B. Paolo VI Omelie 9107

Dimanche, 9 octobre 1977: CANONISATION DE CHARBEL MAKHLUOF

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In francese...

Il Papa cosi prosegue in lingua italiana.

Sia lode alla Santissima Trinità, che ci ha dato la gioia di proclamare Santo il monaco libanese Charbel Makhlouf, a conferma della perenne, inesausta santità della Chiesa.

Lo spirito della vocazione eremitica che si manifesta nel nuovo Santo, lungi dall’appartenere ad un tempo ormai passato, ci appare molto importante, per il nostro mondo, come per la vita della Chiesa. La vita sociale di oggi è spesso contrassegnata dall’esuberanza, dall’eccitazione, dalla ricerca insaziabile del conforto e del piacere, unita ad una crescente debolezza della volontà: essa non riacquisterà il suo equilibrio se non con un accrescimento del dominio di sé, di ascesi, di povertà, di pace, di semplicità, di interiorità, di silenzio (Cfr. Paolo VI, Discorso ai Monaci di Monte Cassino, del 24 ottobre 1964: AAS 56 (1964) 987). La vita eremitica gliene insegna l’esempio ed il gusto. E nella Chiesa, come pensare di superare la mediocrità e realizzare un autentico rinnovamento spirituale, non contando che sulle nostre forze, senza sviluppare una sete di santità personale, senza esercitare le virtù nascoste, senza riconoscere il valore insostituibile e la fecondità della mortificazione, dell’umiltà, della preghiera? Per salvare il mondo, per conquistarlo spiritualmente, è necessario, come vuole Cristo, essere nel mondo, ma non appartenere a tutto ciò che nel mondo allontana da Dio (Cfr. SALVATORE GAROFALO, Il profumo del Libano, San Sciarbel Makhluf, Roma 1977, p. 216).

L’eremita di Annaya ce lo ricorda oggi con una forza incomparabile.






Domenica, 16 ottobre 1977: SANTA MESSA PER IL SUO 80° COMPLEANNO

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Questa celebrazione, voluta dalla carità della Chiesa di Roma e del Sinodo che in questi giorni vi è unito, intende onorare con un atto pubblico e particolare una circostanza personale della mia vita, che mi obbliga a collegare alla parola evangelica che viene letta nelle Chiese del mondo in questa XXIX Domenica «per annum» la somma di sentimenti, che questa stessa celebrazione suscita in me.

Il Vangelo, proposto alla riflessione odierna della Chiesa, parla della «necessità di pregare sempre, senza stancarsi», bisogna sempre pregare senza stancarsi (
Lc 18, l-8). Ci sarà facile perciò, tanto a me, chiamato in causa a titolo speciale, quanto a voi, presenti a questa cerimonia proprio in quanto fedeli della Diocesi di Roma, la «mia» Diocesi, e non meno a voi, Venerati Fratelli, membri ed aggregati al Sinodo in corso di svolgimento, e rappresentanti della Chiesa cattolica di tutto il mondo, ci sarà facile convertire in comune preghiera il motivo estrinseco, ma esso pure essenzialmente ecclesiale, della nostra odierna liturgia. La quale, come sapete, è promossa per invitare tutti i presenti a pregare il Signore per la mia umile persona, che ha raggiunto, in questi giorni, la venerabile, ma umanamente poco invidiabile età degli ottanta anni.

Ebbene, sì. Vale la pena di pregare per un Vescovo, e tanto più se questo Vescovo è il Papa, che ha raggiunto il traguardo di tale età; e ciò per due evidenti motivi: primo, perché la durata della nostra vita costituisce, tutto sommato, una grande responsabilità, tale è il senso del tempo concesso alla nostra esistenza terrena; esso non è che una somma di doveri e di grazie della quale dobbiamo rendere conto; e secondo, perché questa durata annuncia sempre più prossima la fine del periodo di tempo stesso concesso alla nostra vita mortale, e il «memento homo» della morte vicina incombe inesorabile e sempre più grave sull’accresciuta precarietà della giornata terrena; e l’uno e l’altro motivo costituiscono ben grave ragione di trepidante ansietà per l’avvicinarsi dell’imminente giudizio divino (Cfr. Jn 21,19 Mt 16,27 Rm 2,6).

Perciò io devo vivamente ringraziare di questa ora di preghiera, così piamente, così filialmente, così collettivamente promossa per ottenere l’assistenza divina a questi miei vecchi anni, dei quali riconosco, in ordine al mio destino finale, la loro decisiva importanza. Grazie, Venerabili Fratelli; grazie, carissimi Figli, di cotesto confortante segno della vostra pietà, anzi della vostra comunione.

