Leone Magno - II. Sempre dello stesso sant’Ilarìo, tra le altre cose, al libro IV\i \26 * *

II. Sempre dello stesso sant’Ilarìo, tra le altre cose, al libro IV\i \26 * *


Non conosce proprio nulla, nulla conosce della propria vita colui che ignora che Cristo Gesù come è vero Dio così è anche vero uomo. È foriero di grossissimi errori sia negare che Gesù Cristo ha lo Spirito di Dio, come non riconoscere che ha assunto una vera carne con il nostro stesso corpo. Disse infatti: Chiunque mi riconoscerà di fronte agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli. Chiunque mi avrà rinnegato invece di fronte agli uomini, non lo riconoscerò nemmeno io davanti al Padre mio che è nei cieli7. Ciò è quanto diceva il Verbo fatto carne; è quanto l’uomo Gesù Cristo, il Signore della maestà, andava insegnando. Egli stesso fatto mediatore della salvezza della Chiesa nel suo essere, egli stesso mediatore tra Dio e gli uomini nel sacramento di mediazione, Dio e uomo nello stesso tempo, una sola persona, mentre egli stesso, per aver unito in strettissima unità le due nature, la divina e l’umana, egli è l’unica persona dell’una e dell’altra natura, ed è sempre lo stesso; ma lo ha fatto in modo tale che né all’una né all’altra natura mancasse alcunché delle loro proprietà; ossia: che nascendo uomo finisse di restare anche Dio; e viceversa: rimanendo Dio, non fosse più pure vero uomo. Questa dunque la fede vera dell’umana beatitudine: confessare in lui e il Dio e l’uomo; confessarlo Verbo e carne; né disconoscere che è Dio per il fatto che è uomo; né misconoscere che è uomo, per il fatto che è il Verbo (di Dio)8.


6  Esiliato nell'Asia Minore (anni 356-359) Ilario ebbe modo di conoscere la teologia dei Padri orientali e dell'Oriente in genere; con l'omonima opera di sant'Agostino, il De Trinitate di sant'Ilario «costituisce il vertice della teologia in lingua latina» (D'Elia, op. cit., p. 90). Il libro IX controbatte le eresie, in particolare l'arianesimo in tutte le sue forme. L'eutichianesimo è, in fondo, una derivazione, per eccesso, dell'eresia ariana.


III.  Ancora dello stesso sant Ilario, medesimo libro IX del\i De Trinitate


Nato dunque l’unigenito (Figlio di) Dio dalla Vergine, nato come uomo, lui che avrebbe elevato per merito suo alle altezze della divinità l’uomo stesso (e ciò fu nella pienezza dei tempi), se vogliamo tenere fede all’attestazione unanime dell’evangelo, si è manifestato in tutto e per tutto in modo tale che non esistessero dubbi che egli era il Figlio di Dio, e - nello stesso tempo - andava umilmente dicendosi anche figlio dell’uomo, parlando e comportandosi per ciò che riguarda quanto è proprio di Dio ma anche in quanto è dell’uomo; e - d’altra parte - facendo, in quanto è Dio, quelle cose che sono proprie dell’uomo. Ma ciò fu in modo tale che, parlasse o come Dio o come uomo, non si è comportato diversamente di come Dio in lui è l’essere divino e senza perdere il significato proprio dell’essere umano9.


7  Mt. 10, 32-33. Analoga deduzione in Leone: lett. 124, cap. VIII.
De Trinitate, IX, cap. 3 (quasi per intero). 9
9     De Trinitate, IX, cap. 5 (prima metà).


IV.   Sempre di sant’Ilario, dal libro IX del\i De Trinitate, \Iquando afferma, tra l’altro:



Gli eretici fanno presto ad ingannare i semplici e gl’ignoranti, perché quando essi sostengono che ciò che il Cristo disse nel modo che è appropriato all’uomo, mentono poi essi sostenendo che ciò sia stato detto anche secondo la fragilità (così pensano) della natura divina; e poiché chi parla è sempre lo stesso e sempre eguale a se medesimo, pensino sempre gli eretici che tutto quanto egli diceva di sé, vogliano sostenere che egli di sé disse tutto in quanto essere divino.

