, ed essere il secondo ecumenico celebrato nella città che aveva visto trionfare Cirillo ed asserita ivi energicamente la divina maternità di Maria contro Nestorio. Tralasciando di accennare alle altre tappe che avevano preceduto l’assise, ad Efeso (Efeso due) Eutiche trovò l’appoggio di Dioscoro (f454), patriarca di Alessandria dal 444 al 451 (e poi deposto), nipote e successore, dunque, di Cirillo. Efeso finiva per essere la netta inconciliabile contrapposizione delle due scuole, di cui s’è detto, nelle loro rigide conclusioni. La posta in gioco era enorme: da una parte (Nestorio) un Cristo «duplicato» (quasi due persone, perfetto uomo sì, ma con la natura divina in qualche modo «assorbita» dalla umana); dall’altra (Eutiche) un Cristo «dimidiato» (un’unica persona, un’unica natura - la divina -, perché la natura umana sarebbe stata assorbita dalla divinità). 24

24     È capitolo di storia civile ed ecclesiastica.

Nella contrapposizione Alessandria/Antiochia non entrava in gioco solo una questione di natura teologica di tale rilevanza; entrava in causa pure una ragione politica, fatta di rivalità, di prestigio, di contrapposizioni di sedi patriarcali, complicate dall’ambizione di Costantinopoli di costituirsi seconda città dell’impero, dopo Roma, come «nuova Roma» 24. Da una parte Alessandria con Teofilo, Cirillo, Dioscoro; dall’altra Giovanni Crisostomo (ma al di fuori e al di sopra di qualsiasi ambizione, che non fosse quella del suo servizio pastorale, con gli unici torti e di venire da Antiochia, e di essere vescovo di Costantinopoli), e Nestorio con le sue mire ed ambizioni, con la sua spericolata predicazione. Le ambizioni dei vescovi di Costantinopoli non mancheranno di farsi vive; lasceranno il segno, giungendo là dove avevano spesso mirato, nel canone 28 del concilio di Calcedonia (451), di cui si dirà quanto è necessario alla comprensione delle lettere di papa Leone.

Qui si inserisce appunto, a più livelli, l’operato di san Leone Magno. Durante il pontificato di Celestino I (422432), sotto il quale venne celebrato il concilio di Efeso del 431 (è il terzo ecumenico, dopo Nicea, 325 e Costantinopolitano I, del 381), che aveva affermato - contro Nestorio - la divina maternità di Maria, come conseguenza dell’unione ipostatica (un’unica persona, in due nature) 25, il diacono Leone aveva sollecitato sant’Agostino perché approntasse              un’opera che

confutasse l’errore di Nestorio. Ma Agostino - come s’è

25  L'unione ipostatica (nell'unica persona del Verbo incarnato, il Cristo), è affermazione che risulta chiara anche dal pensiero di san Cirillo di Alessandria, come si può vedere dall'ultimo testo allegato da san Leone Magno alla lettera 165a all'imperatore Leone I; l'espressione katà hipòstasin, «secondo la persona» o «ipostaticamente», ritorna più volte. Si tratta di un testo che Cirillo ha indirizzato a Nestorio lettera IV) e che fu ratificato dai Padri del concilio di Efeso; tale lettera può essere considerata quasi una definizione dogmatica del concilio di Efeso; si veda negli atti del concilio stesso. Tale lettera ridimensiona, in qualche modo, la formula cirilliana che l'autore attingeva da Apollinare di Laodicea, ritenendola di Atanasio; cf. quanto si è detto in precedenza. Non siamo molto informati circa la precisa natura dell'eresia di Nestorio;

detto - era ormai anziano e in una città assediata dai Vandali; così non potè assecondare la richiesta di Leone, pur pressante ed urgente quale si richiedeva. Leone allora si rivolse a Cassiano (360 430/35), di origine, forse, scitica, vissuto quale monaco inizialmente in Palestina e successivamente in Egitto; nel 304 era andato a Costantinopoli dove Giovanni Crisostomo lo aveva ordinato diacono; poi, a Roma, fu consacrato presbitero. Di qui era passato a Marsiglia, riconosciuto ormai come autorità indiscussa in Occidente, dove - verso il 415 - diede inizio alla fondazione di due monasteri, l’uno maschile, l’altro femminile. Alla vigilia del concilio di Efeso (431), per conto del diacono Leone, Cassiano compose - era l’anno 430 - lo scritto che porta il titolo De incarnatione Domini contra Nestorium libri VII. L’opera, non molto nota, ma abbastanza consistente 26, era destinata a rendere un duplice servizio sia per rispondere a quanto allora si agitava intorno a Nestorio (e - se si vuole - alla cosiddetta scuola antiochena), sia - un decennio appena dopo - intorno ad Eutiche. Tale fu l’utilizzazione che ne ricavò Leone diacono e Leone papa. È stato giustamente osservato che Leone avrebbe trovato, in Agostino, «materiale» migliore che non in Cassiano; ma - s’è visto - Agostino non era in grado - in quelle situazioni - di offrire alla Chiesa di Roma, che gliene faceva richiesta, un’opera sistematica sull’incarnazione del Signore. Ma - d’altra parte - non si può nemmeno asserire che Cassiano non abbia saputo

cf. Giovanni Cassiano, L'incarnazione del Signore, Città Nuova, Roma 1991, con l'ampia introduzione di L. Dattrino, specie da p. 15.

26  Consta di 7 libri, come si può vedere; una sintesi abbastanza ampia è in Moricca, op. cit., pp. 805-808. Per una valutazione concisa, cf. AA.VV., Patrologia (dell'Inst. Patr. Augustinianum), Marietti, Casale 1978, pp. 490 s.

27  Del resto, non è una certa «originalità» che si deve ricercare, ma - invece - l'aderenza e lo sviluppo organico del depositum fidei ; essi hanno necessariamente quale punto di riferimento obbligato la Scrittura, come non si stancano di fare e Cassiano e Leone Magno, con l'apporto della Tradizione; si veda - per questo - il Commonitorium di Vincenzo di Lerino, forse vicino a Cassiano: cf. Moricca, op. cit., p. 870.

ben rispondere alla duplice esigenza che stava alla base della domanda di Leone, su una questione che era vitale per la fede e che - dopo Ario - poneva di nuovo in gravissimo pericolo l’ortodossia 27.

3. Fonti del pensiero di Leone Magno

Cassiano, come è dato di vedere, è una delle fonti del pensiero teologico di san Leone; ma ve ne sono molte altre che non sempre sarà agevole identificare, perché è come ricercare il corso sotterraneo del Timavo: c’è, anche se non si vede.

Ma la Chiesa di Roma, custode e garante della retta fede (cf. Mt. Mt 16,13-20 Lc 22,32) 28, se - forse - non ha dato teologi di grande rilevanza (tuttavia essi non mancano nemmeno a Roma: cf. Ippolito)29 30 31, ha però l’inestimabile merito d’essere stata crocevia cui le Chiese - con maggiore o minore autonomia - ebbero sempre a riferirsi. Lo si vedrà anche nel caso di papa Leone Magno, e così in cento altri casi. Roma ebbe modo di attingere da Alessandria, da Antiochia, dalle Chiese d’Africa   (l’apologetica,  in particolare Tertulliano,

Cipriano...), dai cappàdoci - magari mediati attraverso sant’Ambrogio -, dalla Gallia (fin, forse, da sant’Ireneo, con matrici perciò giovannee e quartodecimane), da

28  Cf. sant'Ireneo, Adversus haereses, e Tertulliano, De praescriptione haereticorum : la continuità della verità nella Chiesa cattolica e non tra le pullulanti sètte degli eretici.

29  Personalità i cui contorni non sono ancora molto chiari; morì nel 235, tra i deportati. Il suo pensiero, anche se non attinge le altezze del suo quasi coetaneo Origene, è pure di notevole «qualità»; il «torto» è l'avere scritto in greco, a Roma, quando ormai, in Occidente, il greco era a poco a poco soppiantato dal latino.

30  Abbiamo atteso all'esame della cristologia di Cromazio in «Ricerche religiose del Friuli e dell'Istria» I, 1981, pp. 3-86: Cristologia cromazia (appunti). Dall'indagine siamo usciti con la persuasione che il pensiero di Cromazio è presente nella cristologia di Leone I e - mediatamente - nella formulazione del concilio di Calcedonia.

31  Rinviamo sempre al Moricca, op. cit., pp. 1043-1060, come ampia sintesi della lettera 28a indirizzata a Flaviano: pp. 1047-1052.

sant’Ilario (per il De Trinitate). Certamente non è assente anche la Chiesa di Aquileia, in modo particolare il vescovo più prestigioso della sede aquileiese, san Cromazio, che precede Leone di poche generazioni (gli anni di Cromazio sono 345 ca.-407/8; vescovo dal 388). Dall’opera di Leone Magno risulta più d’una volta presente qualche testo cromaziano sia nell’omiletica, sia nelle lettere, e proprio anche in ragione del mistero dell’incarnazione, perché Cromazio presenta una cristologia orientata alla soteriologia, e una cristologia essenziale e precisa 3°. Quanto poi a voler appurare quanto san Leone Magno debba all’uno o all’altro pastore/maestro, oltre che inconcludente e inutile, è fatica impossibile. Ciò che importa non è tanto conoscere quanto Leone debba all’uno o all’altro, ma piuttosto con quali moduli stilistici,                 con quale

terminologia egli si collochi nell’alveo della più pura ortodossia. Dato che risulterà discorso nuovo, per parte mia, ravviso sia entro la lettera 28a di san Leone a Flaviano in particolare, che nella formulazione calcedonese delle espressioni assai vicine a quelle che Cromazio ha     usato ad esprimere             il mistero

dell’incarnazione, il mistero soteriologico e redentivo (il mistero pasquale). Occorrerà comparare i testi dell’uno come dell’altro, magari in forma sinottica. Qualcosa si potrà rilevare via via che si offriranno i testi tradotti. Ma un caposaldo deve restare inconcusso e indiscutibile e assodato: il mistero cristiano è come un diamante dalle numerosissime sfaccettature; gli autori cristiani, i pastori, i catecheti, gli oratori, ecc., evidenziano or l’una or l’altra facciata, secondo esigenze teologiche, pastorali, catechetiche, polemiche, apologetiche, ma sempre rimanendo uno e indivisibile il depositum fidei. Così è pure di Leone Magno, qualsiasi sia la fonte o l’ispirazione cui attinge. Il maestro della fede non è certamente un «originale» estroso: è un custode e un

Per verificarlo occorre comparare (magari in sinossi) testi dell'uno e dell'altro; come è detto nel testo, san Leone conobbe l'opera di san Cromazio.

garante della fede; tanto più se si tratta del vescovo di Roma (cf. Mt. Mt 16, 13ss. e Lc 22,32). Il tempo in cui Leone Magno fu chiamato a vivere vide accesi dibattiti sulla persona del Verbo incarnato, sul Cristo, sull’unicità o duplicità della sua natura: divina e umana? in quale relazione? con quali conseguenze?

Altri elementi utili alla comprensione del pensiero teologico e dell’opera di Leone I troveranno collocazione più puntuale nei testi che si danno in traduzione, per il loro rilievo appunto teologico.

4. Il Conciliabolo di Efeso (449) e il Concilio di Calcedonia (451)

Non se ne rifarà, qui, la storia, amara e dolorosa, dagli esiti imprevedibili 31. La condanna di Nestorio ad Efeso - che era stata poi soprattutto una vittoria di Cirillo d’Alessandria - aveva ridato fiato al «partito» alessandrino. Capofila dei settatori di Cirillo - a Costantinopoli, questa volta, - era il monaco archimandrita Eutiche, discepolo d’un certo Massimo, non meglio precisabile. Difendendo egli - contro Nestorio - l’unicità della persona di Cristo, finiva però anche per sostenerne l’unicità della natura, quella divina, dopo l’incarnazione del Verbo. Si è esattamente agli antipodi di Nestorio. Tutta la difficoltà stava nel concepire due nature, quella divina e quella umana, nell’unica persona del Verbo incarnato. La difficoltà nasceva anche dall’uso dei termini (ipostasi, natura, persona,...)32 adoperati non

32  Molti equivoci, specialmente tra Oriente ed Occidente, nacquero proprio dal fatto che la terminologia non era uniforme; il dibattito teologico ebbe anche il merito di fissare e precisare i termini. Per il latino ciò si era avuto fin da Tertulliano; cf. le sintetiche, ma dense pagine di S. D'Elia, Letteratura latina cristiana', Jouvence, Roma 1982, pp. 43-50.

33  Cf. note 4.23.25 e nel testo. Come detto, la formula non era di sant'Atanasio. 34

34     Cf. Simonetti, Letteratura..., cit., p. 316.

univocamente. Del resto   ritornava, in senso

rigorosamente monofisita, la formula che era stata di Apollinare di Laodicea e di Cirillo di Alessandria 33. San Cirillo era morto nel 444; i suoi seguaci irrigidirono e semplificarono le sue posizioni teologiche. La formula apollinaristica, riassuntiva della cristologia di Cirillo prima, di Eutiche (e Dioscoro di Alessandria, successo come vescovo allo zio Cirillo) dopo, aveva immesso su di una via pericolosa. La natura umana del Cristo (per Eutiche) finiva per essere assorbita dalla natura divina nell’unica persona del Verbo fatto carne (un’unica natura, fuvsi\, in una persona; phusis, di qui il termine monofisismo).

La scuola di Antiochia, ossia coloro che si ispiravano alla teologia che veniva di là, non stettero a guardare. C’era stato - nel 433, all’indomani di Efeso - un patto di unione tra le due correnti teologiche, quasi segno di riconciliazione tra Cirillo e gli antiocheni34; ma durò poco; verso il 447 i contrasti tra le due correnti si riaccesero, capeggiata la lotta (di lotta si tratta appunto) da Eutiche.

