B. Paolo VI Omelie 21673

Giovedì, 21 giugno 1973: SOLENNITÀ DEL CORPO E DEL SANGUE DI CRISTO

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La riverenza al mistero eucaristico, che stiamo celebrando, assorbe la nostra attenzione, e certamente la vostra; e ci impedisce di esprimere a voi tutti, presenti a questo rito, al Parroco di questa comunità raccolta intorno alla Chiesa di Santa Silvia, ai Confratelli, ai fedeli qui dimoranti, ed anche alle Autorità civili che sappiamo convenute a questa celebrazione con grande nostra riconoscenza, di esprimere, diciamo, il saluto che abbiamo nel cuore per tutti e per ciascuno, la gioia d’essere tra voi e di potere con voi e per voi compiere la solenne cerimonia del «Corpus Domini», i voti che davanti al Signore formuliamo per voi, per gli assenti anche, per quelli che vorremmo chiamare a questo raduno di fede comune, per gli ammalati specialmente, per i bambini, i ragazzi, i giovani, i lavoratori, i genitori d’ogni famiglia di questo quartiere, e gli abitanti di tutta la nostra Roma, che vogliamo considerare spiritualmente presenti, e da voi, che ne siete una eletta porzione, degnamente rappresentata. Ma ciò che non possiamo in questo momento esprimere con le dovute parole, lo esprimiamo con la nostra presenza, con la nostra tacita preghiera.

L’Eucaristia ci assorbe, e ci obbliga a concentrare in lei ogni nostro atto, ogni nostro pensiero. Essa è ora il punto focale del nostro animo, e noi vogliamo supporre che così sia anche per i vostri animi. Noi tutti crediamo, noi tutti sappiamo, che qui, ora, in mezzo a noi, Gesù Cristo è presente. Vivo e vero, il nostro Signore, il nostro Salvatore, il nostro Maestro, Gesù Cristo è presente. Il solo tema di questa misteriosa, ma reale presenza trattenga per questi brevi istanti il nostro pensiero.

Per essere semplici noi lo classifichiamo sotto due congiunzioni grammaticali: dunque e perciò.

Dunque è presente il Signore nostro Gesù Cristo; questo dice che la celebrazione del «Corpus Domini», anzi ora meglio formulata dal titolo di «festività del Corpo e del Sangue di Cristo», è festività dell’Eucaristia.

A ben riflettere, questa festività noi l’abbiamo già celebrata; e ciò fu nel Giovedì Santo. Ricordiamo tutto di quella liturgia, estremamente realista per la sua aderenza presso che testuale al racconto evangelico commemorato; la cena, ultima del Signore con i suoi discepoli, tutta pervasa dalla memoria dell’immolazione rituale dell’Agnello pasquale e dal presentimento dell’imminente tragedia che pende sulla vita temporale del Maestro, per farne la vera vittima d’una Pasqua redentrice; e tutta tessuta sul filo di discorsi, pronunciati da Gesù quasi a monologo, in una incomparabile tensione di sentimenti, di sentenze, di precetti, di atti profondi e definitivi, che solo la sua divina consapevolezza d’una celebrazione testamentaria, sacramentale e sacrificale, poteva dominare e riempire di smisurati significati. Che cosa accadde in quell’ora fatidica? Ricordate? La cena diventò un memoriale: «fate questo in memoria di me» (
Lc 22,19 1Co 11,24). Memoriale di che cosa? del sacrificio che Gesù, vero agnello di Dio immolato per la salvezza del mondo, stava per consumare nel dolore, nel disonore, nel sangue della sua oblazione sulla Croce; memoriale della sua identica, se pur diversamente figurata presenza, rievocabile mediante l’incarico, l’investitura, la potestà, in quello stesso istante conferita agli apostoli commensali, di rinnovare in modo reale, ma incruento, il sacrificio che faceva della vittima divina, espressa nei segni sacramentali del pane e del vino, l’alimento del corpo e del sangue di Gesù, dati al vertice dell’amore per la vita del mondo. È troppo! è troppo! come comprendere? come comportarci? come corrispondere?