Non siamo certo noi a dire che tutta quanta la sua parola non appartenesse sempre al suo essere, l’essere di colui che parla secondo la sua natura 10. Ma se Gesù Cristo è, nello stesso tempo, e Dio e uomo, non ne consegue che quando si è fatto uomo, allora - per la prima volta - sia divenuto anche Dio; né - dopo che si è fatto uomo - si può sostenere che in Dio non ci sia anche tutto l’uomo e, nello stesso tempo, tutta quanta la divinità. È giocoforza che il sacramento mediante il quale parla all’uomo sia necessariamente unico e indivisibile, per il fatto che egli opera secondo natura. E non solo, quando, in lui, secondo le circostanze, tu sai distinguere l’uomo da Dio, tu sai capire bene anche che il suo dire procede dal fatto che egli è Dio e uomo allo stesso tempo. E come in lui sai distinguere, in base ai tempi, l’uomo distinto da Dio, allo stesso modo sai vedere nel suo parlare ciò che appartiene a Dio e ciò che appartiene all’uomo. E come allo stesso modo che tu lo riconosci Dio e uomo nel tempo, allo stesso modo considera e di Dio e dell’uomo quanto egli ha detto nel tempo. Quando poi consideri il Cristo e quanto uomo e quanto Dio, tu capisci che il tempo di cui si parla è e di tutto l’uomo e di tutta la divinità. Se qualcosa è stato detto per determinare quel tempo, tu evidentemente consideri applicato ad un determinato tempo tutto ciò che è detto a tal proposito, dal momento che una realtà è Dio, prima che fosse (anche) uomo (nel tempo), ed altra l’essere - dopo - insieme e Dio e uomo, ed altra ancora - dopo essere e uomo e Dio - l’essere divenuto uomo completo e Dio perfetto sempre: non per ciò tu puoi far confusione di tempi o di natura circa il sacramento della redenzione, dal momento che, in forza della sua maniera di operare alle sue nature (divina ed umana) fu necessario che avesse un modo diverso di manifestarsi: uno prima d’essere uomo, cioè prima di esistere come tale, un altro quando doveva ancora morire e un altro - infine - dopo la sua glorificazione.

10  Il lat. dice naturae suae; ma il termine va inteso per persona, come altre volte sant’Ilario. Si dà anche l’inverso - per Ilario - persona = natura; cf. sant’Ilario, La Trinità, cit., p. 441, nota 1.


Per la nostra salvezza rimanendo Gesù Cristo tutto ciò che s’è detto, e nato come uomo della nostra sostanza (del nostro corpo), si è espresso secondo la consuetudine del nostro modo di discorrere; e tuttavia non perse per nulla della sua natura di ciò che è proprio di Dio. Infatti, benché nella nascita, nella passione e nella morte abbia eseguito quanto spetta, in tali realtà, alla nostra natura, pure tali realtà egli le compì secondo la potenza della sua natura (divina). Si veda anche il séguito...11.

11     De Trinitate, IX; termine del n. 5; n. 6 e inizio del n. 7.


V. Sempre nel libro IX, in un altro passo, tra l’altro così si esprime sant’Ilario di Poitiers:


Non vedi come in questo modo si proclami che egli (il Cristo) è Dio ed uomo, così che la morte appartiene all’uomo, mentre la risurrezione della carne è opera di Dio? (Eppure non si deve pensare che uno sia colui che è morto e un altro sia colui per mezzo del quale il morto risorge. Cristo infatti è morto in quanto carne privata della vita, e lo stesso Cristo è colui che spogliandosi della sua carne fa risorgere dai morti se stesso). Cerca di comprendere la natura di Dio nella potenza della sua risurrezione, conosci anche la salvezza dell’uomo nella morte del Cristo. E poiché morte e risurrezione sono avvenute secondo le due nature del Cristo, ricordati tuttavia che Cristo Gesù resta sempre uno solo, dato che egli ha e l’una e l’altra natura (la divina e l’umana)12.

VI. \IE poco dopo:

Tutte queste dimostrazioni erano necessarie (magari trattate in modo sintetico), allo scopo che ci ricordassimo che nel Signore Gesù ci sono due nature, dal momento che colui che era in forma di Dio, assunse la forma di servo13.

VII.  \ISant’Atanasio, vescovo di Alessandria, ad Epitteto vescovo di Corinto

Se il Signore, che è venuto a noi per mezzo di Maria, è Figlio di Dio e quanto alla persona e quanto alla natura, come hanno potuto dei sedicenti cristiani, anche solamente mettere in dubbio che - quanto alla carne

12    De Trinitate, IX, dal n. 11.

13  De Trinitate, IX, incipit del n. 14; c’è l’allusione a Fil. 2, 8. Un testo che Leone ebbe certamente presente (ma che non compare in quest’antologia) è dal De Trinitate, VIII, nn. 13-16; cf. nota 6 alla lett. 59.

invece - non provenga dalla discendenza di Davide e dal corpo santo della Vergine Maria?14.

