B. Paolo VI Omelie 23375

«Dominica Palmarum», 23 marzo 1975: AI GIOVANI IN APERTURA DELLA «SETTIMANA SANTA»

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A voi giovani, invitati a questo rito, tanto significativo, il nostro saluto particolare! A tutti i Fedeli, che con voi vi partecipano, esprimiamo la nostra spirituale e cordiale accoglienza. È un momento importante questo, non solo nel disegno celebrativo della Settimana Santa, che oggi iniziamo, ma altresì nella ripercussione ideale e religiosa, che esso deve assumere nei vostri, nei nostri animi, per la decisione del giorno d'oggi. Ancora una volta noi commemoriamo, noi riviviamo il mistero pasquale. Il grande dramma, tragico e trionfante, della passione, della morte e quindi della vittoriosa risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, si riflette nel mondo, nella storia, e proprio in questo Anno, che chiamiamo santo, per le ragioni speciali da noi enunciate, che vi rendono presente Colui che costituisce il centro del tempo (Cfr. Ga
Ga 4,4): come il sole lontano, egli è qui, con la sua luce, con la sua azione, con la sua perenne assistenza (Cfr. Mt 28,20).

Ascoltateci adesso, voi Giovani specialmente. Si tratta, innanzitutto di avere coscienza, primo, di quello che voi siete, della vostra identità, come oggi si dice. Voi siete qui proprio come giovani, perché giovani. Siete qui come tipici rappresentanti del nostro tempo, come protagonisti della vostra generazione; non tanto come spettatori, invitati e assistenti passivi, ma come attori e fattori del fenomeno caratteristico della vostra gioventù, il fenomeno della novità. Secondo: persuasi della ragione, che giustifica la vostra presenza a questa liturgia rievocatrice, cioè della vostra gioventù, voi assumete un aspetto rappresentativo della vostra generazione; voi rappresentate, nelle vostre persone, la categoria umana a cui appartenete; rappresentate la gioventù del nostro tempo, qualunque ne sia la patria, la classe, la formazione d'origine. Siete qui, perché siete giovani; e come tali noi vi abbiamo invitati, perché vogliamo vedere in voi la età giovanile, nelle sue tipiche espressioni, prescindendo dalle distinzioni differenziali che pure esistono fra di voi e fra le file dei vostri coetanei, di cui tuttavia questa cerimonia affida a voi la funzione qualificante.

Perché noi vi abbiamo qua invitati? Per due motivi: uno riguarda il rito religioso, il quale vuole riprodurre in modo simbolico e sacro la scena evangelica, che voi conoscete, quella cioè dell'ingresso, modesto nella forma, ma clamoroso nelle intenzioni (Cfr. Lc 19,40), di Gesù in Gerusalemme, ch'era in quei giorni gremita di popolo per la Pasqua imminente, affinché Egli, Gesù, fosse finalmente e pubblicamente riconosciuto ed acclamato come il Cristo, come il Messia, come il prodigioso Salvatore, atteso da secoli, inviato da Dio, e finalmente arrivato e presente. Momento storico, momento solenne, momento misterioso, di cui, fra tutti, i ragazzi ed i giovani di quella folla, delirante di gioia, meglio intuirono il significato rinnovatore e festivo; e non sapendo come dare all'improvvisata manifestazione lo splendore che meritava, essi principalmente proruppero in acclamazioni bibliche e popolari: «Hosanna, benedetto colui che viene nel nome del Signore, il Re d'Israele» (Jn 12,13); e strappati dei rami dalle palme e dagli olivi del luogo, era quello il monte Oliveto, si dettero ad agitarli festosamente, gridando: «Pace in cielo e gloria nell'alto» (Lc 19,38).

Ecco; ripensate bene la scena evangelica. I fanciulli, i giovani, riconoscono il Cristo e pur nell'ambiente infido ed ostile dei Farisei e degli scribi della Gerusalemme giudaica di quel tempo (Cfr. Jn 12,19), essi lo acclamano, essi lo glorificano. Così ora, con questo rito. Secondo motivo. Giovani, voi lo intuite. Noi vorremmo che la fede e la gioia della gioventù, che inneggiò a Gesù Signore, riconosciuto per il vero Cristo, centro della storia e della speranza di quel Popolo, fossero oggi e fossero per sempre le vostre: fede e gioia. Perché ciò sia, noi abbiamo dapprima in silenzio, personalmente pregato; poi vi abbiamo invitato. Ce ne rendiamo conto: il nostro invito è provocante! come un invito d'amore! L'invito a questa festiva cerimonia vuole entrare nei vostri cuori, con una incalzante domanda: Giovani del nostro tempo, volete riconoscere che Gesù è il Salvatore? È il Maestro? È il Pastore, è la guida, è l'amico della nostra vita?