Si pensò, da parte di Alessandria (Dioscoro) e di Eutiche, di mettere definitivamente una pietra sul nestorianesimo; si indisse e si tenne un concilio 35, che avrebbe dovuto - data la sede scelta - essere, in qualche modo, la continuazione del precedente di Efeso; e ad Efeso appunto fu indetto nel 449. A posteriori papa Leone lo definì un latrocinio (o un brigantaggio, o un conciliabolo). Di fatto fu una cosa penosa e indegna, tanto più per dei cristiani. Andò come andò. Lo diresse il patriarca di Alessandria, il solito rozzo e cattivo Dioscoro, nipote - come s’è visto - e successore di Cirillo. Leone aveva inviato suoi rappresentanti, data l’impossibilità di muoversi lui da Roma; ed anche perché vigeva la

35  Cf. Moricca, op. cit., pp. 1044 ss.

36  Ivi, p. 1044.

37  Si tratta di Giulio, vescovo di Pozzuoli, del presbitero Renato di San Clemente (che morirà a Delo, durante il viaggio), del diacono Ilario (o Ilaro) e del notaio Dulcizio; cf. Moricca, op. cit., p. 1053. 38

38     Moricca, op. cit., pp. 1056-1057.

consuetudine contraria: il papa non era solito dirigere personalmente le assise sinodali in Oriente. Ma l’assise fu perfidamente manipolata da Dioscoro, l’amico di Eutiche (sul quale, del resto, pesava una condanna per la sua eterodossia, già pronunciata a Costantinopoli) 36, e dagli altri loro seguaci. Gli altri, la parte avversa ad Eutiche e soci, o non furono ammessi, o non si lasciò loro prendere la parola. Addirittura Flaviano (per il quale i delegati di papa Leone erano latori della celebre lettera 28a), vescovo di Costantinopoli, ed Eusebio di Dorilea furono deposti, in quanto considerati contrari ai sacri canoni di Nicea. I legati del papa 37 furono tacitati; a stento qualcuno riuscì a ritornare sui propri passi per riferire a Leone il bel risultato di quell’incontro 38.

Ai delegati papali era stata affidata la celeberrima lettera 28a di papa Leone a Flaviano. I rappresentanti del papa furono impediti di leggerla ad apertura del con- cili(abol)o, che subito si mise male. La lettera costituirà invece il riferimento obbligato e il caposaldo del concilio di Calcedonia, di cui si dirà (anno 451). V’era, in nuce, la formula cristologica del concilio, dato che la lettera acquistò presso i padri del sinodo calcedonese e nella Chiesa «un’autorità così universale, da essere quasi considerata come una parte del simbolo di Calcedonia» 39. Tra i risultati del conciliabolo del 449 vi fu l’ostracismo comminato ad Eusebio di Dorilea e a Flaviano, il quale poco dopo morì o in conseguenza dei maltrattamenti subiti o dei contraccolpi di quel nefando convegno 40 41 *. Dei delegati di Leone si sa di sicuro che Ilario (o Ilaro) diacono riuscì a tornare, per vie rocambolesche, a Roma. Egli era latore di un appello di Flaviano al papa, cui si aggiunsero - poco dopo - quelli di Eusebio di Dorilea e di Teodoreto di Ciro.

39    Ivi, p. 1047.

40     Cf. ivi, p. 1056.

41         Cf. PL 54, 831 ss.; così per le altre lettere (lo schema più

avanti).

Quando in Occidente si venne a sapere l’andamento e l’esito del misfatto, l’impressione fu enorme. Leone intervenne subito energicamente scrivendo più volte all’imperatore     Teodosio II  flettere 43    bis-44),

all’imperatrice Pulcheria fletterà 45) 41, ad Anastasio, vescovo di Tessalonica (lett. 47), a Giuliano vescovo di Cos (lett. 48) e anche a Flaviano (ett. 49), di cui però Leone ignorava la morte. Per la stessa ragione non mancò di scrivere anche ai fedeli di Costantinopoli (ett. 50), a Fausto archimandrita della stessa città (lett. 51). Li esortava caldamente a rimanere fedeli ai sacri canoni del concilio di Nicea e di Efeso e a non allontanarsi dalla retta fede dei Padri.

Per cancellare l’infamia del conciliabolo si richiedeva un’urgente riparazione. Papa Leone pensò ad un sinodo che si celebrasse nell’ovest, in Italia, mentre l’imperatore Teodosio II (401-450) l’avrebbe meglio visto tenuto nell’est. Leone cercò pure l’appoggio di Pulcheria sorella dell’imperatore. Tuttavia - nonostante autorevolissimi interventi di personaggi influenti della corte, come Valentiniano III (419-455), imperatore nell’Occidente, su Galla Placidia madre di Teodosio II e come Licinia Eudossia, la moglie di Valentiniano III e figlia di Teodosio II - non se ne fece nulla. Per buona fortuna 42 - dopo altri infelici tentativi - l’imperatore Teodosio II morì (450). Pulcheria si associò subito, a certe condizioni, come consorte, Marciano (390 ); così fu possibile dare il via alla convocazione di un sinodo generale, previsto - inizialmente - a Nicea (ove convennero, nel tempo fissato, 520 vescovi) ma poi - per ragioni attinenti all’imperatore - fu spostato a Calcedonia, più accessibile a Marciano. Chi volesse conoscere più distesamente

spada tratta i responsabili del latrocinio di Efeso; cf. Moricca, op. cit, pp. 1058 s.

43  Per es., nell'Enciclopedia Cattolica, III, le coll. 323-328, a cura di M. Jugie; oppure Moricca, op. cit, pp. 1059-1074.

44  Vedi Moricca, op. cit., pp. 1067-1069. 45

45  La definizione del concilio di Calcedonia è in tutti i testi di dogmatica; nell'Enchiridion symbolorum di H. Denzinger, ediz. del

quanto vi si riferisce (la bibliografia è immensa) lo può vedere in trattazioni più ampie che non sia consentito qui riassumere 43.

Il dibattito teologico fu lungo e molto animato (il concilio vero e proprio andò dall’8 al 25 ottobre, con un’appendice - del 31 ottobre - perché si trattò di taluni privilegi; tra l’altro, ne sortì il famigerato canone 28, che poneva - nell’ordine dei privilegi - Costantinopoli subito dopo Roma, in quanto sarebbe divenuta la «nuova» Roma; e ciò con danno della precedenza che competeva - nell’ordine - prima a Roma, poi ad Alessandria (2° posto), quindi ad Antiochia (3° posto)44.

Interessa osservare che la lettera di Leone a Flaviano, scritta per la convocazione di quello che, poi, si rivelò per il «latrocinio» di Efeso, costituì la base della formulazione cristologica del concilio di Calcedonia. La sintesi cristologica del concilio fu l’affermazione - nell’unica persona di Cristo - delle due nature, la umana e la divina, complete e distinte, senza confusione e senza alterazione 45. Efeso aveva condannato l’errore di Nestorio, Calcedonia condannò quello di Eutiche. Il rilievo di Calcedonia è enorme (se ne vedano le fonti) 46. Papa Leone, subito dopo la celebrazione del concilio provvide pure - mediante numerose lettere - a far sì che esso entrasse nella coscienza delle Chiese.

1957, è, in testo greco e latino, al n. 148. Cf. pure Moricca, op. cit, pp. 1068 ss. per gli atti del concilio stesso. Si è detto che la definizione è, in qualche modo, ricavata dalla lettera 28a di Leone a Flaviano, vescovo di Costantinopoli (lettera che avrebbe dovuto servire a quello che, poi, risultò il latrocinio di Efeso; cf. sopra). Quanto poi alle fonti di ispirazione per papa Leone, cf. ciò che è stato detto precedentemente.

Al termine delle lettere proposte in questa raccolta si pone, in appendice, la definizione di Calcedonia sulle due nature del Cristo; in sostanza, è l'intervento magisteriale di papa Leone più importante e di estrema gravità per la salvaguardia della fede.

46  Bibliografia nei testi di dogmatica che trattano del concilio; anche se non aggiornata, vedi Encicl. Catt., III, col. 328.

47  Per l'opera di un altro grande pontefice, san Gregorio Magno, la faticosa costruzione di tempi nuovi è ben espressa da un poeta, il Carducci, ne La chiesa di Polenta : «quei che Gregorio invidiava a' servi

Era così restituita ancora una volta la pace alla Chiesa universale, pace però non priva di problemi d’altro genere sia all’est (Costantinopoli) che all’ovest (nella penisola italica).

5. Attila e Genserico

La pressione dei barbari (o, in altri termini, le trasmigrazioni dei popoli) è capitolo spettante alla storia civile e politica, più che argomento direttamente ecclesiale; ad essa perciò - per quanto concerne le vicende del tempo - si rinvia. Ma la Chiesa è immersa nella vicenda dell’uomo. La venuta in Italia di Attila, re degli Unni, è episodio che, per altro verso - nei suoi contorni leggendari -, è ancora legato alla maestà e alla sacralità di Roma: papa Leone avrebbe - nel nome grande e maestoso di Roma - fermato il popolo barbaro e intimorito forse il principe unno al ricordo della fine rapida di Alarico, dopo il saccheggio da lui compiuto contro Roma, caput mundi, nel 410. Che cosa in realtà abbia distolto Attila dal procedere verso Roma non è dato sapere. Fatto sta che l’ambasciata, della quale faceva parte anche Leone, sortì l’effetto di stornare dalla capitale la minaccia incombente. L’incontro con il re unno sarebbe avvenuto presso il Mincio. Ma molto, come s’è detto, è più affidato alla leggenda che non alla storia, che pure ha tramandato l’episodio. Correva l’anno 452.

Altra grave iattura piombò su Roma pochi anni dopo, nel 455. Eudossia, la vedova di Teodosio II, anche dopo Calcedonia, non lasciò di favorire gli eutichiani. Ma sulla di lei famiglia si abbatté una serie impressionante di sventure. E storia complessa; qui si dà l’essenziale. Valentiniano III, suo consorte, fu ucciso da due soldati di Ezio, perché l’imperatore - a sua volta - aveva fatto uccidere Ezio (anni 454-455). La famiglia di Eudossia, che aveva chiamato dall’Africa i Vandali, finì per esservi portata in esilio ad opera del vandalo Genserico, dopo avere egli saccheggiato Roma (ne risparmiò le persone e i luoghi sacri, per quanto fu possibile controllare la turba

scatenata dei Vandali); tale scempio durò per ben 15 giorni. La mitigazione del saccheggio si dovette all’intercessione, anche questa volta, di papa Leone. Era la seconda onta che subiva la Città eterna. Ormai il declino e l’agonia dell’Urbe erano inesorabili. Alarico nel 410, alla testa dei Visigoti; Attila, nel 452, radeva al suolo Aquileia, che era la quarta città della penisola e nona nell’impero; Genserico, alla guida dei Vandali, nel 455, espugnava Roma per la seconda volta. Poi sarà la volta di Odoacre con gli Éruli. La penisola italica, ormai, è in mano ai barbari. Non andrà molto (476) che la compagine dell’impero d’Occidente e l’ultima larva di imperatore, Romolo Augustolo (paradossi della storia, o ironia dei vincitori?), scompariranno; tale data, il 476 (ma chissà perché?), verrà assunta ad indicare gli inizi della cosiddetta «età di mezzo». Ma la storia non conosce soluzioni di continuità: per fini scolastici o didattici tale data sarà presa a significare il divario tra il mondo antico e quello di mezzo: età di una lunga, faticosa, lenta assimilazione dell’elemento barbaro ad opera della Chiesa 47.

Tale è il secolo di papa Leone Magno, per il quale potrebbe valere l’aforisma del «già e non ancora». Tanto si dice, perché non sempre papa Leone trova entro le pagine della storia letteraria lo spazio che pure gli competerebbe e che gli sarebbe dovuto. Indiscussa (anche a giudicare da quel poco che s’è potuto vedere) la grandezza della sua personalità nella storia della Chiesa - tra ovest ed est - e nella storia civile dell’età che fu sua; meno rilievo - sembra - gli si è dato nella storia letteraria. Leone - come altri del suo tempo - trova

/ ceppi tonando nel tuo verbo, o Roma» (...).

48  Simonetti, Letteratura..., cit., p. 387; D'Elia, op. cit., p. 162.

49  L. Alfonsi, La letteratura latina medievale, Firenze-Milano 1972, pp. 43-44.

so Cf. nota 1, più di 70 pp. dedica il Moricca a papa Leone I. 51

51  Sono ben tre i voll. del ML (54-55-56) comprensivi di testi, di annotazioni storiche, di commenti... Il 54 raccoglie lettere e discorsi.

difficile collocazione (o interesse) nell’àmbito più propriamente letterario. Colpa dell’età in cui visse? Il secolo V entra appena di striscio nella letteratura cristiana latina (e perché no? anche nella greca) antica, e non è ancora situato entro quella del Medioevo. Così testi di letteratura di indiscussa validità - pensiamo al Simonetti o al D’Elia 48, ma anche all’Alfonsi49 - non concedono grande spazio, nella loro considerazione letteraria, a Leone I. D’altro canto neppure le antologie di patristica, di solito, gli danno grande rilievo; solitamente ci si ferma alla lettera a Flaviano (la 28a) o a qualche testo dei sermoni. Ben altra consistenza concede al papa il Moricca nella sua Storia della letteratura latina cristiana

50

Ciò è assodabile anche per via storica. Leone ebbe il titolo di dottore solo a metà secolo XVIII, quando - curato dai fratelli Ballerini - uscì il primo volume dell’opera letteraria del papa Leone I. È evidente l’intento apologetico sia di Benedetto XIV (che attribuì il titolo di dottore a Leone), sia dei fratelli Ballerini che ne curarono la pubblicazione dell’opera, in quanto intendevano contrapporsi all’edizione di Leone Magno del giasenista P. Quesnel (1634-1719), che pure non si può dubitare che sia stato lavoro particolarmente serio, nonostante i mezzi di cui poteva disporre al suo tempo; si potrà - caso mai - discutere sulla «lettura» data dallo stesso, tenuto conto del fatto che il Quesnel era giansenista. I rilievi, la polemica, l’intento apologetico sono riscontrabili negli inserti assai ampi che sono riportati nei volumi del Migne relativi all’opera di san Leone Magno 51.

