B. Paolo VI Omelie 22868

Giovedì, 22 agosto 1968: PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO A BOGOTÀ: SACRA ORDINAZIONE DI DUECENTO PRESBITERI E DIACONI NELLA SEDE DEL CONGRESSO

22868


Signore Gesù! Noi ti rendiamo grazie per il mistero che ora Tu hai compiuto, mediante il ministero delle Nostre mani e delle Nostre parole, per virtù dello Spirito Santo.

Tu ti sei degnato d’imprimere un’impronta nuova, interiore, indelebile nell’essere personale di questi tuoi eletti; un’impronta, che a Te li assimila, per cui ognuno di loro è e sarà chiamato: un altro Cristo. Tu hai stampato in ciascuno di loro il tuo volto umano e divino, conferendo ad essi non solo una tua ineffabile somiglianza, ma altresì una Tua potestà, una Tua virtù, una capacità di compiere azioni, che solo la divina efficacia della Tua parola attesta e della Tua volontà realizza.

Tuoi sono, o Signore, questi Tuoi figli, per nuovo titolo diventati Tuoi fratelli, Tuoi ministri. Mediante il loro sacerdotale servizio la Tua presenza e il Tuo sacrificio sacramentale, il Tuo vangelo, la Tua grazia, il Tuo spirito, l’opera, in una parola, della Tua salvezza si comunicherà agli uomini disposti a riceverla; un’incalcolabile irradiazione della Tua carità si diffonderà nel tempo della presente e della futura generazione, e inonderà del Tuo rigeneratore messaggio questo fortunato Paese e questo immenso continente, che America Latina si chiama, e che oggi accoglie i passi del Nostro umile, ma incontenibile ministero apostolico.

Tuoi sono, o Signore, questi nuovi servitori del Tuo disegno di soprannaturale amore; e Nostri sono, perché a Noi associati nella grande opera di evangelizzazione, come i più qualificati collaboratori del medesimo Nostro ministero, come Nostri figli prediletti, anzi come fratelli della Nostra dignità e della Nostra funzione, come operai valorosi e solidali nell’edificazione della Tua Chiesa, come servitori e guide, come consolatori e amici del Popolo di Dio, dispensatori, simili a Noi, dei Tuoi misteri.

Ti rendiamo grazie, o Signore, di questo avvenimento, che trova origine nella Tua infinita dilezione, e ci rende non già degni, ma obbligati a celebrare la Tua misteriosa misericordia; e tutti ci fa solleciti e quasi impazienti di correre in mezzo alla gente, verso la quale tutta la nostra vita, senza possibilità di ricupero, senza limite di donazione, senza sottintesi di terreni interessi, è destinata.

Signore, noi osiamo, in questo momento solenne e decisivo, di esprimerti un’ingenua, ma non stolta preghiera: fa’ o Signore, che noi comprendiamo.



MEDIATORI FRA DIO E L'UOMO

Noi comprendiamo ricordando che Tu, Signore Gesù, sei il mediatore fra Dio e l’umanità; non diaframma, ma tramite; non ostacolo, ma via; non un saggio fra i tanti, ma il Maestro unico; non un profeta qualunque, ma il solo, il necessario interprete del mistero religioso, l’unico che congiunge Dio all’uomo, l’uomo a Dio. Nessuno può conoscere il Padre, Tu hai detto, se non il Figlio, e colui al quale il Figlio, che sei Tu, o Cristo Figlio del Dio vivente, lo avrà voluto rivelare (cfr.
Mt 11,27 Jn 1,18). Tu sei il Rivelatore autentico, Tu sei il ponte fra il regno della terra e il regno dei cieli. Senza di Te nulla possiamo fare (Jn 15,5).

Tu sei necessario, Tu sei sufficiente per la nostra salvezza. Fa’, o Signore, che noi comprendiamo questa fondamentale verità.

E fa’ che noi comprendiamo come noi, si noi, misera argilla umana presa nelle Tue mani miracolose, siamo diventati ministri di codesta unica Tua efficiente mediazione (cfr. S. Th. III 26,1, ad 1). Toccherà a noi, come Tuoi rappresentanti, come distributori dei Tuoi divini misteri (1Co 4,1 1P 4,10), diffondere i tesori della Tua parola, della Tua grazia, dei Tuoi esempi fra gli uomini, ai quali, da oggi, è totalmente e per sempre dedicata tutta la nostra vita (cfr. 2Co 4,5).