È Lui, e solo Lui, che conosce in profondità il nostro essere, il nostro destino (Jn 3, 7; 4, 29; etc.); Lui, Lui solo, che autorizza con efficacia beatificante, ad aprire il dialogo trascendente col mistero religioso ed a rivolgere al Dio infinito e inaccessibile il confidente discorso di figli ad un dolcissimo e verissimo «Padre nostro», che stai nei cieli; Lui, Lui solo, diciamo, che sa tradurre il nostro rapporto religioso in rapporto sociale autentico, cioè a fare dell'amore a Dio il fondamento incomparabile e fecondo dell'amore al nostro prossimo, cioè agli uomini; e ciò tanto più, quanto più questo nostro interesse per il bene altrui è gratuito e universale, e quanto più gli uomini, ormai in Cristo qualificati fratelli, sono nel bisogno, nella sofferenza, e perfino nell'ostilità. Cioè il nostro invito a questa caratteristica cerimonia, nel cuore dell'Anno Santo, si risolve in una domanda decisiva: volete anche voi, Giovani di questo critico momento storico e spirituale, come quelli del giorno delle Palme a Gerusalemme, riconoscere Gesù come il Messia, come il Cristo Signore, centro e cardine della vostra vita? Lo volete davvero porre al vertice della vostra fede e della vostra gioia?

Si tratta di uscire da quello stato di dubbio, d'incertezza, di ambiguità, in cui si trova e si agita spesso tanta parte della gioventù contemporanea. Si tratta di superare la fase di crisi spirituale, caratteristica dell'adolescenza che passa alla giovinezza, e poi dalla giovinezza alla maturità; crisi di idee, crisi di fede, crisi di orientamento morale, crisi di sicurezza circa il significato e il valore della vita. Quanti giovani crescono con gli occhi chiusi, o miopi almeno, circa la direzione spirituale e sociale del loro cammino verso il futuro; la freschezza delle forze giovanili e gli stimoli degli istinti vitali imprimono, sì, una energia al loro libero movimento, una vivacità ai loro comportamenti; ma sanno essi dove vanno, dove valga la pena di impegnare la propria esistenza? L'inquietudine giovanile non supplisce spesso la mancanza di uno stile elegante ed energico d'una vita illuminata da coscienti e superiori ideali? E non scopriamo noi spesso in fondo all'anima giovanile oggi una strana tristezza, che accusa un suo vuoto interiore? E che cosa significa l'incantesimo di qualche barlume spirituale in tanti giovani insoddisfatti e quasi delusi di tutto quanto il mondo moderno loro apre davanti? Un richiamo alla coscienza interiore, alla preghiera, alla fede?

Non prolunghiamo ora questa diagnosi, e accogliamo la conclusione che quest'ora benedetta ci suggerisce. La conclusione è Cristo delle Palme. Un Cristo riscoperto. Un Cristo acclamato. Un Cristo umilmente e fermamente creduto, non nella perpetua e pigra penombra del dubbio, ma nella limpida luce della dottrina, che la Chiesa maestra di verità ci propone. Un Cristo incontrato nell'adesione esultante alla sua parola e alla sua misteriosa presenza ecclesiale e sacramentale. Un Cristo vissuto nella fedeltà semplice e lineare al suo vangelo, sì esigente fino al sacrificio, ma solo fonte di inesausta speranza e di vera beatitudine. Un Cristo, velato e trasparente in ogni volto umano del collega, del fratello bisognoso di giustizia, di aiuto, di amicizia e di amore. Un Cristo vivo. Il «sì» della nostra scelta; il «sì» della nostra esistenza. Giovani, sappiate così comprendere l'ora vostra. Il mondo contemporaneo vi apre nuovi sentieri, e vi chiama portatori di fede e di gioia. Portatori delle palme, che oggi avete nelle mani, simbolo d'una primavera nuova, di grazia, di bellezza, di poesia, di bontà e di pace. Non indarno, non indarno: è Cristo per voi; è Cristo con voi! Oggi e domani; Cristo per sempre.





Giovedì Santo, 27 marzo 1975: SANTA MESSA IN «CENA DOMINI»

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Sia questa per noi l’ora della reviviscenza del grande ricordo. Tutto è presente al nostro spirito di quanto è stato detto, di quanto è stato compiuto in quest’ultima Cena notturna, tanto desiderata dallo stesso divino Maestro (
Lc 22,15), alla vigilia della sua passione e della sua morte. Egli stesso ha voluto dare a quella riunione una tale pienezza di significato, una tale ricchezza di ricordi, una tale commozione di parole e di sentimenti, una tale novità di atti e di precetti, che noi non finiremo mai di meditare e di esplorare. È una Cena testamentaria; è una Cena infinitamente affettuosa (Jn 13,1), e immensamente triste (Jn 16,6), ed insieme misteriosamente rivelatrice di divine promesse, di supreme visioni. La morte incombe, con inauditi presagi di tradimento, di abbandono, d’immolazione; la conversazione subito si spegne, mentre la parola di Gesù fluisce continua, nuova, estremamente dolce, tesa verso supreme confidenze, quasi librata fra la vita e la morte. Il carattere pasquale di quella Cena si intensifica e si evolve; l’alleanza antica, secolare, che vi era rispecchiata si trasforma e diventa nuova alleanza; il valore sacrificale, liberatore e salvatore dell’agnello immolato, che dà cibo e simbolo al pasto rituale, si spiega e si concentra in una nuova vittima, in un nuovo pasto; Gesù dichiara essere lui stesso, il suo Corpo e il suo Sangue, l’oggetto e il soggetto del sacrificio, qui, alla mensa, previsto, significato, offerto, per essere in continuità di intenzione e di azione compiuto, consumato, sofferto; reso alimento per quanti avessero attitudine e fame di vita eterna. Ecco sgorgare da quella Cena d’addio, dolorosa e amorosa, il sacrificio eucaristico; noi lo sappiamo, e ne restiamo abbagliati; ma ecco un’estrema sorpresa, quella che per noi, questa sera, forma il punto focale della nostra attrazione e della nostra pietà; chi avrebbe potuto supporre una simile, riassuntiva, perpetuante parola, che esce dalle labbra del Maestro, ormai candidato alla morte, e ad essere Lui il vero, l’unico agnello pasquale: «Fate questo in memoria di me»? (1Co 11,24)