Noi rimanemmo, nella celebrazione rievocatrice del Giovedì Santo, quasi storditi e sopraffatti dall’intreccio immensamente drammatico del racconto evangelico di quella sera suprema e dai traboccanti misteri, concentrati nel rito, che si attestava non solo come immagine, ma come sublime realtà. Ci parve di intravedere qualche cosa di eccessivamente straordinario in quella liturgia per eccellenza, perché non ci bastò di assistere alla sua immediata celebrazione, ma ci parve doveroso d’andare subito dopo pellegrinando ai così detti «sepolcri», cioè agli altari dove l’Eucaristia era custodita e onorata, in un’atmosfera di tenace memoria, di desolante passione, di atteso epilogo risolutivo d’un tanto incomportabile dramma. Come avviene alla veglia di qualche nostro defunto, rimanemmo assorti in un’indefinibile e pur tenera e dolce tristezza, che presagisce e indovina il sopravvento dell’amore e della vita sopra la morte e la disperazione.

E così il Giovedì Santo passò lasciando in noi l’impressione che noi non avevamo né tutto capito, né tutto raccolto della sua ineffabile eredità. Ed ecco allora la festività presente, il «Corpus Domini», la quale ben si può considerare un ripensamento, un ritorno a quell’ultima cena, a quella misteriosa notte, a quella non bene valutata eredità.

Abbiamo perduto la presenza sensibile di Gesù, ma Egli ci ha lasciato la sua presenza sacramentale. Come sono vere le parole di Lui, pronunciate proprio in quella notte di commiato: «Io non vi lascerò orfani; Io verrò a voi» (Jn 14,18). Parole convalidate dalle ultime pronunciate da Gesù risorto, prima della sua scomparsa dalla scena temporale di questo mondo: «Ecco Io sono con voi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

Dunque Gesù è con noi! Ecco la nostra conclusione, che dà ragione di questa nostra celebrazione, come di tutte quelle che il «Corpus Domini» suscita nella Chiesa cattolica.

Dunque Gesù è con noi! L’aveva detto l’Angelo in sogno a S. Giuseppe (Ibid. 1, 23), ripetendo la profezia d’Isaia: «. . . la Vergine darà alla luce un Figlio, che sarà chiamato Emmanuele, che vuol dire: Dio con noi». Gesù è rimasto fra noi uomini! Noi, suoi seguaci e credenti, noi lo sappiamo: Gesù è ancora presente! Finché un Sacerdote celebrerà una Messa su questa terra, Gesù, quel Gesù del Vangelo e quello stesso Gesù che ora è in cielo, e siede nella gloria alla destra del Padre, è presente, è qui.

Dobbiamo ravvivare in noi stessi il senso di questa meravigliosa presenza. Gesù è con noi. Dove, come? ora non diciamo. Ci basta affermare e quasi sentire questa presenza: una presenza che i nostri sensi non possono avvertire, ma, per via di fede, l’anima sì. È il «mistero della fede» che ci obbliga a esercitare con convinta energia questa virtù fondamentale di tutto il nostro sistema religioso. Crediamo sulla Parola di Cristo: «questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue». Trepidiamo ed esultiamo: è presente.

Un altro ordine di conseguenze scaturisce allora da questa misteriosa realtà. È presente: perciò? perciò io lo cerco, io lo trovo, io lo adoro, io lo amo. La nostra religione personale e comunitaria prende fuoco da questa scoperta eucaristica. Se Cristo ci invita personalmente alla sua mensa, come potremo rifiutare la sua bontà? accogliere l’invito vuol dire partecipare al rito sommo e centrale della nostra fede, vuol dire partecipare alla santa Messa. L’obbligo diventa un diritto. Un diritto che ci deve incantare: noi acquistiamo la possibilità di fare di Cristo non solo nostro commensale, ma - chi lo direbbe? - nostro alimento: chi ne mangia, è detto, vivrà; vivrà per la vita eterna.

Perciò - ecco la logica dell’Eucaristia che continua - perciò ciascuno di noi deve sentire la fame d’un tale sacramento, principio vero ed operante di vita, la quale, nutrita da Cristo stesso, non indarno potrà dirsi vita cristiana.