Codesta mediazione ministeriale ci pone, fragili e umili uomini come ancora restiamo, in una posizione, sì, di dignità e d’onore (2Co 3,7), di potestà (cfr. 1Co 11,24-25 Jn 20,33 Ac 1,22 1P 5,2, etc.), di esemplarità (cfr. 1Co 4,16 1Co 11,1 Ph 3,17 1P 5,3), che qualifica moralmente e socialmente la nostra vita, e tende ad assimilare il sentimento della nostra coscienza personale a quello stesso, che riempì il Tuo cuore divino, o Cristo (Ph 2,5 Ep 5,1), essendo resi noi pure, quasi con Te, in Te conviventi (Ga 2,20), sacerdoti e vittime insieme (Ga 2,19), protesi con tutto il nostro essere a compiere, come Te, o Signore, la volontà del Padre (cfr. Ps 102,21 He 13,21), obbedienti fino alla morte, come Tu lo fosti fino alla morte di croce (Ph 2,8), per la salvezza del mondo (1Co 11,26).



INTIMITÀ CON CRISTO

Ma ora, o Signore, ciò che noi vorremmo ancor meglio comprendere è l’effetto psicologico che il carattere rappresentativo della nostra missione deve produrre in noi, e la duplice polarizzazione della nostra mentalità, della nostra spiritualità ed anche della nostra attività verso i due termini, che trovano in noi il loro punto di contatto, la loro simultaneità: Dio e l’uomo, in una vivente, magnifica analogia con Te Dio ed uomo.

Dio ha in noi il suo vivo strumento, il suo ministro, perciò il suo interprete, l’eco della sua voce; il suo tabernacolo, il segno sto. rito e sociale della sua presenza nell’umanità; il focolare ardente d’irradiazione del suo amore per gli uomini. Questo fatto prodigioso (o Signore, fa che non mai noi lo dimentichiamo!) comporta un dovere, il primo e il più dolce della nostra vita sacerdotale: quello dell’intimità con Cristo, nello Spirito Santo, e perciò con Te, o Padre (cfr. Jn 16,27); quello cioè di una autentica e personale vita interiore, non solo gelosamente custodita nel pieno stato di grazia, ma altresì volontariamente espressa in un continuo atto riflesso di consapevolezza, di colloquio, di amorosa, contemplativa sospensione (cfr. S. Gregor., Regula Past. I: «contemplatione suspensus»). La ripetuta parola di Gesù nell’ultima cena: «Manete in dilectione mea» (Jn 15,9 Jn 15,4; etc.) è per noi, Figli e Fratelli carissimi. In questo anelito di unione con Cristo e con la rivelazione, da Lui aperta sul mondo divino ed umano, è il primo atteggiamento caratteristico del ministro fatto rappresentante di Cristo, e invitato mediante il carisma dell’ordine sacro a personificarlo esistenzialmente in se stesso. Questo è molto importante per noi; è indispensabile. E non crediate che questo assorbimento della nostra cosciente spiritualità nell’intimo colloquio con Cristo arresti, o rallenti, il dinamismo del nostro ministero; ritardi cioè l’esplicazione del nostro apostolato esteriore, e serva fors’anche di evasione dalla molesta e pesante fatica della nostra dedizione all’altrui servizio, alla missione a noi affidata; no, esso è lo stimolo dell’azione ministeriale, la fonte dell’energia apostolica; esso mette in efficienza il misterioso rapporto fra l’amore a Cristo e la dedizione pastorale (cfr. Jn 21,15 ss.).


RAPPRESENTANTI DI DIO PRESSO IL POPOLO

Anzi è così che la nostra spiritualità sacerdotale di rappresentanti di Dio presso il Popolo si rivolge all’altro suo polo, di rappresentanti del Popolo presso Dio. E ciò, badate bene, non solo per profondere agli uomini amati per amore di Cristo tutta l’opera, tutto il cuore nostro, ma altresì, e in una precedente fase psicologica, per assumere in noi la loro rappresentanza: noi raccogliamo in noi stessi, nel nostro amore, nella nostra responsabilità, il Popolo di Dio. Noi siamo non solo ministri di Dio, ma siamo altresì ministri della Chiesa (cfr. Enc. Mediator Dei: A.A.S. 1947, p. 539); anzi dovremo sempre ricordare che il Sacerdote celebrante la Santa Messa compie «populi vices» (Pii XII, Alloc. Magnificate Dominum: A.A.S. 1954, p. 668); e allora quanto alla validità sacramentale del sacrificio, il sacerdote agisce «in persona Christi»; ma, quanto all’applicazione, egli agisce come ministro della Chiesa (cfr. Journet, L’Eglise du Verbe Incarné 1, p. 110, n. 1, 1 ed., cfr. S. Th. III 22,1; cfr. anche 2Co 5,11).