Fratelli e Figli, noi stiamo in questo momento adempiendo questa parola del Signore. Sempre, celebrando la Messa, rinnovando il sacrificio eucaristico, noi ripetiamo quella parola, che associa all’istituzione del sacramento della presenza immolata di Cristo cioè dell’Eucaristia, l’istituzione d’un altro sacramento, quello del sacerdozio ministeriale, mediante il quale il «memoriale» della cena ultima e del sacrificio della croce non è semplicemente un nostro atto di religioso ricordo (come vorrebbero alcuni dissidenti), ma è una misteriosa, effettiva, reale anamnesi di quanto Gesù alla Cena e al Calvario ha compiuto; cioè il rispecchiamento fedele dell’unico suo sacrificio, con misteriosa vittoria sulle distanze del tempo e dello spazio, e con prodigiosa e rinnovata coincidenza della nostra Messa con la presenza e l’azione del divino Agnello eucaristico, regnante glorioso alla destra del Padre, ma per noi, nella storia presente, rappresentato realmente nella sua azione sacrificale e redentrice.

Mistero della fede! anche questo sappiamo, e sempre adoriamo e contempliamo, con inesausto fervore: ne riaccenderemo il fuoco nella festa del «Corpus Domini».

Ma ora vi siamo incamminati da questa scoperta, perché tale sempre ci appare la considerazione del Sacerdozio cattolico, della potestà conferita ad un ministero umano di rinnovare, di perpetuare, di diffondere il mistero eucaristico.

Diremo subito due cose; e cioè che nell’offerta dell’Eucaristia tutto il Popolo di Dio, credente e fedele, è partecipe ed attivo, insignito com’egli è d’un «sacerdozio regale», come scrive l’apostolo Pietro (1P 2,5 1P 2,9) e come il recente Concilio ha felicemente ribadito (Lumen Gentium, LG 10); e come tale oggi, Giovedì Santo, è particolarmente invitato ad esultare per l’istituzione dell’Eucaristia, ad esaltarne gli infiniti tesori divini di amore e di sapienza, e a parteciparvi proprio in rispondenza all’intenzione diffusiva e moltiplicatrice che Cristo, e con lui la Chiesa, ha voluto caratterizzare questo sublime mistero del Pane eucaristico reso a tutti disponibile. E, in secondo luogo, ricorderemo che la distinzione essenziale del Sacerdozio ministeriale da quello comune non è concepita come un privilegio, che separa il Sacerdote dal Fedele, ma come un ministero, un servizio che il primo deve rendere al secondo, un carattere, sì, tutto proprio di colui che è eletto a fungere come ministro sacerdotale del Popolo di Dio, ma intenzionalmente sociale, diciamo meglio, qualificato per la carità, dispensatrice amorosa dei misteri di Dio (Cfr. 1Co 4,1 2Co 6,4 cfr. M. DE LA TAILLE, Mysterium Fidei, p. 327 ss.).

Ma ciò che nella cosciente pienezza di questo sacro momento a noi sembra doveroso riaffermare è il mistero del nostro Sacerdozio cattolico, che affianca quello eucaristico, e con esso si compenetra e si confonde. A noi sorge spontaneo nel cuore il godimento ineffabile della specifica comunione, che ci unisce oggi a tutti i nostri Confratelli nel Sacerdozio. Chi più di noi, venerati Sacerdoti, può dire con autentica e mistica realtà: «Non sono più io che vivo, ma vive in me Cristo»? (Ga 2,20) Quale maggiore carità poteva dimostrare a noi Gesù Cristo, che chiamandoci, tutti e singoli, suoi amici (Jn 15,14Jn 15,16), all’incontro con una nostra personale, libera e amorosa risposta? Non dovremo forse far nostra la semplice, ma stupenda risposta, a noi, in questi giorni comunicata, da un buon Sacerdote, sbattuto, come tanti oggi, dagli affanni e dai dubbi delle contestazioni proprie del nostro tempo: «Io sono felice»?

Sì, venerati Fratelli ed anche voi tutti carissimi Fedeli; noi dobbiamo oggi ringraziare il Signore d’aver istituito questo divino e misterioso Sacramento, l’Eucaristia; e dobbiamo tutti aggiungere a sua gloria e a nostro conforto: noi siamo felici, che accanto ad essa, l’Eucaristia, per renderla attuale, per moltiplicarla e diffonderla, voi, Signore, avete comunicato ad alcuni eletti e responsabili, nella vostra Chiesa, il vostro santo e meraviglioso Sacerdozio. Sia questa la nostra spirituale espressione per questo Giovedì Santo!





Sabato Santo, 29 marzo 1975: DURANTE LA VEGLIA PASQUALE

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Figli carissimi!