VIII. Sant’Ambrogio, vescovo di Milano, confessore, dai libri scritti per l’imperatore Graziano; dal\i De fide

Da ciò deriva la verità di quanto è stato letto, ossia che il Signore della maestà è stato crocifisso; ma fa capire che non dobbiamo ritenere che egli sia stato crocifisso in quanto Signore della maestà. Occorre giudicare in base al fatto che egli era egualmente e Dio e uomo; Dio in forza della divinità, uomo per aver assunto la carne. Si deve dire che Gesù Cristo, Signore della maestà, fu crocifisso in quanto partecipe delle due nature, divina e umana; ma occorre aggiungere subito che ha affrontato la passione nella natura (passibile) dell’uomo; così che si deve affermare, senza far distinzioni ulteriori, che il Signore della maestà è lo stesso che ha patito, e come figlio dell’uomo, come è dato di leggere: lui che è disceso dal cielo15 16.

IX. \ISempre di sant’Ambrogio, in un altro passo dello stesso libro\i De fide

Si mettano a tacere perciò tutte le viete discussioni quando si parla, perché il regno di Dio - così è scritto - non si trova nello sfoggio di parole, ma nella forza di potenza16. Teniamo ben distinte tra di loro la divinità e la carne. Nell’una e nell’altra parla sempre il Figlio di Dio, poiché, in lui, c’è e l’una e l’altra natura. E se è sempre lo stesso a parlare, non per ciò egli parla sempre allo stesso modo. In lui parla ora il Dio della gloria, ora l’uomo della sofferenza. Parla quasi come Dio quando annuncia realtà divine, in quanto è il Verbo; parla in termini umani, in quanto uomo, poiché si esprime secondo la natura umana 17.


14  Dalla lett. ad Epitteto; un breve frammento. La lett. tende a confutare tesi ereticali le quali sostenevano che il corpo di Cristo non fosse reale (tendenze docetiste). La lett. ebbe grande autorità, specie dopo il conc. di Calcedonia. C’è chi ha anche dubitato dell’autenticità della lett.; infine chi la pensa manipolata da alcuni apollinaristi. Per la precisione dice: dalla carne della santa Maria.

15     De fide ad Gratianum, II, 7; la citaz. biblica è Gv. 3, 13.

16    1 Cor. 2, 4; cf. ivi, 4, 20.


X.  \IAncora dello stesso sant’Ambrogio, nel libro\i Dell’incarnazione del Signore, \Iscritto contro gli apollinaristi (cap. VI)


Ma mentre rimproveriamo costoro, ecco che si fanno avanti altri che osano asserire che la carne del Signore e la sua divinità siano di un’unica medesima natura. Mai bestemmia più orribile ha saputo vomitare l’inferno! Meritano maggiore comprensione - in confronto - gli ariani, dei quali ringiovanisce la forza della perfidia per mezzo di costoro. Almeno gli ariani sostengono con maggiore forza e vanno dicendo che il Padre, e il Figlio e lo Spirito Santo non appartengono alla stessa sostanza. Costoro invece hanno avuto l’improntitudine di tentare di dire che la divinità del Signore e la sua carne fanno parte di un’unica sostanza!

XI.    \IE successivamente, sempre nel\i Dell’incarnazione del Signore\218\0:

Costoro 19 vanno ripetutamente facendo appello al concilio di Nicea dicendomi di concordare col trattato conciliare che parla di tale argomento. Ma, in verità, i Padri di quel concilio affermano non che la carne del Verbo (incarnato), ma la natura del Verbo era della stessa

17  De fide ad Gratianum, II, 9. Spesso anche sant’Agostino farà ricorso a distinzioni di questo tipo.

18     De incarnationis dominicae sacramento, del cap. VI.

19     Sono gli apollinaristi; ma l’opera ribatte anche le teorie degli

ariani.

sostanza di quella del Padre. Essi asserivano che il Verbo procedeva dalla stessa sostanza del Padre, ma altresì aggiungevano i Padri che la carne del Verbo veniva dalla Vergine. Come fanno ad appellarsi al dettato del concilio di Nicea e a sostenere cose che mai i Padri conciliari avevano preso in considerazione al concilio di Nicea? Ci sarebbe poi altro nel testo di Ambrogio20 21 22 23.