6. Dopo Calcedonia (451)

Ma l’attività di guida e di magistero di papa Leone 52 53 54

52     Molte lettere sono indirizzate a Marciano:      78.82.83.

89.90.94...

53     I nomi dei destinatari, cf. in Moricca, op. cit., pp. 1082-1083.

54     Per tali vicende, più ampiamente, in Moricca, op. cit., pp.

non chiude qui. Era il momento di fare i conti con il partito degli eutichiani, che usciva sconfitto - a loro modo di vedere - dal concilio di Calcedonia. Essi avevano riportato l’impressione che Calcedonia avesse smentito per di più il 1° concilio di Efeso (del 431), ossia il «perdente» sarebbe stato - in ultima analisi - san Cirillo di Alessandria. E ad Alessandria appunto iniziarono veri e propri tumulti causati dai monaci monofisiti, ossia di coloro che difendevano ««l’unica natura» del Verbo incarnato. Anche in questo caso le vicende sono complesse e arruffate assai. Si dirà qualcosa.

Dioscoro, cui si doveva imputare la leadership del conciliabolo di Efeso (secondo), a Calcedonia, venne deposto dalla sede vescovile di Alessandria; in sua vece fu scelto il suo arcidiacono, però di specchiata fede ortodossa; portava il nome di Proterio. Fu eletto non senza contrasti tra gli alessandrini. Gli si contrappose addirittura un certo Timoteo, che venne consacrato vescovo di Alessandria da due eutichiani. In una sollevazione popolare - quando il governatore di Alessandria, Dionigi, era assente - Proterio venne assassinato mentr’era in preghiera; il suo corpo fu orrendamente mutilato, smembrato, arso e le ceneri disperse. Altri gravissimi avvenimenti scuotevano la pace di Alessandria, come l’altro tragico fatto dei soldati arsi vivi entro il Serapeo. L’imperatore Marciano, che intrattenne molteplice relazione epistolare con Leone (si veda nell’epistolario) 52, morì nel 457. Morto lui - che aveva sostenuto la necessità della convocazione calcedonese del 451 e ne aveva curato l’esecuzione - la setta degli ««eutichiani» rialzò di nuovo la testa sotto il successore di Marciano, dal nome di Leone pure lui. Il vescovo di Costantinopoli, Anatolio, invitò papa Leone a intervenire presso il nuovo imperatore. Ci fu un fitto scambio epistolare anche con altri personaggi53. Quanto

1081-1083.

55  È stato osservato che i discorsi e le lettere di papa Leone preludono a quel «magistero» papale che ha avuto tanta importanza nella guida della Chiesa; cf. Messale dell’Assemblea cristiana (feriale) al 10 novembre; ediz. del 1974, p. 1863.

all’imperatore, costui fu evasivo. È in questo contesto complicato di rapporti che nasce la lettera 165 all’imperatore Leone e che riprende, in qualche modo, la traccia di quella a Flaviano; lettera pure assai rilevante, e per più motivi: in quanto riprende la precedente, dopo Calcedonia; e perché ripropone la dottrina del papa e del concilio di Calcedonia in un nuovo agitato contesto dogmatico, e perché denota tutta l’attenzione del papa alla questione monofisita. La riportiamo in traduzione, ritenendola una delle più significative.

La crisi, molto complessa - come s’è detto -, trovò una soluzione pacifica quando a Costantinopoli, ad Anatolio, successe il vescovo Gennadio, molto più deciso a chiudere la partita con l’eterodossia monofisita, quando venne - finalmente - messo da parte il Timoteo, soprannominato Eluro (ossia «gatto»), per le pressanti cure di papa Leone, anch’esse documentate da una serie di interventi epistolari 54. Un altro Timoteo, chiamato Solafaciolo (= «dal turbante bianco»), che degnamente successe al martire Proterio, riportò la pace nella Chiesa di Alessandria. A questo periodo si riferiscono le ultime lettere del papa che chiudono l’epistolario leoniano.

Altri problemi che Leone dovette prendere in considerazione e che si riferiscono al suo magistero pontificio riguardano la data della celebrazione della Pasqua, ad esempio, o un’altra serie di relazioni che sono riscontrabili nell’epistolario leoniano, come potrà apparire dai titoli riassuntivi che daremo più avanti.

Si aggiunga poi l’infinita serie dei guai provocati dalle invasioni e dalle scorrerie dei barbari, e si avrà un

56  Più esattamente potrebbe chiamarsi Veronense ; vedi, ad es., L. Eisenhofer-J. Lechner, Liturgia romana, Marietti, Torino 1961, pp. 26-27; Enciclopedia Cattolica, X, coll. 1560-1564 (più ampiamente); inoltre studi di liturgia, ecc. 57 58

57 Si segnaleranno, nello schema offerto, quelle che sono state indirizzate al papa. Sono le seguenti: 3.8.11.21.22.25.26.46.52.53. 55.56.57.58.62.63.64.65.68.73.76.77.97.98.99.100.101.110.132.133.

58  Per i contenuti dogmatici (contro gli eretici priscillianisti), cf. alla nota 14.

quadro sufficientemente esauriente dell’attività svolta ai più diversi livelli da papa Leone. Il grande pontefice chiuse la sua operosa esistenza il 10 novembre del 461, dopo un pontificato durato ben 21 anni, uno dei più lunghi e in tempi calamitosi, di cui s’è cercato di dire qualcosa.

La memoria liturgica del pontefice ricorre nella data del suo trapasso: il dies natalis di un Grande, che è l’appellativo che la posterità gli attribuì, ricorre al 10 novembre 55

Un altro capitolo che qui non trattiamo - esulando per buona parte dal lavoro che intendiamo svolgere - riguarda il cosiddetto Sacramentarium leonianum, per il quale esistono eccellenti trattazioni ad hoc, e alle quali perciò rinviamo 56.

7. L’Epistolario di Leone Magno

Proporremo, in traduzione corrente, le lettere che paiono essere più significative dal punto di vista dogmatico, e in modo tale che ne risulti un corpus sufficientemente consistente che giustifichi il volume della collana.

Ma, almeno schematicamente, non sarà fuor di luogo dare un semplice indice (o poco più) dell’epistolario di papa Leone.

Esso si compone, complessivamente, di 173 lettere ; 30 sono d’altri personaggi che le indirizzarono al papa. Di Leone Magno, dunque, sono 143 le lettere57. L’epistolario scandisce tutta l’attività di Leone. Non ci addentriamo in discussioni sull’ordine relativo alla numerazione (quella del Quesnel e quella - modificata rispetto alla precedente - dei fratelli Ballerini, di cui si dirà nella bibliografia). Nemmeno si pongono - di solito - problemi di autenticità, non essendo questo il luogo, e non essendovene, in

59 Cf. l’inizio dell’Introduzione ; 1: la vita.

pratica, di rilevanti intorno a//’epistolario. Nella proposta seguiamo la scelta dei fratelli Ballerini e riportata successivamente in PL 54, 593-1218.

Lettera 1a: a lanuario (o Gennaro) vescovo, di Aquileia; del 447 ca.; i pelagiani; convocazione di un sinodo; circa la grazia di Cristo; chi non accoglie i decreti della Chiesa circa la grazia, ne sia allontanato; chi è stato ordinato presbìtero in un determinato luogo, deve restare lì.

2a: a Settimo, vescovo di Altino; 442 ca.; i pelagiani si possono riaccogliere nella Chiesa solo dopo che abbiano abiurato all’errore; chi è ordinato, si deve fermare in detto luogo (cf. lettera precedente).

3a: lettera di Pascasino, vescovo di Lilibeo a papa Leone;

del 444; tema: la celebrazione della Pasqua.

4a: ai vescovi della Campania, del Piceno, della Tuscia e ad altri prepositi alle comunità ecclesiali; dell’anno 443; 5 capitoli intorno a problemi morali e giuridici.

5a: ai vescovi metropoliti dell’Illirico; 5 capitoli; come sopra la 4a; niente presbìteri quelli che siano passati a seconde nozze.

6a: ad Anastasio, vescovo di Tessalonica; 6 capitoli, che trattano temi pastorali, giuridici e liturgici.

7a: ai vescovi dell’Italia; si guardino e mettano in guardia i fedeli contro le mene dei manichei.

8a: è l’istruzione degli imperatori Teodosio II e Valentiniano III dal nome di constitutio Valentiniani III (ad Albino, prefetto del pretorio); argomento: ancora dei manichei; dell’anno 445.

9a: a Dioscoro (o Dioscuro), vescovo di Alessandria (che tanti fastidi darà a papa Leone); in 2 capitoli; argomento: delle sacre ordinazioni dei vescovi, presbìteri, diaconi; quando compierle; circa l’iterazione dell’Eucaristia, quando se ne dia necessità.

10a: ai vescovi della provincia di Vienne; 9 capitoli; non è prevalentemente di carattere dogmatico, ma

veda anche più avanti; in Giuliano, Leone ripose grande fiducia e gli affidò molteplici incarichi, parecchi anche delicati; cf. Moricca, op. cit.,

liturgico, giuridico; l’avvicendamento di vescovi; conservare la comunione; indire un sinodo.

11a: è dell’imperatore Valentiniano III; cf.    ottava;

dell’ordinazione dei vescovi; dell’anno 445.

12a: ai vescovi della Mauritania Cesarense; 13 capitoli; problemi liturgici, morali, religiosi; dell’ordinazione di vescovi e presbìteri; condizioni; dell’anno 446; ne esiste una duplice redazione.

13a: ai vescovi dell’Illiria; 4 capitoli; si rallegra perché essi hanno assecondato di buon grado Anastasio (cf. lett. 6), vescovo di Tessalonica; circa le ordinazioni di vescovi; dell’anno 446.

14a: ad Anastasio, vescovo di Tessalonica; 11 capitoli di problemi diversi (istituzionali, giuridici, ecc.); forse dell’anno 445.

15a: a Tur(r)ibio, vescovo dell’Asturia; di contenuto dogmatico, soprattutto contro gli errori dei priscillianisti; molto consistente; 16 capitoli; va esaminata nel testo integro; anno 447; v’è la risposta di Tur(r)ibio 58.

16a: ai vescovi della regione siciliana ; 2 capitoli; il sacramento dell’incarnazione; allegata v’è la lettera 15a.

17a: ancora ai vescovi della Sicilia; di carattere disciplinare; del 447.

18a: a Ianuario (o Gennaro), vescovo di Aquileia, per i clerici che passano all’eresia e poi ritornano alla Chiesa; restano nel grado che avevano prima; del 447.

19a: a Doro, vescovo di Benevento; 2 capitoli; circa problemi nati dall’ordinazione di presbìteri; del 448.

20a: breve lettera ad Eutiche, che si era contrapposto a Nestorio; anche con testo greco; ma - cf. seguente - subito Eutiche nega le due nature del Cristo; anno 448.

21a: di Eutiche a papa Leone; Eutiche nega si diano, in Cristo, due nature; fine 448; al termine: segue la sua professione di fede; poi un testo di un presbìtero romano, Giulio, che Eutiche avrebbe male inteso, cadendo, di conseguenza, in errore.

22a: è di Flaviano, vescovo di Costantinopoli, scritta a

papa Leone; 4 capitoli; bilingue (greco e latino); di contenuto dogmatico; chi segue le sane dottrine dei santi Padri non cade nelle reti di satana; come fanno i subdoli eretici per ingannare gl’incauti; si parla di Eutiche, che non fa altro che riproporre gli errori dell’eretico Valentino e di Apollinare; Eutiche è stato doverosamente deposto; papa Leone renda noto in Occidente detto provvedimento; anni 448/449; della lettera 22a esiste anche una redazione più antica, in latino.

23a: al vescovo Flaviano; 2 capitoli; papa Leone si lamenta della deposizione di Eutiche (che gli aveva scritto querelando il fatto che era stato de posto); occorre ben impostare la questione, perché non ne venga compromessa la verità, ma nemmeno la carità; testo anche greco; dell’anno 449.

24a: all’imperatore Teodosio; 2 capitoli; loda la fede dell’augusto imperatore; espone quello che è stato il lamento di Eutiche; è angustiato del silenzio di Flaviano vescovo; vuol essere messo bene al corrente della questione; del 449.

25a: è di san Pietro Crisologo, vescovo di Ravenna, che scrive ad Eutiche; osserva che già da tempo ci si è pronunciati contro coloro che negano la vera natura dell’incarnazione; lo invita ad ascoltare il vescovo di Roma; 2 capitoli; in latino e greco; forse del 449.

26/: è la seconda lettera di Flaviano a Leone; bilingue; del 449; due redazioni (la più antica in tre capitoli).

27a: breve lettera di Leone a Flaviano; ne ha ricevuto risposta; sempre Eutiche il motivo; del 449.

28a: è la celeberrima lettera a Flaviano, vescovo di Costantinopoli; nella lettera Leone espone l’errore e la malafede di Eutiche; data: 13 giugno 449; 6 capitoli; dogmatica ; bilingue (latino e greco); più ampiamente nel testo; da comparare alla 165a (all’imperatore Leone) a Calcedonia (la definizione del Concilio).