In questo momento straordinario, davanti a questo rito sacramentale, unico, solenne, definitivo, noi tutti ancora ci chiediamo: che cosa è, che cosa significa il santo battesimo?

Voi sapete tutto. Ogni cosa vi è stata insegnata e spiegata.

Ma il sacramento del battesimo è una realtà, è un mistero talmente grande, talmente importante, talmente profondo, che noi dovremo sempre, e specialmente in questo giorno benedetto, interrogare la nostra coscienza: che cosa è, che cosa significa il santo battesimo? È questa una domanda, che ci deve essere presente per tutta la vita!

Saprete voi ricordare sempre questo atto, questa novità, questo mistero?

Intanto pensiamo: vi è in tutto il corso della vostra vita un momento più importante, più decisivo di questo? No: esso è unico! E vi è negli avvenimenti della vostra vita un fatto più bello, più fortunato di questo? No: esso è il fatto più felice della vostra esistenza!

A che cosa ci avrebbe giovato il nascere, nella vita naturale (ci insegna S. Ambrogio), se non avessimo avuto la felice sorte di rinascere, col battesimo, alla vita soprannaturale?

Tanti insegnamenti vi sono stati dati circa questo avvenimento: la fede, la grazia, la rinascita ad una vita pura e innocente, la Chiesa, la nuova preghiera . . . Come ricordare tutto questo in una sola parola? in una sola formula? Ebbene, ricordate tutto con una espressione riassuntiva e centrale: siete diventati cristiani! È S. Paolo che ci ripete la sua parola: con Cristo! con Cristo siete stati sepolti, mediante il battesimo; con Cristo siete risorti (
Rm 6,4 Col 2,12); la vostra vita è associata alla sua (Ga 3,27) e allora voi formate con lui una cosa sola, un corpo solo, il corpo mistico di Cristo, che si chiama la Chiesa (1Co 12,12 ss.).

Figli miei, Fratelli miei! se così è, ecco una nuova forma di vita è inaugurata, un nuovo modo di pensare, secondo la fede; una nuova visione sul tempo, sulle cose, sul dolore e sulla morte, secondo la speranza; un nuovo rapporto con gli altri uomini, la carità!

O figli carissimi! o Fratelli in Cristo, via, verità e vita nostra!

Un grande dovere sorge da questo fatto, da questo momento; sì, un grande dovere, ch’è però facile e felice; quello di essere fedeli, quello che risuonerà sempre alla nostra coscienza, e che noi vi riassumiamo in queste semplici parole, degne d’essere sempre, sempre ricordate da voi, da noi, da tutti quanti hanno avuto la sorte felicissima di ricevere il battesimo: Cristiano! sii cristiano!




Domenica di Pasqua, 30 marzo 1975: SOLENNITÀ DELLA RISURREZIONE

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Nel segno della speranza il Messaggio del Santo Padre al mondo per la Pasqua dell'Anno Giubilare del rinnovamento e della Riconciliazione

PASQUA! È PASQUA, Fratelli! Buona Pasqua a voi tutti! Ed evviva la Pasqua di Gesù Cristo! Alleluia! Egli è veramente, realmente risorto, alleluia! Non soltanto nell'opinione e poi nella persuasione soggettiva della prima comunità, che da Lui ebbe origine; ma è risorto personalmente, storicamente, sempre Lui, il Gesù del Vangelo, in una condizione di vita radicalmente nuova, che conserva, ma oltrepassa lo stato della presente umana esistenza, sublimandone la pienezza, la gloria, la potenza, la spiritualità (Cfr.
1Co 15,42 ss.). È risorto! A Lui tributiamo l'omaggio della nostra fede e della nostra esultanza! Alleluia!

E poi lasciamo che la luce, la virtù di tanto mistero fluiscano sopra la nostra umanità, come questa notte l'inno beatissimo dell'Exsultet ce ne ha dato l'annuncio e quasi l'esperienza. Perché la risurrezione di Cristo non è soltanto un suo trionfo personale, ma è altresì il principio della nostra salvezza e quindi della nostra risurrezione. Lo è fin d'ora, come liberazione dalla causa prima e fatale della nostra morte, che è il peccato, il distacco dall'unica e vera sorgente della vita, che è Dio (Cfr. Rm 4,25 Rm 6,11); lo è come pegno della nostra corporale risurrezione futura, salvati, come siamo, nella speranza che non fallisce (Rm 8,24), per l'ultimo giorno, per la vita che non conosce la fine (Jn 6,49 ss.); 4 e lo è anche come modello ed energia del continuo rinnovamento morale, spirituale, sociale della vita presente, ch'è ora per noi l'oggetto del nostro immediato interesse.

Non importa, Fratelli, se l'esperienza della caducità delle forze umane delude ogni giorno le nostre fragili speranze d'uno stabile ordinamento della società umana; e non importa nemmeno se dal progresso stesso generato dallo sviluppo moderno e dalla cultura sovrana degli utili segreti della natura sembra derivare all'uomo non pienezza, non sicurezza di vita, ma piuttosto tormento d'insoddisfatte aspirazioni; non importa poiché una nuova, originale, inesauribile sorgente di vita è stata infusa nel mondo dal Cristo risorto, operante per quanti ne ascoltano la parola, ne accolgono lo spirito e ne compongono il mistico corpo, nel mondo e nel tempo.