XII.  \ISempre di sant’Ambrogio, quando scrive al vescovo Sabino; dice tra l’altro:

Assai opportunamente l’apostolo Paolo, ripetendo a bella posta la parola forma, disse di Gesù Cristo: Pur essendo egli nella forma di Dio (ossia di natura divina), non considerò un tesoro geloso la sua eguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la forma di servo21. Che significa l’essere in forma di Dio, se non la pienezza della divinità, se non l’espressione massima della divina perfezione? Pertanto, pur essendo nella pienezza della divinità, svuotò se stesso22, e così ha preso su di sé la completezza della natura umana nella sua perfezione. Come nulla mancava a Dio, neppure mancò alcunché alla pienezza del suo essere totalmente uomo, così da risultare completo nella sua duplice natura (divina e umana). C’è un’attestazione del profeta Davide che fa al caso; egli dichiara: Bellissimo nell’aspetto tra i figli degli uomini23. Ogni apollinarista rimane prigioniero dei suoi stessi sofismi, non gli resta spazio per sfuggire via; è invuluppato nelle reti che egli stesso ha teso. Ha sostenuto che il Verbo ha sì assunto la forma di servo, ma che non avrebbe parlato da servo. A questo punto gli chiedo di nuovo: Che significa l’essere in forma di Dio? Mi

20  De incarnationis dominicae sacramento, n. 52. Leone ha riportato da Ambrogio quanto più gli interessava per la documentazione; ma - aggiunge - vi sarebbe dell’altro...

21     Fil. 2, 6-7; per la citazione, cf. la ricorrenza nell’indice bibl.

22     È l’intraducibile ejkevnwsen, svuotò, annientò, si annichilì...

23    Sal. 44, 3.

risponderà: significa essere della natura divina. Vi sono di quelli - asserisce l’apostolo Paolo - che non sono dèi per natura 24. E io di rincalzo: che significa dire che ha assunto la forma di servo25? Senza dubbio significa aver preso la perfezione e la condizione della natura umana - come ho sopra asserito - per essere in tutto e per tutto simile agli uomini. Giustamente ha detto l’Apostolo non a somiglianza della carne, ma degli uomini, dal momento che la similitudine della carne è pure sempre la stessa. Ma, poiché egli era l’unico a non avere ombra di peccato, e ogni altro uomo, invece, era immerso nel peccato, così finiva per sembrare d’essere in apparenza d’uomo. Per ciò il profeta così disse: Ed è uomo, ma chi lo conosce per davvero?26. Uomo, sì, quanto alla carne, ma ben più che uomo quanto al modo di operare secondo la divinità. Ad esempio, quando toccò il lebbroso, appariva ben d’essere uomo, ma ben più che uomo allorché lo guarì27. E quando piangeva su Lazzaro ormai morto, in quanto uomo, piangeva su di uno che era morto, ma ben oltre la potenza di un uomo, allorché diede ordine di sciogliere i piedi legati 28 29. Aveva tutta l’apparenza di un uomo, allorché pendeva dalla croce, ma ben più che uomo quando, spalancati i sepolcri, faceva risuscitare gli uomini

29

XIII. \IDi sant’Agostino\i\230\0, \Ivescovo di Ippona, quando scrive a Dardano; dice tra l’altro:

24     Gal. 4, 8; tuttavia il contesto di Gal. è diverso.

25     Fil. 2, 7.

26  Ger. 17, 9. È interpretazione singolare, in ambito latino, e abbastanza diffusa; forse interpretazione passata di mano in mano? È in Ambrogio (per es. qui), in Cromazio (trattato 51 A), è fatta propria da papa Leone. Il testo biblico non è molto comprensibile.

27     Cf. Mt. 8, 1-4 e parall. ed altri testi simili.

28    Cf. Gv. 11,35ss.

29  Cf. Mt. 27, 52. Il testo di sant’Ambrogio, qui riportato, viene dalla lett. 39, a Sabino vescovo di Piacenza. Sabino fu in relazione con sant’Ambrogio, il quale gli inviò più lettere. Al concilio di Aquileia del 381, Sabino era presente intervenendo ripetutamente nel dibattito. Per

la lett. 39 (per la PL ha il n. 46, dai Maurini) cf. sant’Ambrogio, Discorsi

Non dubitare affatto che ora il Cristo uomo è là da dove tornerà; richiama alla tua memoria e tieni ben a mente quello che è il cuore della fede cristiana: che Gesù Cristo risorse dai morti, che salì al cielo, che siede alla destra del Padre 31; che non tornerà, se non da lì, per giudicare i vivi e i morti; e che tornerà allo stesso modo nel quale lo si è visto ascendere, secondo l’attestazione della voce degli angeli medesimi32; ciò significa che lo si vedrà ritornare dall’alto nella stessa forma della carne e nella sua stessa sostanza alla quale certamente ha fatto il dono dell’immortalità, senza sottrarle la natura che aveva