E allora chiediamo al Signore che infonda in noi il senso del Popolo che rappresentiamo, che raccogliamo nel nostro ufficio sacerdotale e nel nostro cuore di consacrati alla sua salvezza; del Popolo che raduniamo in comunità ecclesiale, che convochiamo d’intorno all’altare, che interpretiamo nei suoi bisogni, nelle sue preghiere, nelle sue sofferenze, nelle sue speranze, nelle sue debolezze e nelle sue virtù. Noi siamo, nell’esercizio del nostro ministero cultuale, il Popolo di Dio. Noi facciamo convergere nel nostro carattere rappresentativo e ministeriale le varie condizioni componenti la comunità cristiana: i fanciulli, i giovani, le famiglie, i lavoratori, i poveri, gli ammalati, ed anche i lontani e gli avversari. Noi siamo l’amore unitivo della gente di questo mondo. Noi siamo il loro cuore. Noi siamo la loro voce adorante e pregante, esultante e piangente. Noi siamo la loro espiazione (cfr. 2Co 5,21). Noi siamo i messaggeri della loro speranza!

O Signore, fa’ che comprendiamo. Dobbiamo imparare ad amare gli uomini così. Poi così a servirli. Non ci costerà d’essere al loro servizio, ma ciò sarà nostro onore, nostra aspirazione. Non ci sentiremo mai distaccati socialmente da loro, per il fatto che siamo e dobbiamo essere per il nostro ufficio da loro distinti. Non rifiuteremo mai d’essere a loro fratelli, amici, confortatori, educatori, servitori. Saremo ricchi della loro povertà; e saremo poveri in mezzo alle loro ricchezze. Saremo capaci di comprendere i loro affanni e di trasformarli, non nella collera e nella violenza, ma nell’energia forte e pacifica di opere costruttive. Avremo caro che il nostro servizio sia silenzioso (Mt 6,3) e disinteressato (cfr. Mt 10,8); sincero nella costanza, nell’amore e nel sacrificio; fiduciosi che la Tua virtù lo renderà un giorno efficace (Jn 4,37). Avremo sempre davanti e dentro lo spirito la Tua Chiesa una, santa, cattolica, pellegrinante verso l’eterna meta; e porteremo scolpita nella memoria e nel cuore la nostra divisa apostolica: «Pro Christo ergo legatione fungimur» (2Co 5,20).



«TUTTI E SEMPRE FEDELI MINISTRI DEL SIGNORE»

Ecco, Signore: questi nuovi Sacerdoti, questi nuovi Diaconi faranno propria la divisa, la consegna d’essere i tuoi ambasciatori, i tuoi araldi, i tuoi ministri in questa terra benedetta, ch’è la Colombia, in questo continente cristiano, ch’è l’America Latina. Tu, o Signore, li hai chiamati, Tu ora li hai rivestiti della grazia, dei carismi, delle potestà dell’ordinazione sacerdotale gli uni, di quella diaconale gli altri. Fa’ che siano tutti e sempre tuoi fedeli ministri.

Noi Ti preghiamo: affinché mediante il loro ministero ed il loro esempio si conservi la fede cattolica in questi Paesi, affinché essa si accenda di luce nuova, affinché essa risplenda nella carità operosa e generosa, affinché la loro testimonianza faccia eco a quella dei loro Vescovi e conforti quella dei loro Confratelli, affinché essi sappiano alimentare la vera vita cristiana in tutto il Popolo di Dio, affinché essi abbiano la lucidità ed il coraggio dello Spirito per promuovere la giustizia sociale, per amare e difendere i poveri, per servire con la forza dell’amore evangelico e con la sapienza della Chiesa madre e maestra i bisogni della società moderna, ed affinché essi possano sempre, nella memoria del presente Congresso, cercare e trovare nel Mistero eucaristico la pienezza della loro vita spirituale e la fecondità del loro ministero pastorale, noi Ti preghiamo! Ascoltaci, o Signore!



Venerdì, 23 agosto 1968: PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO A BOGOTÀ: SANTA MESSA PER I «CAMPESINOS» COLOMBIANI

23868

Salute, salute a Voi, Campesinos colombiani! E salute a tutti i lavoratori della terra nell’America Latina! Salute, salute nel nome di Gesù Cristo, nostro Signore, nostro Salvatore!

Vi confidiamo che questo incontro con voi è uno dei momenti più desiderati e più belli di questo Nostro viaggio: è uno dei momenti più cari e più significativi del Nostro ministero apostolico e pontificio!