Forse la croce, con la quale Gesù redivivo è fedelmente e simbolicamente presentato, rende pavidi gli uomini, orientati verso la eliminazione dello sforzo e del dovere, e trattiene l'adesione di molti; non però i giovani intuitivi della verità e avidi di interiorità lieta e sincera, così che a chi accoglie il Signore, Egli svela il segreto della sua croce; essa è libertà, essa è forza, essa, sì, è sacrificio, ma per la grandezza morale dell'uomo e per il sopravvento, sullo sterile e micidiale egoismo, dell'amore che mai non muore (Cfr. 1Co 13,8).

Noi auguriamo che così Cristo risorto sia compreso e seguito. E questo a stimolo di quanti operano per il rinnovamento dell'umanità, a conforto dei poveri e dei sofferenti, ancor oggi così numerosi, a speranza degli umili e degli oranti, di tutta la Chiesa, di tutta l'umanità. Questo l'augurio, questa la nostra benedizione pasquale, in questo anno di grazia e di rinnovazione.

Seguono i voti espressi in varie lingue:

A quanti ci ascoltano, di espressione italiana:

- Buona Pasqua!

di espressione francese:

- Saintes et joyeuses Fêtes de Paques!

di espressione inglese:

- A happy, blessed and peaceful Easter to you all.

di espressione tedesca:

- Gesegnete, frohe Ostern!

di espressione spagnola:

- Paz, felicidad y alegría en Cristo resucitado!

di espressione portoghese:

- Votos de santa e feliz Páscoa. Aleluia!

di espressione greca:

- Cristós anésti!

di espressione polacca:

- Wesolégo Alleluja!

di espressione russa:

- Kristós vosskrièsse!

di espressione cinese:

- Fu Hua Ju Que!

di espressione viet-namita:

- Chuc Mung le Phuc Singh!

per tutti:

- Surrexit Dominus vere. Alleluia!




13 aprile 1975: SANTA MESSA DEDICATA AL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO

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Un duplice motivo suscita nel nostro cuore sentimenti profondi e soavi, in questo momento. Primo: la dolce e forte impressione che ci ha lasciato la stupenda pagina del Vangelo di Luca, che or ora abbiamo ascoltata; e sembra ancora a noi che «ci arda il cuore nel petto» mentre ascoltavamo le parole ispirate della Scrittura, le parole stesse di Gesù che ancor oggi risuonano alte nel mondo, annunziate dalla Chiesa. Secondo: l'occasione che qui ci ha tratti: la benedizione, cioè, ad alcune coppie di sposi, che oggi, in questa Basilica di San Pietro, presso l'Altare della Confessione, nella spirituale fioritura del tempo pasquale dell'Anno Santo, si uniranno in matrimonio, celebreranno anzi essi stessi il matrimonio, da Cristo resi ministri del «sacramento grande» (
Ep 5,32) in virtù dell'ufficio sacerdotale (Cfr. Lumen Gentium, LG 34) a cui il battesimo abilita il Popolo di Dio. Due momenti, due aspetti, due successioni del nostro incontro odierno; troppo ricchi e inesauribili per poterci soffermare su di essi in modo confacente, e sia pur breve, in questo familiare colloquio; ma meritevoli certo di una comune pausa serena di riflessione.

1. La scena di Emmaus, anzitutto. Troppo nota perché, al solo risentirla, non ci sollevi in cuore immagini e ricordi ormai familiari, che l'arte cristiana di tutti i tempi ha fatto oggetto privilegiato delle sue mirabili, trepide, luminose variazioni. Non ci pare forse che il dubbio dei due discepoli sia stato talvolta anche nostro? Non ci pare forse che la nostra fede sia stata talvolta troppo scarsa e debole, e materiale, come quella di quegli uomini sfiduciati che si attendevano «la liberazione d'Israele» (Lc 24,21) in una prospettiva unicamente terrena, senza capire che il Cristo «doveva sopportare queste sofferenze per entrare nella sua gloria» (Ibid. 24, 26)? Quei discepoli di Emmaus siamo noi! Ma solo che anche noi abbiamo orecchi per ascoltare, e cuore per seguire la Parola di Cristo, ecco che Egli viene con noi, si accompagna a noi, si fa nostro amico, nostro sodale lungo la strada, nostro commensale alla tavola della carità fraterna e alla comunione eucaristica; solo che abbiamo una scintilla d'amore, gli occhi si aprono per riconoscere la sua presenza (Cfr. Ibid. 24, 31), e il cuore si accende. «Questo fuoco - dice S. Ambrogio, commentando le parole dei discepoli di Emmaus - questo fuoco illumina l'intimo recesso del cuore» (S. AMBROSII Exp. Ev. sec. Luc. VII, 132). Fratelli! la fede e l'amore vi facciano riconoscere e seguire Cristo, sempre. È la prima, ovvia ma tanto impegnativa riflessione, a cui ci invita il Vangelo.