33

XIV. \ISempre di sant’Agostino, nella lettera a Volusiano; vi si dice, tra l’altro:

Ora poi si è manifestato come mediatore tra Dio e gli uomini, così che unendo le due nature nell’unità della sua persona, potesse elevare ciò che è umano con realtà trascendenti, e ciò che è trascendente poterlo comporre con quanto è terreno34.

XV. \ISempre sant’Agostino asserisce - tra l’altro -\i nell’«Esposizione dell’evangelo secondo Giovanni»:

e lettere II/II, lettere (36-69), Biblioteca Ambrosiana-Città Nuova, Milano-Roma 1988, pp. 48 ss.; qui i nn. 6-7, pp. 52-54.

30  Cinque i brani antologici attinti da sant’Agostino (cf. quanto s’è detto circa il desiderio di papa Leone di avere una riflessione di sant’Agostino contro Nestorio, alla quale esigenza, poi, rispose invece Cassiano; Introduzione, inizio).

31  Cf. il simbolo.

32 Atti 1, 11.

33  Lettera 187 (dal n. 10, prima metà), a Dardano, vir illustris ; dopo un omicidio si era ritirato a condurre vita cenobitica, secondo le idealità di sant’Agostino; cf. sant’Agostino, Le lettere, Città Nuova, Roma 1974, pp. 130 ss.; il brano, alle pp. 141-142.

34  Lettera 137, n. 9, ultima parte. Volusiano era proconsole a Cartagine, in relazione con sant’Agostino; per il brano, cf. sant’Agostino, Le lettere, II, Città Nuova, Roma 1971, pp. 152 s.

Ma che fai, o perfido eretico? Dal momento che Cristo è, insieme, e Dio e uomo, egli come uomo parla, non calunni tu forse Dio? Egli, in se stesso, glorifica la natura umana, e tu, proprio in lui, oseresti sfigurare quella divina?35.

XVI. \IEd al numero 3 dello stesso trattato\i sull’evangelo secondo Giovanni:

Riconosciamo la doppia sostanza 36 di Cristo, quella divina, per la quale è uguale al Padre; quella umana, per la quale il Padre è più grande di lui. Ma l’una e l’altra natura si trovano insieme; però il Cristo è uno solo; non si tratta di due persone, ma di una sola persona; diversamente Dio sarebbe una quaternità, non una Trinità. Come infatti l’uomo è un essere in sé unico, fatto di anima razionale e di carne, così anche il Cristo è uno solo, Dio e uomo insieme: per questo il Cristo consta di tre realtà: è Dio, è anima razionale, è carne. E noi confessiamo che il Cristo è in tutti e tre questi elementi, ed è nei singoli tre elementi. Se mi chiedi dunque in forza di che sia stato creato il mondo, ti risponderò che è stato creato da Gesù Cristo, però nella forma di Dio. E chi fu crocifisso sotto Ponzio Pilato? mi chiedi. Rispondo: Cristo Gesù, però nella forma di servo. Così è dei singoli elementi dei quali l’uomo consta. Chi è colui che non fu abbandonato in potere della morte? Dirò ancora: Cristo Gesù, ma soltanto nella sua anima. E chi, che dopo tre giorni sarebbe risorto, riposò tre giorni nel sepolcro? Dirò sempre: Cristo Gesù, ma solo nella sua carne. E del Cristo tutto ciò viene detto, ossia nei singoli elementi che lo costituiscono. Ma tutto ciò fa un Cristo solo, non due o non tre, ma uno solo. Perciò ebbe a dire egli stesso: Se mi amaste, godreste certamente, perché vado al Padre

35  Commento al vangelo di Giovanni, trattato 78, n. 2, circa finem ; cf. sant’Agostino, Commento al vangelo e alla I epistola di Gv., Città Nuova, Roma 1968, vol. XXIV, pp. 1224ss.