Ebbene lasciate che, per un solo breve momento, anch’io vi manifesti l’attestato della mia corrispondente affezione per voi. Le parole d’infinita carità, che S. Paolo riserva all’amore di Cristo per l’Apostolo stesso: «Egli mi ha amato e ha dato Se stesso per me» (Ga 2,20), a mia confusione e a mio stimolo hanno governato la mia umilissima attività, durante la mia lunga permanenza romana. Sì, Roma ho amato, nel continuo assillo di meditarne e di comprenderne il trascendente segreto, incapace certamente di penetrarlo e di viverlo, ma appassionato sempre, come ancora lo sono, di scoprire come e perché «Cristo è Romano» (Cfr. DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia, «Purgatorio», XXXII, 102).

E a voi, Romani, quasi unica eredità ch’io vi possa lasciare, io raccomando di approfondire con cordiale e inesauribile interesse, la vostra «coscienza romana», abbia essa all’origine la nativa cittadinanza di questa Urbe fatidica, ovvero la permanenza di domicilio o l’ospitalità ivi goduta; «coscienza romana» che qui essa ha virtù d’infondere a chi sappia respirarne il senso d’universale umanesimo, non pure emanante dalla sua sopravvivenza classica, ma ancor più dalla sua spirituale vitalità cristiana e cattolica.

L’augurio si estende. Che tutti i credenti della santa Chiesa ed anche coloro che aspirano ad un ecumenismo religioso autentico, possano a buon diritto, per fede e per amore, far propria la definizione, non tanto giuridica quanto spirituale, che di San Paolo fu data: «Hic homo civis Romanus est», «quest’uomo è cittadino Romano» (Ac 22,26).

La presenza, in questa Basilica, dei Padri Sinodali, che esprimono la Chiesa cattolica diffusa in tutto il mondo, mi fa pensare alle migliaia di messaggi augurali che, in occasione del mio genetliaco, mi sono pervenuti, da tutte le Nazioni: sono voci di personalità civili, di Pastori, di sacerdoti, di religiosi, di religiose, di padri, di madri, di lavoratori, di uomini di cultura, di giovani, di ammalati, di bimbi, i quali non solo esternano il loro sincero affetto per la piccola mia persona, ma ribadiscono con chiarezza la fede nella Chiesa e nell’ufficio singolare del Successore di Pietro.

Forse non sarà possibile dare a tutti e ai singoli il dovuto e meritato riscontro. Vorrei pertanto pregare voi Padri Sinodali che, al rientro nelle vostre sedi, vi rendiate interpreti presso i vostri fedeli della mia gratitudine e del mio affetto paterno.

Con questi voti e con riconoscenza per la presenza a questa cerimonia celebrativa, tutti io benedico di cuore.

Je suis heureux de profiter de la présence des Evêques, venus du monde entier au Synode sur la Catéchèse. Je leur confie le soin d’exprimer ma plus chaleureuse gratitude à leurs compatriotes, qui m’ont adressé de si nombreux témoignages d’affection et de reconnaissance, à l’occasion de mon quatrevingtième anniversaire. Et je me permets d’insister: à tous leurs compatriotes, depuis les plus hautes personnalités civiles et religieuses jusqu’au monde combien sympathique des adolescents et des enfants. Que Dieu les récompense tous de leur démarche si réconfortante!

In greeting the Synod Fathers, I ask them also to carry back to their beloved Dioceses the expression of my thanks and my paternal affection. It would be difficult for me to tell everyone individually how deeply I appreciate the thousands of messages and numerous prayers offered for me on my birthday. For this manifestation of faith and ecclesial communion I am profoundly grateful. Kindly explain to the People the strength I find in their prayers that sustain me in being the Father of the universal Church. Tell the People of my love in Christ Jesus.

Gern benutze ich diese heutige Eucharistiefeier mit den Vätern der Bischofssynode, um durch Sie in Ihren Ländern all denen zu danken, die mir zum achtzigsten Geburtstag ihre besten Glüch-und Segenswünsche übermittelt haben. Es sind Menschen aus allen sozialen Schichten, insbesondere auch viele Jugendliche. Möge Gott allen ihr freundliches Gedenken und ihr Gebet mit seiner Gnade überreich vergelten!