2. Cristo ci accompagna per la via della vita: ma quale miglior pensiero possiamo lasciare a voi, diletti sposi, quasi come provvista e nutrimento e sostegno nel lungo viaggio, che state per cominciare insieme? Voi rappresentate simbolicamente davanti ai nostri occhi, come davanti a tutta la Chiesa, l'innumerevole schiera di coppie, che con la benedizione di Dio, come voi stamani, hanno posto le fondamenta della loro Chiesa domestica, come il Concilio ha chiamato la famiglia (Lumen Gentium, LG 11). A voi, a tutte le giovani coppie, a tutte le famiglie cristiane: a tutti coloro che col loro amore, elevato e trasfigurato dalla virtù del sacramento, sono nel mondo la presenza e il simbolo dell'amore reciproco di Cristo e della Chiesa (Cfr. Ep 5,22-33) noi ripetiamo oggi: non temete, Cristo è con voi!

Vicino a voi per trasfigurare il vostro amore, per arricchirne i valori già così grandi e nobili con quelli tanto più mirabili della sua grazia; vicino a voi per rendere fermo, stabile, indissolubile, il vincolo che vi unisce nel reciproco abbandono di uno all'altro per tutta la vita; vicino a voi per sostenervi in mezzo alle contraddizioni, alle prove, alle crisi, immancabili certo nelle realtà umane, ma non certo - come vorrebbero talune funeste mentalità teoriche e pratiche - non certo insuperabili, non fatali, non distruttive dell'amore ch'è forte come la morte (Ct 8,6), che dura e sopravvive nella sua stupenda possibilità di ricrearsi ogni giorno, intatto e immacolato; vicino a voi per aiutarvi a vincere i pericoli non irreali dell'egoismo, che si annidano nelle pieghe riposte dell'anima per conseguenza della colpa originale, ma che pur sono stati vinti dalla Croce e dalla Risurrezione di Cristo; vicino a voi per farvi sentire la vostra dignità di collaboratori di Dio Creatore, nel trasmettere il dono inestimabile della vita, e di Dio Provvidente, nel rappresentarlo al vivo davanti ai vostri figli nelle tenerezze, nelle cure, nelle sollecitudini che saprete ad essi dedicare con quegli slanci di eroismo che ben conoscono i cuori dei padri e delle madri. Sì, fratelli, sì; davvero «questo sacramento è grande: lo dico di Cristo e della Chiesa» (Ep 5,32).

L'ha ben sottolineato ancora il Concilio Vaticano II, quando ha detto: «Come un tempo Dio venne incontro al suo popolo con un patto di amore e di fedeltà, così ora il Salvatore degli uomini e Sposo della Chiesa viene incontro ai coniugi cristiani mediante il sacramento del matrimonio; inoltre rimane con loro perché, come Egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per lei, così anche i coniugi possano amarsi l'un l'altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione . . . e siano aiutati e rafforzati nello svolgimento della sublime missione di padre e madre» (Gaudium et Spes, GS 48). Così, fratelli, così: sia questo il vostro programma, sia questa la vostra ambizione: con Gesù in cammino con voi per le vie faticose e imprevedibili della vita; con Gesù seduto alla tavola del vostro pane quotidiano duramente ma serenamente guadagnato, possiate fare della vostra esistenza a due una luce, una missione, una benedizione. È quanto invochiamo per voi, e per tutti i coniugi cristiani, durante la Messa; ed è l'augurio che vi facciamo con intenso affetto paterno.

Nous adressons un salut très cordial à tous les pèlerins de langue française. Nous vous félicitons, chers fils et filles, de participer ainsi à l'Année Sainte. Pendant que vous faites tette démarche, le Seigneur est au milieu de vous, comme avec les disciples d'Emmaus. Et vous faites ici l'expérience réconfortante de l'Eglise universelle. Nous vous bénissons, nous bénissons vos familles et vos amis, particulièrement les jeunes foyers.

As we associate ourselves today with the Apostles, we proclaim anew: «Yes, it is true. The Lord has risen and has appeared to Simon». And again today we recognize the Risen Jesus in the breaking of the bread. At the same time we extol the mystery of Christ's sacrificial love for his Church-a mystery reflected and embodied in the sacramental union of husband and wife. The Church acclaims the dignity and sacredness of Christian marriage, and prays that those who today enter into this holy calling may be faithful and grow in love.

Unser gruss gilt allen Pilgern deutscher Sprache. »Christus ist auferstanden«: das ist die österliche Botschaft. »Christus ist auferstanden«: das ist der Grund unserer Freude. Auch wir werden mit Christus auferstehen: das erfüllt unser Herz mit Hoffnung. Freude und Hoffnung mögen die jungen Paare begleiten, die heute vor Gott den Bund des Lebens eingehen. Freude und Hoffnung begleite auch unser ganzes Leben!






20 aprile 1975: SOLENNE CONCELEBRAZIONE PER LE VOCAZIONI

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Venerati Fratelli! Figli carissimi!

Giornata delle vocazioni! Se ne è tanto parlato, ma l'importanza del tema e la sua complessità esigono che ancora se ne riparli; e sempre. Ed oggi la Chiesa parla con voce così alta e profetica di questo tema che non basta semplicemente ascoltarlo; bisogna comprenderlo. L'ora è venuta per noi di penetrarne il senso e di lasciare che il suo significato venga a contatto con il nostro cuore, con la profondità personale della nostra coscienza; e non meno con l'odierna esperienza storica. Lo facciamo ora per via di brevissima sintesi (Cfr. Seminarium, 1, 1967). Che cosa significa vocazione se non chiamata? Annuncio, dialogo quindi, inizio di conversazione, invito ad una coincidenza nella verità, provocazione ad una comunione, ad un amore. Chiamata: chi chiama?

