B. Paolo VI Omelie 29575

29 maggio 1975: SOLENNITÀ DEL «CORPUS DOMINI»

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Fratelli,

questa liturgia del «Corpus Domini», tanto singolare e tanto solenne, ha il carattere d'un ripensamento. La nostra riflessione ritorna alla notte del Giovedì Santo, così intenzionalmente significativa per Gesù, il Maestro, che aprì quella cena pasquale, con parole piene di intensa commozione, di amorosa tenerezza e di appassionanti previsioni testamentarie: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima di patire . . . » (
Lc 22,15). Una angustiante curiosità provoca allora una straordinaria tensione fra i commensali, mentre Gesù compie gesti insoliti, come la lavanda dei poveri piedi dei discepoli, e pronuncia discorsi estremamente soavi e gravi, distribuendo ad un dato momento pane e vino così radicalmente investiti da nuove, qualificanti ed essenziali definizioni del suo proprio corpo e del suo proprio sangue, da trasformare il pasto in sacrificio, in cui l'agnello pasquale, allora consumato, cedeva il suo secolare e storico valore di simbolo nazionale e liberatore alla presenza di una autentica, profetizzata e profetica, vittima salvatrice, unica, universale e perenne. Poi il mandato dell'amore fraterno, poi la dottrina della unione permanente di Gesù con i suoi, e l'alterna vicenda della sofferenza e del gaudio prevista per i seguaci fedeli del Maestro oltre la sua sensibile scomparsa, e quindi il ripetuto preannuncio della missione animatrice dello Spirito Paraclito, e, infine, quasi a corona dell'economica messianica, la preghiera finale e sacerdotale del Signore, librata fra cielo e terra, come un inno che assorbe nell'unità trascendente i destini supremi dell'umanità redenta.

Troppe cose per noi! subito assorbiti dal dramma feroce ed eroico della Passione del Venerdì Santo, e finalmente dal successivo dramma quasi inconcepibile per la sua stessa superlativa felicità della risurrezione del Signore, proprio Lui, ma così meravigliosamente vivente da non poterlo contenere negli schemi consueti della nostra abituale mentalità. Questa profusione di fatti, di parole, di rapporti profetici col passato e col futuro, la quale forma il quadro densissimo del mistero pasquale, ci obbliga, come dicevamo, a un ripensamento e ad una ricerca del punto centrale, dove la soverchiante realtà si condensa in espressione simbolica, cioè sacramentale, e per ciò stesso trascende i limiti della contingenza materiale e momentanea, e si effonde, come luce dal suo punto focale, e si rende accessibile a chi apre gli occhi su quella stessa luce, gli occhi della fede, e valicando i confini dello spazio e del tempo, non che quelli delle nostre leggi sperimentali, la fa sua, com'era nell'intenzione del Signore, nell'atto di accenderla, con suprema potenza, con infinito amore. Ecco, noi, sì, tremanti di meraviglia e di gioia, apriamo questa capacità ricettiva e profonda del nostro spirito; ed esclamiamo: Mistero di fede! varcando così le soglie del regno prodigioso di Dio, al quale quel convito pasquale del Signore alla vigilia della sua passione redentrice, ci aveva, come ad incontro supremo, invitati. Sì, crediamo, o Signore!, ma Tu, Tu stesso, aiuta la nostra incredulità (Cfr. Marc. Mc 9,24). Allora, ecco, la scena teologica sfolgora davanti a noi; né noi mai tutta la possiamo simultaneamente contemplare, godere, comprendere. Le anime allenate a questa sorprendente visione bene lo sanno. Per capire qualche cosa bisogna ora scegliere e fissare lo sguardo sopra un frammento particolare del grande quadro.

Quale frammento oggi per noi? Una Tua parola noi ascoltiamo in questo momento, o Signore; una Tua parola scelta dal quel Tuo discorso a Cafarnao, discorso di commento, di polemica e di rivelazione, che Tu, o Signore, facesti seguire al miracolo della moltiplicazione dei pani per la folla di circa cinquemila persone venute in cerca di Te, oltre il lago di Tiberiade, preludio e simbolo della istituzione dell'Eucaristia. A quanti ancora chiedevano pane per la fame naturale, Tu, o Signore, ripetesti: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non patirà la fame, e chi crede in me non mai soffrirà la sete» (Jn 6,35), cioè provocasti l'avvertenza d'un'altra fame e d'un'altra sete, che non quella della vita temporale, alla quale la Tua miracolosa bontà aveva il giorno prima dispensato cibo gratuito e abbondante; e così molte cose insegnasti che valgono ancora, valgono sempre, anche per noi tanto distanti dai luoghi e dai tempi che Ti ebbero fisicamente presente. Ci insegnasti che le necessità della vita temporale ed economica meritano, sì, l'interessamento dell'a società, l'opera provvida e immediata degli uomini, resi fratelli per nuovo titolo, per l'incontestabile comune bisogno di quel pane che la terra può dare, e dà a chi vi prodiga sudando e pregando le proprie sapienti fatiche.