29a: all’imperatore Teodosio II; in vista del sinodo 2° di

p. 1062.

Efeso (quello che sarà, invece, il «latrocinium»); la scelta dei rappresentanti del papa al sinodo; si spera in un ravvedimento dell’errante Eutiche; anche del 13 giugno 449; bilingue.

30a: all’imperatrice Pulcheria; in 3 capitoli; di contenuto dogmatico. Cristo è uomo della nostra natura; gli errori di Nestorio e di Eutiche; mettere in forse la verità della carne (della natura umana) del Cristo, significa distruggere tutto l’edificio della nostra fede; del 13 giugno del 449; bilingue.

31a: ancora a Pulcheria; sempre stessa data, stessi temi (Cristo non è soltanto uomo, ma anche della medesima nostra natura umana; gli errori dell’eretico Eutiche; il modo con cui interviene la sede apostolica); impediscono a papa Leone l’intervento al sinodo di Efeso sia la situazione della penisola, sia la consuetudine che vuole che il papa non sia presente di persona, ma lo faccia per mezzo di legati; l’eresia compromette tutto quanto il simbolo apostolico;    4 capitoli; dunque, di contenuto

dogmatico (e con notazioni storiche, anche relative a Roma, che è il luogo di nascita di Leone, con tutta probabilità)59.

32a: ad alcuni archimandriti di Costantinopoli: a Fausto, a Martino ed altri; bilingue; gli errori di Eutiche, dai quali il papa confida che l’eretico si ravveda, per venire restituito alla comunione ecclesiale; ancora del 13 giugno 449.

33a: diretta ai padri del 2° sinodo di Efeso (quello che, poi, verrà snaturato); 2 capitoli; bilingue; la confessione di Pietro conferma la fede nell’incarnazione; qual è lo scopo di un concilio (togliere l’errore, ricondurre gli erranti alla Chiesa); data: 13 giugno 449.

34a: a Giuliano, vescovo di Cos (nel quale papa Leone

61  Con Anatolio papa Leone dovette portare molta pazienza; si veda nel seguito della corrispondenza; cf. Moricca, op. cit., pp. 1058 ss. Alle ambizioni di Anatolio si deve il canone 28 di Calcedonia.

ha riposto grande fiducia); 2 brevi capitoli, per lamentare il fuorviamento di Eutiche e per dire dei legati che egli invia al sinodo di Efeso; ancora del 13 giugno del 449 60.

35a: ancora a Giuliano, vescovo di Cos; 3 capitoli; di contenuto dogmatico: Eutiche; con le sue dottrine perverse, distrugge i fondamenti della fede; è essenziale riconoscere, in Cristo, le due nature; l’anima del Signore non è venuta prima del corpo; né il suo corpo viene dal niente; il Cristo è compartecipe con l’uomo sia quanto all’anima che quanto al corpo (è «solidale» con l’uomo); data: 13 giugno del 449; in latino e greco.

3&1: a Flaviano, vescovo di Costantinopoli; lo ringrazia per le notizie che gli trasmette relative ad un sinodo tenuto a Costantinopoli in cui si era condannato Eutiche per i suoi errori; insieme accusa ricevuta dei «verbali» trasmessigli relativamente a quella convocazione, nella quale, il 22 nov. del 448, Eutiche (finalmente comparso) era stato anatematizzato; la data della lettera di Leone è il 20 giugno del 449 (si tenga presente la lentezza relativa delle comunicazioni epistolari, in quanto d’inverno la navigazione era ferma).

37a: breve,                        alllmperatore Teodosio    II;   occorre

assolutamente conservare la comunione e l’unità nella fede; perché il papa non può recarsi al sinodo previsto ad Efeso (cf. lettera 31a); data della precedente.

38a: a Flaviano vescovo; ha ricevuto le lettere ; loda la fede del vescovo; se l’errante (Eutiche) rinsavirà, lo voglia riaccogliere; 23 giugno 449.

39a: ancora a Flaviano, lamentandosi del silenzio prolungato di Flaviano; Leone non è stato ancora messo al corrente dello scempio di Efeso (il latrocinium); verso la metà agosto del 449 (l’undici).

40a: ai vescovi della provincia gallica di Arles; gode per la scelta a vescovo di Ravennio; anno 449, agosto.

41a: a Ravennio, vescovo di Arles; lo invita a scrivergli, mentre si rallegra per la sua elezione; come la

precedente il tempo di composizione.

42a: ancora a Ravennio; a proposito di un certo Petroniano diacono che, nella Gallia, va vantandosi d’essere diacono di papa Leone; venga allontanato; del 449.

43a: all’imperatore Tedosio II; il papa aveva desiderato che un concilio si tenesse in Italia, anziché altrove; l’infamia del pseudosinodo di Efeso; è una ferita che colpisce tutta la Chiesa; bilingue; data: 13 ottobre 449.

Un’altra versione della stessa lettera a Teodosio imperatore, ma non è il testo originale, risultando - attraverso gli atti di Calcedonia - parte dell’epistola 44a.

44a: a Teodosio imperatore; 3 capitoli; circa il «brigantaggio» di Efeso (la definizione di «latrocinium», di Leone, è alla lettera 95a, 2); cf. la precedente; racconta come Ilario, suo delegato, diacono, sia riuscito ad evadere e tornare a Roma (cf. lettera 46a); si stia alle definizioni dei sinodi precedenti, fintantoché non si celebri un concilio generale in Italia; 13 ottobre 449; latino e greco.

45a: all’imperatrice Pulcheria; 3 capitoli; stessi concetti espressi nella precedente all’imperatore; il papa associa a sé, nel giudizio, il sinodo che si celebrava a Roma; in latino e greco; stessa data.

46a: è di Ilario (o Ilaro) diacono, delegato a quello che doveva essere il sinodo 2° di Efeso; lettera indirizzata - al suo rientro a Roma - all’imperatrice Pulcheria. Racconta come non gli fu possibile, dopo il misfatto di Efeso, di recarsi da lei e di porgerle le lettere di cui era latore da parte del papa Leone (fu per colpa degli uomini facinorosi di cui si era circondato Dioscoro); sottrattosi agli inganni di Dioscoro, racconta come sia riuscito ad evadere e ritornare a Roma, dove Leone respinse subito gli atti del conciliabolo; in latino e greco; dello stesso tempo della precedente.

47a: ad Anastasio, vescovo di Tessalonica; 2 brevi capitoli, per rallegrarsi con lui che non sia stato presente ad Efeso; lo invita a mantenere intatta la

fede, di stare accanto a Flaviano (Leone non sa che Flaviano è deceduto) e a confermare i suoi fratelli nella fede; sempre 13 ottobre 449.

48a: a Giuliano, vescovo di Cos; «biglietto da visita» a consolarlo dopo il fattaccio di Efeso; perseveri nella fede; 13 ottobre 449.

49a: altro breve ««biglietto da visita» a Flaviano, vescovo di Costantinopoli (Leone non sa che è morto); intende consolarlo e promettergli il suo appoggio; 13 ottobre 449.

50a: lettera indirizzata ai cittadini fedeli di Costantinopoli per mezzo dei due Epifanio e Dionisio; 2 capitoli; bilingue; sempre al centro le considerazioni successive al «conciliabolo» di Efeso; invita i fedeli di Costantinopoli a stare quanto mai vicini al loro vescovo Flaviano; li vuole consolare anche della sofferenza provocata dall’ingiusta deposizione di Flaviano; 15 ottobre 449.

51a: associandosi il sinodo che si sta celebrando a Roma, indirizza la lettera a Fausto, archimandrita e agli altri dello stesso grado che sono a Costantinopoli; li esorta a perseverare nel bene, in modo particolare nella fede e nella carità; riprova quanto è avvenuto ad Efeso nell’estate; in latino e greco; 15 ottobre 449.

52a: è di Teodoreto, vescovo di Ciro, a papa Leone; 1 capitoli; latino e greco; verso la fine del 449. Questa la sintesi: 1) a buon diritto egli ricorre alla sede apostolica, che è al di sopra di ogni altra; 2) loda il papa, anche per la sua opera in difesa della fede contro i manichei; elogia la lettera (la 28a) che il papa ha indirizzato a Flaviano; 3) lamenta la deposizione, senza che gli sia stata concessa possibilità di difesa, di Flaviano; 4) racconta le fatiche che egli (Teodoreto) incontra a pro della

62  Anche le relazioni con Teodosio II furono spesso tese, specie per il conciliabolo di Efeso; cf. dall'epistolario e Moricca, op. cit., soprattutto p. 1058. Cf. nota 42.

Chiesa; 5) la sua propria fede risulta dagli scritti composti per la difesa dell’ortodossia; dato che si appella al papa, spera di non essere respinto; 6) vorrebbe sapere da Leone cosa pensi del ««conciliabolo» di Efeso, e che debba fare; 7) raccomanda al papa i suoi legati; c’era stato un tentativo dell’imperatore perché Teodoreto non si appellasse a Roma.

53a: è un frammento di una lettera scritta da Anatolio, successo a Costantinopoli a Flaviano; parla della propria consacrazione a vescovo di Costantinopoli; scritta sul finire del 449; latino e greco 61.

54a: all’imperatore Teodosio II; professa la sua fede in Nicea (325); condanna parimenti gli errori sia di Nestorio come quelli di Eutiche; vuole che si tenga un sinodo (riparatore) in territorio italiano; scritta il 25 dicembre del 449.

55a: è di Valentiniano III imperatore all’augusto Teodosio; ha voluto rispondere alle sollecitazioni di papa Leone, perché intervenga presso l’imperatore di Costantinopoli; in latino e greco; febbraio 450.

56a: è di Galla Placidia imperatrice all’imperatore d’Oriente Teodosio; argomento, cf. precedente; in latino e greco; tempo di composizione: cf. precedente.

57a: è di Licinia Eudossia imperatrice, sempre indirizzata a Teodosio; lo scompiglio che è successo nella Chiesa a causa di Efeso 2°; rivalità di Alessandria nei confronti di Costantinopoli; la sofferenza di Flaviano vescovo; tempo: come le precedenti.

58a: lettera di Galla Placidia (cf. 56P) all’imperatrice Pulcheria; contro il sinodo secondo efesino (del 449); cosa non gli è riuscito di combinare! In latino e greco, composta come la precedente.

59a: al clero e al popolo di Costantinopoli; solo testo latino; 5 capitoli, dal seguente contenuto: 1) si congratula in quanto aderiscono al loro vescovo Flaviano, facendo resistenza all’errore; 2) la verità del corpo di Cristo è anche percepibile e comprensibile guardando al mistero eucaristico; 3) è dimostrabile anche in base alla esaltazione del

Signore al di sopra di ogni realtà (cf. Ef. Ep 1,15-23) e da quanto egli operò e soffrì in ragione del corpo assunto; 4) l’incarnazione fu necessaria per cancellare la colpa di Adamo; del resto, fu anche annunciata da varie profezie; 5) sono parecchi gli errori contro la fede che si contrappongono a quanto è incluso nel mistero redentivo dell’incarnazione; marzo del 450.

60a: all’imperatrice Pulcheria: l’eresia di Eutiche sovverte tutte le fondamenta della fede; è necessario che anche Pulcheria si adoperi al fine di poter celebrare un concilio contro l’eresia; 17 marzo del 450.

61a: ai presbìteri Fausto e Martino, archimandriti di Costantinopoli (favorevoli a Flaviano); 2 capitoli; dice di inviare loro delle lettere; li esorta a sostenere la causa della fede; dimostra loro tutta la sua sollecitudine; 17 marzo 450.

62a: l’imperatore Teodosio II risponde a Valentiniano III (cf. lett. 55); in latino e greco; aprile del 450.

63a: ancora Teodosio che risponde a Galla Placidia (cf. lett. 56); pressappoco dello stesso tempo; latino e greco.

64a: Teodosio II ad Eudossia Licinia (cf. lett. 57); latino e greco; stesso tempo, circa.

65a: suppliche inviate a papa Leone dai vescovi della provincia ecclesiastica di Arles; di natura giuridica circa privilegi; del 458, forse.

66P: risposta di papa Leone ai vescovi della provincia ecclesiastica di Arles (cf. precedente); problemi di precedenza tra Arles e Vienne; limiti territoriali dei due metropoliti; 450.

67a: a Ravennio, vescovo di Arles, cui invia il tomo (la lett. 28a) a Flaviano e un testo di Cirillo di Alessandria (forse il testo che PL 54 pone dopo la 2a lettera, coll. 601-606; cf.), oppure: a difesa della memoria di Cirillo; invita Ravennio a farsi diffusore di detti documenti relativi all’eresia di Eutiche;

63  Ben diversi i rapporti che si istaurarono tra papa Leone e l'imperatore Marciano; ciò è evidente dall'epistolario di Leone e di Marciano, come si vedrà.

64  Come si ha da altre lettere papa Leone era dell'avviso che si

maggio 450.

68a: alcuni vescovi della Gallia dicono di avere avuto la lettera del papa a Flaviano (la 28a); detta lettera è stata letta nelle assemblee; mandano un loro documento perché Leone lo esamini; 2 capitoli; maggio 450.

69a: a Teodosio II imperatore; parla di Anatolio scelto a succedere a Flaviano; il papa sospende il suo assenso per l’elezione; vuole, prima, averne la professione di fede; vuole essere sicuro che Anatolio ha tagliato i ponti con gli eretici; gli manda dei legati; torna sulla volontà che si celebri un sinodo generale in Italia; 2 capitoli; 16 luglio 45062. 70a: all’imperatrice Pulcheria; simile a quella indirizzata a Teodosio (la preced.); attende la professione di fede di Anatolio; è necessario che un sinodo generale tolga lo scandalo di Efeso 2°; 16 luglio 450.