Siamo venuti a Bogota per onorare Gesù nel suo Mistero eucaristico, e siamo pieni di gioia che Ci sia data l’opportunità di farlo venendo in mezzo a voi per celebrare la presenza del Signore fra noi, in mezzo alla sua Chiesa e al mondo, nelle vostre persone. Voi siete un segno, voi un’immagine, voi un mistero della presenza di Cristo. Il sacramento dell’Eucaristia ci offre la sua nascosta presenza viva e reale; mai voi pure siete un sacramento, cioè un’immagine sacra del Signore fra noi, come un riflesso rappresentativo, ma non nascosto, della sua faccia umana e divina. Ci ricordiamo ciò che disse un tempo un grande e sapiente Vescovo, Bossuet, sulla «eminente dignità dei poveri». E tutta la tradizione della Chiesa riconosce nei poveri il sacramento di Cristo, non certo identico alla realtà dell’Eucaristia, ma in perfetta corrispondenza analogica e mistica con essa. Del resto Gesù stesso ce lo ha detto in una solenne pagina del suo Vangelo, dove Egli proclama che ogni uomo che soffre, ogni affamato, ogni infermo, ogni disgraziato, ogni bisognoso di compassione e di aiuto, è Lui, come se Lui stesso fosse quell’infelice, secondo la misteriosa e potente sociologia evangelica (cfr.
Mt 25,35 ss.), secondo l’umanesimo di Cristo.

Voi, Figli carissimi, siete Cristo per Noi. E Noi che abbiamo la formidabile sorte d’essere il Vicario di Cristo nel suo magistero della verità da Lui rivelata, e nel suo ministero pastorale nell’intera Chiesa cattolica, Noi Ci inchiniamo davanti a voi e vogliamo ravvisare Cristo in voi quasi redivivo e sofferente: non siamo venuti per avere le vostre filiali, e pur gradite e commoventi acclamazioni, ma siamo venuti per onorare Cristo in voi, per inchinarci perciò davanti a voi, e per dirvi che quell’amore, che tre volte Gesù risorto richiese da Pietro (cfr. Jn 21,15 ss.), di cui Noi siamo l’umile e l’ultimo Successore, quell’amore a Lui in voi, in voi stessi lo tributiamo. Noi vi amiamo! Come Pastori, cioè come associati alla vostra indigenza e come responsabili della vostra guida, del vostro bene, della vostra salvezza. Noi vi amiamo con un’affezione preferenziale; e con Noi vi ama, ricordatelo bene, ricordatelo sempre, la santa Chiesa cattolica.

Perché Noi conosciamo le condizioni della vostra esistenza: sono per molti di voi condizioni misere, spesso inferiori al bisogno normale della vita umana. Voi ora Ci ascoltate in silenzio; ma Noi piuttosto ascoltiamo il grido che sale dalle vostre sofferenze e da quelle della maggior parte dell’umanità (cfr. Gaudium et spes, GS 88). Noi non possiamo disinteressarci di voi; Noi vogliamo essere solidali con la vostra buona causa, ch’è quella dell’umile popolo, della povera gente. Noi sappiamo come nel grande continente dell’America Latina lo sviluppo economico e sociale è stato disuguale; e mentre ha favorito coloro che lo hanno al principio promosso, ha trascurato la moltitudine delle popolazioni indigene, quasi sempre lasciate ad un ignobile livello di vita e talora duramente trattate e sfruttate. Noi sappiamo che oggi voi vi accorgete dell’inferiorità delle vostre condizioni sociali e culturali, e siete impazienti di ottenere una più giusta distribuzione dei beni economici e un migliore riconoscimento del vostro numero e del posto che vi compete nella società. E pensiamo che voi abbiate qualche conoscenza della difesa che la Chiesa ha preso delle vostre sorti; l’hanno presa i Papi, Nostri Predecessori, con le loro celebri Encicliche sociali (cfr. Mater et Magistra: A.A.S. 1961, p. 422 ss.); l’ha presa il Concilio Ecumenico (cfr. Gaudium et spes, GS 9, 66, 71, etc.); Noi stessi abbiamo patrocinato la vostra causa nella Nostra Enciclica sul «Progresso dei Popoli».

Ma oggi la questione si è fatta grave, perché voi avete preso coscienza dei vostri bisogni e delle vostre sofferenze, e, come tanti altri nel mondo, non potete tollerare che codeste condizioni debbano sempre durare e non abbiano invece sollecito rimedio.