La solidarietà fra gli uomini, per causa della sofferenza e della necessità e per la prospettiva d'un loro crescente benessere e d'una più giusta partecipazione di tutti ai beni della terra, non sarà mai dimenticata, né trascurata da quanti sono insigniti del nome cristiano, e sono alunni fedeli del Tuo Vangelo; ché anzi sarà per loro un grato e severo impegno e lo sarà tanto di più moltiplicare i pani della terra quanto maggiore è la fame, cioè il bisogno e la sofferenza li reclama, e sarà a ciò per loro stimolo urgente e premio incomparabile il sapere che questo sforzo economico e sociale sarà in essi sostenuto da un amore che Tu solo puoi dare nella sua efficienza e nella sua bellezza, la carità. E Tu fa', o Signore, che a questa Tua legge suprema della socialità cristiana noi possiamo dare vera, umile, amica, perseverante testimonianza. Ma insieme Tu ci insegnasti, o Signore, che non di solo pane della terra vive l'uomo (Cfr. Mt 4,4), perché non solo ai destini della terra è chiamata la nostra vita; e che ai destini soprannaturali, offerti a questa nostra naturale esistenza, la Tua parola, la Tua redenzione, la Tua comunione ci è indispensabile Pane di vita eterna. Eccita in noi, o Signore, questa fame, Tu che per alimentarla, e saziarla oggi, nel tempo, e domani, nell'eternità, Ti sei a noi concesso nell'inestimabile dono del Pane eucaristico.

Que cette célébration solennelle de la Sainte Eucharistie, chers Fils et Filles, soit pour vous l'occasion d'approfondir votre foi dans la présence réelle du Seigneur, à la Messe et dans le tabernacle. Sachons l'adorer dans ce sacrement dans lequel il nous donne, avec sa propre chair, le Pain de la vie éternelle.

En el marco fervoroso de esta liturgia, os exhortamos, amados hijos, a acrecentar vuestra devoción bacia la Eucaristía. Que la participación en la misma, os anime a vivir siempre en comunión con el Señor y con los hermanos.

Liebe söhne und Töchter! Das Fronleichnamsfest ist uns heilig und teuer seit den Tagen unserer Kindheit. In der heiligen Eucharistie ist Christus in wunderbarer Weise unsere tägliche Speise, unser tägliches Opfer, der treue Gefährte auf unserem Pilgerweg durch diese Zeitlichkeit. Darum sei die Andacht zur heiligen Eucharistie die grosse Andacht unseres Lebens!

On this solemnity of joy for the Church of God, we honour and adore the Body and Blood of our Lord Jesus Christ, Son of the Eterna1 Father, Son of Mary. At the same time, dear sons and daughters, we thank God for his generosity to us, and we pray humbly that we may open our hearts to the needs of others-that like Christ we may lay down our lives for the brethren.





1 juin 1975: CONCÉLÉBRATION POUR LES PÈLERINS DE L'ANNÉE SAINTE

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... in francese

We are assembled here today, in the oneness of Jesus Christ, to honour the Word of God and to receive this Word into our hearts and souls. We are gathered as a redeemed people, in the unity of faith and Baptism, to praise «that justice of God which works through faith in Jesus Christ for all who believe» (
Rm 3,22). We have come together in order to extol the redemption effected in Christ Jesus, and, in celebrating sacramentally the memory of his Passion, Death and Resurrection, to carry on the work of his redemption, as we wait in joyful hope for the coming of our Saviour. What a wonderful unity is ours in Jesus Christ and in the Church! And today a special and beloved portion of this Church is here represented by the pilgrimages from various countries of Africa. In the presence of all of you, dear sons and daughters, we express again our affection, our solicitude, our love for all of Africa and for all her peoples.

And as we celebrate and attest to this unity of ours in Christ, here at the tomb of the Apostle Peter, we as his successor have just sent to Africa our Special Envoy, Cardinal Sergio Pignedoli, to preside in our name at the solemn ceremonies at Namugongo, to honour the Ugandan Martyrs, to greet the Church in that country and likewise to render honour to the Church in all of Africa. Beloved Brethren and dear sons and daughters, in the name of Jesus Christ we exhort you in the words of Peter: Be «strong in faith» (1P 5,9). And in the words of the Apostle Paul we urge you «to maintain the unity of the Spirit in the bond of peace» (Ep 4,3). You must go forward together, united in faith that is manifested by authentic Christian living, united with us, with your Bishops and with all your brethren throughout the world. Yes, we must all go forward together, united in Jesus Christ ,and in his Word. We must go forward to give honour and glory to Jesus Christ, in union with his Father and the Holy Spirit for ever and ever. Amen.