71a: agli archimandriti di Costantinopoli, ancora per Anatolio (che non s’è fatto sentire, né si sa di che tenore sia la sua professione di fede) (cf. le due preced.); 17 luglio 450.

72a: a Fausto presbìtero e archimandrita (uno dei destinatari della precedente; e cf. lett. 61); anno 450, non ulteriormente precisabile il tempo; in latino e greco; contenuto: elogia Fausto e lo esorta a non arrossire dell’evangelo (cf. Rom. Rm 1,3 Rom. Rm 1,16 1Gv. passim ).

73a: è degli imperatori Valentiniano e Marciano, che ragguagliano Leone della loro avvenuta elezione; convengono sulla convenienza di assecondare il papa nella celebrazione di un sinodo generale; ago- sto/settembre 450; bilingue; breve.

74a: a Martino presbìtero e archimandrita di

Costantinopoli (cf. lett. 61), favorevole a Flaviano; è un onore soffrire a causa della verità; la verità non conosce confini; accenno ai suoi legati; 13

tenesse un sinodo al fine di riportare la pacificazione entro le comunità ecclesiali; ma assolutamente non si doveva tornare sulle definizioni dogmatiche di Nicea e di Efeso: la fede non è «trattabile» o «rivedibile». Inoltre il papa avrebbe gradito che l'incontro venisse

settembre 450.

75?: ai presbìteri Fausto e Martino (cf. lett. 61.72.74); 2 capitoli; quanto è successo ad Efeso (449) è enorme ed è gravissima offesa alla retta fede; sia Nestorio che Eutiche stanno dalla parte dell’anticristo; la fede della Chiesa è che nel Verbo incarnato non v’è un’unica natura (ma due: Figlio di Dio, Figlio dell’uomo) ma un’unica persona; 8/9 novembre 450.

76?: di Marciano imperatore, a papa Leone; assieme ad Avieno ha accolto con molta gioia gli inviati del papa; si faccia ogni sforzo per indire il sinodo, là dove Leone indicherà conveniente celebrarlo; latino e greco; 22 novembre 45 0 63.

77a: è dell’imperatrice Pulcheria a papa Leone; lo ragguaglia sulla professione di fede emessa (finalmente!) da Anatolio, secondo la retta fede di Flaviano di v. m., il cui corpo è stato tumulato entro la basilica degli Apostoli a Costantinopoli; molti vescovi, già banditi al momento del «conciliabolo» di Efeso, sono tornati alle loro sedi; ritiene più conveniente che il futuro sinodo generale si celebri in Oriente; novembre 450; bilingue.

78a: all’imperatore Marciano, per ringraziarlo della lettera (76a) e per la sua fedeltà alla Chiesa; 13 aprile 451.

79a: all'imperatrice Pulcheria; 3 capitoli, che fanno seguito a ciò che è detto nella 77a: l’emarginazione di Nestorio e di Eutiche: perciò la ringrazia; il ritorno dei vescovi alle loro sedi; l’avere voluto riportare a Costantinopoli i resti mortali di Flaviano fa onore all’imperatrice; di coloro che sono in comunione con la sede apostolica, come Eusebio di Dorilea e Giuliano di Cos e di altri che stettero dalla parte di Flaviano; 13 aprile del 451.

80a: ad Anatolio, vescovo di Costantinopoli; 4 capitoli, il cui contenuto è il seguente: 1) la professione di fede tanto attesa (cf. lett. 77) del vescovo Anatolio; 2) di coloro che hanno aderito, per paura, all’eresia; a quali

differito di qualche tempo (cf. lettera 89a), data la situazione della penisola italica (si era al tempo in cui Attila la stava minacciando); i

condizioni possono ritornare nella comunione; 3) non si devono ricordare nei dittici né Dioscoro, né Giovenale (di Gerusalemme), né Eustazio (vescovo di Beiruth); 4) deve avere invece, nella più grande stima Giuliano, vescovo di Cos, e tutti quanti coloro che aderirono già a Flaviano; 13 aprile del 451.

81a: a Giuliano, vescovo di Cos; ha sofferto parecchio per causa di Dioscoro; solo se ravveduti, i «lapsi» nell’eresia di Eutiche, vengano riaccolti nella comunione ecclesiale; 13 aprile del 451.

82a: all’imperatore Marciano; 2 capitoletti; si allieta; il merito non può non ridondare anche a vantaggio dell’impero; la questione da trattare riguarda soltanto chi ha sbagliato; essa non tocca minimamente né la fede già definita, né la Scrittura; la autentica interpretazione di questi due pilastri è già nei Padri, dai quali è impossibile discostarsi; data: 13 aprile del 451.

83a: ancora a Marciano: si felicita con l’imperatore per più ragioni: per la professione di fede finalmente espressa da Anatolio, per la condanna di Eutiche, per il ritorno dei vescovi alle loro sedi, per avere riportato le reliquie di Flaviano, uomo meritevole di ogni elogio; è intenzione del papa di inviare dei legati per riconciliare nella comunione i vescovi erranti; non è ancora tempo di pensare alla convocazione di un concilio (da tenersi nell’est, anziché in Italia, come pure avrebbe voluto il papa); 9 giugno del 45 1 64.

84a: all'Imperatrice Pulcheria; 3 capitoletti: 1) manderà suoi legati con il compito di trattare la questione

vescovi dell'Occidente difficilmente - in tali congiunture - avrebbero potuto lasciare le loro sedi. Forse c'era anche un'altra ragione (non confessata) per celebrare l'assise in Occidente: seguire l'adunanza più da vicino. Tutto questo dice - con grande rispetto ed abilità - il papa all'imperatore; cf. Moricca, op. cit., p. 1061.

65  La determinazione della data della Pasqua può apparire a noi questione di non grande rilevanza; ma va ricordato, invece, che assumeva notevolissimo rilievo, fin dai primi decenni del cristianesimo. Si ricorderà dell'intervento pacificatore di sant'Ireneo presso papa

degli eretici con grande prudenza e moderazione; chi nega la connaturalità del Cristo con noi, si pone fuori della comunione; Eutiche - la causa di tanto sconquasso - venga mandato in regioni remote, perché non abbia ad esercitare ancora il suo nefasto influsso; al suo posto si ponga un archimandrita presbìtero di sicura ortodossia; 9 giugno 451.

85a: ad Anatolio, vescovo di Costantinopoli; 3 capitoletti; come riaccogliere quanti hanno fuorviato nella fede per paura degli eretici, e a quali condizioni (dopo una professione sicura della fede); il papa riserva a sé il caso dei leaders dell’eresia; non se ne proclamino i nomi nei dittici; risponde alle istanze del vescovo, lo invita ad essere zelante; gli riferisca poi ogni cosa per filo e per segno; 19 giugno del 451.

86P: a Giuliano, vescovo di Cos: in forza dell’amicizia che li lega, per il bene della Chiesa, lo invita ad accogliere i suoi inviati, per svellere le ultime radici

Vittore I che aveva scomunicato le comunità cristiane dell'Asia Minore (dei quartodecimani) che celebravano la Pasqua in data fissa, al 14 di nisan. Sulla determinazione della data intervenne anche una disposizione del concilio di Nicea (325), che fissò la celebrazione del mistero pasquale nella domenica dopo il plenilunio di marzo. Il calcolo che finì per prevalere fu quello alessandrino, accolto dalla Chiesa di Roma (ma la questione fu dibattuta, in qualche luogo, fino al sec. IX; cf. Eisenhofer-Lechner, op. cit. , pp. PP 146-147). Per papa Leone si vedano anche le lettere 3.121.122.133.138.142; altre notizie in Moricca, op. cit., p. 1088. Anche il Concilio Vaticano II è tornato sulla questione del calendario, in una dichiarazione in appendice alla Costituzione Liturgica (4 dicembre 1963).

66  Cf. lettere 88.89 e ss. fino alla 95a. È un intenso scambio epistolare; la posta in gioco essenziale; papa Leone (che non ha dimenticato l'infelice esito del conciliabolo di Efeso) vuole che ogni cosa proceda bene; data la ristrettezza del tempo di preparazione dell'assise sinodale, qualche timore si giustifica. 67 68

67  Oculata era stata anche la scelta dei legati a quello che avrebbe dovuto essere il sinodo efesino 2°; se le cose erano andate male, non dovevano essere imputate alle persone scelte dal papa.

68  Il senso di moderazione, il compito della Chiesa di essere madre anche con gli erranti che desiderano tornare in seno ad essa, il

dell’eresia; 9 giugno 451.

87a: ad Anatolio, vescovo di Costantinopoli:     gli

raccomanda i due presbìteri Basilio e Giovanni, che erano venuti da lui a Roma, per scagionarsi dell’accusa di eresia e a dar conto della loro fede; 19 giugno del 451.

88a: a Pascasino, vescovo di Lilibeo (Sicilia occid.); lettera dal contenuto prevalentemente dogmatico; in 4 capitoli; 1) gli invia la lettera 28a; 2) contro Eutiche: in Cristo vi sono due nature (la divina e l’umana); 3) gli manda copia abbondante di «materiale» tolto dai santi Padri relativamente all’incarnazione del Signore; i vescovi delle Chiese d’Oriente hanno sottoscritto la lettera da lui inviata a Flaviano di v.m.; 4) per determinare la data della Pasqua del 455 occorre fare delle accurate indagini ad opera di competenti; 24 giugno del 452 65.

89a: all’imperatore Marciano; i suoi delegati al concilio generale, con tutte le facoltà necessarie, anche se il papa avrebbe preferito sapere rinviata di qualche tempo l’assise, ciò al fine di sradicare

completamente gli epigoni sia di Nestorio che di Eutiche; così verrà ristabilita l’unità e la pace nella Chiesa; 24 giugno del 451.

90a: ancora a Marciano: per il concilio convocato in prima istanza a Nicea, ma poi trasferito a Calcedonia; 2 capitoli: 1) era conveniente differire la celebrazione dell’assise; 2) non va messa in discussione la fede (quasi che si potesse dubitarne); restano i caposaldi posti a Nicea (325); 26 giugno del 451 66.

91a: ad Anatolio, vescovo di Costantinopoli; anche se il tempo a disposizione per la convocazione del sinodo è alquanto ristretto, pure egli invia i delegati che ne faranno le veci; data: 26 giugno del 45 1 67.

perdono,... sono elementi - come si può vedere spesso - tanto presenti nell'epistolario leoniano; del resto risponde ad un preciso comando del Signore; una citazione per tutte: Mt. 18, 15-20 con i testi paralleli: Lev. 19, 17; Lc. 17, 3; Gal. 6, 1;...

92a: a Giuliano, vescovo di Cos: lo invita a prendersi cura dei suoi legati al concilio; anch’egli è delegato accanto ai vescovi Pascasino e Lucenzio, e ai presbìteri Bonifacio e Basilio; 26 giugno 451.

93a: lettera bilingue indirizzata ai Padri del sinodo convocato a Nicea; 3 capitoli: 1) la situazione di Roma e la consuetudine del vescovo di Roma gl’impediscono di essere presente di persona al sinodo che andrà celebrato; ma i suoi delegati ne terranno il posto e faranno le sue parti (è il modo con cui si rende presente lui stesso); 2) si devono mettere a tacere coloro che prendono di mira la retta fede; 3) si ricordi il sinodo di far sì che tornino alle proprie sedi, quelli che ne erano stati allontanati ingiustamente dal «latrocinio» di Efeso; quanto già statuito contro Nestorio e contro Eutiche continua ad avere forza e vigore; data: 26 giugno 451.

941: all’imperatore Marciano, cui affida i delegati al sinodo; ma un punto deve rimanere fisso: non si metta in discussione la fede: basta attenersi alla Scrittura e ai Padri; 20 luglio 451.

95a: all’imperatrice Pulcheria, in 4 capitoli; 1) ha inviato i suoi rappresentanti, anche se avrebbe preferito che si celebrasse il concilio in Italia; 2) nei processi ecclesiastici va sempre conservato il criterio della moderazione: quello che fu del tutto assente ad Efeso (al «latrocinio»); 3) il papa assicura di non aver mai rifiutato il perdono ai pentiti; 4) se anche i capofila dell’eresia chiedono d’essere perdonati, non si deve negare loro la riconciliazione; ma è il caso di procedere con i piedi di piombo; 20 luglio 451 68.

96a: a Ravennio, vescovo di Arles; sulla celebrazione della Pasqua occorre essere tutti d’accordo; è il papa che indicherà la data della Pasqua del 452; data della lettera: luglio del 451.

97a: è una lettera sinodica di vescovi dell’Italia settentrio-

dal papa stesso (cf. lettere 104.105.106; 110 di Marciano imp., e 114.119), riflessioni più ampie in Moricca, op. cit., 1067-1069. Per l'assenza del vescovo di Alessandria (Dioscoro era stato deposto), cf. Moricca, op. cit., pp. 1064 ss.

naie della regione ovest, presentata da Eusebio, vescovo di Milano; una ventina i vescovi firmatari (o chi per loro: MI, Re, PC, BS, Ortona, PV, TO, CO, GE, NO, CR, Lodi, AT, Bressanone? VC, BG,...); la percorre il ritornello (ad ogni firma): Anathema dicens his qui de incarnationis Dominicae sacramento impia senserunt. Eusebio di MI si rallegra per il ritorno dei vescovi e delegati dall’Oriente; assicura che è stata letta e approvata da tutti la lettera di papa Leone a Flaviano; tutti sottoscrivono la condanna degli eutichiani; agosto o settembre del 451.