Perciò ancora le conseguenze dell’Eucaristia sono immense per l’esistenza spirituale d’ogni individuo, come per l’esistenza spirituale d’una vera comunità cristiana e cattolica. Si forma così il Popolo di Dio, dapprima nella sua unità interiore, poi nella sua carità sociale. L’unità del Corpo mistico di Cristo, ch’è la Chiesa, è la grazia specifica - la res - dell’Eucaristia (Cfr. S. TH. III 73,3). Nessun senso di solidarietà, e quindi di progresso civile, potrebbe essere più autentico, più pieno e più operante di quello che nascesse dalla coscienza comunitaria dell’Eucaristia. Il mistero diventa luce, diventa forza. E quanto ancora potremmo dirvi continuando il discorso della fecondità vitale dell’Eucaristia presente fra noi: quale sorgente di bontà collettiva, quale conforto per le comuni sofferenze, quale splendore per il costume pubblico, quale speranza per la nostra giustizia e per la nostra pace!

Se Egli è presente, così deve essere! così può essere! Ecco perché celebriamo la festa del «Corpus Domini» fuori delle nostre Chiese: ne ha diritto la sua carità; ne ha bisogno la nostra umanità. Ricordiamolo. Amen.





Venerdì, 29 giugno 1973: ORDINAZIONE DI NUOVI VESCOVI NEL X ANNIVERSARIO DI PONTIFICATO

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Fratelli e figli carissimi,

Ci ammonisce il «Pontificale»: «Considerate con grande attenzione a quale grado di dignità nella Chiesa stanno per esser promossi i nostri fratelli. Nostro Signore Gesù Cristo, inviato dal Padre per redimere il genere umano, mandò lui stesso nel mondo i dodici Apostoli, i quali, pieni della virtù dello Spirito, Santo, avevano il compito di predicare il Vangelo e di santificare e governare tutte le genti, riunendole in un unico ovile. E perché una tale missione perdurasse fino alla fine dei tempi, gli Apostoli si scelsero dei collaboratori, e ad essi trasmisero il dono dello Spirito Santo, ricevuto da Cristo, mediante l’imposizione delle mani che conferisce la pienezza del Sacramento dell’Ordine. In tal modo, attraverso l’ininterrotta successione dei Vescovi è stata conservata di generazione in generazione la tradizione apostolica, e l’opera del Salvatore continua e si sviluppa fino ai nostri giorni.

Nella persona del Vescovo, circondato dai suoi Presbiteri, è presente in mezzo a voi lo stesso Gesù Cristo, nostro Signore, costituito Pontefice in eterno. È Lui, infatti, che, nel ministero del Vescovo, non cessa di predicare il Vangelo e di dispensare ai credenti i misteri della fede. È Lui che, mediante il carisma paterno del Vescovo, aggiunge ed aggrega nuove membra al suo corpo. È lui che, con la sapienza pastorale del Vescovo, vi conduce durante il pellegrinaggio terreno verso la beatitudine eterna.

Accogliete, pertanto, con animo grato e festoso i nostri fratelli, che noi Vescovi, mediante l’imposizione delle mani, chiamiamo a far parte del nostro collegio episcopale. Onorateli come ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio, perché ad essi è affidata la testimonianza del Vangelo di verità ed il ministero della santificazione. Ricordatevi delle parole di Cristo, che dice ai suoi Apostoli: "Chi ascolta voi, ascolta me, e chi disprezza voi, disprezza me. Ma chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato"».

Queste sono le parole che la Chiesa propone alla meditazione dei Fedeli, del Clero e dei nuovi Eletti all’ordine episcopale.

Rimangano esse scolpite nella nostra memoria. Esse sono una sintesi densa e preziosa del mistero sacramentale, che stiamo celebrando; esse ci riportano all’istituzione divina della gerarchia apostolica, facendoci risalire alla sua sorgente stessa nella SS.ma Trinità: Dio, il Padre, genera in Se stesso e manda nel mondo il Verbo, Figlio di Dio fatto uomo, Gesù Cristo; il Quale proclamerà la linea sovrana dell’economia della nostra salvezza: «Come il Padre ha mandato me, anch’Io mando voi» (
Jn 20,21; cfr. Jn 6,57 Jn 7,29 Jn 17,18). Questa derivazione dell’Episcopato dalla profondità della Vita divina, e dalla storicità del disegno di Cristo, disegno che si compie nella missione dello Spirito Santo (Cfr. Jn 16,7; cfr. Jn 14,16 Jn 14,26), fa del Padre il Principio unico e sommo ed il Capo di Cristo stesso (Cfr. 1Co 11,3); fa di Cristo il Capo della Chiesa (Cfr. Ep 5,23), e fa del Vescovo, continuatore e rappresentante di Cristo, il maestro, il sacerdote, il pastore del Popolo di Dio, la Chiesa, Corpo mistico di Cristo (Cfr. A. GRÉA, L’Eglise, 1965).

