B. Paolo VI Omelie 50464

5 aprile 1964: DOMENICA IN ALBIS

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Carissimi Figli e Figlie!

Questa celebrazione della Santa Messa nella Basilica di San Pietro Ci mette a contatto - oh, non puramente locale! ma cordiale e spirituale - con questa folla numerosa e composita, che circonda il Nostro altare, e che vogliamo salutare non già interrompendo l’azione di culto, che stiamo compiendo, ma alimentandola di pensieri e di sentimenti, che la rendano più cosciente, più condivisa, più comunitaria, più viva. E non possiamo fare a meno d’introdurre questo breve dialogo con voi, fedeli che assistete a questa Santa Messa della Domenica in Albis, innanzi tutto perché la vostra presenza ha dato motivo alla Nostra presente celebrazione. È per voi, diletti Figli e Figlie, che siamo scesi sulla tomba dell’Apostolo Pietro per offrire il divino Sacrificio, ed è per voi e con voi che intendiamo celebrarlo.

Per voi tutti, di qualunque paese voi siate, a qualunque gruppo voi apparteniate; ognuno e tutti siete oggetto della Nostra affezione, che tutti ed ognuno associa a questo sacro rito; ogni singola persona e tutta la numerosa assemblea Noi assumiamo nella Nostra preghiera, lieti, come può esserlo un Padre comune, un Pastore universale, un Pontefice sommo, di essere vostra voce a Dio e d’essere sua voce a voi tutti, mentre «in persona Christi» siamo appunto ora tramite di ogni vostra orazione che sale e d’ogni divina grazia che discende.

Ma, fra tutti, Noi dobbiamo nominare, quasi in testa ai dittici liturgici del nostro a memento», quelli che a questo spirituale incontro hanno dato non solo occasione, ma intenzionale ragione; vogliamo dire gli Studenti della Università Cattolica del Sacro Cuore, sia di Milano, che di Piacenza, di Castelnuovo Fogliani, di Rergamo, e di Roma, con il loro Magnifico Rettore, Prof. Francesco Vito, il Senato Accademico, i chiarissimi Professori, Assistenti ed Incaricati, con gli Assistenti spirituali, gli Amministratori e gli Addetti ai vari uffici, e infine col Comitato permanente dell’Istituto per gli Studi Superiori «Giuseppe Toniolo», che dell’Università stessa è la fonte ispiratrice e alimentatrice. La presenza di Monsignor Giovanni Colombo, Arcivescovo di Milano, e di Mons. Carlo Colombo, Vescovo titolare eletto e Presidente dell’Istituto Toniolo, dice come la Chiesa, nella sua Gerarchia, è vicina con la sua predilezione a cotesto grande organismo di studi e di formazione scientifica e pedagogica.

Carissimo e splendido complesso di persone e di opere, di vita e di pensiero, di studio e d’azione, grande e poderoso edificio accademico eretto dalla formidabile energia, dalla apostolica carità, dall’illuminata sapienza del sempre compianto Padre Agostino Gemelli e da suoi straordinari collaboratori, Noi sappiamo di dovergli per molti titoli la Nostra più devota e affettuosa accoglienza e di dover qui, nell’azione sacra che sublima nel misterioso commercio con Dio, mediante l’ineffabile rinnovazione del sacrificio eucaristico, sentimenti, pensieri ed auguri, esprimergli il Nostro appassionato interesse, il Nostro voto per la sua stabilità e per la sua prosperità: non dimentichiamo infatti d’aver sempre nutrito particolare amore alla istituzione universitaria, per se stessa, per ciò ch’essa è e rappresenta nell’espressione dello spirito umano e nella funzionalità morale della società civile; e ben ricordiamo quale merito sia stato sempre da Noi riconosciuto e lo sia tuttora ad una scuola universitaria, che si onora e si avvale della qualifica di «cattolica»; ed è poi sempre fissa nel Nostro spirito, come tuttora ne perdurasse la causa, la memoria dell’essere stati Noi stessi uniti da vincoli onorifici e responsabili alla gloriosa Università cattolica; anzi diremo che l’ufficio pontificale, a Noi ora affidato, di maestro e di pastore dell’intera Chiesa di Cristo, Ci fa ancor più obbligati e disposti a riconoscere, a proteggere, ad ammirare, ad amare in questo nostro giovane e fiorente Ateneo una testimonianza, una speranza, una forza del cattolicesimo italiano moderno.

Sappiamo inoltre che questo incontro dell’Università Cattolica con l’umile, ma amica Nostra persona, non è casuale, ma voluto e preparato con meditato proposito; l’incontro perciò vuol essere - non diremo, in questa sede, ufficiale - ma intenzionale, cordiale, filale, pieno di alti pensieri e di buone promesse. E come tale Noi lo accogliamo e lo benediciamo. Noi vogliamo, per quanto è possibile nell’attimo e nella forma di questo rito, riconfermare i rapporti spirituali che hanno unito, fin dall’inizio, l’Università Cattolica del Sacro Cuore con la Sede Apostolica: un Papa, d’origine e di tempra milanese, Pio XI di felice memoria, ne fu sapiente e forte patrono fino dall’inizio; il suo presente tanto inferiore ed indegno, ma autentico successore, nella cattedra di Sant’Ambrogio prima ed ora in quella di San Pietro, rinnova al prediletto Ateneo la sua stima, la sua fiducia e la sua protezione; come, nello stesso tempo, gradisce e avvalora la fedeltà sincera e filiale, che codesta presenza della Università Cattolica qui così palesemente e così piamente Ci manifesta.