Fratelli e figli! Cerchiamo di comprendere. La vita, la nostra vita stessa è vocazione. La ragione del nostro essere, razionale e libero, è vocazione. L'antico catechismo nulla ha perduto della sapienza filosofica e teologica: noi abbiamo avuto il dono dell'esistenza per conoscere ed amare Dio; sì, Dio. Che ha voluto suscitare davanti a Sé l'homo sapiens; un essere votato alla ricerca, all'ascoltazione delle voci dell'essere, del cosmo, della scienza. Possiamo applicare a questo rapporto della nostra vita una frase di S. Paolo: nihil sine voce. Niente è senza voce. Tutto parla per chi sa ascoltare. I segreti della natura sono possibili confidenze di Dio creatore per chi le sa scoprire. È una prima forma di vocazione, la vocazione alla scienza che meriterebbe per sé grande discorso: essa rimane tuttora, e trova l'uomo moderno assorbito dal suo meraviglioso, magico incantesimo. Noi ne abbiamo, proprio ieri, onorato il perenne, fecondo, inesausto valore nell'incontro con la nostra Pontificia Accademia delle Scienze.

Ma la vocazione scientifica, quando è fedele alle sue trascendenti aspirazioni, arriva alle soglie della religione, e vi depone il suo canto umile e solenne: «I cieli narrano la gloria di Dio, e le opere delle sue mani annunzia il firmamento» (
Ps 18,1, cfr. Prov. 22, 17 ss.; etc.). Grande liturgia, esuberante essa pure di misteri, e di luci, non certo ostile a quella religiosa, sì bene, sua scala e in certo senso suo riflesso (Cfr. Mt 6,28-30). I sommi cultori di questa vocazione naturale l'hanno compreso: la recente commemorazione del centenario di Copernico, già maestro alla «Sapienza» di Roma, ha rievocato questa, non solo possibile, ma sempre auspicabile armonia della scienza razionale con la fede religiosa. Ma la vocazione scientifica non esaurisce, e spesso nemmeno inizia il dialogo nuovo e ulteriore, che l'ineffabile Iddio vuole aprire con l'uomo e che di natura sua si rivolge alle cose a noi esteriori, mentre l'uomo subito se ne inebria e subito lo rivolge a scopi utilitari, donde nasce e si qualifica e si appesantisce la civiltà moderna, profana e quasi preclusa all'apertura dei nuovi segreti, che S. Agostino sintetizza nel duplice voto: noverim Te, noverim me, la conoscenza penetrante e sapiente di Dio e di se stesso (Cfr. S. AUGUSTINI Solil. 11, 1; PL 32, 885).

La vocazione naturale, la prima, indispensabile, estremamente ricca, denuncia tuttavia i suoi limiti, i quali, quasi per paradosso, tanto più si fanno sensibili e opprimenti quanto più vasti ed estesi ne sono i confini verso l'oceano dell'esperienza sensibile e dello scibile razionale. L'umanità per lo più vi si adatta, ma alla fine ne soffre, e piega tristemente rassegnata verso una valutazione piuttosto pessimistica sulla vita e sul Inondo. Ricordate il vanitas vanitatum dell'Ecclesiaste, che avverte, dopo averne goduto, la caducità delle cose divorate dal tempo e deprezzate dalla incapacità di saziare l'anima umana più ampia e più avida di quanto sia la loro possibilità di riempirla e di saziarla? Ed è qui spesso, nella trama della vita, anche giovanissima, Figli e Fratelli ed Amici, noi crediamo, che può avvenire la seconda vocazione dell'uomo pellegrino, la vocazione, chiamiamola così, evangelica, cioè l'ascoltazione, la folgorazione, d'una parola del Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo (Jn 15,16).

Egli ne ha l'iniziativa; sì, ma questa è rispettosa d'una libertà che la fa decisiva. Leggete le vite dei santi, analizzate le biografie dei convertiti, ma fors'anche preferite le semplici cronache di giovani, nostri coetanei, uomini o donne che siano, i quali, a un dato momento, hanno udito e capito una parola evangelica entrare, furtiva dapprima, dominatrice poi, nella loro coscienza. Non è univoco, a noi pare, il modo con cui questa presenza interiore della Parola divina agisce sopra le anime: risposta ad un premente problema spirituale? Candido sogno di santità! Balsamo confortatore ad un'afflizione inconsolabile, coraggioso rimedio ad un rimorso inquietante? Scoperta di doveri prima dimenticati? Consonanza d'un verbo evangelico con una voce umana, attuale, piangente? Non so. Il fatto è che il contatto interiore della voce del Signore con un elementare, quasi istintivo ed intimo, ma dominante pensiero del cuore ha prodotto un interrogativo, forse un tormento, un vero caso di coscienza, che la parola amorosa e discreta d'un papà, o ancor più facilmente d'una mamma pia e sagace, sa interpretare e sa fare poi esaminare dal consiglio, immancabile, d'un padre spirituale, d'un esperto amico capace di accogliere e custodire il segreto d'una decisiva conversazione: ecco, è la «vocazione»!