Non avremo mai abbastanza studiato e contemplato questa suprema teologia, che ci riguarda ormai personalmente, e che ora noi non solo stiamo enunciando, ma compiendo. A voi, Fratelli, investiti da questa operante divina realtà, a voi, Figli, che siete avvolti in questo avvenimento pentecostale, e ne avvertite, in qualche misura, le misteriose vertigini, l’esortazione nostra, che vorremmo scolpita nella vostra anima con indelebile memoria: «Videte qualem caritatem dedit nobis Pater . . . .» (1Jn 3,1 Jn 15,15).

Mais peut-être y a-t-il au fond de vos âmes de membres de l’Eglise de Dieu une attente face à cette élection au ministère épiscopal conférée par nos mains, celles de celui qui, en son temps, a été élu à la même charge avec une fonction spécifique, celle de successeur de Pierre. Quel est son devoir caractéristique, quel est son charisme propre, dont tette ordination devrait porter le souvenir et l’empreinte? Nous-même, Nous interrogeons à ce sujet la pensée du Seigneur, désireux, camme Nous le sommes, de qualifier la plénitude de la mission apostolique, que l’Esprit Saint infuse aux nouveaux évêques, par l’intervention divine qui définit et corrobore le ministère de Simon, devenu Pierre. Vous la connaissez tous, tette intention exprimée par Jésus au tours de la dernière Cène: Confirma fratres tuos! (Lc 22,32) Notre humble et faible personne, appelée à ce service suprême par un de ces paradoxes qui mettent en évidence la puissance de l’action divine dans la faiblesse humaine, est précisément chargée de vous transmettre le don de force, de constance, de certitude, de sang-froid, d’intrépidité, qui est figuré par la stabilité du roc, choisi par le Christ comme symbole d’une réalité qu’il a posée comme fondement de son Eglise, la fermeté. C’est le don du Christ à son Eglise. C’est la vertu dont l’Eglise assaillie par tant de forces qui tendent à l’abattre, à l’affaiblir, à la détruire, a aujourd’hui besoin: la fermeté dans la foi, dans l’unité, dans l’effort apostolique, contre les infiltrations du doute, l’admission des pluralismes équivoques et autodestructeurs, la désagrégation de la charité ecclésiale. C’est le bouclier qui doit nous protéger nous-mêmes contre nos faiblesses intérieures et contre la confusion idéologique envahissante de notre monde. C’est aussi la parole que Pierre, dans l’exercice de son mandat apostolique, laissera à la première génération chrétienne et à tant d’autres qui, jusqu’à nous, la suivront: «Demeurez fermes dans la foi» (1P 5,9). La force dans la foi: voici le charisme dont Nous voudrions que vous soyez tous pourvus, le charisme qu’il a été donné à Pierre de transmettre. Qu’il soit le don de ce jour mémorable, celui que Nous implorons du Christ pour vous, nouveaux maîtres et pasteurs, non sans nous rappeler l’intime parenté que la fermeté de la foi, spécialement dans son affirmation pastorale, entretient avec l’amour du Christ béni, comme Luimême l’a dit: «Demeurez dans mon amour!» (Cfr. Jn 15,9 Jn 21,15 s.).

And finally we shall tell you of the personal joy with which we carry out this rite of episcopal ordination, very appropriately and wisely arranged on the occasion of the tenth anniversary of our investiture as Successor of Saint Peter in the Roman Pontificate.

This rite in fact is a source of great satisfaction to us, for it offers us the happy opportunity of enriching the Church of God with ten new Bishops, that is with ministers who accept the call of Christ: "Follow me" (Cfr. Mc 2,14 Jn 21,22).

Ed infine noi vi diremo la gioia nostra personale con cui compiamo questo rito d’ordinazione episcopale, predisposta con intenzione molto buona e molto intelligente, in occasione del decimo anniversario della nostra investitura a successore di San Pietro nel Pontificato Romano.

Questo rito infatti ci è motivo di grande soddisfazione, perché ci offre la felice occasione di arricchire la Chiesa di Dio di dieci nuovi Vescovi, cioè di ministri che accettano la chiamata di Cristo: «sequere me!» (Cfr. Mc 2,14 Jn 21,22).