E siamo lieti che il brano evangelico dell’odierna liturgia Ci porti nel cuore della problematica, che da tali rapporti nasce con ricorrente spontaneità; la problematica appunto delle relazioni fra i due magisteri, quello ecclesiastico e quello profano, quello fondato sul pensiero divino e quello sul pensiero umano, quello derivante dalla fede e quello dalla ragione. Antica questione, che l’Università Cattolica risolve non già nella contestazione della legittimità dell’uno a esclusivo profitto dell’altro, cioè contestando che possa esistere una autorità dottrinale estranea, e per giunta superiore, a quella derivante dalle sole forze della mente umana; antica questione, che l’Università Cattolica risolve negando che fra le due verità, di fede e di scienza, vi sia obbiettiva e insanabile opposizione (così proclamava la sentenza scolpita sullo sguancio del lucernario dell’aula magna della prima sede dell’Università Cattolica, a Via S. Agnese in Milano); antica questione, che l’Università Cattolica risolve non già separando l’uno dall’altro pensiero, quello puramente religioso da quello strettamente razionale, come due momenti irriducibili e incomunicabili dello spirito, quasi forestieri parlanti linguaggi diversi, ma scoprendo e svolgendo le rispettive competenze e le reciproche interferenze; antica questione, diciamo, che l’Università Cattolica risolve in sempre nuove esperienze e testimonianze della profonda e mutua corrispondenza soggettiva di quelle due verità, diversamente conoscibili, ma segretamente complementari e inesauribilmente destinate a venire a confronto in un disagio, in un’inquietudine iniziale, se volete, ma in un colloquio poi fieramente stimolante l’interiore movimento dialettico del pensiero e la fiducia nella esteriore progressiva conoscibilità delle cose. Cotesto dualismo sarà per sempre caratteristico in un’alta scuola cattolica, anche se la conoscenza della Parola divina non sia per sè condizionata alla scienza delle discipline umane, ed anche se queste attestino la loro razionale validità senza chiamarsi religiose o cattoliche. Ma la presenza di tale dualismo, cioè delle due differenti sorgenti di sapienza nell’uomo, sarà sempre presente a chi accetta come vera la rivelazione cristiana e riconosce come certa la conclusione logica dell’indagine scientifica; e assumerà, nei cicli della cultura, espressioni diverse, sempre vive, sempre drammatiche, sempre feconde per chi è maestro e per chi è alunno in un’Università cattolica. Sarà anche per voi, maestri ed alunni dell’Ateneo del Sacro Cuore, il vostro problema, il vostro tormento, il vostro cimento, il vostro conforto, e, come dice l’epistola odierna, la vostra vittoria: «Haec est victoria, quae vincit mundum, fides nostra» (
1Jn 5,4).

Potete ben pensare come Noi avremmo non poche cose da dirvi a questo riguardo: quanti consigli, quanti ammonimenti, quanti precetti! L’Ufficio Nostro, da un lato, Ci metterebbe sulle labbra tante didascalie molto autorevoli e molto sapienti; la inquieta e torbida atmosfera di parecchie zone della cultura, dall’altro, Ci suggerirebbe di profittare dell’occasione per dire a uditori preziosi, quali voi siete, qualche buona e salutare parola. Ma vi rinunciamo, sicuri come siamo che siete già ottimamente provveduti. Vi rinunciamo per il piacere di consegnarvi invece, a memoria di quest’ora fortunata, una parola di Gesù, la quale vorremmo fosse da voi non solo ricordata, ma pensata, sperimentata, e, Dio voglia, goduta, e poi annunciata come una testimonianza, di cui già nel Nostro messaggio pasquale Noi abbiamo auspicato la diffusione. Una parola, che Gesù pronunciò proprio alla fine della stupenda scena narrata dal Vangelo, or ora letto, il Vangelo di Tommaso, l’incredulo, il diffidente, il positivista, il prototipo di chi vuol ridurre ad esperienza sensibile il messaggio delle verità evangeliche. Gesù dunque ebbe a dire: «Beati . . . coloro che crederanno» (Jn 20,29). Una nuova, un’ultima beatitudine del Vangelo: quella della fede. Beati quelli che avranno fede in Cristo, senza aver veduto, senza aver toccato; ma per aver accettato come vera, come reale, come illuminante, come salvatrice la sua parola.