Allora Noi Ci domandiamo che cosa possiamo fare per voi, dopo aver tanto parlato in vostro favore. Noi non abbiamo, voi lo sapete, diretta competenza nelle cose temporali, e nemmeno abbiamo mezzi, né autorità, per intervenire praticamente nella questione. Tuttavia questo Noi vi diciamo:

1) Noi continueremo a difendere la vostra causa. Noi possiamo affermare e riaffermare i principi, dai quali poi dipendono le soluzioni pratiche. Continueremo a proclamare la vostra dignità umana e cristiana. La vostra esistenza è valore di primo grado. La vostra persona è sacra. La vostra appartenenza alla famiglia umana deve essere riconosciuta senza discriminazioni sul piano della fratellanza. Questa, se pur ammette rapporti gerarchici ed organici nel complesso sociale, deve essere effettivamente riconosciuta, sia nel campo economico, con particolare riguardo all’equa retribuzione, alla conveniente abitazione, alla istruzione di base, all’assistenza sanitaria, e sia in quello dei diritti civili e della graduale partecipazione ai benefici e alle responsabilità dell’ordine sociale.

2) Così Noi continueremo a denunciare le inique sperequazioni economiche tra ricchi e poveri; gli abusi autoritari e amministrativi a vostro danno ed a quello della collettività. Noi continueremo ad incoraggiare i propositi ed i programmi delle Autorità responsabili e degli Enti internazionali, come pure delle Nazioni benestanti, in favore delle popolazioni in via di sviluppo. Siamo lieti di sapere, a questo riguardo, che proprio in coincidenza del grande Congresso Eucaristico si stanno studiando e promovendo piani nuovi ed organici per le classi lavoratrici e specialmente per quelle rurali, per voi Campesinos! E prendiamo questa occasione per esortare tutti i Governi dell’America Latina, ed anche quelli d’altri continenti, come pure tutte le categorie dirigenti ed abbienti, a proseguire affrontando con larghezza e coraggiose prospettive le riforme necessarie per un più giusto e più efficiente assetto sociale, con progressivo vantaggio delle classi oggi meno favorite e con più equa imposizione degli oneri fiscali sulle classi più abbienti, specialmente su quelle che, possedendo estesi latifondi, non sono in grado di renderli più fecondi e redditizi, o, se lo possono, ne godono i frutti con esclusivo profitto; come pure su quelle categorie di persone, che con poca o con nessuna effettiva fatica realizzano redditi ingenti o retribuzioni cospicue.

3) E parimente continueremo a perorare la causa dei Paesi bisognosi di fraterni aiuti nei confronti dei Paesi dotati di maggiori e talora male impiegate ricchezze, affinché vogliano essere generosi di aiuti, che non ledano la dignità né la libertà dei popoli beneficati, ed affinché vogliano aprire al commercio più facili vie in favore delle Nazioni ancora prive di sufficienza economica. Da parte Nostra assisteremo, nei modi a Noi consentiti, questo sforzo per dare alla ricchezza il suo scopo primario di servizio dell’uomo, non solo su scala privata e locale, ma anche più larga, e internazionale, frenando così il suo facile godimento egoistico, o il suo impiego in spese voluttuarie, o in esagerati e pericolosi armamenti.

4) E cercheremo Noi stessi, nei limiti delle Nostre possibilità economiche, di dare l’esempio, di ravvivare cioè sempre più nella Chiesa le sue migliori tradizioni di disinteresse, di generosità, di servizio, sempre più richiamandoci a quello spirito di Povertà che il divino Maestro ci predicò, e il Concilio Ecumenico autorevolmente ci ricordò (cfr. Lumen gentium, LG 8 Gaudium et spes, GS 88).

5) Ma lasciate, Figli carissimi, che annunciamo anche a voi la beatitudine, che già vi compete; la beatitudine della Povertà evangelica. Lasciate cioè che Noi, pur sempre adoperandoci in ogni modo per alleviare le vostre pene e per procurarvi un pane più abbondante e più facile, vi ricordiamo che «non di solo pane vive l’uomo» (Mt 4,4), e che di altro pane, quello dell’anima, quello cioè della religione, quello della fede, quello della Parola e della Grazia divina, noi tutti abbiamo bisogno; e lasciate che per di più vi diciamo come le vostre condizioni d’umile gente sono più propizie per il regno dei cieli, cioè per i beni supremi ed eterni della vita, se sono sopportate con la pazienza e con la speranza di Cristo.

Lasciate infine che vi esortiamo a non mettere la vostra fiducia nella violenza e nella rivoluzione; ciò è contrario allo spirito cristiano, e ciò può anche ritardare, e non favorire, quell’elevazione sociale a cui legittimamente aspirate. Procurate piuttosto di assecondare le iniziative in favore della vostra istruzione, come è quella, ad esempio, dell’Azione Culturale Popolare; cercate d’essere uniti e di organizzarvi nel nome cristiano, e di rendervi capaci di modernizzare i metodi del vostro lavoro rurale; amate i vostri campi, e abbiate stima della funzione umana, economica e civile, che voi esercitate, di lavoratori della terra.