Ora è da notare che nessuna chiamata è così esigente come questa. Essa domanda tutto al seguace del Signore (Cfr. Mt 4,20 Mt 10,37 Lc 5,11 Lc 5,28). Essa domanda per sempre (Cfr. Jn 6,67). Essa, sebbene fin d’ora sia tanto prodiga di beatitudine, non promette nulla in questo mondo, eccetto il sacrificio di sé (Mt 10,38 Jn 12,24 ss.), e l’impopolarità e l’avversione degli uomini (Mt 5,11 Jn 16,20 Jn 21,18). Essa non porta con sé soltanto la partecipazione allo stato sacerdotale di Cristo, ma la partecipazione altresì al suo sacrificio, al suo stato di vittima. Egli vuole da noi un dono totale della nostra vita, una partecipazione senza riserve alla sua passione (Col 1,24 Ga 6,2). Uno stile di dedizione (Cfr. Jn 13,16 ss.) e di coraggio per tutta la vita (Lc 12,32 Mt 10,28 etc. ): così è il programma offerto da Cristo, specialmente ai suoi immediati discepoli ed apostoli. Ma questo è il programma della salvezza, per noi e per il mondo alla cui salute noi siamo destinati. Il mondo si salva così, mediante la Croce e mediante la nostra partecipazione al sacrificio della Croce.

Ora, vedere oggi d’intorno a noi alcuni Fratelli valorosi, che di tutto cuore accettano d’essere consacrati a questa drammatica ed anche eroica missione pastorale (Jn 10,11) riempie il nostro cuore di ammirazione e di consolazione. Noi pensiamo al poco che personalmente abbiamo dato al Signore e alla Chiesa: la vostra oblazione invece all’ufficio episcopale ci lascia sperare che voi sarete più bravi e più generosi di noi, e colmerete con la vostra ricchezza di amore e di opere anche le nostre deficienze!

E pensiamo che insieme sarà più forte, più esemplare, più gaudioso il comune amore a Cristo e alla sua Chiesa; e più efficace al mondo anche, che attende dal nostro ministero l’annuncio del regno di Dio.





Mercoledì, 15 agosto 1973: SOLENNITÀ DELL'ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

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Per l’undicesima volta il Santo Padre apre la solennità di Maria Assunta in Cielo, celebrando la Messa per i parrocchiani di Castel Gandolfo.

Il sacro rito si svolge in un’atmosfera di familiarità nella chiesa parrocchiale di S. Tommaso da Villanova dove Paolo VI si reca alle ore 9 preceduto da un piccolo corteo con l’arciprete-parroco Don Angelo di Cola, e i suoi collaboratori salesiani, ai quali è affidata la cura spirituale della cittadina.

Il Santo Padre è ricevuto all’ingresso del tempio dal vescovo di Albano Monsignore Raffaele Macario con il vescovo ausiliare Monsignore Dante Bernini. Nell’interno della chiesa hanno preso posto il Segretario di Stato, Signor Cardinale Giovanni Villot, Don Giuseppe Enriquez consigliere generale dei Salesiani per l’America Latina in rappresentanza del Rettore Maggiore; Don Antonio Meloda, consigliere generale per la Spagna e Don Angelo Gentile, vicario dell’ispettoria salesiana dì Roma. Tra le autorità civili sono il sindaco di Castel Gandolfo dott. Costa con la giunta comunale, il vice comandante generale dell’Arma dei Carabinieri gen. Arnera, il direttore delle Ville Pontificie dott. Carlo Ponti e molte altre personalità.

Dopo la lettura del Vangelo, il Santo Padre rivolge all’assemblea dei fedeli l’omelia della quale riportiamo i principali pensieri.

Il Papa anzitutto rivolge il suo saluto alle autorità ecclesiastiche e civili presenti, sottolineando la particolare caratteristica spirituale dell’incontro che lo differenzia da tutti gli altri avuti in diverse occasioni nel corso del suo soggiorno estivo. Si sofferma, quindi, a descrivere la prodigiosa Assunzione della Madonna al Cielo al termine della sua vita temporale. La contemplazione di questo grande mistero ci conferma che c’è un mondo anche al di là, al di fuori del nostro spazio misurabile. In questo regno misterioso, dove Egli regna e dove Cristo risorto siede alla destra del Padre, partecipando alla sua gloria infinita, Dio ha voluto chiamare anche la Madre sua, senza aspettare l’ultimo giorno.