Ed ora il nostro colloquio, nella cornice della Liturgia della Parola di questa Messa, si rivolge ai pellegrini numerosissimi, di lingua italiana. Salute a voi, fedeli di varie diocesi, che ci fate corona attorno al santo Altare. La giornata di oggi è particolarmente dedicata alle giovani Chiese dell'Africa, i cui rappresentanti sono venuti di là per ricevere il dono dell'Indulgenza Giubilare. E' uno spettacolo raro, quello di oggi: è un quadro magnifico e commovente dell'unità, dell'a santità, della cattolicità, dell'apostolicità di questa nostra Chiesa, che ci è Madre: santa perché i suoi figli, provenienti da tutti i popoli, sono purificati dal lavacro del Battesimo e nutriti dell'Eucaristia; una, perché delle diverse e molteplici culture, etnie, razze, civiltà, essa forma l'unico Popolo di Dio; cattolica, perché nessuno è per lei forestiero, nessuno lontano, tutti vi si trovano di casa, «non più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ep 2,19); apostolica, perché in essa siamo «edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù» (Ibid. 2, 20).

Il Giubileo tutti ci richiama alle nostre responsabilità di cristiani: ce lo ha ricordato Gesù nel Vangelo odierno: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21). Il Cristianesimo è la religione dei forti, dei coraggiosi, di coloro che s'impegnano a fare la volontà di Dio, che li vuol santi nella obbedienza della fede, e li lancia sulle vie della carità per donarsi agli altri, ovunque vi sia da operare per il Regno di Dio e per il servizio dei fratelli. Così ci confermi il nostro comune proposito, carissimi fratelli e figli, in questa primavera di rinnovamento spirituale che spira con l'Anno Santo nelle anime; così soprattutto ci veda il Signore, che preghiamo per tutti voi, e nel cui Nome vi benediciamo.

Liebe söhne und Töchter! Heute dürft ihr im Rahmen dieses Pontifikal-Gottesdienstes erleben, daß unsere heilige Kirche in Wahrheit katholisch, das heißt universal ist. Kein Volk kann sich rühmen: mir allein leuchten die Sterne ewigen Heiles. Alle Völker, alle Rassen, alle Nationen sind berufen zum Heil in Jesus Christus (Cfr. Mt 28,19 Ap 5,9). Vertieft in euch diese echt christliche Auffassung. Betet und opfert gern für die Catholische Weltmission!






6 giugno 1975: XII ASSEMBLEA DELLA C.E.I.

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Venerati Confratelli nell'Episcopato e nel Sacerdozio!

Diletti figli e figlie!

Congregavit nos in unum Chritsti amor. Sì, stamani, nella Solennità del Cuore di Cristo che è la celebrazione dell'amore di Cristo, questo stesso amore ci ha qui radunati insieme. Noi ne godiamo intimamente, come, ne siamo certi, voi tutti ne gioite nel vostro spirito: perché siamo tutti uniti, noi, insieme con voi, Vescovi d'Italia, e con i vostri sacerdoti, in questa cerimonia giubilare che è qualcosa di più di una manifestazione esterna, sia pur solenne e sentita: essa è il segno visibile di un fatto interiore, di quella realtà viva che è la Chiesa italiana, qui presente nei suoi Pastori, raccolti per la loro Assemblea Generale, nei loro diretti collaboratori, i sacerdoti, come nell'espressione qualificata del laicato, generoso cooperatore. Sicché la vostra presenza, qui, presso il trofeo nascosto e splendente del Principe degli Apostoli, accanto al suo umilissimo Successore, assume il significato evidente della comunione. Congregavit nos in unun Christi amor: e tanto di più lo sottolinea la ricchezza della Liturgia del mistero odierno, celebrazione dell'amore di Dio, che si riverbera nel cuore umano del Verbo Incarnato. Ce lo ha ricordato S. Giovanni nella sua prima lettera, or ora udita: «In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui . . . Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi. Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito» (
1Jn 4,9 1Jn 4,12-13).

Comunione, dunque, che immerge le sue radici nella vita stessa della SS.ma Trinità. Ma ecco che da questa comunione derivano subito per noi eletti favori e doveri concreti e stringenti: quelli dell'unità, della solidarietà, dell'azione concorde che non solo dev'essere proclamata a parole, ma dimostrata quotidianamente nella realtà delle azioni: di qui l'importanza dei programmi unitari dei quali l'Assemblea della C.E.I. e Ia sua assidua attività ci dànno un'immagine molto confortante; di qui la forza delle realizzazioni comuni; di qui l'impegno degli sforzi di tutte le componenti della comunità ecclesiale.