Queremos aprovechar la presencia de Obispos de todo el mundo, reunidos con motivo del Sínodo, para agradecer los numerosos testimonios de felicitación, acompañados de oraciones, que nos han llegado con ocasión de nuestro octogésimo cumpleaños. Esos testimonios provenían de Autoridades civiles, eclesiásticos, religiosos, personas privadas, jóvenes y niños. A vosotros, Venerables Hermanos, os encargamos de transmitir nuestro sincero agradecimiento, nuestra correspondencia en la plegaria y nuestra afectuosa Bendición.





Domenica, 30 ottobre 1977: BEATIFICAZIONE DI MUTIEN-MARIE WIAUX E MIGUEL FEBRES CORDERO

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Venerati fratelli, carissimi figli e figlie, qui convenuti per questa solenne celebrazione!

L’atto che abbiamo testé compiuto, riempie il Nostro cuore di purissima gioia. Noi abbiamo proclamato beati due religiosi, i fratelli delle Scuole Cristiane Mutien-Marie Wiaux e Miguel Febres Cordero, abbiamo cioè ufficialmente autorizzato il loro culto, additandone l’esempio all’ammirazione e all’imitazione di tutti i credenti. Due nuovi astri si sono accesi nel firmamento della Chiesa. Come non esultare contemplando questi nostri fratelli, che hanno già raggiunto la mèta, alla quale ognuno di noi sospira di poter un giorno arrivare? Come non gioire sapendo di poter contare sulla potente intercessione di chi ha condiviso le nostre medesime tribolazioni ed è quindi in grado di comprendere la grandezza e la miseria della nostra condizione umana?

Essi stanno dinanzi ai nostri occhi nello splendore dell’unica gloria, che non teme l’usura del tempo: la gloria della santità. Di continenti diversi, con caratteristiche umane decisamente distanti, essi sono accomunati da affinità interiori profonde, che rivelano la identica matrice spirituale Lasalliana, che ha ispirato e guidato la loro maturazione cristiana. Per apprezzare il merito dei due nuovi Beati occorre perciò rievocare il merito della Famiglia Religiosa, alla quale essi appartennero, e cioè il celebre e benemerito Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, che San Giovanni Battista de La Salle fondò a Reims (a. 1680), dando alla Chiesa una delle istituzioni più congeniali alla missione educatrice che le è propria: una scuola per la scuola. Lo scopo per il quale il Fondatore concepì la nuova società religiosa era infatti quello di preparare elementi specializzati nei compiti educativi, capaci di dedicarsi con frutto alla formazione umana e cristiana della gioventù, specialmente della gioventù povera, dei figli del popolo.

Le caratteristiche dell’Istituto discendono da tale finalità: si tratta di una società religiosa, che raccoglie persone impegnate nella pratica dei consigli evangelici in una forma di vita povera e austera, condotta in comune e testimoniata all’esterno anche mediante la forma dell’abito, persone aventi come missione precipua l’insegnamento scolastico, quello elementare e quello che oggi chiameremmo «secondario», basato su criteri didattici perfezionati, e svolto con la coscienza dell’apostolo, il quale sa di avere nei confronti degli alunni la responsabilità di annunziare il Vangelo con la parola e con l’esempio, al fine di conquistare a Cristo il loro cuore.

Questo è infatti lo scopo primario, al quale mira ogni scuola cattolica: far conoscere ed amare Gesù Cristo. E questa è la ragione per cui, soprattutto, la scuola cattolica merita la considerazione e la stima di ogni cristiano. È quindi giusto e doveroso sostenere queste nostre scuole, che aprono i ragazzi alla vita, assicurano la loro formazione umana e spirituale e costruiscono così contemporaneamente la città terrena e la Chiesa.

Quanto all’Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane, la storia ci informa che, nonostante i contrasti a cui dovette sottostare, esso ebbe pronta e vasta diffusione: era già presente in quindici diocesi francesi con 22 comunità, mentre ancora viveva il Fondatore. Oggi esso svolge la sua opera in 78 Paesi, sparsi nei cinque Continenti.

I due Beati, che noi oggi contempliamo nella gloria del Regno di Dio, sono una testimonianza eloquente della vitalità dell’annosa pianta, sulla quale sono sbocciati.

Al Superiore Generale, ai suoi Collaboratori, ai numerosi Membri di questo Istituto così benemerito rivolgiamo il nostro sincero compiacimento e benedicente saluto.

Parimente, con particolare cordialità e deferenza, salutiamo le Delegazioni governative che tanto degnamente rappresentano a questa cerimonia i due Paesi di origine dei nuovi Beati; e insieme con esse intendiamo salutare i Pastori che hanno voluto intervenire.

La vida del Hermano Miguel, el endeble niño Francisco nacido en los repliegues andinos de Cuenca, discurre en un ambiente desahogado, de tradición católica y de relevantes servicios a su Patria.