E ricevete la Nostra Benedizione Apostolica! È per voi, Campesinos di Colombia, dell’America Latina; per voi tutti, lavoratori dei campi, nel mondo intero. Scenda essa sulle vostre persone, sulle vostre famiglie, sui bambini, sui giovani, sui vecchi, sugli ammalati; scenda sulle vostre case, sulle vostre colture; scenda su quanti vi vogliono bene e vi assistono; scenda piena di consolazione e di grazie, per virtù di quel Gesù, che qui ora Noi rappresentiamo, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.





Venerdì, 23 agosto 1968: PELLEGRINAGGIO APOSTOLICO A BOGOTÀ: SANTA MESSA PER LA «GIORNATA DELLO SVILUPPO»

23888

Fratelli! Figli! Amici tutti in Cristo carissimi!

La nostra oggi è una parola semplice. Essa suppone che noi tutti qui presenti, con quanti ascoltano da lontano la Nostra voce, siamo fermamente persuasi della verità del titolo, che si è dato al Mistero eucaristico, per definire questo Congresso: vincolo di carità. Si è cercato così di penetrare nelle intenzioni del Signore, il quale, istituendo questo sacramento, ha voluto unire la sua vita divina alla nostra, così intimamente, così amorosamente da farsi nostro alimento, e da renderci in tal modo personalmente partecipi del suo sacrificio redentore rappresentato e perpetuato nel Sacramento eucaristico, ma non per terminare nell’ambito d’ogni singolo commensale della sua mensa sacramentale l’onda della sua carità, ma per innestare e trascinare ciascuno di noi nel suo disegno di salvezza aperto a tutta l’umanità, e realizzato in coloro che si lasciano assorbire nell’unità effettiva del suo corpo mistico, che è la Chiesa (cfr. S. Th.
III 73,3). Lo scopo, la grazia, la virtù dell’Eucaristia, che sgorga dall’amore di Cristo per noi, tende alla diffusione di questo amore da noi agli altri. Chi si nutre dell’Eucaristia deve perciò stesso comprendere la vocazione alla carità verso il prossimo, deve dilatare lo spazio della carità (cfr. S. Aug. Sermo 10 de Verbis Domini) da sé agli altri, deve collegare il vincolo sacramentale di carità, che lo unisce vitalmente a Cristo, al vincolo sociale di carità con cui egli deve unire la propria vita a quella degli uomini, divenuti virtualmente suoi fratelli.

Questa è la premessa, questa è l’intesa, di cui tutti dobbiamo essere convinti.

Perciò celebrando in mezzo a voi, con voi e per voi, questa Santa Messa, altro Noi non abbiamo da dirvi che questo: in nome di Cristo, e quasi spinti dall’interiore sua carità, fatevi tutti e ciascuno promotori della sua carità. Lasciatevi riempire, nel segreto della vostra interiorità personale, dal suo amore; e poi fate che questo amore trabocchi, si allarghi idealmente nel cerchio universale dell’umanità e praticamente nella rete dei vostri rapporti familiari e sociali. Che la scintilla d’amore accesa nel singolo cuore diventi fuoco e si accenda nell’ambito comunitario della nostra vita. Fate dell’amore di Cristo il principio della rinnovazione morale e della rigenerazione sociale di quest’America Latina, in seno alla quale siamo venuti anche Noi a suscitare la fiamma della carità, unitiva alla sorgente suprema della nostra salvezza, e operativa della trasformazione della convivenza umana, tanto bisognosa di superare le sue divisioni e i suoi contrasti, in una famiglia di fratelli. L’amore è il principio. L’amore è la forza. L’amore è il metodo. L’amore è il segreto della riuscita. L’amore è la causa per cui valga la pena di agire e di combattere. L’amore deve essere il vincolo, che fa della gente ignara, informe, disordinata, sofferente e alle volte cattiva, un Popolo nuovo, un Popolo vivo, un Popolo attivo, un Popolo unito, un Popolo forte, un Popolo cosciente, prospero e felice. L’amore: diciamo l’amore di Cristo, la sua misteriosa, divina ed umana carità. Perciò l’amore di Dio, distinto e trascendente l’amore agli uomini; ma quello di questo luce e sorgente.


CARITÀ E GIUSTIZIA

Noi non prolungheremo il Nostro discorso, se non per rivolgere alle categorie più numerose e più rappresentative, che compongono questa assemblea, qualche diretta parola in ordine ad un’obbiezione, che può sorgere nella mente di tutti: basta la carità? è sufficiente l’amore per sollevare il mondo? per vincere le innumerevoli e multiformi difficoltà, che si oppongono allo sviluppo trasformatore e rigeneratore della società, quale la storia, l’etnografia, l’economia, la politica, l’organizzazione della vita pubblica oggi ci presentano? Davanti al mito moderno dell’efficacia temporale siamo sicuri che la carità non è illusione, non è alienazione?