La vocazione evangelica, autentica, che il giudizio autorevole della Chiesa sperimenta e convalida (Cfr. Presbyterorum Ordinis, PO 11, nota 66) è questa. La chiamata diventa elezione, scelta, distacco, separazione, segregazione (Cfr. Ac 13,2): cioè diventa candidatura ad un ufficio speciale, che ha questa prima caratteristica, oggi la più sofferta, di imporre un genere di vita diverso da quello comune, singolare, punto ambito e stimato nel ceto selciale ordinario, mentre un tempo aveva una sua rispettata e spesso onorifica estimazione sociale; oggi no; essa è la caratteristica dell'unico amore a Cristo, a Dio, in misura totale, in forma esclusiva, la caratteristica del sacrificio, dell'annullamento di sé (Cfr. Phil. Ph 2,7 ss.); una caratteristica compenetrata da un'altra subito derivata, quella della dedizione nella preghiera o nel ministero al bene altrui, al servizio senza riserva agli uomini fratelli, con preferenza per quelli più bisognosi di amore, di assistenza, di consolazione. La chiamata, diventata elezione, si fa dedizione, immolazione, silenzioso e gratuito eroismo.

La vocazione, si fa ecclesiale. Cioè s'innesta in un corpo, si, sociale, umano, organizzato, giuridico, gerarchico, mirabilmente compatto e obbediente; si dica quanto si vuole di questa aggregazione esteriore, tradizionale, disciplinata nella quale l'individuo sembra perdere la sua personalità, sembra, diciamo, ma l'acquista nell'atto stesso che si compagina con questo terreno e visibile corpo ecclesiale, perché si tratta del Corpo mistico, che è la Chiesa di Cristo, da cui fluiscono nell'eletto fiumi di divini carismi, i doni, i frutti dello Spirito Santo (Cfr. Ga Ga 5,22 ss.), e nel sacerdote la misteriosa e miracolosa somma delle potestà divine, come quella dell'annuncio della Parola di Dio, o quella delle virtù di risuscitare alla grazia le anime morte, e più quella di immolare alla Messa nella sua reale e sacramentale presenza Gesù, vittima della nostra Redenzione. E poi v'è questo mistero dell'unità, d'avere sempre presente, come vertice della carità, mistero che si riveste di forme sensibili e sociali, e che ci fa trasognare nel nostro mondo storico, il quale con dispari sforzo spesso simultaneo genera e distrugge la sua pace unitaria; mistero per eccellenza confidato ai votati alla sequela sacerdotale e religiosa di Cristo: siano tutti uno!(Jn 17)

Fratelli e Figli, e Amici, prolungate da voi stessi questa meditazione sulla vocazione: naturale, evangelica, ecclesiale; non ne potrete raggiungere la fine (Cfr. Ep 3,18 ss.) nella pienezza di significato, di spirituale e morale grandezza, d'ineffabile fortuna soprannaturale ch'essa promette e garantisce. Non le fate mai torto di poterla realizzare in economia di durata, di sacrificio e d'amore. Non ne isolate il pensiero da quello della funzione sempre superlativa, ch'essa acquista nella compagine della Chiesa viva; non dimenticate la premente necessità che il mondo oggi ne ha; e non recitate come vane le sacrosante parole, che ne imputano la responsabilità e che ne annunciano la solrte beata: hodie si vocem Eius audieritis, nolite obdurare corda vestra! (Ps 94,8) Ascoltate la Voce.

Chers pèlerins de langue française, et vous spécialement les jeunes gens et les jeunes filles présents ce matin dans tette Basilique, Nous vous invitons à être attentifs à l'appel que le Christ, le Bon Pasteur, vous adresse peut-être. Aurez-vous le courage de tout quitter pour le suivre, pour le servir et pour servir vos frères? Nous le souhaitons, Nous prions pour vous et Nous vous bénissons de tout coeur.

Our call goes out to the entire Church of God. We appeal for personal interest and prayerful solidarity on the part of all, in the matter of vocations. In particular we ask that young people everywhere open their hearts to the promptings of the Holy Spirit, and that with generous and persevering love they accept the invitation to sacrifice their lives with Jesus for their brethren. For it is through this generosity and sacrifice that mankind is led to a sharing in the Paschal Mystery of the Lord. Hear our voice! Listen to our words! They come to you in the name of Christ the Supreme Shepherd.

Herzlich grüssen Wir in dieser Liturgiefeier auch die Pilger aus den Ländern deutscher Sprache. Hört, liebe Söhne und Töchter, am heutigen Welttag der geistlichen Berufe erneut die eindringliche Bitte Jesu Christi: »Bittet den Herrn der Ernte, dass er Arbeiter in seine Ernte sende« (Mt 9 Mt 38). Gott braucht Menschen - und heute mehr denn je -, die sich zum Heil der Mitbrüder vorbehaltlos seinem Dienste weihen. An uns liegt es, sie von ihm für die Kirche durch unser inständiges Gebet zu erflehen. Seine Erhörung ist uns gewiss!

En esta Jornada vocacional del Año Santo, os invitamos, amadísimos peregrinos, a pedir con insistencia al Señor que siga donando a su Iglesia espíritus nobles y fuertes; almas que, con gozosa gratitud a la llamada divina, ofrenden su vida para ser testigos fieles de la Palabra y guien a los hombres por las sendas de salvación.








B. Paolo VI Omelie 23375