36     Sostanza ha il valore di natura, come è detto subito dopo.

37. Come dunque ci si deve allietare con la natura umana per il fatto che essa è stata assunta dal Verbo in modo tale che potesse venire posta in cielo, resa immortale, così sarebbe diventata sublime sulla terra, così che polvere umana potesse sedere alla destra del Padre resa incorruttibile 37 38.

XVII. \IDi sant’Agostino, dal libro intitolato\i Assertio fidei (Professione della fede)\239

Nostro dovere infatti è quello di credere; sua (di Dio) prerogativa quella di conoscere, così che lo stesso Dio Verbo, prendendo su di sé tutto ciò che appartiene all’uomo, sia davvero uomo; e l’uomo assunto, facendo proprio tutto ciò che è di Dio, non possa essere altro che Dio. E tuttavia, per il fatto che si dice che si è incarnato e si è unito all’umanità, non si deve pensare che ci sia stata anche diminuzione della sua sostanza divina. Dio ha saputo unirsi alla natura umana senza che ciò comportasse corruzione del suo essere; e tuttavia si è veramente unito all’umanità. Ha saputo ricevere in se stesso in modo tale però che niente abbia dovuto aumentare di se stesso, poiché ha saputo infondere in sé tutto quanto (ha infuso) senza che gli avvenga danno di sorta.

Perciò non dobbiamo credere che Dio si sia unito all’uomo per la necessità di conoscere come conosciamo noi, in base alla nostra fragilità, di noi che arriviamo a delle conclusioni in base ad esperimenti concreti fatti per vedere che determinate realtà entrano in composizione e si uniscono tra di loro in base alla loro congruenza. In pratica, ritenere che dall’unione del Verbo e della carne ne sia risultato un corpo singolare, una specie di corpo. No; lontano da noi il credere che le due nature, mescolate in qualche modo, siano poi risultate una sola sostanza. Commistione di tal fatta nasce solo dal cambio delle precedenti realtà. Dio infatti, che può tutto comprendere, ma che non può essere in alcun modo compreso, Dio che tutto penetra, senza essere penetrato da alcunché, Dio che tutto riempie, senz’essere riempito dagli oggetti creati, Dio che è presente dovunque tutto quanto e tutto nello stesso istante mediante l’infusione della sua potenza, per sola misericordia si è unito alla natura umana, e non si deve però dire che la natura umana si sia mescolata alla natura divina.


37    Gv. 14, 28.

38  Cf. nota 35, ivi, pp. 1224-1227; del n. 3 non è dato l’inizio né la fine.

39  Il testo da cui è stato tolto il brano è Libellus emendationis sive satisfactionis Lepori, reperibile in PL 31, 1221-1232; per sapere chi fosse Leporio, cf. sant’Agostino, Le lettere, cit., III, p. 619, nota 5; oppure in Enciclopedia Cattolica, voce Leporio; oppure Institutum Patristicum Augustinianum (AA.VV.) Patrologia, Marietti, Casale 1978, pp. 497-498 (è la continuazione del Quasten). Cf. G. Cassiano, L’incarnazione del Signore, cit., pp. 109-110, ove è il testo qui riportato.


XVIII \ISan Giovanni Crisostomo, vescovo di Costantinopoli; dall’omelia\i Della croce del Signore e del ladrone



Ma ora rendiamoci conto per quale motivo il Signore salga al Calvario portando la croce. Lo ha fatto perché coloro che lo hanno crocifisso possano rendersi conto della pazzia della loro mente ottenebrata. Per questo porta su di sé il segno (la croce) della loro malvagità. È per tale motivo che il profeta ebbe a lamentarsi dicendo: Allora tutte le tribù della terra faranno lamento 40, in quanto vedranno chi le accusa e riconoscendo il proprio peccato. Quale meraviglia si potrebbe fare, se è venuto al Calvario portando la croce, quando egli stesso è là a mostrare anche le ferite del suo corpo? A questo punto vedranno colui che essi hanno crocifisso 41, aggiunge. Lo stesso è da dire per dopo la sua risurrezione. Il Signore ha voluto fugare la diffidenza incredula di Tommaso; a lui 40 ha fatto vedere i fori provocati dai chiodi; lo ha fatto anche per le trafitture del cuore; e gli ha detto: Metti qui la tua mano; osserva bene e vedrai che uno spirito non può avere carne ed ossa come ben vedi che io ho 42; a questo punto gli farà vedere le sue ferite; gli farà capire che cosa significhi la croce; proprio per fargli vedere di essere lo stesso che era stato appeso alla croce 43.