Su alcuni aspetti di questo meraviglioso evento la Chiesa non si è pronunciata. Ci si è chiesti se la Madonna sia morta davvero o sia passata ancora viva nel regno eterno. C’è chi ritiene che anche la Madonna abbia subito il dramma della lacerazione del suo essere, della separazione dell’anima dal corpo. Nella Chiesa orientale, proprio nel giorno dell’Assunta, si celebra la festa della Dormitio Virginis, cioè della Madonna che si è addormentata. Anche Gesù ha voluto subire la tragedia della morte; e allora perché Maria, che ha condiviso tutto con Cristo, non avrebbe dovuto condividere anche questo momento di dissociazione del suo beatissimo e purissimo corpo dall’anima incorruttibile e immortale? Ma quanto durò questa separazione? Non lo sappiamo, ma dobbiamo credere che immediatamente si ricompose l’unità e la pienezza del suo essere, che come tale, fu assunto al Cielo.

Dove questo accadde, non sappiamo. Il Papa ricorda, in proposito, la visita fatta nel 1967, durante il viaggio a Costantinopoli per incontrarsi con il Patriarca Athenagoras, alle rovine di Efeso. Sembra infatti che S. Giovanni Evangelista, quando i discepoli di Gesù si dispersero per le vie del mondo si fosse trasferito ad Efeso, dove scrisse il suo Vangelo ed inviò le Lettere che ancora ci restano. S. Giovanni Evangelista aveva avuto dal Signore in Croce il mandato di assistere la Madonna come se fosse sua madre, e l’avrebbe condotta a Efeso, dove ora sorge un Santuario Mariano, proprio dove Maria avrebbe trascorso gli ultimi giorni della sua vita terrena. Altri dicono che invece Ella abitò a Gerusalemme, dove pure c’è oggi un santuario a Lei dedicato. Non sappiamo di più; ma sappiamo di sicuro, - dichiara Paolo VI - che Ella fu assunta in Cielo nell’anima e nel corpo, nell’integrità ricomposta del suo essere, nella pienezza della vita dello spirito e della irradiazione vitale di Dio su quanti hanno l’incomparabile fortuna di salvarsi. La Madonna, che vive in questa pienezza, fa da ponte tra Cielo e terra, da tramite fra questa nostra vita presente e l’altra vita, che è il traguardo, il fine, la vera dimora nella quale dovremo vivere eternamente.

Questa scena, questo mistero del passaggio all’altra vita - osserva il Santo Padre - è una grande lezione per noi, per i figli del nostro tempo, imbevuti dell’idea che esista soltanto questa vita presente. Si affaticano, cercano di essere felici, di godere delle gioie e delle soddisfazioni che la vita concede, quasi con la tacita convinzione che tutto sia qui. Ma è una illusione - aggiunge Sua Santità - un’illusione materialista. È falso che la morte sia la fine, che tutto l’arco della nostra vita si concluda nel tempo. Esiste un’altra vita, c’è un avvenire nell’al di là. E chi ha la coscienza di questo comprende che cosa è l’uomo. Ed ecco perché siamo curvi tutti sulla sorgente della vita: perché essa è tanto sacra da essere destinata all’eternità. C’è chi è eletto e chi è riprovato. C’è chi sarà beato in Paradiso e chi sarà condannato alla rovina eterna. Il Signore ci ha dato la vita terrena affinché la riempiamo di azioni, di buone opere. Da questo dipende la nostra sorte aleatoria. Possiamo salvarci e possiamo dannarci.

Maria, che è arrivata già alla pienezza, è al primo posto nell’opera della Creazione. Il fatto di aver dato a Cristo la vita nel mondo, Le ha meritato una indescrivibile gloria. Maria è ricolma di beni preternaturali, è Regina del Cielo, Madre di Cristo, Madre della Chiesa e Madre nostra.

Il pensiero di Maria ci deve indurre a modificare, a perfezionare la nostra mentalità, il nostro modo di concepire la vita. Dobbiamo faticare, dobbiamo soffrire, dobbiamo anche godere delle cose buone della vita, ma come pellegrini, come gente transeunte, come gente che passa, che non mette le radici. Il tempo presente è l’attimo che sfugge, poiché siamo destinati all’al di là. Ma questo attimo fuggente dobbiamo riempirlo di opere buone.