Dobbiamo rispondere sì e no. Sì, la carità è necessaria e sufficiente come principio propulsore del grande fenomeno innovatore del mondo difettoso in cui viviamo. No, la carità non basta, se resta puramente teorica, verbale e sentimentale (cfr. Mt 7,21), e se non ha al suo seguito altre virtù, prima la giustizia, che è la minima misura della carità, e di altri coefficienti, che rendano pratica, operante, concreta l’azione ispirata .e sorretta dalla carità stessa, nel campo variamente specifico delle realtà umane e temporali. Ben sappiamo che tali realtà nell’America Latina - nel momento in cui il Papa per la prima volta viene a visitare questo continente - si trovano in una situazione di crisi profonda, veramente storica, la quale rinserra tanti - troppi! - aspetti di angosciosa preoccupazione.

Può il Papa ignorare questo tormento? Non sarebbe mancato uno degli scopi del suo viaggio, s’Egli ripartisse per Roma senza avere affrontato il punto centrale del problema, dal quale tanta inquietudine è originata?

Molti, specialmente fra i giovani, insistono sulla necessità di cambiare urgentemente le strutture sociali, che, secondo essi, non consentirebbero il conseguimento di una effettiva condizione di giustizia per gli individui e le comunità: e alcuni concludono che il problema essenziale dell’America Latina non può essere risolto che con la violenza.

Con la stessa lealtà con la quale riconosciamo che tali teorie e prassi trovano spesso la loro ultima motivazione in nobili impulsi di giustizia e di solidarietà, dobbiamo dire e riaffermare che la violenza non è evangelica, non è cristiana; e che cambi bruschi o violenti di strutture sarebbero ingannevoli, di per sé inefficaci, e non certo conformi alla dignità del popolo, la quale reclama che le necessarie trasformazioni si realizzino dal di dentro mediante cioè una conveniente presa di coscienza, un’adeguata preparazione e quell’effettiva partecipazione di tutti, che l’ignoranza e condizioni di vita talvolta infraumane impediscono oggi di assicurare.



L'ELEVAZIONE DEL «MODO DI ESSERE UOMINI»

Pertanto, a Nostro modo di vedere, la chiave di volta del problema fondamentale dell’America Latina è data dal duplice sforzo, simultaneo, armonico, reciprocamente benefico, di procedere sì ad una riforma delle strutture sociali, ma ad una riforma graduale e da tutti assimilabile, da realizzarsi quindi di pari passo - e diremmo quasi come un’esigenza -, dell’opera vasta e paziente diretta a favorire l’elevazione del «modo di essere uomini» della grande maggioranza di coloro che oggi vivono in America Latina. Aiutare ognuno a prendere piena consapevolezza della propria dignità, a sviluppare la propria personalità nella comunità di cui è membro, ad essere soggetto cosciente di diritti e di doveri, ad essere liberamente un elemento valido di progresso economico, civico, morale nella società alla quale appartiene: questa è la grande impresa prioritaria, senza il compimento della quale ogni repentino cambio di strutture sociali sarebbe un artificio vano, effimero e pericoloso.

Essa - ben lo sapete - si traduce concretamente in ogni attività atta a favorire la promozione integrale dell’uomo e il suo inserimento attivo nella comunità: alfabetizzazione, educazione di base, educazione permanente, formazione professionale, formazione della coscienza civica e politica, organizzazione metodica dei servizi materiali essenziali allo sviluppo normale della vita individuale e collettiva nell’epoca moderna.

Possiamo sperare che il grave problema sarà meditato e giustamente compreso anche alla luce del mistero di carità che stiamo celebrando; e che da questo stesso mistero voi, diletti Figli dell’America Latina, saprete raccogliere la forza necessaria ed efficace per dare ciascuno il suo doveroso ed urgente contributo alla sua soluzione? Sì. Il Papa lo spera. Il Papa ha fiducia in voi.



AGLI STUDENTI, AI DOCENTI, AI LAVORATORI

Da parte Nostra, vogliamo ribadire qui, dinanzi a voi, rappresentanti qualificati di tutte le categorie sociali dell’America Latina, il Nostro impegno: di proseguire con rinnovato slancio e con ogni possibile mezzo nello sforzo per la realizzazione degli intenti ora menzionati, intenti e propositi che già proclamammo al mondo con l’Encielica Populorum progressio.