40    Zac. 12, 10.
41     Zac., ivi; Gv. 19, 37.
42    Gv. 20, 27; e Lc. 24, 39.
43    Testo lat. in PL 54, 1182-83.


XIX. \ISempre di san Giovanni Crisostomo; dall’omelia\i Sull’Ascensione del Signore

È successo come quando, dopo che si sono separati due litiganti, perché un terzo si è messo nel mezzo per dividere i due contendenti, ed ha composto la lite, così è quanto ha voluto fare Cristo. Dio era giustamente adirato con noi; noi - invece - lo offendevamo, anche se egli era adirato con noi a ragione; per giunta da parte nostra si rifiutava la misericordia che il Signore ci offriva. A questo punto il Cristo si è posto tra noi e Dio; il Signore unì in se stesso le due nature e, sollevando noi dal peso, ha preso su di sé il supplizio che ci minacciava 44.

44  Tale concetto è analogo a quello espresso da san Leone allorché cita 1 Tim. 2, 5. - Il testo latino in PL 54, 1183.


XX. \IPorto un altro testo di san Giovanni Crisostomo attinto alla precedente omelia


Cristo offrì al Padre le primizie della nostra natura; il Padre ha ammirato benevolmente il dono che gli veniva presentato, per due ragioni: e riconoscente per la grande dignità di chi gliel’offriva, e per ciò che gli veniva presentato in dono, perché era infinitamente puro. Allora il Padre accettò il dono che gli veniva offerto: lo accolse con le sue stesse mani; volle che il donatore divenisse partecipe della sua gloria; e - ciò che vale ancor più - lo ha collocato alla sua destra. Siamo ben in grado di renderci conto chi sia stato chi si è sentito dire: Siedi alla mia destra 45. Ci rendiamo facilmente conto pure quale natura avesse colui cui fu detto: Sii partecipe del mio trono di gloria. Chi si sentì rivolgere la parola aveva una natura pari a colui cui fu detto: Tu sei terra, in terra tornerai46.

45  Sal. 109, 1; cf. Mt. 22, 44; Atti 2, 34-35; ecc. Si tenga presente che lo stile è discorsivo (è un’omelia ); così per il seguito.
46     Gen. 3, 19 (cf. riferimenti analoghi nelle referenze bibliche).


XXI. Ancora del Crisostomo, sempre nell’omelia\i Sull’Ascensione del Signore

Non trovo parole, non so in che termini possa esprimermi. Una natura debole, una natura soggetta al disprezzo, una natura che pareva al di sotto di quella di qualsiasi altro, proprio tale natura è riuscita a diventare vittoriosa di tutto, a superare qualsiasi altra cosa; proprio oggi 47 ha meritato di venire trovata più eccelsa di qualsiasi uomo. Oggi gli angeli hanno potuto vedere tutti i loro desideri soddisfatti; oggi gli arcangeli hanno potuto vedere ciò che da gran tempo bramavano contemplare; oggi angeli e arcangeli hanno potuto ammirare a quali altezze è stata innalzata la nostra natura, posta sul trono del Signore e splendente di gloria ^

47  È l’attualità della celebrazione (il mistero avviene oggi nel rito); cf. quanto detto in nota 97 dell’Introduzione. Cromazio in Occidente (con Filastrio di Brescia), e Giovanni Crisostomo in Oriente sono tra le prime attestazioni della celebrazione dell’Ascensione al 40° giorno. Per Cromazio e l’Ascensione, cf. nota 43 alla lett. 124.
48     Testo lat. in PL 54, 1183s.


XXII. \IDi san Teofilo vescovo di Alessandria d’Egitto; da un’epistola destinata alle popolazioni dell’Egitto; il tema è la Pasqua\i \249