Che cosa resterà infatti della nostra vita? Lo dice San Paolo: resta soltanto il bene, la carità. La carità non cadrà mai. Passerà perfino la fede, passerà la speranza, passeranno tutte le cose di questo mondo, le vicende, la storia, la politica, le lotte, le conquiste anche più grandi. Ma resterà l’amore di Dio, l’amore per il prossimo. E sarà la nostra salvezza. È questo, ha detto il Papa, il segreto dell’Assunzione di Maria. L’amore che la Madonna ha avuto per Cristo e per gli uomini con i quali ha sofferto, con i quali ha vissuto, è la chiave per comprendere perché Dio l’ha sollevata per prima, in anticipo, nella gloria eterna. Dobbiamo vivere imitando Maria nella sua fede, nella sua speranza, nella sua purezza soprattutto, nella sua carità. Dobbiamo avere una grande confidenza nella Madonna. Allora la nostra vita sarà cristiana e sarà fin d’ora beata.





Domenica, 7 ottobre 1973: NEL VI CENTENARIO DEL TRANSITO DI SANTA BRIGIDA

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Vi sono nel corso ordinario dei nostri giorni dei momenti preziosi. Questo è un momento prezioso. Noi siamo qui riuniti per celebrare il compimento del sesto secolo dalla morte, avvenuta in questa casa di Santa Brigida di Svezia. Tutti siamo ora immersi nel comune ricordo di questa Donna singolarissima. Un solo pensiero, quello di Santa Brigida, è in ciascuno di noi. Possiamo cominciare questo breve discorso salutandoci nel nome di lei.

Noi dobbiamo il primo saluto a queste buone Religiose, sono le Suore dell’Ordine del Santo Salvatore, dette di Santa Brigida, perché derivano dalla Santa la loro origine, la loro regola, il loro spirito, e dopo non poche e non facili vicende, sono riuscite a ricomporre, sia a Vadstena, sia qui a Roma in questa casa, e in altre loro sedi nel mondo, la loro famiglia spirituale. Non possiamo dimenticare il nome insigne di Madre Elisabetta Hesselblad, che poté ricuperare, nel 1931, al suo Ordine, con l’aiuto del compianto e venerato Padre Rosa, pure da noi conosciuto, questo storico e sacro edificio, e a farne il santuario romano della santa Fondatrice. Ci felicitiamo con queste dilette Figlie in Cristo di codesta riviviscenza del loro Ordine, dei vincoli religiosi che qui le uniscono e nello stesso tempo le fanno convergere alla culla dell’Ordine stesso nella Svezia, e alla tomba colà venerata della mistica loro madre; siamo lieti della fedeltà alla loro originale tradizione e siamo noi partecipi delle speranze di una nuova irradiazione di fede e di pietà cristiana, che anche questa centenaria celebrazione accende in ciascuno di noi nel nome benedetto di S. Brigida.

Salutiamo gli Ospiti, presenti a questo incontro, il Cardinale Ugo Poletti, nostro Vicario per il ministero pastorale nella Diocesi di Roma, e il Cardinale Giovanni Willebrands, Presidente del nostro Segretariato per l’Unione dei Cristiani, e tutti gli altri Ecclesiastici, Religiosi, Religiose e Fedeli, che assistono alla cerimonia. E con speciale riguardo noi salutiamo i venerati Fratelli Luterani, tuttora da noi separati, ed a noi per tanti titoli sempre cari ed uniti, i quali oggi festeggiano con noi il pio e memorabile anniversario: siano benvenuti in questa casa, siano elogiati per l’onore ch’essi tributano alla loro santa e gloriosa connazionale, e siano essi con noi collaudanti la memoria, la figura, la missione della grande e piissima Santa Brigida.