Noi non aggiungeremo commenti. Ma lasciate che Noi vi preghiamo di ascoltare, di accogliere, di sperimentare questa parola di Cristo: la fede è beatitudine! Non stupefacente illusione, non mitica finzione, non surrettizia consolazione; ma autentica felicità. La felicità della verità (oh! chi più di voi è candidato a goderla?), la felicità della pienezza, la felicità della vita divina, resa possibile a qualche mirabile partecipazione umana. Non mortificazione del pensiero, non intralcio alla ricerca scientifica, non inutile peso per la snellezza dello stile spirituale moderno; ma luce, ma voce, ma scoperta, che allarga l’anima, e rende comprensibile la vita ed il mondo; felicità del sapere supremo; ancora una volta, felicità del conoscere, del conoscere la verità. La voce, che vi dovrebbe essere nota e cara, come quella non meno d’un Maestro che d’un sempre attuale collega, la voce di Sant’Agostino, mormora la conclusione, sintesi di lungo pensare: la felicità altro non è che il gaudio della verità: «Beata vita, quae non est nisi gaudium de veritate» (Conf. X, 23, P.L. 32, 794).

Questo, si sa, è un traguardo; ma esso segna una via, quella della vita spirituale propria d’un domicilio di pensiero filosofico e di ricerca scientifica a livello universitario; ed è il sentiero aspro e fiorito delle anime vive, tese ed aperte alle più inebrianti esperienze della nostra religione, quelle che, al dire di San Paolo, le rendono «capaci di comprendere, con tutti i santi, quale sia la larghezza e la lunghezza e l’altezza e la profondità, e d’intendere quest’amore di Cristo, che sorpassa ogni scienza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio» (Ep 3,18-19); quelle che certamente molti di voi che Ci ascoltate vanno misteriosamente e dolcissimamente esplorando nelle silenziose adorazioni della Cappella dell’Università, suo centro, suo focolare; quelle che all’università stessa hanno meritato e prefisso l’appellativo di Università Cattolica «del Sacro Cuore». Via, anch’essa, a voi nota, perché da voi fedelmente e fervorosamente percorsa; via cui fiancheggiano le tombe piissime del Beato Contardo Ferrini, di Agostino Gemelli, di Lodovico Necchi, di Francesco Olgiati, di Pietro Panighi, di Armida Barelli, con una sola ed eloquente iscrizione, per chi, come voi, la sa leggere: continuare! Ed è a questo cammino che vi esorta la Nostra parola e vi accompagna la Nostra Benedizione.

Saluto a pellegrini di varie Nazioni

Nous saluons avec une paternelle affection les pèlerins de langue française présents ici aujourd’hui. Nous souhaitons à tous que leur participation à la sainte Messe du dimanche de Quasimodo leur obtienne la fermeté et la joie de la foi, cette foi que l.‘Apôtre Thomas proclama par son invocation au Christ ressuscité: «Mon Seigneur et mon Dieu!», cette foi qui doit illuminer et diriger le chemin de votre vie terrestre vers la vie éternelle. Nous donnerons à tous, à la fin, Notre Bénédiction Apostolique.

We give an affectionate and fatherly greeting to all those present who speak English, and to all We express the hope that their assistance at the Holy Mass of Low Sunday Will obtain for them the strength and the joy of faith, which the Apostle Thomas proclaimed loudly to the Rising Christ: «My Lord and my God», and which should illumine and direct the path of our earthly sojourn towards eternal life.

To all We shall impart, at the close, Our Apostolic Benediction.

Geliebte Stihne und Ttichter!

Unser herzlicher, väterlicher Gruss gilt auch allen deutscher Sprache, die an dieser Audienz teilnehmen.

Euch allen wünschen Wir von Herzen, dass die Teilnahme an dieser heiligen Messfeier am Weissen-Sonntag euch Festigkeit und Freude im Glauben schenke. So wie der heilige Apostel Thomas ausrief, als er den auferstandenen Heiland sah: «Mein Herr und mein Gott», so möge euch dieser Ruf erleuchten und führen durch euer ganzes Erdenleben hin zur ewigen Herrlichkeit.

Mit diesem Wunsche erteilen Wir euch allen aus ganzem Herzen den Apostolischen Segen.

Saludamos ahora con afecto paterno a todas las personas de lengua española presentes en la Basílica. A todas les deseamos que su participación en la Santa Misa del domingo in albis obtenga la firmeza y la alegría en la fe, aquella que el apóstol Tomás proclamó con su invocación a Cristo resucitado: «Señor mio y Dios mío», aquella que debe iluminar y guiar el camino de nuestra vida terrena hacia la vida eterna. A todos daremos al final Nuestra Bendición Apostólica.





12 aprile 1964: DOMENICA DEL BUON PASTORE

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L'Augusto Pontefice invita a sostare un momento sul Vangelo del giorno, ben conosciuto da tutti i presenti: quello del Buon Pastore, che ad elementi figurativi semplici, conosciutissimi, dà la potestà di rivestire idee così sublimi, vere e profonde da costituire quasi un miracolo, una meraviglia.

Il Vangelo del Buon Pastore: si direbbe che il Signore stesso ci offra una sintesi, una definizione, un quadro che comprende tutto, Lui e noi, la storia e la vita e i destini dell’umanità, È il quadro che, con una semplicità estrema ma con una verità che non ammette nessun equivoco, pone Lui, Gesù Cristo, al centro dell’umanità e traccia i rapporti che intercedono fra Lui e il mondo. Gesù, dà una mirabile definizione di se stesso: Io sono il Buon Pastore.