1. Ma in quale spirito dobbiamo compiere tutto questo? Con un rinnovato impegno, con un rinnovato ardore, con una rinnovata generosità, che trae la sua norma dalla «metánoia» a tutti imposta dall'Anno Santo. Se Ia comunione è lo specchio della nostra realtà interiore e l'espressione della esteriore attività, allora in questa luce dobbiamo sentire l'obbligo di proseguire con nuovo impulso l'opera comune di salvezza e di evangelizzazione alla quale ci chiama la nostra vocazione. Pare a noi che un nuovo periodo di vita ecclesiale stia delineandosi: occorre che la nostra fedeltà alla tradizione canonica si esprima in un rinnovato fervore di propositi e di opere (Cfr. Rm 12,2). I tempi esigono da parte nostra, di Pastori responsabili e coscienti, due cose: un'applicazione aderente e concorde del grande tesoro di dottrina e di precetti del recente Concilio, che la Provvidenza ha disposto fosse celebrato nella nostra generazione; non ieri, non domani, oggi, noi, operai della vigna del Signore, siamo chiamati ad un lavoro assai impegnativo (Cfr. Mt 20,7); il Concilio deve diventare stimolo continuo e legge operante della nostra presente vita ecclesiastica.

E seconda cosa: dobbiamo avere una percezione attenta e vigilante della trasformazione, specialmente nei suoi aspetti culturali, del mondo in cui siamo chiamati ad operare. E allora, vogliamo noi accennare insieme per sommi capi a ciò che dobbiamo compiere in questo nuovo spirito, per ricominciare davvero il compimento d'ella nostra missione con energie non mai stanche e sempre vigorose? Le vocazioni, anzitutto! Dobbiamo incominciare di qui per vitalizzare e incrementare le comunità ecclesiali: diventare maestri di una nuova generazione di preti, e approfondire la coscienza sacerdotale. Ma è il Vescovo il primo maestro delle vocazioni nella sua diocesi come della formazione dei propri sacerdoti, aggiornata e matura, non mai disgiunta da una intensissima vita spirituale. Questa diretta responsabilità non certo priva della scelta e valida collaborazione di ottimi Confratelli è stata espressamente ricordata dal Concilio Vaticano II (Christus Dominus, CD 15 et 16; Prerbyterorum Ordinis, 7; Optatam Totius, OT 2).

Occorre perciò che sia il Vescovo a interessarsi anche personalmente dei propri seminaristi e sacerdoti, affinché questi trovino veramente in lui il Padre, il Consigliere, l'Amico, la guida, il sostegno, l'aiuto. Occorrerà in pari tempo rispondere consapevolmente al grave obbligo di dare una formazione apostolica anche ai laici, a quelli specialmente che accettano di inserirsi nella sempre attuale formula dell'Azione Cattolica, in un momento come questo di grande necessità di non far mancare la chiarezza della dottrina, la forza dei principii, la luce dell'esempio. Anche qui la voce dei Padri Conciliari è stata categorica: «Spetta alla Gerarchia promuovere l'apostolato dei laici, fornire i principii e gli aiuti spirituali, ordinare l'esercizio dell'apostolato medesimo al bene comune della Chiesa, vigilare affinché la dottrina e l'ordine siano rispettati» (Apostolicam Actuositatem, AA 24). In questa luce, vediamo con grande consolazione e con lietissima speranza il fenomeno, in sviluppo, e staremmo per dire, in certi casi sorprendente dei catechisti: esso è cosa ottima, da incoraggiare con grande sapienza, perché dimostra la sempre vitale e generosa energia delle giovani forze della Chiesa. Ed è chiaro il perché: soltanto in una solida formazione religiosa, in connubio con la vita di grazia, e nell'esercizio della testimonianza dottrinale, si possono avere comunità ecclesiali adulte, su cui fare sicuro affidamento per l'avvenire.

2. Ma noi vogliamo sottolineare anche lo scopo a cui siamo chiamati oggi nella nostra attività pastorale: ed è quello di essere attivi e forti. Attivi, anzitutto, perché la logica del Vangelo ci chiama a spendere i talenti, che ci ha affidato il Signore, senza stancarci, senza interromperci mai, senza lasciarci sopraffare dalle preoccupazioni della «routine» : Nec in te patitur Dominus unius usum esse operis aut laboris, quia, dum vivimus, debemus semper operari, dice S. Ambrogio (S. AMBROSII Exp. Ev. sec. Luc. VIII, 31; CC, p. 309). Forse una sottile tentazione potrebbe introdursi nel Pastore di anime, e il sovraccarico di lavoro le darebbe facile attenuante: «Tanto oggi c'è la C.E.I.; c'è chi ci pensa!». È la tentazione di demandare all'organismo collegiale ciò che solo la personale responsabilità può realizzare. Siamo tutti convinti che è così, non è vero?