98a: si tratta degli atti del santo sinodo di Calcedonia trasmessi al papa; bilingue; divisa in 4 capitoli; la natura della lettera, più che dogmatica, è storica; questo il contenuto essenziale: 1) l’assemblea sinodale loda il papa Leone, che è l’interprete autorizzato dell’apostolo Pietro; nei delegati del papa il sinodo ha accolto la loro voce come voce del papa stesso; 2) la funesta opera di Dioscoro, vescovo di Alessandria; 3) a quali interventi il sinodo abbia inteso fare ricorso nei riguardi di Dioscoro; 4) il concilio ha inteso anche sottolineare la posizione singolare della sede di Costantinopoli, la «seconda Roma»; è vero che i rappresentanti del papa hanno fatto opposizione a tale scambio di primato (rispetto ad Alessandria ed Antiochia): perciò i padri conciliari attendono, fiduciosi, l’approvazione del papa.

Della stessa lettera (con testo latino) esiste anche un’altra versione, più antica; in questa, seguono le firme, a cominciare da quella di Anatolio, vescovo

di Costantinopoli, poi Massimo, vescovo di

Antiochia, quindi Giovenale, vescovo di

Gerusalemme; in totale 65 nominati, quindi reliqui 70

70  Non si può certo dire che Anatolio non sia stato un attendista e un opportunista; cf. per la nota 61. Vedi lettere 104.105.106. 107 e altrove.

omnes. Si spiega l’assenza di Alessandria, dato che era intervenuta la deposizione di Dioscoro. L’augurio che accompagna le firme è abbastanza stereotipo: Valere me in Domino, ora sanctissime et beatissime pater, o uno assai simile a questo 69.

99a: è la lettera sinodale dei vescovi della Gallia, in particolare di Ravennio (cf. lett. 40.41.67); in 5 capitoli, corredata da 44 firme. Chiedono scusa per il ritardo con cui rispondono; tutti, in Gallia, han fatto propria la lettera di Leone a Flaviano (lett. 28a); vi è bene esposto il mistero arcano dell’incarnazione; pur avendo ricevuto dei messaggi dall’Oriente, hanno creduto opportuno non rispondere all’imperatore; per la Chiesa papa Leone è un dono grande di Dio; nella lettera non è detto, al nome dei vescovi, di quale sede essi siano pastori; il saluto - ad ogni firma - è un po’ più variato rispetto alle due precedenti (il più comune è: beatitudinem vestram saluto, oppure: sanctitatem tuam in Domino saluto, o altre dello stesso tenore).

100a: è dell’imperatore Marciano al papa; è in due esemplari; il secondo è corredato anche dal testo greco. Il saluto iniziale è eguale alla lett. 73a, dove a Marciano si associa pure Valentiniano III. Questi i contenuti essenziali dei 4 capitoletti: 1) l’imperatore si allieta perché a Calcedonia è stata rafforzata la fede e restituita alla Chiesa la pace; 2) la fede del sinodo ha preso come riferimento obbligato il testo di papa Leone a Flaviano; 3) chiede che alla sede di Costantinopoli sia riconosciuto il secondo posto, dopo Roma; 4) la domanda gli verrà inoltrata dai rappresentanti del papa a Costantinopoli, Luciano e Basilio, rispettivamente vescovo e diacono; Marciano intende richiamarsi, per tale riconoscimento, alla memoria di Teodosio I, il 71 72

71     Non si comprende bene perché PL divida la lettera in 3 capitoli.

72  In PL 54, 1011, nella data, va letto 11 giugno 452, non 432 (ma il testo di PL è ricco di errori tipografici).

grande; data: 18 dicembre 451.

101a: è di Anatolio, vescovo di Costantinopoli, al papa di Roma; bilingue in 5 capitoli, dal seguente contenuto: 1) lo zelo di papa Leone ha abbattuto la protervia degli eretici; parla degli atti del sinodo trasmessi a Roma; 2) assieme ad altri atti del sinodo, anche Anatolio ha voluto inviare al papa degli uomini fededegni; la condanna di Dioscoro; 3) tutti - al sinodo - hanno accolto con riconoscenza la lettera di Leone; parla poi della definizione dogmatica avvenuta al sinodo; 4) di altri problemi agitati al sinodo, in particolare la concessione - ad opera dei padri sinodali - dell’onore di Costantinopoli di figurare al secondo posto, dopo Roma (è il canone 28); 5) i rappresentanti del papa hanno fatto opposizione - è vero -; pure Anatolio chiede che sia confermato il privilegio; tempo di composizione: come la 100a 70.

102a: indirizzata ai vescovi della Gallia (ne sono riportati i nomi: 44 vescovi) in 5 capitoli: 1) dichiara di avere ricevuto la loro lettera piena di santa dottrina; 2) il sinodo celebrato a Calcedonia; quando è in questione la fede, i ragionamenti umani devono lasciare il posto; 3) evitare due scogli: gli errori di Nestorio come gli errori di Eutiche; 4) il sinodo era pienamente concorde con papa Leone; di qui l’ostracismo inflitto a Dioscoro; per tutto ciò occorre ringraziare il Signore; pregare perché tornino i legati; i vescovi della Gallia si facciano i primi messaggeri della vittoria della fede ai confratelli della Spagna; 27 gennaio 452.

103a: a dei vescovi della Gallia (tre nominati: Rustico, Ravennio, Venerio, i primi della lista della lett. 99a), ai quali invia le conclusioni del sinodo di Calcedonia, relativamente ad Eutiche e Dioscoro; febbraio 452.

73     Per Giovenale, vescovo di Gerusalemme, cf. lettere 126.139.

74     E non del 433 come si ha in PL (errore tipografico).

75     Cf. nota 61.

104a: all’imperatore Marciano; bilingue; 5 capitoli relativi alle ambizioni di Anatolio, vescovo di Costantinopoli, anche in seguito al canone 28 del concilio di Calcedonia; 22 maggio 452.

105a: all’imperatrice Pulcheria; come la precedente, celebrata la vittoria della fede, passa ad impugnare le pretese di Anatolio, perché non si deve contravvenire ai canoni del concilio di Nicea (325); 4 capitoli (solo latino).

106a: ad Anatolio, relativamente alle sue mire (cf. due preced.); il concilio di Calcedonia è stato convocato soltanto per motivi di fede; se va elogiata la fede di Anatolio, va però respinto ogni suo sforzo per mettersi sopra agli altri; i canoni di Nicea vanno rispettati; il posto di Alessandria resta, nonostante che Dioscoro abbia fatto quel che ha fatto; Costantinopoli ha già un suo prestigio che le viene dall’essere sede dell’impero d’Oriente; ciò le è più che bastante alla sua gloria; 6 capitoli, in latino e greco; data: 22 maggio 452.

107a: a Giuliano, vescovo di Cos; lo rimprovera per quanto è successo a Calcedonia, quando si volle dar la precedenza a Costantinopoli con danno delle altre sedi, perché anche Giuliano ha fatto propria l’ambizione di Anatolio; Nicea, per quanto ha fissato in proposito, non può essere toccata; breve 71 ; 22 maggio 452.

108a: a Teodoro, vescovo di Cividale del Friuli (che va sostituendo Aquileia, dopo la distruzione operata da Attila); relativa alla disciplina della penitenza (riconciliazione); 6 capitoli72.

109a: a Giuliano, vescovo di Cos; parla - in 4 capitoli - dei monaci palestinesi che propendono per l’eresia eutichiana, i quali hanno creato disordini e confusione, resta - come unico rimedio - spedirli in 76

76  Come si vede, sul canone 28 del concilio di Calcedonia il papa ritorna più e più volte; egli intende tutelare non interessi o prestigio propri, ma delle sedi patriarcali più venerande: Alessandria, Antiochia, Gerusalemme; anche tale intervento fa parte del compito

esilio; gli invia la lettera che sant’Atanasio scrìsse ad Epitteto; parla anche del vescovo di Gerusalemme, Giovenale, scacciato dai monaci della zona, dopo che pure lui li aveva assecondati nell’eresia, mentre al suo posto ne hanno collocato un altro di loro gradimento; lettera più

storico/disciplinare che dogmatica; scritta il 25 novembre del 452 73.

110a: è dell’imperatore Marciano al papa; in latino e greco; chiede che confermi il sinodo calcedonese, perché indispensabile; ha l’impressione che il papa avrebbe dovuto rispondere per tempo, date pure le tante lettere di vescovi, scritte dopo la celebrazione del sinodo (forse il papa ha tergiversato a motivo del canone 28, che dà la preminenza a Costantinopoli sulle altre Chiese patriarcali dell’Oriente); che il temporeggiare di Leone non finisca per dare esca ad Eutiche e soci; scritta il 15 febbraio del 453 74.

111a: all’imperatore Marciano; dice che la professione di fede di Anatolio ne conferma l’ortodossia, rimovendo ogni sospetto sul suo conto; strano però che abbia rimosso dal suo ufficio di protodiacono Ezio, chiarissimamente contrario agli errori di Nestorio e di Eutiche, per rimpiazzarlo con un eutichiano, qual è Andrea! Veda l’imperatore di ridurre Anatolio a maggiore chiarezza ed onestà; veda, invece, di servirsi di Giuliano di Cos; è sempre presente la cara memoria di Flaviano; 10 marzo del 45 3 75.

112a: all’imperatrice Pulcheria per la sostituzione di Ezio con Andrea (cf. lettera preced.); si ristabilisca l’ordine precedente; 10 marzo 453.

113a: a Giuliano, vescovo di Cos; ancora la questione di Ezio e Andrea a Costantinopoli; 4 capitoli; come per le lettere 109-112, per i due personaggi nominati. Si aggiungono considerazioni circa la costanza di Giuliano; il giusto rimprovero rivolto da Marciano ad Anatolio; i disordini che monaci van sollevando sia in Palestina che in Egitto; è

opportuno che la lettera a Flaviano e gli atti di Calcedonia siano volti in latino; 11 marzo 453.

114a: lettera enciclica rivolta ai padri sinodali di Calcedonia; in due lingue; 2 capitoli: 1) è perfettamente d’accordo quanto il sinodo di Calcedonia ha stabilito in ragione della fede; 2) non è assolutamente d’accordo circa quei canoni (specie il 28) che contravvengono ai dettati del concilio di Nicea; a Nicea i canoni furono sottoscritti da ben 318 padri; a Costantinopoli, invece, s’è dato retta all’ambizione di Anatolio e (forse) dell’imperatore o di altri; il papa si sente custode anche della fede cattolica e delle tradizioni dei padri; 21 marzo 453.

115a: a Marciano imperatore; 2 capitoli, testo latino e greco; ringrazia l’imperatore per avere concorso a restituire la pace alla Chiesa, per aver rintuzzato la tracotanza degli eretici, per aver ridotto le ambizioni di Anatolio; Marciano ha cercato di frenare l’irruenza stolta dei monaci. Il papa dice di avere inviato ai vescovi delle Chiese la propria approvazione del sinodo di Calcedonia; data: 21 marzo del 453.

116a: all’imperatrice Pulcheria; la ringrazia per il contributo dato per il buon esito del sinodo calcedonese; la informa d’avere scritto ai vescovi presenti là, confermando il suo consenso (cf. 114a); anche questa, 21 marzo 453.

117a: a Giuliano, vescovo di Cos: un poco i temi trattati nelle precedenti: la ratifica di Calcedonia per sottrarre ai monaci un’arma di cui abusavano; ha dato soddisfazione all’imperatore, per la questione dei monaci; gli ha dato una mano anche l’imperatrice Pulcheria; mentre, su suggerimento

affidato al vescovo della Chiesa di Roma. 77 Cf. alla nota 65.

78 Cf. alle note 61 e 68.

dell’imperatore, ha dovuto richiamare l’imperatrice Eudossia (moglie di Valentiniano III, in Occidente); poi della rimozione di Ezio, delle ambizioni di Anatolio, della lettera scritta ai padri del sinodo di Calcedonia; 21 marzo 453.

1183: altra lettera a Giuliano di Cos: non ha lasciato nulla di intentato per ciò che tocca la fede; compito della predicazione è dei presbìteri, non dei monaci; l’intervento dell’imperatore concorrerà certo a riportare la calma là dov’essa è posta in forse, soprattutto ad Alessandria; 2 aprile del 453.

119a: a Massimo, vescovo di Antiochia; 6 capitoli, del seguente tenore: 1) la fede non è negli estremi, ma nel giusto mezzo; 2) Massimo ha il compito di invigilare tra le Chiese dell’Oriente perché sia conservato integro il deposito della fede; 3) non si devono toccare i privilegi delle sedi patriarcali già fissati a Nicea; 4) le ambizioni di Anatolio al fine di sconvolgere la gerarchia delle Chiese (i canoni) già fissata a Nicea; 5) se qualcosa è stato determinato a Calcedonia che non riguardi la fede, ciò deve essere considerato nullo; 6) nessun altro al di fuori del vescovo può assegnare il compito di predicare; ciò compete solo ai presbìteri; data: 14 giugno del 453 76.

120a: a Teodoreto, vescovo di Ciro; lettera suddivisa in 6 capitoli, di una certa consistenza; 1) le eresie sorgono nel seno della Chiesa (forse anche con sua utilità), ma occorre respingerle senza tornarci più sopra (senza compromessi); 2) la vittoria sull’errore è vittoria riportata da Cristo, anche se è la Chiesa che trionfa; 3) insania di Dioscoro anche contro il papa; 4) quando si parli o scriva di realtà attinenti alla fede, occorre misurare le parole; 5) anche dopo il trionfo sull’eresia è necessario essere sempre vigili; 6) nessuno si può arrogare il diritto della predicazione salvo chi è presbìtero (cf.

preced.); l’ortodossia  di Teodoreto è fuori

discussione: ne ha dato ripetutamente prova prendendo chiara posizione contro gli eresiarchi Nestorio ed Eutiche, i quali non è detto che abbiano finito di seminare zizzania; occorre guardarsene! Del 19 giugno 453.