Testimone di quanto andiamo dicendo è lo stesso che così parla: Tutti se ne sono andati; tutti sono diventati inutili50 ed anche i profeti che domandano l’aiuto del Cristo: Signore, piega i tuoi cieli e vieni!51. Non dicevano così, quasi ad invitarlo a cambiare posto, dato che in lui tutte le cose hanno sussistenza, ma perché si degnasse di assumere su di sé la fragilità della nostra carne, per salvare noi. Non in termini differenti si esprime anche l’apostolo Paolo: Lui, che pure era ricco, s’è fatto povero, perché noi diventassimo ricchi per la sua povertà 52. E venuto sulla terra, venuto attraverso il ventre di una vergine, ventre che egli aveva santificato; ne è uscito uomo, dando verità alla profezia che giustificava il suo nome, ossia quello di Emmanuele, che vale Dio con noi 53; cominciò da questo punto - in modo che non riusciamo ad esprimere - ad essere ciò che noi siamo, ma senza lasciare di essere quanto era prima; così, mentre assumeva la nostra natura su di sé, non perciò perdeva quello che era stato sino allora. E benché Giovanni possa scrivere: Il Verbo si è fatto carne 54, ossia - in altri termini - si è fatto uomo; non perciò il Verbo si è 49 * 51 52 53 cambiato in carne, dato che neppure per un istante ha cessato d’essere Dio. È proprio di lui che anche il santo Davide esclama: Ma tu sei sempre lo stesso! 54 55. Pari l’attestazione che il Padre fa udire dal cielo: Tu sei il Figlio mio diletto, nel quale ho posto le mie compiacenze 56. Ed anche dal momento che si è fatto uomo occorre che egualmente confessiamo che egli ha perseverato nell’essere suo che aveva prima di diventare uomo. Concorda con ciò l’apostolo Paolo: Cristo Gesù: ieri, oggi, lui sempre in futuro 57 58. Per il fatto che Paolo asserisce che egli è lo stesso, fa comprendere che il Verbo non ha cambiato la sua natura (divina), né che abbia impoverito la divinità che gli apparteneva; perché - se si è reso povero - lo ha fatto per noi, al fine di prendere su di sé una perfetta somiglianza della nostra umana condizione


49  Si ricordi la successione di alcuni vescovi di Alessandria, legati tra loro da vincoli di parentela: Teofilo (385-412), Cirillo (412444), Dioscoro (444; deposto a Calcedonia nel 451). Per la valutazione: di Dioscoro è presto detto: basta l’epistolario di Leone e il latrocinium di Efeso (449), opera soprattutto di Dioscoro; per Teofilo, cf. Simonetti, Letteratura..., cit., p. 323 (a Teofilo si deve il famigerato concilio della «Quercia» nel quale si depose san Giovanni Crisostomo); per Cirillo, Simonetti, ivi, pp. 315-316.326 ss. Qualcosa è detto nell’ Introduzione, a proposito delle relazioni sempre tese tra Alessandria ed Antiochia (e/o Costantinopoli). Non è indifferente il fatto che san Leone citi proprio da (san) Teofilo: ciò sta a dire che proprio un vescovo di Alessandria (da dove venne l’eresia monofisita), e tale vescovo era per di più Teofilo, era contro le deduzioni che portarono all’eresia Eutiche, che ebbe un sostenitore crudele quale fu - poi - il nipote di san Cirillo, Dioscoro (per il quale vedi Introduzione, a proposito della formula di derivazione da Apollinare di Laodicea).
50 Sal. 13, 3.
51    Sal. 143, 5.
52     2 Cor. 8, 9.
53    Mt. 1,25 (da Is. 7, 14).
58.
54    Gv. 1, 14.
55    Sal. 101,28 (cf. Ebr. He 13,8).
56     Mt. 3, 17 e parall.
57    Ebr. 13, 8.
58  La conclusione del testo (secondo gli interessi di papa Leone) sottolinea il fine soteriologico; può essere un'altra ragione della scelta di tale brano. Il testo latino risulta da una traduzione dal greco di san Girolamo; nel suo epistolario è la lett. 98; il brano proposto è al n. 4. La lett. per intero, in italiano, in san Girolamo, Le lettere, III; Città Nuova, Roma 1962, pp. 135-169 (intensa anche la relazione epistolare tra san Girolamo e san Teofilo); vedi ivi, dalla lett. 82aalla 100 (quasi tutte; poi la 114®...). Ma ancora una chiosa: nello stesso n. 4 della lett. cit., Teofilo prende di mira Apollinare di Laodicea, per il fatto che costui sostiene che il Verbo ha preso il posto dell'anima razionale dell'uomo (ossia: il Verbo avrebbe assunto - per Apollinare - un corpo senz'anima). Ora si ripensi alla trasmissione in Cirillo d'Alessandria della formula presunta di sant'Atanasio, ma, invece, di Apollinare, la conclusione della quale si rovescierà nel monofisismo di Eutiche, sostenuto dal nipote di Cirillo, Dioscoro. Strano destino davvero!




Leone Magno - II. Sempre dello stesso sant’Ilarìo, tra le altre cose, al libro IV\i \26 * *