Ciascun Vescovo conserva intera la propria responsabilità, ciascuno deve proporsi di risolvere personalmente, con l'aiuto del proprio Presbiterio, i propri problemi immediati, perché ciascuno sarà giudicato sulla generosità e sull'impegno con cui avrà risposto alla grazia dello stato: senza peraltro dimenticare, al tempo stesso, che tutti dobbiamo agire come in un unico concerto, in una unica armonia, secondo quell'unitarietà di programmi a cui già abbiamo accennato, che sola assicura la validità delle singole iniziative. Perciò, fratelli, siate anche forti! Forti nell'incanalare le energie del bene; forti nel favorire lo sviluppo positivo che avete rilevato nelle tensioni di rinnovamento e di collaborazione nelle varie componenti della vita ecclesiale; forti nel rispondere alle difficoltà che hanno investito un po' tutte le forme associative, e, qua e là, la stessa vita del clero e delle anime consacrate. Ma forti soprattutto nell'amore! Attingerete, Fratelli, come ben sapete, tale vera, indispensabile forza dall'intensità della vita religiosa, sia personale, che comunitaria e liturgica; e l'attingerete, come s'è detto, dalla vostra unione.

Ora la vostra unione dev'essere la Conferenza Episcopale, che egregiamente presiede e provvede ad armonizzare e intensificare la consistenza religiosa del Popolo italiano. L'unione, si dice, fa la forza; ma quale forza da codesta unione? La forza dell'amore; dell'amore pastorale! Amore per gli uomini del nostro tempo; sì, a questo scopo è consacrata la nostra vita; ma ricordiamo bene come dobbiamo interpretare questa magnanima e polivalente parola «amore», secondo il significato cioè che Cristo le attribuì, di liberazione, di servizio, di ,sacrificio, se ciò secondo la formula di S. Paolo che fa della carità e della verità un binomio inscindibile. Bisogna praticare l'amore secondo le esigenze della vera dottrina, senza lasciarsi trascinare, con infantile volubilità e con illogica acquiescenza da ogni vento di pubblica opinione in auge (Cfr. Ep 4,14-15), come pur troppo oggi avviene anche in alcuni impegnati al servizio della fede, i quali, sebbene talvolta con generose intenzioni, da maestri e guide, come dovrebbero essere, dei fratelli dispersi su aberranti sentieri, se ne fanno seguaci e pedissequi, e deviano il dinamismo della nostra carità sociale in ausilio a sistemi ideologici e pratici, che ne soffocano l'intrinseca libertà, e ne rifiutano alla fine il religioso valore.

3. Ripetiamo: sia l'amore la nostra fortezza: «Noi abbiamo riconosciuto e creduto nell'amore!» (1Jn 4,16). La realtà del Cuore di Cristo ci spinge a questo amore, anche in spem contra spem! Sì, fratelli, oggi la società ha bisogno d'amore: vi sono disordini sociali, fermenti di disgregazione, errori morali (droga, perversioni, ecc.) perché forse il nostro popolo, in alcune espressioni della sua vita (il bisogno di giustizia sociale, ad esempio, l'impegno del lavoro industriale, lo studio della mentalità moderna) non ,si è sentito abbastanza amato! Anche nella diffidenza e nei pregiudizi che tengono lontana dalla Chiesa tanta parte delle classi sociali più preparate, della cultura, dell'insegnamento, delle arti, è stata vista, a torto una mancanza d'interesse e d'amore. Tutti invece debbono sentirsi di casa nella Chiesa, che non è ostile a nessuno perché a tutti porge la verità, la luce, la lungimiranza, la pazienza, la pace, la carità di Dio. Ecco la nostra forza: un maggiore amore, una maggiore bontà: dobbiamo farci amare di più, amando, farci, come Paolo, «tutto a tutti per fare tutti salvi» (Cfr. 1Co 9,22).

È la nostra professione, la nostra vocazione, la nostra tremenda e corroborante responsabilità. A tanto ci chiama il Cristo, che, per mezzo nostro - di noi Vescovi, di noi sacerdoti, come dei laici generosi - vuol far sentire a tutti gli uomini le ansie del suo Cuore; l'abbiamo udito nel Vangelo: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio gioco sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime»! (Mt 11,28-29) Il mondo che soffre nel gelo dell'egoismo e della paura ha bisogno di risentire questa certezza, che rinnova e avvera per sempre le grandi parole dell'Alleanza: «Il Signore si è legato a voi, . . . Il Signore vi ama» (Dt 7,7 Dt 7,8). Sì, Fratelli, sì, amici: questo il nostro impegno, questa la nostra gloria, questo il nostro premio. Ci confortino san Pietro e tutti gli apostoli con la loro eroica testimonianza; ci aiuti la Vergine Santissima, Madre della Chiesa; ci incoraggi e ci benedica Dio Padre, Figlio, Spirito Santo. Amen.

Nous saluons, affectueusement, les pèlerins de langue française. Chers fils et filles, en ce jour où nous célébrons le Coeur du Christ, demandons au Seigneur de nous combler de son Amour, afin que nous soyons toujours unis entre nous et avec Lui.