121a: all’imperatore Marciano; 3 capitoli relativi alla celebrazione della Pasqua, in quanto la fissazione della data era compito della Chiesa di Alessandria; quali difficoltà ne siano nate; cosa possa indagare, in merito, l’imperatore; data: 15 giugno 45 3 77

122a: a Giuliano, vescovo di Cos; ancora sulla fissazione della data della Pasqua per l’anno 455; si interessi e poi dia una risposta; l5 giugno 453.

123a: all’imperatrice Eudossia: 2 capitoletti; lei faccia di tutto per riportare alla calma e all’ortodossia; Calcedonia è stata chiarissima: se uno vuol essere veramente cattolico deve respingere sia l’errore di Nestorio che quello di Eutiche; Leone vorrebbe sapere a che risultati sia arrivata l’esortazione che l’imperatrice ha rivolto ai monaci palestinesi; 15 giugno 453.

124a: ai monaci della Palestina : è stata diffusa una distorta «lettura» dell’epistola di papa Leone a Flaviano: questo tra gli abitanti della Palestina. La lettera è indirizzata a dei monaci, tra i quali il monofisismo ha trovato spesso séguito; si tratta di una lettera dogmatica, ove è proposta una sintesi teologica e l’esposizione delle eresie di Nestorio e di Eutiche; consta di 9 capitoli, di una certa consistenza; da notare i destinatari: non dei vescovi, non degli imperatori/imperatrici, ma dei monaci che si segnalavano per la loro propensione filoeutichiana; per cui - nella conclusione - è forte il richiamo alla disciplina e all’obbedienza. Quello che si verificava in Palestina avveniva anche ad Alessandria d’Egitto, come s’è visto. La lettera è

precedente; per la Pasqua, cf. nota 65. 80 Cf. alle note 61.70, ecc.

della data delle precedenti: 15 giugno 453.

12&: all’imperatore Marciano: tre motivi: ringraziamento per aver sedato i tumulti sollevati dai monaci in Palestina (cf. preced.); l’avere riportato alla sua sede Giovenale, vescovo di Gerusalemme; talloni ben bene Dioscoro, in Egitto, perché ce n’è bisogno; data: 9 gennaio 454.

127a: a Giuliano, vescovo di Cos; 3 capitoli: 1) il ritorno a Gerusalemme del suo vescovo, Giovenale; 2) la data della Pasqua del 455, da fissare dopo attenta indagine (cf. lett. 122); 3) a Costantinopoli s’è data lettura dell’epistola indirizzata dal papa ai padri di Calcedonia; il caso di Ezio (cf. 111a); di altre lettere scritte da papa Leone a vari vescovi; 9 gennaio 454.

128a: all’imperatore Marciano : il principe bene ha operato; il papa, da parte sua, farà di tutto per ingraziarsi Anatolio, purché questi stia alle disposizioni dei sacri canoni e rispetti i diritti dei presbìteri; 9 marzo 454 78.

129a: a Proterio, vescovo di Alessandria; 3 capitoli: 1) è compito dei vescovi invigilare perché la fede non soffra detrimento; basta anche poco (una lettera, una sillaba,...) perché ne sia sconvolta la retta fede; 2) i fedeli vanno istruiti con la sostanziosa dottrina dei Padri e anche mediante la sua lettera; il senso della Tradizione; 3) il principio della «traditio» anche per la fede, la disciplina e i privilegi della Chiesa; 10 marzo 454.

130a: all’imperatore Marciano: egli ha motivo per rallegrarsi della professione di fede emessa da Proterio (cf. preced.); 2) il nuovo vescovo saprà ben giudicare i fedeli della sua città secondo le tradizioni della propria Chiesa; 3) chiede che venga ritradotta in greco la sua lettera a Flaviano e letta di

81     Cf. nota 65.

82     Si tratta dell'eretico Caroso.

83     Cf. sempre nota 65.

nuovo ai fedeli di Alessandria, in quanto v’erano stati degli eretici che l’avevano subdolamente manipolata; 10 marzo del 454.

131a: breve lettera a Giuliano di Cos; gli dice che ha ricevuto lettera dal nuovo vescovo di Alessandria, Proterio; Leone vorrebbe che Giuliano traducesse in greco la lettera che egli inviò, a suo tempo, a Flaviano; la quale - poi - firmata dall’imperatore potrà essere letta con profitto ai cristiani di Alessandria; un cenno a proposito della data della Pasqua del 455; data della lettera: 10 marzo 454 79.

132a: è una lettera di Anatolio, vescovo di Costantinopoli, a papa Leone; 4 capitoli; amabile rimprovero perché le relazioni epistolari si sono diradate; assicura la sua adesione cordiale. Dice poi che, deposto Andrea, è stato redintegrato nel suo ufficio Ezio (cf. lett. 111, ecc.). Assicura che non è questione di ambizione per Costantinopoli; si domanda un particolare riconoscimento di prestigio: sia la gente che i vescovi d’Oriente lo vorrebbero. Chiede che il papa confermi quanto è stato deciso a Calcedonia (per i diritti di precedenza, cui tanto ci si tiene, e ai quali il papa fa tanta opposizione): aprile 545 80.

133a: è del neovescovo di Alessandria, Proterio, al papa; una lunga lettera (in 9 capitoli) tutta relativa alla fissazione della data della Pasqua; prima decade di aprile del 454 81.

134a: allimperatore Marciano ; tre motivi: dopo l’elogio dell’imperatore, dice che sarà accanto ad Anatòtio, se però costui si comporterà coerentemente; ha saputo che Eutiche non smette di seminare dovunque il veleno dell’eresia; chiede all’imperatore che lo releghi più lontano, in modo che non possa nuocere. Altro cenno riguarda la data della Pasqua; lo invita pressantemente ad operare con retta fede; 15 aprile 454.

84     Per Giovenale, alla nota 73.

85     Cf. nota 65.

135*: al vescovo Anatolio; in sostanza risponde agli interrogativi avanzati da Anatolio nella lett. 132a; 3 capitoli; 29 maggio 454 (non 451).

13&: all’imperatore Marciano; 4 capitoli; dà ragione della sospensione delle relazioni epistolari con Anatolio; come ci si possa e debba rimettere in relazione; ricorda che Andrea è stato deposto dall’arcidiaconato (cf. 111a); elogia il vescovo Giuliano di Cos. A Costantinopoli c’è la malalingua dell’ignorante Caroso, un monaco, che bisogna far tacere! (Cf. lett. 141); data: 29 maggio 454 82.

137a: ancora a Marciano; lo ringrazia per le ricerche condotte a proposito della data della Pasqua; gli ha risposto - per tale argomento - anche Proterio di Alessandria; interventi indebiti del potere civile negli affari ecclesiastici; stessa data della precedente.

138a: ai vescovi della Gallia e della Spagna per la data della Pasqua; accetta la proposta che viene dall’Oriente anche per un dovere di pace reciproca intorno a una data talmente importante nella vita della Chiesa. Del 28 luglio del 45 4 83.

139a: a Giovenale, vescovo di Gerusalemme; in latino e greco, articolata in 4 capitoli, di impegno dogmatico, così articolata: 1) è lieto di saperlo ritornato alla propria sede vescovile, pur avendo presente che - a proposito degli errori dogmatici di Eutiche - anche Giovenale non è stato linearmente coerente con la retta fede; ma ora lo sa ritornato nell’alveo dell’ortodossia; 2) è necessario che Giovenale si renda saldo nella fede con gli insegnamenti della Scrittura e dei Padri; 3) la crocifissione del Signore nel suo vero corpo dà anche ragione del mistero dell’incarnazione; è questa la prova anche della solidarietà del Signore con noi; 4) chi non ha idee chiare intorno

86  Il nuovo imperatore, dello stesso nome del papa, ebbe il soprannome di Trace; fu il I della serie dei Leone; nato il 411;

all’incarnazione del Signore, veda di ripercorrere le pagine dei due Testamenti; 4 settembre 454.

140a: a Giuliano di Cos; adesso paiono esserci condizioni più favorevoli per correggere gli erranti, dal momento che è morto Dioscoro di Alessandria, secondo le notizie che Giuliano gli ha dato. Il papa invita il vescovo a tenere d’occhio la situazione della Chiesa d’Alessandria, e a scrivergliene; dicembre 45 4 84.

141a: ancora a Giuliano. Pare che il monaco Caroso (cf. 136a) si sia ravveduto, ma - non si sa perché - non va d’accordo con il suo vescovo Anatolio. Il decurione Giovanni, che ha avuto l’incarico di visitare la Chiesa dell’Egitto, non appena ritorna - per suo mezzo - lo informi sullo stato della Chiesa in quel paese. Corrono voci strane sul conto di Massimo, il vescovo di Antiochia; che - se vere - sono una iattura; veda Giuliano di tenere informato il papa; 11 marzo 455.

142a: all’imperatore Marciano; lo informa che resta fissata la data della Pasqua al 24 aprile dell’anno corrente, anche se le Chiese dell’Occidente non erano d’accordo; ma lo fa pro bona pace. Ringrazia poi l’imperatore perché ha rimosso dal monastero quello scandalo di Caroso e di Doroteo; 13 marzo 45585.

143a: un biglietto ad Anatolio di Costantinopoli, per invitarlo a non essere troppo indulgente con gli epigoni dell’eresia; 13 marzo 455.

144a: breve, a Giuliano, vescovo di Cos. Ora che è morto l’imperatore Marciano di v.m., gli eutichiani - pro dolor! - hanno rialzato la testa; ad Alessandria han

imperatore dal 457; morì nel 474 (dunque, alla vigilia della fine dell'Impero Romano d'Occidente). Circa le relazioni tra i due Leone, cf. Moricca, op. cit., pp. 1082-1088. Per l'epistolario, cf. lettere : 148.156.162. 164.165 (che si dà in traduzione, per il suo rilievo).

87  Per tutto questo confuso periodo, cf. Moricca, op. cit, pp. 1080-1086; in quest'Introduzione, al numero 6, il Dopo Calcedonia.

88  Come si vede, una lettera preoccupata e ricca di motivi; in parte ripresi nella 165a che viene portata in traduzione, con allegati i

già creato disordini. Occorre far di tutto perché le verità affermate a Calcedonia siano conosciute e accolte; 1° giugno del 457.

145?: diretta al nuovo imperatore Leone, succeduto al defunto Marciano nel 457. La Chiesa di Alessandria - a causa dell’eresia monofisita diffusasi tra i monaci - è in subbuglio; veda l’imperatore Leone di intervenire. La fede non può essere sempre messa in  discussione:      i

pronunciamenti di Calcedonia restano inconcussi; alla sede di Alessandria occorre preporre un vescovo di sicura ortodossia: pertanto l’imperatore si premuri di assicurare la pace a quella Chiesa; data: 11 luglio 45786.

146a: al vescovo Anatolio: la morte dell’imperatore Marciano (457) ha ridato vita all’eresia di Eutiche; c’è un gran desiderio di annullare le conclusioni dogmatiche di Calcedonia; non ha mancato di scrivere in questi termini anche all’imperatore Leone, perché faccia di tutto affinché Calcedonia sia rispettata; 11 luglio 457.

147a: a Giuliano, vescovo di Cos e al presbìtero Ezio; lamenta un silenzio inspiegabile; non si tocchi Calcedonia! È necessario dare alla Chiesa di Alessandria un vescovo sicuro; 11 luglio 457.

148a: all’imperatore Leone : si allieta con lui perché lo vede accanito difensore di Calcedonia; gli chiede di perseverare a reprimere l’alterigia degli eretici; 1° settembre 457.

149a: a Basilio, vescovo di Antiochia; il papa è nella necessità di lamentarsi, in quanto Basilio non gli ha trasmesso notizia della sua nomina. Lo invita a vigilare contro l’eresia degli eutichiani, i quali - ad Alessandria - sono giunti sino ad uccidere il santo vescovo Proterio. Vorrebbero pure la convocazione di un nuovo sinodo che annulli il precedente di Calcedonia! Loda poi l’imperatore Leone e soggiunge che tutto sta nell’energia dei vescovi perché non si ordiscano novità inconsulte; 1° settembre 457 87.

150a: ad Eusiteo, vescovo di Tessalonica; a Giovenale, vescovo di Gerusalemme; a Pietro, vescovo di Corinto; a Luca, vescovo di Durazzo. Li invita caldamente perché si oppongano con tutte le loro forze alle mene degli eutichiani, che sono arrivati all’assurdo di uccidere un vescovo, Proterio, ad Alessandria. Non tollerino assolutamente che si dia luogo ad un altro sinodo; si stia mordicus alle disposizioni dogmatiche di Calcedonia! 1° settembre 457.

151a: ad Anatolio di Costantinopoli; lo loda e lo esorta a far sì che non alligni nella sua città, in nessun modo, l’eresia. Pare (da quel che si sente) che là un prete, Attico, vada tranquillamente diffondendo i germi dell’eresia eutichiana: il vescovo invigili! 1° settembre 457.

152a: al vescovo Giuliano; un bigliettino per raccomandargli che le lettere precedentemente scritte da lui ai metropoliti, o per mezzo di Giuliano o di Ezio, arrivino a destinazione. Dovere del vescovo è di essere intrepido. È strano - aggiunge il papa -: c’è chi vuol vedere nella lettera o qualche novità, o oscurità, oppure esitazioni; 1° settembre 457.

153a: al presbitero Ezio, a Costantinopoli; cf. precedente. Si faccia latore delle lettere come Leone ha già fatto con gli episcopati della Gallia, dell’Italia e di altre diocesi. Data: 1° settembre 457.