Per essere breve il Santo Padre si fermerà, con i presenti, sopra i due elementi principali che compongono la descrizione che il Signore fa di sé e della umanità: i due elementi caratteristici del brano evangelico: uno è l’ovile, è il gregge, che significa il popolo, l’umanità, il mondo, raffigurati appunto in questa immagine arcadica ed elementare, il gregge di Cristo.

Tutte le volte che ci raduniamo per celebrare una Messa, che cerchiamo di fare unità nella preghiera, nella fede, nella carità, intorno a chi ne esercita il Ministero - il sacerdote -, si ricompone l’immagine evangelica, noi diventiamo l’ovile di Cristo, con questa comune ma sempre bellissima e singolare caratteristica, che tutti divengono uguali, scompaiono tutte le differenze, ognuno prende un posto uguale all’altro, si verifica un fenomeno di fratellanza.

Chi conosce che cosa è il mondo e che cosa sono gli uomini, non può - quando si vede davvero qualche cosa di autentico in questo campo - non stupirsi e non sentire come è bello, profondo, come è augurabile che sia sempre così. E il Cristianesimo passa nel mondo della storia realizzando ad ogni domenica, ad ogni Messa, ad ogni convocazione dell’assemblea cristiana, questo fenomeno di fratellanza. Non avremo mai considerato abbastanza questa verità: la gioia di essere fratelli, e con la particolarità che nessuno scompare, che nessuno perde la sua caratteristica, ma anzi rafforza la propria personalità, è chiamato ad essere quello che il Signore vuole che sia.

Il Santo Padre volge poi la sua attenzione sui gruppi presenti, il pellegrinaggio dei parrocchiani di Sant’Ambrogio, che Egli è lieto di nominare, perché sono essi che hanno dato motivo a quella Messa nella Cappella Sistina e che sono accompagnati dall’Abate-Prevosto della Basilica Mons. Oldani, che è stato per tanti anni Suo Vescovo ausiliare, e che porta, oltre alla sua presenza, una bella corona di persone degnissime e tanto care che rappresentano quella comunità, quel complesso mirabile di storia, e di arte che è rievocato dal nome di Sant’Ambrogio.

Nome che desta tanti ricordi maestosi, operanti, gratissimi, su alcuni dei quali il Santo Padre è lieto di soffermarsi con letizia e commozione; se si volesse pensare che cosa è Sant’Ambrogio per Roma e per Milano, ci sarebbe da perdere la parola e il respiro dinanzi ad una figura così grande e alla sua mirabile opera in momento così importante della civiltà e della storia umana e cristiana.

L’Augusto Pontefice saluta poi il gruppo dei rappresentanti dell’Associazione Nazionale «Luigi Luzzatti» fra le Banche Popolari, che celebrano quest’anno il centenario della fondazione del primo istituto di credito popolare in Italia, per opera di un celebre economista e statista: Luigi Luzzatti. Essi hanno voluto dedicarsi al buon governo della vita amministrativa e della vita economica; con questo principio - che il Papa accoglie con tanto piacere, che vorrebbe esaltato ed applicato molto di più - che cioè la vita economica deve essere subordinata al servizio dell’uomo e non viceversa.

Ebbene basta questo principio per dire che si è già in una atmosfera, non soltanto di civiltà umana, ma di principii cristiani, nel rispetto del Vangelo, dove è detto che le cose di questo mondo servono alle cose superiori della vita dello spirito e che dovrebbero essere accessibili a tutti, soprattutto a quelli che ne hanno maggiore bisogno.

Perciò, l’Augusto Pontefice esprime la Sua compiacenza ed i Suoi auguri, lieto di dare con la Sua autorità, un incoraggiamento perché il loro progresso e la loro attività nella vita del Paese possano essere sempre pari agli ideali superiori che hanno promosso questo benefico esperimento.

Concludendo, il Santo Padre vuole ancora porre in rilievo quanto sia bello e doveroso comporre l’ovile di Cristo; come tutti siano chiamati a stringersi attorno al Signore; come questo problema dell'unità, non livellata ed informe, meriti di essere, proprio in questo clima di Concilio Ecumenico, studiata, promossa, aiutata dalle nostre preghiere, auspicata dai nostri desideri, servita dagli esempi. della nostra fedeltà, dell’obbedienza alla Chiesa, della carità verso i fratelli.

L’ovile, e al centro Colui che ne crea l’unità, il Signore, il Quale si definisce il Buon Pastore, ecco un tema di preziosa meditazione.

E ci si potrebbe domandare perché la Chiesa ci chiama a questa considerazione due settimane dopo la Pasqua, dopo che Gesù è risorto ed è scomparso dalla scena temporale e, anche se ancora è presente sulla terra - finché l’Ascensione non lo toglierà ai nostri sguardi - vive una vita soprannaturale.

Chi ha esperienza della vita umana avverte che la conoscenza delle persone care non è mai così fedele e perfetta e desiderata ed amata come quando esse sono scomparse e sono tolte alla nostra conversazione; mai, come allora, ne riconosciamo i meriti.