On this solemnity of the Sacred Heart of Jesus, we honour God's love manifested in his Son. «Beloved, if God has loved us so, we must have the same love for one another» (1Jn 4,11). Yes, let us open our hearts to love.

Unser herzlicher Gruss gilt auch den Pilgern deutscher Sprache. Wir feiern heute das Herz-Jesu-Fest. Unser Gebet ist: Herr bilde unser Herz nach deinem Herzen: demütig, opferstark und gütig.

Saludamos con paterno afecto a todos cuantos os habeis unido a esta celebración eucaristica. Y en este día del Sagrado Corazón de Jesús, pedimos al Señor que sea El quien alimente y renueve siempre en vosotros los sentimientos de compasión, de amor y de paz.



29 giugno 1975: FESTIVITÀ DEI SS. APOSTOLI PIETRO E PAOLO

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Fratelli e Figli!

La cerimonia della grande ordinazione, che stiamo celebrando, non ci consente il tempo necessario per un'adeguata omelia, che nella cerimonia stessa avrebbe tante cose da commentare e da offrire alla vostra meditazione, come la composizione pentecostale di questa assemblea di Diaconi, finora non mai eguagliata, la festa odierna dei santi apostoli Pietro e Paolo; l'occasione, cioè la presente straordinaria celebrazione giubilare; i testi liturgici, il luogo, sacro alla storia, all'arte, al culto; le persone, i sentimenti, i propositi, che animano questo memorabile rito, sono tutte cose queste, noi crediamo, che parlano da sé, e che impresse nella vostra memoria saranno ispiratrici di alti e inesauribili pensieri. Ma non possiamo tacere tre parole, che condensano in sé l'intrinseca verità del mistero dell'ordinazione sacerdotale, e che noi semplicemente proponiamo alla vostra memoria come capitoli, che voi stessi, lungo il cammino della vostra vita, dovrete continuamente ricordare ed esplorare.

La prima parola, voi lo sapete, suona «vocazione». Voi siete stati chiamati. Chiamati da Dio, chiamati da Cristo, chiamati dalla Chiesa. Qualunque sia il modo mediante il quale la vocazione ha risuonato nella profondità interiore della vostra coscienza e nella realtà esteriore della vostra esperienza, ciascuno di voi dovrà sempre ricordare questo fatto, che qualifica la vostra esistenza: la elezione divina rivolta alla vostra persona. Parola di Gesù, che dal vangelo è discesa fino alla vostra umana esistenza: «Io ho scelto voi» (1); ad ognuno di voi è stato detto da Cristo: «vieni, seguimi» (2); e per tutti voi la stessa voce è risuonata dolce, liberatrice e imperativa: «venite e seguitemi; Io vi farò diventare pescatori di uomini» (3). Oh! beati voi, figli e fratelli carissimi! beati voi, che avete avuto la grazia, la sapienza, il coraggio di ascoltare e di accogliere questo invito determinante!

Esso ha sconvolto i progetti normali e seducenti della vostra vita; esso vi ha strappati dal consorzio dei vostri cari (4); esso vi ha chiesto perfino la rinuncia all'amore coniugale per esaltare in voi una pienezza eccezionale d'amore per il regno dei cieli; per la fede cioè, e per la carità verso i fratelli (5); ha fatto di voi degli esseri singolari, più simili - in virtù del carattere sacerdotale - agli angeli che agli uomini di questo mondo (6); vi ha infuso, ed anche imposto una spiritualità esclusiva (7), che però tutto sa comprendere e valutare (8); e accogliendo la vostra oblazione, vi ha inserito nella drammatica avventura della sequela di Cristo (9). Oh! beati voi! riflettete sempre alla sopraelevante fortuna dell'a vostra vocazione, e non dubitate mai d'avere sbagliato la vostra scelta ispirata da un superlativo carisma di sapienza e di carità (10). E non voltatevi più indietro! ve lo insegna Gesù stesso: «Chiunque, dopo aver messo mano all'aratro volge indietro lo sguardo, non è idoneo al regno di Dio» (11).Questa è la legge d'ella vocazione: un sì totale e definitivo.