Diremo ora una speciale parola a voi per primi, studenti, a voi studiosi e uomini della cultura: occorre che la vostra carità si impegni innanzitutto col pensiero, ed abbia la sete, l’umiltà e il coraggio della verità. Tocca a voi specialmente affrancare voi stessi ed il nostro mondo intellettuale dalla supina adesione ai luoghi comuni, alla cultura di massa, alle ideologie, che la moda o la propaganda rendono facili e imperiose; e tocca a voi trovare nella verità, che sola ha diritto di obbligare la nostra mente, la libertà di agire come uomini e come cristiani (cfr. Jn 8,32). E tocca a voi fra tutti essere apostoli della verità.

Diremo poi a voi, Lavoratori, quale a Noi sembra debba essere la via di svolgimento della vostra carità, alimentata dalla fede e dalla comunione con Cristo, la via che conduce all’incontro con i vostri colleghi di fatica e di speranza; questa via è l’unione, l’associazione cioè, non come semplice struttura organizzativa, o come strumento di soggezione collettiva in mano al dispotismo di alcuni capi insindacabili, ma come scuola di coscienza sociale, come professione di solidarietà, di fratellanza, di difesa di comuni interessi e di impegno a comuni doveri. La vostra carità deve perciò aver per sé la forza; la forza del numero, la forza del dinamismo sociale, la forza, non sovversiva della rivoluzione e della violenza, ma costruttiva d’un nuovo ordine più umano, in cui le vostre legittime aspirazioni siano soddisfatte, ed in cui ogni fattore economico e sociale converga nella giustizia del bene comune. Voi sapete come nel vostro sforzo verso questo ordine nuovo e migliore la Chiesa è per voi specialmente, uomini del lavoro, «madre e maestra».



AGLI UOMINI DELLE CLASSI DIRIGENTI

E che diremo a voi, uomini delle classi dirigenti? In quale direzione deve svolgersi la carità che anche voi volete attingere alla fonte eucaristica? Non respingete la Nostra parola, che vi può sembrare paradossale ed ostile; è parola del Signore. A voi è domandata la generosità. Cioè la capacità di staccarvi da una staticità della vostra po8sizione, che può essere o apparire privilegiata, per mettervi al servizio di chi ha bisogno della vostra ricchezza, della vostra cultura, della vostra autorità. Potremmo ricordare a voi lo spirito della povertà evangelica, che sciogliendo i vincoli del possesso egoistico dei beni temporali, abilita il cristiano a mettere organicamente l’economia e il potere a beneficio della comunità. Abbiate voi, signori del mondo e figli della Chiesa, il genio del bene di cui la società ha bisogno. Abbiate l’orecchio ed il cuore sensibili alle voci che implorano pane, interessamento, giustizia, partecipazione più attiva alla direzione della società e al perseguimento del bene comune. Abbiate voi, uomini dirigenti, la percezione e l’ardimento delle innovazioni necessarie per il mondo che vi circonda; fate che i meno abbienti, i subordinati, i bisognosi vedano nell’esercizio dell’autorità la premura, la misura, la saggezza, che lo rendono da tutti rispettato, come a tutti benefico. La promozione della giustizia e la tutela della dignità umana sia la vostra carità.

E non dimenticate che certe grandi crisi della storia avrebbero potuto avere diversi orientamenti, se le necessarie riforme avessero tempestivamente prevenuto con coraggiosi sacrifici le esplosive rivolte della disperazione.

ALLE FAMIGLIE

E quale sarà la vostra, famiglie cristiane, che circondate oggi il Nostro altare, quasi in rappresentanza delle innumerevoli famiglie che formano le popolazioni dell’America Latina? La vostra carità, attinta da Cristo, rifluisca su voi stesse. Voi dovete essere focolari dell’amore umano primigenio, che il Signore col sacramento del matrimonio ha assunto al grado di carità, di grazia soprannaturale. Padri, Madri, Figli di famiglia, fate della vostra casa una piccola società ideale, dove l’amore regni sovrano e sia scuola domestica d’ogni umana e cristiana virtù.

E, per concludere, a tutti ricorderemo che Cristo ha dato a noi Se stesso nell’Eucaristia come memoriale del suo sacrificio; così noi non potremo derivare da questo sacramento l’amore, di cui è segno e realtà per farne noi stessi dono ai nostri fratelli senza sacrificio. Egli amò e si sacrificò: dilexit et tradidit semetipsum (cfr. Ep 5,2): Noi dovremo imitarlo: ecco la croce! Dovremo amare fino al sacrificio di noi stessi, se vogliamo edificare una società nuova, che meriti di essere in esempio veramente umana e cristiana.







B. Paolo VI Omelie 22868