Così di Gesù: ecco che ci si presenta il problema del ritratto del Redentore, delle sue manifestazioni umane. Ebbene, sappiamo tutti che su questo tema si sono misurati artisti, studiosi, santi. Il Vangelo ci dice: cercatelo, questo ritratto, nell’immagine del Pastore buono e troverete in Lui, in confluenza singolarissima, delle doti che sembrano contrastanti.

Gesù, infatti, concilia in sé virtù che sembra impossibile convivano in una stessa persona: troviamo in Lui una maestà, una gravità, una magnanimità indicibili, un eroismo vissuto; e nello stesso tempo una dolcezza, un’umiltà incomparabile. Ecco la bontà forte e grande risplendere .nella figura mite e coraggiosa di Gesù. Egli dice: il Buon Pastore si ravvisa da questo, che sa dare la vita per il proprio gregge.

Il Santo Padre delinea la figura mirabile del Redentore, così alta e nel tempo stesso tanto umana ed accessibile; Egli è così vicino, così nostro, così fatto per noi, comprensibile dal bambino come dal mistico, dal grande scienziato come dall’uomo comune.

Dobbiamo raccogliere questa raffigurazione del Signore che il Vangelo ci dà e racchiuderla nelle nostre anime; i Vangeli delle domeniche successive ci daranno la gioia di riveder Gesù, di risentire la sua voce, la comunione della sua presenza.

Ascoltare la sua voce è il distintivo delle pecorelle fedeli; chi ha la fede in Lui viene veramente in comunione con Lui, e quasi senza accorgersene diventa parte del suo ovile.



Domenica, 19 aprile 1964: SANTA MESSA NEL CINQUANTENARIO DELLA PARROCCHIA DI SANTA CROCE A VIA FLAMINIA

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Il Santo Padre benedice e saluta i fedeli con questa visita che vuol rendere più solenne la celebrazione del primo cinquantenario della loro Parrocchia e che vuol concludere le sacre Missioni che sono state compiute. Siamo come dei viandanti che fanno un lungo cammino e finalmente, a un dato momento, stanchi, si fermano sul ciglio della strada e pensano al cammino percorso. La loro Parrocchia ha percorso cinquanta anni ed ora si arresta un momento e medita sopra il periodo trascorso; è bello raccogliere il passato, fissarlo in alcuni avvenimenti e consegnarlo ai più giovani, a quelli che non sanno quello che la parrocchia è costata, quale trasformazione del quartiere essa abbia segnato, e quale vita si sia svolta in questa aula di preghiera e di culto.

MEMORIA DI ANIME GENEROSE

Ricordare è dovere: il Papa richiamerà solo due nomi cari e venerati: S. Pio X che volle questa parrocchia negli ultimi anni della sua vita e che ha lasciato qui quasi un mandato di evangelizzazione e la sua grata e impegnativa memoria; ed Aristide Leonori. Il Sommo Pontefice, nei primi anni della sua vita romana, conobbe questo architetto cui si deve la chiesa di Santa Croce e il cui nome ha attorno a sé un’aureola di bontà, di santità, che rende ancora più cara la costruzione da lui ideata con grande premura, secondo i canoni di quel tempo.

Un pensiero il Papa desidera avere anche per tutti quelli che a Santa Croce sono passati facendo del bene: per il Vicariato, promotore della nuova Parrocchia, per il caro Parroco che lavora per loro con zelo da trent’anni e al quale dà una benedizione, ringraziandolo, dinanzi a tutti, per le anime consolate e dirette e del bene che ha fatto e di quello - e il Santo Padre augura sia molto - che si ripromette di compiere ancora. Un pensiero anche per i confratelli del Padre Recchia, i religiosi Stimatini, dei quali è presente anche il Padre Generale; a tutti quanti hanno lavorato per le anime va la riconoscenza particolare e la benedizione del Papa.

Ma nella sosta il viandante intelligente pensa pure al cammino futuro e alla direzione da prendere per giungere alla mèta e non perdersi in un vagabondaggio inutile. La parrocchia sa dove va e questo serve per definire che cosa essa è, i suoi rapporti con i fedeli, la sua attività.

Ed ecco che in questa definizione ci soccorre il Vangelo del giorno, della terza domenica dopo Pasqua: l’eredità che Gesù ci ha lasciato è la vita cristiana, la maniera di vivere che Egli ha instaurato. La parrocchia non fa che ripetere questa formula, invitare i fedeli a realizzarla; il Parroco si comporta così come un antico Profeta, ammonisce che bisogna essere fedeli alla legge di Dio, nel ricordo continuo del dramma pasquale, della Passione e della Risurrezione di Cristo, nella Croce che il Signore ci ha lasciato in eredità, la Santa Croce alla quale questa parrocchia è intitolata e dedicata. Questo ricordo, questo pensiero continuo, particolare, si chiama la Fede, e diviene una sorgente interiore di richiamo: ci ripete che la vera vita non è di questa terra come ci dice S. Pietro nell’Epistola odierna: siamo dei viandanti, dei pellegrini, dei forestieri, abbiamo altri destini; un’altra esistenza, eterna, da conquistare.