Poi vi è una seconda parola, tutta divina questa. Come chiamarla? il diritto canonico la chiama ordinazione sacerdotale. Ma che cosa significa, che cosa comporta l'ordinazione sacerdotale? qual è l'efficacia dell'azione sacramentale, che costituire l'essenza, la verità, la novità soprannaturale del rito presente? Facciamo attenzione! qui è il punto focale, non solo di questa cerimonia, ma del mistero della Chiesa. Si tratta niente meno che della trasmissione di potestà spirituali, che lo Spirito Santo stesso infonde nel discepolo eletto, sollevato al grado di ministro di Dio, per Cristo, nella Chiesa. Ricordate Cristo risorto parlante ai discepoli e soffiante sopra di loro: «ricevete lo Spirito Santo!» (12). Un contatto, un'impressione, un carattere modellava allora. e modella tuttora chi riceve il sacramento dell'ordine; egli diviene capace di «dispensare i misteri di Dio» (13). Non dimentichiamo mai, fratelli e figli, questo rapporto specialissimo che l'ordinazione sacerdotale instaura fra noi e Dio: noi diventiamo veicolo dell'azione divina. «L'ordine, dice S. Tommaso, comporta principalmente il conferimento di una potestà» (14), che per sé è trascendente l'umana possibilità, e che solo da Dio può derivare ed essere affidata al ministero dell'uomo. Pensate alla potestà di consacrare, di offrire, di amministrare il Corpo e il Sangue di Lui, il nostro Salvatore, e di rimettere o di ritenere i peccati! (15)

Se così è, ed è così, la meraviglia non dovrà più venir meno nei nostri spiriti; noi dovremo essere assorbiti dalla contemplazione del mistero della nostra ordinazione, come non mai abbastanza coscienti di ciò che il Signore ha operato in noi. Tutta la nostra vita non sarà sufficiente per esaurire la meditazione dell'inesauribile ricchezza delle cose grandi compiute dalla potenza e dalla bontà di Dio. Con la Madonna diremo sempre : Fecit mihi magna qui potens est, il Signore ha operato in me cose grandi! (16) Vocazione, ordinazione! ed ecco la terza parola, in cui si riassume la celebrazione che noi stiamo compiendo; questa parola è: missione! Lo sappiamo bene, ma ora ci lasciamo penetrare completamente dal significato, dall'esigenza del sacerdozio cattolico. Il sacerdozio non è per colui che ne è insignito, non è una dignità solo personale; non è fine a se stesso. Il sacerdozio è ministero, è servizio, è mediazione fra Dio e il popolo. Il sacerdozio è destinato alla Chiesa, alla comunità, ai fratelli; è destinato al mondo.

Anche a questo riguardo la parola di Cristo ha valore costituzionale: «Pace a voi! Egli dice agli apostoli, la sera stessa della sua risurrezione. Come il Padre ha mandato me, così Io mando voi» (17). Il sacerdozio è apostolico. Il sacerdozio è missionario. Il sacerdozio è esercizio di mediazione. Il sacerdozio è essenzialmente sociale. Ed ecco allora che, quasi per scuoterci dall'ebbrezza, che il mistero sacramentale ha ora in noi generato, sopraggiunge questo ordine programmatico e travolgente: «Andate e portate il Vangelo a tutte le genti» (18). Anche a questo riguardo un permanente e progressivo atto di coscienza dovrà fare parte della spiritualità sacerdotale. Ognuno di voi dovrà ripetere a se stesso: io sono destinato al servizio della Chiesa, al servizio del popolo. Il sacerdozio è carità. Guai la chi coltivasse l'opinione di poterne fare un utile egoismo. Il dono totale della propria vita apre davanti al Sacerdote generoso una nuova meraviglia: il panorama dell'umanità.

Forse egli, ad un dato momento, quando avvertì d'essere segregato, per causa della sua vocazione, dal suo proprio contesto sociale (19), e destinato ad un'attività, assai specializzata, qual è l'attività del ministero religioso, dubitò di poter mai più avere contatti diretti ed operanti con la società contemporanea, o con i singoli suoi componenti; ora deve ricredersi. Se vi è servizio che esige l'immersione di chi lo esercita nella esperienza multiforme e tumultuante della società, ancor più di quello del maestro, del medico, o dell'uomo politico, questo è il servizio del ministero sacerdotale. «Voi siete, vi dice il Signore, il sale della terra, voi siete la luce del mondo» (20). Un'affinità, una simpatia, una necessità, congenita alla coscienza del suo proprio essere di sacerdote, costringe il ministero della Parola, della Grazia, della Carità, non solo a rendersi disponibile ad ogni dialogo, ad ogni invito che gli sia onestamente rivolto, ma altresì a prendere lui stesso l'iniziativa pastorale della ricerca di chi, volente o no, abbia bisogno di lui.

Questo atteggiamento attivo ed apostolico (21) deve oggi più che mai emergere nella figura del Sacerdote: una carità manifestamente soprannaturale, sensibile e premurosa, deve caratterizzare il suo ministero, specialmente per la promozione efficace della giustizia sociale, secondo lo spirito e le forme della sociologia cristiana, che dal Vangelo e dalla scuola del Magistero della Chiesa, e non da altre fonti aliene dai principii cristiani, deve attingere la sua ispirazione e la sua energia: «la carità di Cristo ci spinge» (22) e nessuno altro stimolo la può sostituire e superare. «Levate il vostro sguardo, noi vi diremo dunque con le parole stesse di Cristo, e mirate i campi che già biondeggiano per la messe» (23). Oseremo indicare con accento profetico il panorama apostolico che sta davanti a ciascuno di voi: il mondo ha bisogno di voi! il mondo vi attende! anche nel grido ostile ch'esso lancia talora verso di voi, il mondo denuncia una sua fame di verità, di giustizia, di rinnovamento, che solo il vostro ministero potrà soddisfare.