La infancia del nuevo Beato se ve entristecida por un grave defecto físico: el niño nace con los pies deformes. Un motivo de honda congoja para la familia, que pronto se ve consolada con la experiencia de las dotes de inteligencia y bondad del nuevo vástago, crecido bajo la protección especial de la Virgen María. El mismo considerará un signo providencial haber nacido en el mismo año de la proclamación del Dogma de la Inmaculada Concepción.

Su amor mariano, que se hace confianza segura, crecerá sin cesar. Por ello, cuando no puede visitar los santuarios de Loreto o Lourdes, donde quería pedir a la celestial Señora su curación, exclamará con alegre serenidad: «En el cielo la veré».

Realizado su ideal de entregarse, tras no pocas oposiciones, a Cristo y a la Iglesia en la Congregación de los Hermanos de La Salle, el Hermano Miguel da prueba de un espíritu exquisitamente religioso, de una capacidad admirable de trabajo, de una entrega sacrificada de sí mismo en servicio de los demás. Y en él resalta sobre todo, como no podía faltar en un hijo de la familia lasalliana, el amor y entrega entrañables a la juventud y a su recta formación humana y moral.

En ese campo nuestro Beato alcanza metas tales que lo hacen un verdadero modelo, cuyos logros constituyen un auténtico timbre de gloria para la Iglesia, para su familia religiosa, para su Patria, que lo nombrará académico de número de la «Academia Ecuatoriana, Correspondiente de la Española».

Si nos preguntamos por el motivo radical de tal fecundidad humana y religiosa, de aquel acierto y eficiencia en su tarea ejemplar de catequista, lo encontramos en lo íntimo de su rico espíritu, que lo llevó a hacerse sabiduría vestida de amor, ciencia que ve al ser humano a la luz de Cristo, imagen divina que se proyecta -con sus deberes y derechos sagrados- hacia horizontes eternos. Ese es el gran secreto, la clave del éxito obtenido por el Hermano Miguel, realización sublime de un gran ideal y por ello figura señera para nuestro tiempo.

En efecto, cuando pocos días antes de morir en tierras de España dirá: «Otros trabajarán mejor que yo», deja un legado a la Iglesia, sobre todo al mundo religioso y a sus hermanos en religión: continuar una tarea estelar de formación de la juventud, haciendo que la escuela católica, medio siempre reformable pero válido y eficaz, sea un centro permanente de forja de juventudes recias y generosas, imbuidas de ideales elevados, capaces de contribuir al bien general, conscientes del deber de hacer respetar los derechos de todas las personas -ante todo de las más desposeídas- haciéndolas cada vez más humanas y abriéndolas a la esperanza traída por Cristo.

Un reto estupendo y exigente, que hay que recoger con valentía y espíritu de iniciativa. Es el gran mensaje, que el Hermano Miguel nos confía para que lo completemos hoy.

Le second bienheureux que nous vénérons a passé toute sa vie en Belgique. Ce n’est pas une formule stéréotypée de dire du Frère Mutien-Marie qu’il a vu le jour dans une famille d’humble condition mais profondément chrétienne. C’était en mil huit cent quarante et un, à Mellet. Dans l’amour attentif de ses parents, dans leur exemple, dans la prière et le chapelet récités chaque jour en famille, le jeune Louis Wiaux trouva tout ensemble une jeunesse heureuse, une foi solide et le désir de se donner à Dieu.

Des l’âge de quinze ans, il répondit, à la lettre, à l’appel du Seigneur, quitta tout pour le suivre, renonçant même à son nom pour prendre celui d’un martyr très peu connu: geste symbolique de soixante années d’une vie religieuse effacée aux yeux des hommes, mais grande aux yeux de Dieu et exemple maintenant pour l’Eglise entière.