In questa presentazione non possiamo dimenticare la nostra umile persona, quale successore dell’apostolo Pietro, la cui sede apostolica e le cui sante reliquie attrassero a Roma, in uno dei più tristi periodi della sua storia, Brigida, la nostra Santa e la sua figlia Carin, degna seguace della madre, con l’eletta schiera dei pellegrini loro compagni. Non possiamo rinunciare alla menzione dei nostri Predecessori Clemente VI (1342-1352), Innocenzo VI (1352-1362), il Beato Urbano V (1362-1370), Gregorio XI (1370-1378), Papi Avignonesi, che ebbero con S. Brigida rapporti spirituali e epistolari assai importanti; Bonifacio IX, che nel 1391 proclamò la canonizzazione della Santa, Martino V, che nel 1419 la confermò; come pure Papa Pio XI, di venerata memoria, che favorì la presente rifioritura dell’Ordine brigidino. Pare a noi che da queste venerabili figure di Pontefici discenda a noi quasi un mandato di venerazione verso la Santa di cui commemoriamo il cent’enario della morte, e di benevolenza verso la sua spirituale famiglia; ed è con questo impegno tradizionale, che noi oggi siamo qui per godere, con quanti celebrano S. Brigida, della sua grandezza, della sua santità, della sua tuttora viva e misteriosa missione ecumenica, e per cantare insieme l’inno che le è destinato: Rosa rorans bonitatem.

La brevità di questa cerimonia non ci consente di esprimere qualche cosa dei sentimenti, che riempiono in quest’ora felice l’animo nostro. Vi diremo soltanto che due sentimenti primeggiano ora nella nostra coscienza davanti a questa eccezionale figura: la meraviglia e la speranza. Voi potete forse così tutto comprendere, e accogliere con animo concorde la Benedizione Apostolica.

A questo punto Paolo VI si rivolge alla comunità svedese:

"Vere sanctus est locus iste".

Of the Casa Santa Birgitta, as of many places in Rome we can say these words, "Truly this is a holy place". From the days when the blood of the martyrs, and especially of the apostles Peter and Paul, first ennobled the soil of our city, men have come from many parts of the World to do homage to the memorials of the saints. From the distant northern lands of Europe pilgrims have come to Rome in exceptional numbers.

Today we celebrate the memory, six centuries old yet still fresh, of a very great pilgrim from the North-one who not only carne to do honour to the tombs of the apostles, but stayed and lived the latter part of her life in our midst, and finally added to the honour of our city the witness of her own saintly life. Born at the beginning of a dificult century for the Church and for the See of Peter, her life shone brightly in dark times, and before the end of that century she had been raised to the altars.

Saint Birgitta is Sweden’s glory and the glory also of our city of Rome. In Sweden, as a wife, a mother and a widow, as a trusted counsellor of the royal household and as the founder of a great religious house, she was a noble Christian and a distinguished citizen. It was in obedience to the call of Christ that she left her home and her beloved country. The call of Christ was real and immediate to Birgitta, for she was granted the grace which Our Lord often granted generously in that troubled age-the grace of mystical communion with himself.

Hence Birgitta has left us much more than a pious memory and example. She has left us the written record of her own loving encounters with her divine Master in the inward life of prayer. She has also left us the rich inheritance of the religious family and way of life she established, which the fortunes of history have, in our century, happily established again in this house where she lived and died.

Many of you have come here today from Sweden to honour her, and we are joined by many from Rome and Vatican City. You, our most welcome visitors form Birgitta’s northern homeland, represent many Christian families in Sweden and are on that account doubly welcome. In the series of learned lectures to celebrate this centenary you bring an ecumenical variety and richness to increase our understanding of your national saint. At the same time you witness to the growth of love and understanding among Christians which has replaced the estrangements of less happy times. For this your welcome is greater still.

You aptly quote in your programme the words of Our Lord to Saint Birgitta from the "Revelation": "Out of the most intense love I have, with my Blood, I founded my holy Church, which I liken to a beehive: in it all Christians should gather and dwell in unity of faith and of mutual love".

This gathering in the Casa Santa Birgitta is indeed such a gathering of faith and love: may Saint Birgitta’s prayer make it fruitful for all of us as we renew our efforts to restore the unity of mankind in Christ our common Lord.

With my special Apostolic Blessing.

Ancora un’esortazione ed un augurio alle religiose.

«Siate felici della vostra vocazione. Conservate Dio nel vostro cuore. Dio si è rivelato a voi. Siate liete, fedeli, contente della vostra scelta». Il Papa sottolinea l’attualità della vita consacrata che non si riduce ad un rinchiudersi in un orizzonte limitato dalle mura del chiostro, ma si giustifica nella preghiera e nella testimonianza di fede e di fedeltà alla Chiesa. «Pregate per il vostro Paese, Egli conclude, per i suoi destini, per le vostre consorelle e pregate soprattutto per l’unità della Chiesa: che tutti siano uno nella fede, nella speranza e nella carità».







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