NELLA CROCE LA VITA CRISTIANA

Nasce spontaneo il confronto tra il modo cristiano di concepire la vita e quello di coloro che non hanno idee religiose, sono dissipati, credono di aver la libertà di concedersi tutte le esperienze, tutti i godimenti. Il Vangelo di S. Giovanni ce lo dice: mundus gaudebit, il mondo godrà mentre quelli che credono in Cristo saranno contristati, e la loro vita sarà contrassegnata dalla Croce del Signore.

Le seduzioni esterne sono grandi perché il nostro tempo fa vedere quanto è bella, ricca, potente la terra, ne mostra oggi più che mai la stupenda fecondità di beni temporali; sembra possegga il segreto della felicità. Ma non è così. Noi dobbiamo ricordare che la fede cristiana ci promette un’altra vita e che l’altra vita è poggiata sulla parola di Cristo, e la parola di Cristo acquista una potenza straordinaria con un paragone di una umanità dolcissima, commovente: nella figura della donna che sta per dare alla luce il bambino e piange e soffre - ed è l’immagine della vita cristiana nella sua prima fase - ma poi si rallegra ed è felice perché è nato un bambino.

La vita cristiana, che si presenta a noi come Croce, che ci obbliga a tanta fedeltà a tante rinunzie, è felice e lo è in due tempi: qui sulla terra, perché se vogliamo essere felici anche nel tempo non abbiamo scelta migliore che di essere cristiani, chi più è cristiano più è felice; chi ha dato tutto ha riconquistato tutto, chi si è consacrato a Cristo è nella gioia; chi lo segue, il Signore, senza generosità, senza slancio sente il peso della Croce, mentre coloro che seguono Gesù con forza, con costanza sentono che la loro Croce ha le ali, invece di pesare, trasporta.


CASA E SCUOLA DI SAPIENZA RELIGIOSA

Il Cristianesimo trasforma la vita e le esperienze di cui essa è ricca in una felicità che non sarà misurata secondo i canoni del gaudio mondano ed esteriore; ma in una pace, in una gioia del cuore che non ha paragone e che è la vera felicità che si possa godere in questo mondo: la felicità cristiana.

E poi c’è una promessa, una visione, una mèta: noi non andiamo verso la morte, le tenebre, il vuoto, il nulla, ma andiamo verso la vita, la luce, la pienezza, verso l’essere, l’oceano che è Dio.

Il Papa esorta i diletti figli a tenere dinanzi agli occhi il significato della celebrazione del cinquantenario della parrocchia e del loro incontro, ed il paragone - che è ‘stato fatto tante volte - della vita cristiana con una nave. Chi è fedele, ed è imbarcato su questa nave sa dove va; il timone e l’albero che guida e conduce la nave è la Croce; il porto è la vita eterna, è l’incontro svelato di Cristo; è la visione - nella pienezza della felicità e della vita - di Dio che è l’Essere, l’eternità.

Il Santo Padre invita quindi i diletti parrocchiani di Santa Croce ad aver cara la loro parrocchia, ad osservare come essa sia per loro casa e scuola e come la vita religiosa che ivi si svolge si rifletta sui loro destini. Abbiano cara la loro Parrocchia, cerchino di essere fieri e riconoscenti di possederla e di appartenerle, e non siano dei figli passivi e parassiti, ma vivi e gaudiosi e contribuiscano a stabilire e sviluppare la loro parrocchia e la loro chiesa, la loro comunità cristiana, nel tempo e nel mondo moderno e nel luogo e nelle circostanze nelle quali si trovano.

Il Papa conclude augurando ai diletti fedeli che siano sempre felici di essere cristiani.




Sabato, 25 aprile 1964: SANTA MESSA PER IL PICCOLO CLERO DI ROMA

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Dobbiamo una menzione speciale al gruppo principale di questa grande Udienza, quello che la caratterizza, quello per il quale specialmente è stata stabilita la celebrazione di questa Santa Messa; e cioè il gruppo del Piccolo Clero romano. Cari ragazzi del Nostro Piccolo Clero romano!, è a voi che adesso Ci rivolgiamo; è a voi che esprimiamo il Nostro affettuoso saluto.

Bravi chierichetti Nostri!, vi diremo, innanzi tutto, che siamo felici di avervi qui tutti intorno a Noi; ed esultiamo per vedervi così numerosi: quanti siete? Una volta eravate pochi, pochi; ora siete una bella schiera, che mette allegria nel cuore solo a vederla. E poi, sappiamo che voi venite da tutte le parti della città; voi rappresentate, si può dire, tutte le Parrocchie e tante altre istituzioni: scuole, oratori, associazioni, cantorie, capitoli... È una meraviglia: voi Ci portate la migliore consolazione per il Nostro animo di Vescovo di Roma: quella di dimostrare, con la vostra stessa presenza, la vitalità religiosa e pastorale delle Nostre Parrocchie e delle Nostre comunità; una vitalità fresca, come quella d’un campo a primavera; una vitalità eletta, come quella d’un giardino fiorito; una vitalità intelligente e solerte, sorretta da cure sagge e pazienti. Molto bene! Dovremo dire «bravi» non solo a voi tutti, ma anche a tante altre persone, che hanno merito in codesta formazione specializzata, a cominciare dalle vostre Mamme e dai vostri Papà, che vi lasciano andare, anzi vi offrono al vostro servizio di Piccolo Clero: vogliamo salutare di qua i vostri Genitori, e dire loro la Nostra compiacenza e la Nostra riconoscenza. Cari figliuoli, sarete capaci, ritornando a casa, di portare questo Nostro ringraziamento ed il Nostro saluto alle vostre famiglie? Portatelo anche ai vostri Sacerdoti, che vi dirigono e vi istruiscono, e specialmente ai vostri Parroci: dite loro che al Papa piace molto il piccolo Clero e raccomanda a tutti di volergli bene!