Sappiate accogliere come un invito il rimprovero stesso che forse, e spesso ingiustamente, il mondo lancia contro il messaggero del Vangelo! Sappiate ascoltare il gemito del Povero, la voce candida del bambino, il grido pensoso della gioventù, il lamento del lavoratore affaticato, il sospiro del sofferente e la critica, del pensatore! Non abbiate mai paura! nolite timere! ha ripetuto il Signore (24). Il Signore è con voi (25). E la Chiesa, madre e maestra, vi assiste e vi ama, e attende, mediante la vostra fedeltà e la vostra attività, che Cristo continui la sua edificatrice opera di salvezza. E concludiamo rendendo onore all'Apostolo Pietro, del quale oggi celebriamo la festa, qui, accanto alla sua tomba gloriosa, facendo nostra la sua esortazione sacerdotale, «Esorto dunque voi, Presbiteri, Io parimente compresbitero e testimone dei patimenti di Cristo, e chiamato a parte di quella gloria che sarà un giorno manifestata; siate pastori del gregge di Dio, che da voi dipende, governandolo non forzatamente, ma con bontà, come vuole Iddio; non per amore di vile guadagno, ma con animo volenteroso, e non come dominatori dell'eredità del Signore, ma diventati sinceramente modelli del gregge. E quando il Principe dei Pastori apparirà, riceverete l'incorruttibile corona di gloria» (26). Amen.

Chers fils, rendez toujours grâces au Seigneur qui vous a appelés; le sacrement de l'Ordre vous fait les dispensateurs des mystères de Dieu; ouvrez votre coeur à tous les besoins spirituels du monde. Forts de l'amour du Seigneur, ne craignez pas. Et vous, amis de ces nouveaux prêtres ou pélerins de l'A,nnée Sainte, priez pour qu'ils soient de saints prêtres, que par eux l'Eglise progresse jusqu'aux extrémités de la terre.

With immense joy let us unite ourselves with the act of Peter's faith, in order to proclaim the divinity of Jesus Christ before the Church, before the World, before the angels and before the Eternal Father: Lord Jesus, «You are the Christ, the Son of the living God». And as we give you thanks for the gift of new priests for your holy Church, we ask you, by the power of your grate, to keep them faithful-to preserve them in your love, for ever.

Die priesterweihe so vieler Diakone am heutigen Fest Peter und Paul erfüllt uns alle mit großer Freude. Der geweihte Priester ist Mittler zwischen Gott und den Menschen. Betet darum um Priesterberufe und um heilige Priester! Allen Anwesenden von Herzen Unser Gruß und Segen! (26).

En este día inolvidable para vosotros, recibid, amadísimos hijos, nuestra cordial felicitación. Os deseamos de veras que el gozo y la ilusión de haberos entregado sin reserva al Señor y a la Iglesia, perduren siempre en vuestra vida.

Um saudar cordial, um voto: Pedro, Roma, renovamento jubilar! Vós -chamados, ordenados e enviados- sois esperanca, e já certeza, para a Igreja, de um mundo reconciliado com Deus, pelo amor e fraternidade em Cristo.

(1)
Jn 15,16
(2) Mt 19,21
(3) Ibid. Mt 4,19
(4) Ibid. Mt 19,27-29
(5) Ibid. Mt 19,12
(6) Cfr. Ibid. Mt 22,30 1Co 7,8
(7) Cfr. Ga 5,16
(8) Cfr. 1Co 2,14 ss.; Jn 14,17
(9) Cfr. Mt 8,19 Lc 22,35
(10) Cfr. Mt 19,11 1Co 12,4 ss.
(11) Lc 9,62
(12) Jn 20,22
(13) 1Co 4,1 1P 4,10
(14) S. THOMAE Suppl. 34, 2, ad 2
(15) DENZ.-SCHÖN. DS 176
(16) Lc 1,49
(17) Jn 20,21
(18) Cfr. Mt 28,19
(19) Cfr. Ac 13,2
(20) Cfr. Mt 5,13-15
(21) Cfr. Mt 18,12
(22) 2Co 5,14
(23) Jn 4,35
(24) Cfr. Mt 10,23 Lc 12,32
(25) Cfr. Mt 28,20
(26) 1P 5,1-4



6 luglio 1975: SOLENNE RITO DI BEATIFICAZIONE DEL SERVO DI DIO CARLO STEEB


B. Paolo VI Omelie 29575