154a: ai vescovi dell’Egitto; consola coloro che, per l’ortodossia, sono stati cacciati in bando; sopportino tali avversità per amore del Signore che s’è fatto uno di noi; 11 ottobre 457.

155a: ad Anatolio, vescovo di Costantinopoli; 2 capitoli, per invitarlo ad essere vigile contro gli sforzi dell’eresia. Vuole che usi maggiore energia nei testi che qui promette verso l’ultima parte dello scritto.

confronti dei clerici della città che sono insubordinati e che sia più deciso nei loro confronti; 11 ottobre 457.

156a: all’imperatore Leone; 6 capitoli, di natura pastoraledogmatica. Questo il loro contenuto: 1) non sono assolutamente da trattare di nuovo o rivedere le decisioni dogmatiche fissate a Calcedonia; 2) è parente dell’anticristo chi vuole riesaminare quanto la Chiesa ha definito intorno alle verità di fede; 3) è assurdo che possano essere preposti alla veneranda Chiesa di Alessandria uomini eretici, già condannati; non si tratta di essere longanimi: si tratta di difendere la verità; se non sono nemmeno cristiani quelli che seguono l’errore, che si deve dire se degli eretici vengono posti a guida della Chiesa? 4) Vero che si fa ricorso all’imperatore sia da parte dei cattolici che degli eretici: ma c’è una bella differenza! 5) Tutto quello che riguarda la Chiesa ad Alessandria sembra inesorabilmente decaduto; si sono compiuti delitti a non finire, fino al massacro del piissimo vescovo Proterio! 6) Leone papa promette all’imperatore che gli trasmetterà degli scritti a sostegno della fede cristiana. Quanto a Costantinopoli, teme ci sia della connivenza da parte del vescovo o di qualcuno tra i clerici; non sfugge certo all’imperatore che là la fede è oscurata anche per colpa di Anatolio che tralascia di curare troppe cose; si metta in relazione con Giuliano di Cos e con Ezio e, insieme, vedano quanto è urgente fare. Data: 1° dicembre 457 88.

157a: ad Anatolio, vescovo di Costantinopoli; Leone papa (da quel che è dato intuire dalle numerose lettere

90 Ianuario (al quale è indirizzata la 1a lett. dell'epistolario), era morto verso il 447; Niceta avrà, ad Aquileia, un lungo episcopato (454485 ); dovette attendere a curare le numerose «ferite prodotte dal passaggio cruento di Attila»: S. Tavano, Aquileia. Guida dei monumenti cristiani, Udine 1977, p. 32.

91  Cf. alla lettera 59 e, per qualche verso, alla 124.

che lo riguardano direttamente o indirettamente) deve usare tanta pazienza, per non guastare tutto. In questa lettera (4 capitoli) riprende argomenti e motivi già più volte toccati (per Ex 151 Ex 155 Ex 156 anche prima) e recentemente riproposti (lettere 155.156). Gli raccomanda di mettersi d’accordo con l’imperatore (di cui tesse le lodi) per reprimere l’eresia; veda che si applichi Calcedonia; per quanto può, intervenga a rimettere pace nella Chiesa di Alessandria. Chi s’è macchiato di delitti sia cacciato dalla Chiesa; lo consola il fatto che - ad Alessandria - solo quattro vescovi abbiano aderito alle empie dottrine di Timoteo; così occorre essere accanto ai buoni pastori di quella Chiesa; più d’uno è in esilio: bisogna stargli vicino. Non è possibile, in modo assoluto, pensare a dover celebrare un altro sinodo, che rimetta in causa Calcedonia! Quanto poi al presbìtero Attico (cf. lett. 151) e ad Andrea (cf. lett. 111 e 112, ecc.): o rientrino nell’ortodossia, oppure vengano risolutamente cacciati dalla comunità di fede; stessa data della 156.

158a: ai vescovi cattolici di Egitto che hanno trovato rifugio a Costantinopoli: li consola, li esorta ad essere pazienti, vista la grande ricompensa che li attende nei cieli; assicura loro un intervento energico presso l’imperatore; data della precedente

89.

159a: a Niceta, vescovo di Aquileia, intorno a problemi di diritto matrimoniale e pastorale; 7 capitoli; il problema è il seguente: certe donne, pensando morto lo sposo tra i barbari, si sono risposate; se torna il precedente marito devono tornare a lui; non è questione di farne loro colpa, o a chi le ha risposate; la moglie deve tornare al primo marito; ché, se non lo vuole, va privata della comunione ecclesiale. Coloro che, in schiavitù, per vari motivi

(paura, fame,...), sono stati costretti a mangiare carni immolate, possono conseguire il perdono. Chi ha iterato il battesimo o per paura o per errore, ed ha perso il coraggio, si deve tranquillizzare, perché la sua vecchiaia non sia desolata. I battezzati dagli eretici, sono validamente battezzati; soltanto si unisca l’invocazione allo Spirito Santo; 21 marzo 458 90.

160a: ai vescovi e ai clerici cattolici che hanno trovato rifugio a Costantinopoli, lasciata Alessandria (cf. 158). Ribadisce quanto detto nella 158; li consola, li invita ad inviare dei rappresentanti assecondando il desiderio dell’imperatore. Non c’è bisogno di aggiunte a quanto già detto dal sinodo di Calcedonia; nomina - nella dedica - 15 vescovi; data: 21 marzo 458.

161a: ai presbìteri, ai chierici e diaconi della Chiesa di Costantinopoli. Sempre preoccupato che Calcedonia entri nell’animo e nel cuore dei destinatari della lettera. Ancora intorno ad Attico e Andrea (cf. lett. 157, ecc.): siano deposti, a meno che non abbiano abdicato ai loro errori monofisiti, ed abbiano aderito - per iscritto - a Calcedonia; 21 marzo 458 91.

162a: all’imperatore Leone; non permetta che si rimetta in discussione quanto sancito dal concilio; dice che - per parte sua - non può assolutamente venire ad accordi con i fuorvianti eretici. Se gli inviano dei messi non è perché se ne discuta, ma perché ricevano lume. Gli eretici vanno evitati come malapianta, cui incombe il castigo per l’infedeltà; 4 capitoli; data: 21 marzo 458.

163a: ad Anatolio, vescovo di Costantinopoli; è un vescovo delicato: il papa ha sentito dire che non gli erano piaciuti i suoi richiami; ancora di Attico: deve pubblicamente abdicare all’errore e sottoscrivere la sua adesione all’ortodossia, se vuole essere veramente cattolico! 23 marzo 458 (cf. 157.161, ecc.).

164a: data 17 agosto 458, come la celebre successiva; funge quasi, dunque, da premessa. È articolata in 5 capitoli. Manda all’imperatore dei legati che sosterranno le sue parti; 1) gli chiede con insistenza che non si voglia sottoporre ad esame quanto è stato definitivamente definito; 2) non sarebbe più finita, se ci si dovesse - ogni volta - affidare alle dispute dei rétori: quando poi si tratta di misteri della fede! 3) Sia l’evangelo che la salvezza dell’uomo hanno, in Eutiche, un avversario velenoso, che va bandito, e con il quale non è possibile venire a patti; 4) anche coloro che, ad Alessandria, si sono macchiati di colpe indicibili (cf. 156.158.160), si sono resi indegni di misericordia, della quale però non devono disperare, se si convertono alla verità; 5) i delegati del papa non verranno per discettare, ma per rassodare la fede ortodossa, che è quella sgorgata da Calcedonia; gli eretici che de incarnatione Domini nostri lesu Christi impia et detestanda senserunt vanno anatematizzati; se poi si ravvedono siano riaccolti con amore nella comunione ecclesiale. Data della lettera: 17 agosto 45892.

165a: lettera di celebrità pari quasi alla 28a (a Flaviano); questa è indirizzata all’imperatore Leone. Consta di 11 capitoli, l’ultimo dei quali è una silloge antologica di testi patristici; è bilingue; porta la data del 17 agosto 458. Di essa più distesamente nel testo tradotto e nelle note. Ripropone la dottrina espressa nella lettera 28a; la diversifica la raccolta dei testi patristici.

166a: a Neone, vescovo di Ravenna, intorno a coloro sui quali c’è il dubbio se siano o no stati battezzati; il dubbio è più forte nel caso dei piccoli, dei quali non c’è documentazione in proposito. Circa coloro poi che hanno avuto il battesimo dagli eretici (se esso è valido), si accoglieranno nella comunità mediante l’invocazione dello Spirito Santo (cf. alla fine della 159). 2 capitoli; in data 24 ottobre 458.

167a: a Rustico, vescovo di Narbona; in 16 capitoli intorno a dei problemi morali, giuridici...

(ordinazioni nei gradi ecclesiastici, matrimonio, penitenza, mercatura, vita religiosa maschile e femminile; dubbi sui battezzati; di coloro che hanno partecipato a banchetti con pagani o si sono cibati di carni immolate agli idoli...). Dell’anno 458 o 459. Sono 19 gli interrogativi cui il papa risponde (tetterà consistente).

168a: a tutti i vescovi della Campania, del territorio dei Sanniti e del Piceno. Non si deve celebrare il battesimo se non nella veglia di Pasqua e di Pentecoste, salvo pericolo di morte. Circa la penitenza dei fedeli: l’accusa non deve essere pubblica; marzo del 459.

169a: all’imperatore    Leone: intorno a vicende di

Alessandria: Timoteo Eluro è stato (analmente!) cacciato dalla città; ora occorre trovare un vescovo veramente degno che lo sostituisca, di provata integrità, di buoni costumi, di fede inconcussa. Eluro, anche nel caso che si ravvedesse - dati i precedenti -, anche se la sua fede diventasse ortodossa, non può assolutamente venire reintegrato; 17 giugno 460.

170a: a Gennadio, vescovo di Costantinopoli. La lettera per dire al vescovo di Costantinopoli (successo ad Anatolio) tutto il suo dispiacere al sapere che Timoteo Eluro aveva trovato accoglienza proprio a Costantinopoli, dopo di essere stato espulso da Alessandria, e meritatamente; l’Eluro non deve

Chiesa di Costantinopoli e ai monaci della Palestina (cf. lettera 50.124.154).

95     Cf. lettera 169.170.172 (la preced.).

96     Colonne 1217-1233.

nutrire speranza di sorta di ritornare ad Alessandria; ed occorre stare bene attenti che non vada anche lì a disseminare zizzania, come ha sempre fatto; 18 giugno 460 93.

171a: a Timoteo, neovescovo di Alessandria (succeduto, dopo tanti disordini, all’omonimo Timoteo Eluro: cf. 169a). Si congratula per la sua nomina; gli raccomanda tanta caritatevole saldezza; sia vigilante in fatto di fede; per questo gli scriva anche spesso; 18 agosto del 460.

172a: ai presbiteri e ai diaconi della Chiesa alessandrina; è tempo di ricominciare, pacificata la Chiesa dopo le tempeste sollevate dall’eterodossia monofisita; tutti cooperino a riportare e far crescere la concordia interna, così che coloro che hanno ceduto all’eresia - dopo salutare penitenza - ritornino nella comunione della Chiesa. La Chiesa di Alessandria è stata una grande maestra di fede e di verità. Stiano vicini al loro pastore. Stessa data della precedente 94.

173a: indirizzata ad alcuni vescovi dell’Egitto (che nomina): si allieta perché al posto dell’empio Timoteo Eluro, è ora pastore della Chiesa di Alessandria Timoteo, di specchiata fede cattolica;

celebrazione liturgica, in quanto ripropone la realtà salvifica nei misteri celebrati (nei sacramenti). Anche se non facilmente accessibili, rinviamo a due studi assai interessanti, a tale proposito: J. Gaillard, Noel: «memoria» ou mystère?, in «La maison Dieu», 59 (1959), pp. 3759; e G. Hudon, Le mystère de Noel dans le temps d’après s. Augustin, ivi, pp. 60-84 (tale studio interessa particolarmente per san Leone Magno). Per l’attualità della celebrazione, cf. la sua magna charta che è la Costituzione Liturgica del Concilio Vaticano II. Ma, per la celebrazione, la bibliografia è sterminata.

98  Cf. alla nota 56.

99  Cf. i due studi di cui la nota 97; inoltre (preziosissimo, per questo aspetto, anche se più incentrato evidentemente sui sermoni che sulle lettere di san Leone Magno): J.-P. Jossua, Le salut. Incarnation ou mystère pascal. (Chez les Pères de l’Église de saint Iréné à saint Léon le Grand), Paris 1968; tutta l’ultima parte, pp. 251-382, è dedicata a san Leone Magno. 100

100     Vedi le diverse «modalità» della celebrazione del Natale, J.

raccomanda loro unità e concordia; facciano sì che sia dato loro di collaborare con il vescovo di Roma a ricondurre gli erranti; 18 agosto 46 0 95.

È l’ultima lettera dell’epistolario di papa Leone Magno, anche se - per attestazione degli antichi - si devono lamentare delle perdite entro l’epistolario leonino. Ne parlano i fratelli Ballerini nella dissertazione che segue in PL 54 96.

Resterebbe da dire qualcosa sullo stile pastorale e sullo stile in sé dell’opera di papa Leone; ma non è questo l’àmbito. Infine: via via s’è potuto vedere che i 21 anni del servizio pastorale di Leone sono scanditi da ampia documentazione epistolare, la prima di tale misura nella storia della Chiesa. Essa non può non costituire un documento anche storico di primaria importanza, incentrato soprattutto nella preoccupazione della fedeltà al depositum fidei, minacciato da due eresie in particolare: quella di Nestorio e, l’opposta, quella di Eutiche, a combattere le quali, nell’alta coscienza del dovere di confermare con il suo magistero i fratelli nella fede, Leone profuse tutte le sue stupende energie.


Leone Magno