E basterà che voi portiate ai Genitori, ai Parroci, ai Sacerdoti Assistenti, ai Maestri, alle Delegate dei Fanciulli cattolici questo messaggio del Papa in vostro favore, perché tutti subito si ricordino l’importanza del Piccolo Clero. L’importanza religiosa, innanzi tutto per il culto divino; voi lo sapete benissimo, ed anche le persone adulte, i bravi Sacerdoti specialmente lo capiscono benissimo. Come si compie una bella funzione religiosa senza di voi? Non è possibile; oggi specialmente, quando manchiamo di Clero adulto numeroso; dobbiamo ricorrere al piccolo Clero... rumoroso. Del resto, voi non siete affatto rumorosi e irrequieti e disordinati durante le sacre cerimonie; siete invece bravissimi, se appena qualcuno vi prepara e vi guida; anzi tante volte qualcuno di voi, più anziano e più esperto, vi dirige perfettamente; e voi date per primi ed a tutti l’esempio del contegno da tenere in chiesa: composto, tranquillo, attento, devoto. E sapete fare tutto: rispondere alla Messa, suonare campane e campanelli, servire come bravi accoliti, camminare in processione, e anche cantare, ch’è la cosa più difficile ed anche più bella, e per voi, quando l’avete imparata, la più cara, quasi divertente. Siete bravi, dicevamo, ed importanti: senza di voi, come farebbe la santa Chiesa a reggersi con onore? E voi ve ne accorgete, perché vi piace avere incarichi di fiducia nelle sacre funzioni; e se qualche volta litigate fra voi è proprio per arrivare prima degli altri e ottenere qualche servizio importante o delicato da compiere. Avete coscienza d’essere utili a qualche cosa di serio e di sacro; ed è così: voi date onore a Dio!

Tanto è vero che il Concilio ecumenico (sapete, non è vero, che cosa è il Concilio ecumenico?, la riunione di tutti i Vescovi del mondo col Papa) si è occupato di voi, nella Costituzione sulla sacra Liturgia, prima di tutto ripetendo tante volte ch’è necessaria la partecipazione del popolo alla preghiera ufficiale della Chiesa; e poi ricordando anche voi, sicuro!, all’articolo 29 della Costituzione stessa, dichiarando che anche voi, piccoli ministri dell’altare, esercitate un vero ministero liturgico.

E non è tutto, perché la vostra presenza nelle sacre cerimonie offre altri aspetti degni di grande considerazione. Quello sociale e comunitario ad esempio: dove siete voi, figli carissimi delle nostre famiglie cristiane, e figli carissimi di quella famiglia cristiana, ch’è la Chiesa, subito la comunità si riconosce, si costituisce e si stringe: voi stimolate a metterla insieme con la vostra innocenza, con la vostra letizia, con la vostra necessità di amore e di assistenza. Poi si dovrà considerare l’aspetto educativo rappresentato dal gruppo del Piccolo Clero. Questo specialmente meriterebbe esame adeguato, che qui non possiamo svolgere. Ma Ci basti affermare che l’esercizio religioso, a cui sono educati fanciulli del Piccolo Clero, può avere, ed ha, quando è bene praticato, una efficacia pedagogica meravigliosa. Esso si innesta nello sviluppo spirituale del fanciullo durante il transito dall’infanzia all’adolescenza, cioè dalla fase puramente passiva dell’educazione, a quella, tanto delicata e turbata, della formazione dei primi giudizi riflessi, della prima coscienza complessa, della prima insorgenza delle passioni istintive. Esso svolge, innanzi tutto, in pienezza che non ha nulla di pesante e di pietistico, una formazione spirituale particolare, che fa superare all’adolescente i momenti negativi della sua coscienza religiosa in sviluppo, momenti negativi che segnano per molta gioventù il tramonto del primo fervore e della devozione raggiunta all’occasione della prima comunione e insinuano le inosservanze e i dubbi di cui soffrirà la crisi religiosa caratteristica dei successivi anni giovanili. Il tirocinio religioso, infatti, del Piccolo Clero, quando è bene praticato, abitua il ragazzo a passare dal gesto esteriore della pietà alla prima coscienza interiore, a provare gioia non noia nell’assistenza ai sacri riti, a capire con soddisfazione il linguaggio, non sempre facile, della liturgia, a sciogliere nella semplicità e nella franchezza della professione degli atti religiosi davanti allo sguardo altrui quel paralizzante rispetto umano, ch’è la più comune debolezza spirituale del giovane negli anni della crescita, e a dare all’atto religioso tutta l’importanza che deve avere rispetto all’ orientamento pratico della vita, a collegare cioè debitamente la coscienza religiosa con quella morale ed intellettuale. È a questo punto che il fanciullo, educato nelle file del Piccolo Clero, può comprendere e far sua la scienza superiore della vita: come cioè la vita sia dono di Dio e sia chiamata a seguire i disegni di Dio, quali essi siano, con grandezza d’animo, con fedeltà, con amore. Non abbiamo formato dei ragazzi molli e scrupolosi, non abbiamo messo insieme una processione di minuscoli sacrestani dilettanti, non abbiamo sottratto alle forti e gioiose vocazioni della vita naturale, familiare, sociale un manipolo di ragazzi fiacchi o infiacchiti per predestinarli ad artificiose e stentate concezioni del bene, o per esporli a reazioni di ribellione morale e di nausea spirituale; ma abbiamo favorito nel fanciullo e nell’ adolescente l’aprirsi puro e luminoso, con la luce della fede e l’aiuto della grazia, del suo occhio sul mondo, sul grande mondo in cui il cristiano si trova a vivere, e lo abbiamo allenato, con le arti più squisite della bellezza spirituale e più robuste della sincerità morale - le arti del culto liturgico -, all’ impiego, all’ impegno della sua vita al servizio personale ed attivo delle più alte idealità.

Questo vi diciamo, cari ragazzi del Piccolo Clero, - e Ci ascoltino pure i fedeli tutti presenti nella Basilica e fuori di essa -, perché abbiate buona opinione di voi stessi, perché siate contenti di portare i vostri sacri indumenti e di partecipare come piccoli ma attivi ministri alle funzioni dell’ altare, e perché vi abituiate a pensare che anche domani, quando sarete cresciuti, e non sarete più nelle file del Piccolo Clero, dovrete sempre amare la Chiesa, frequentare le cerimonie religiose, la Santa Messa specialmente, con intelligenza e decoro, e perché siate sempre, sempre fedeli a Gesù, nostro Signore.

Sì, fedeli oggi e domani, anche se ciò dovesse costare qualche sacrificio ed esigere da voi un po’ di coraggio. Siete coraggiosi voi? Oggi sì, e qui specialmente; ma domani?

Sentite questo ricordo, e finiamo.

Oggi si celebra la festa di S. Marco. Sapete chi era S. Marco? Era un ragazzo che abitava, con sua madre, a Gerusalemme, di buona famiglia. Sarà lui che scriverà, e, si dice, proprio qui a Roma, il secondo Vangelo, il Vangelo di S. Marco. E proprio in questo Vangelo egli racconta un episodio, che deve essere capitato proprio a lui. La notte, in cui Gesù fu arrestato, al monte degli Ulivi, tradito da Giuda e abbandonato dai discepoli, un ragazzo, doveva essere S. Marco; si unì al triste corteo, che, al lume delle fiaccole, conduceva Gesù in Gerusalemme, insultato, condannato, come sapete. Marco seguiva Gesù. Forse già lo conosceva. Forse gli voleva bene. Il fatto sta che lui lo seguiva, in quell’ora tremenda, mentre tutti gli altri erano fuggiti. Ma, accadde che la truppa, che conduceva Gesù arrestato, s’accorse che quel ragazzo veniva appresso; e allora vi fu chi cercò di afferrarlo; e lo afferrò di fatto, prendendo il lenzuolo di cui era coperto il giovane, che evidentemente s’era alzato dal letto mettendosi addosso quel lenzuolo. E avvenne che Marco, svelto ed agile, si svincolò e sgusciò via; lasciò il lenzuolo in mano a chi lo aveva agguantato, e scappò anche lui nell’oscurità della notte, anche lui.

Sarebbe, per caso, quel ragazzo, coraggioso prima, pauroso dopo, l’immagine di certi ragazzi del Piccolo Clero, che prima seguono, buoni buoni, Gesù, ma quando viene il giorno di essergli fedeli con costanza e con sacrificio, buttano via la veste - e non solo quella esteriore - del fanciullo puro, buono e devoto, alunno del Piccolo Clero, e se ne vanno più lontani forse e più paurosi degli altri? Sarà così anche per voi? No certo, perché appunto voi siete ragazzi in gamba, intelligenti e coraggiosi.

Anche perché, come certo sapete, quel ragazzo, Marco, più tardi, dopo la risurrezione del Signore, ritornò: fu anzi uno dei più bravi della prima comunità cristiana; accompagnò S. Paolo nella prima parte del suo primo viaggio missionario; poi seguì S. Pietro, e fu lui che raccolse le memorie di S. Pietro e scrisse così, come dicevamo, il secondo Vangelo, il Vangelo di S. Marco.

Ebbene, questo Santo Evangelista vi insegni a voler bene sempre al Signore; e per restargli sempre fedeli, ricordate, fate come S. Marco: state alla scuola e al seguito di S. Pietro, e sarete un po’ anche voi evangelisti di Gesù (cfr.
1P 5,13).





B. Paolo VI Omelie 50464