Cet exemple sera-t-il compris et suivi? N’est-il pas trop opposé aux orientations du monde actuel? Bien loin de chercher d’abord sa propre autonomie et son épanouissement personnel, le Frère Mutien-Marie s’est donné totalement, du jour où il est entré dans l’Institut des Frères des Ecoles Chrétiennes, à plus grand que lui, à Dieu d’abord; et à l’oeuvre de l’éducation chrétienne de la jeunesse. Et pourtant, dans cette vie sacrifiée en apparence, quelle autonomie intérieure profonde, quel épanouissement spirituel n’a-t-il pas trouvé, aux yeux du coeur qui voient la sagesse? Obéissance, humilité, dévouement et sacrifice furent les maîtres-mots de sa vie. Par là, dans le grand collège Saint-Berthuin de Malonne, sa vocation de pédagogue prit des formes imprévues, polyvalentes, déterminées essentiellement par le souci de servir là où il y avait à servir! Qui dira assez la volonté et la maîtrise de soi que suppose une telle existence? Quelle richesse humaine et spirituelle, sous des dehors si simples! Il n’a pas eu le charisme de réaliser des oeuvres scolaires aussi brillantes que celles de Frère Miguel, mais il est devenu le «maître» de beaucoup de jeunes, en leur dévoilant comment l’amour désintéressé peut inspirer toute une existence. Oui, durant plus d’un demi-siècle, en communauté, dans la vie scolaire et dans la vie religieuse, le Frère Mutien-Marie fut un exemple pour tous ceux qui passèrent dans son école, élèves, professeurs et parents. Exemple, il le demeure aujourd’hui, surtout pour ceux qui, répondant à l’appel du Seigneur, ne font pas de l’enseignement une profession seulement, mais une vraie vocation religieuse!

Comment ne pas exalter ici de nouveau la grandeur et la signification particulières de l’école chrétienne? Comment aussi ne pas mettre en lumière aujourd’hui la grandeur de la vocation des Frères et des Soeurs qui se consacrent à Dieu dans l’éducation chrétienne de la jeunesse, et particulièrement celle de cet Institut des Frères des Ecoles Chrétiennes, dans lequel nos deux bienheureux ont trouvé le chemin de la perfection? Le service ardent de l’Evangile mérite aux Fils de saint Jean Baptiste de La Salle l’honneur que l’Eglise leur rend, de façon éclatante en ce jour, silencieuse le plus souvent, mais toujours avec fidélité et confiance. Prions le Saint Fondateur, prions les bienheureux Miguel et Mutien-Marie, de soutenir l’engagement religieux de tous leurs Frères, d’obtenir lumière et force aux enseignants chrétiens dans leur patient travail d’éducation, d’intercéder pour les chères populations d’Equateur et de Belgique, de procurer à toute l’Eglise, à la veille de la fête de la Toussaint, un nouvel élan de sainteté!

Sì, fratelli, la nostra invocazione sale fiduciosa ai nuovi Beati dopo la conclusione del Sinodo dedicato alla catechesi, e in particolare alla catechesi ai giovani. Essi, che spesero la loro vita nel formare intere generazioni di giovani alla conoscenza e all’amore di Cristo e del suo Vangelo, ci siano accanto per indicarci la strada e per sorreggerci nell’impegno di una catechesi convincente ed incisiva.

Essi ci insegnino la grande lezione dell’amore per i giovani e della fiducia in loro; un amore e una fiducia, che si esprimano nel non attenuare dinanzi ai loro occhi il radicalismo degli ideali evangelici, ma nel proporre coraggiosamente alla freschezza ancora intatta del loro entusiasmo la Parola di Cristo senza adattamenti di comodo. La testimonianza di quel che questa Parola ha saputo operare in fratel Miguel e in fratel Mutien e, per loro mezzo, in tante generazioni di giovani, è la prova inoppugnabile della forza vittoriosa del Vangelo.

Cristo, che ha vinto in loro, vinca anche le nostre resistenze umane e faccia di ciascuno di noi un testimone credibile del suo amore.




Sabato, 24 dicembre 1977: SANTA MESSA DI MEZZANOTTE

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Fratelli e Figli carissimi!

Voi attendete da noi una parola, che già risuona negli animi vostri; ed il fatto di ascoltarla ancora in questa notte ed in questa sede ne riconosca la sua perenne novità, la sua forza di verità, la sua meravigliosa e beatificante letizia. Non è nostra, è celeste. Le nostre labbra ripetono l’annunzio dell’Angelo, che rifulse nella notte, a Betlemme, 1977 anni fa, e che confortati gli umili e spaventati pastori, veglianti all’aperto sul loro gregge, vaticinò l’ineffabile fatto compiutosi allora in un presepio vicino:

«Io vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide (Betlemme) un Salvatore, che è il Cristo Signore» (
Lc 2,10-11).

Così è, così è, Fratelli e Figli! e così è, vogliamo estendere il nostro grido umile e impavido a quanti «hanno orecchi per ascoltare» (Mt 11,15). Un fatto e una gioia; ecco la duplice grande notizia!

Il fatto: esso sembra quasi insignificante. Un bambino che nasce e in quali umilianti condizioni ! Lo sanno i nostri ragazzi, quando compongono i loro presepi, ingenui ma autentici documenti della realtà evangelica. Ma la realtà evangelica è trasparente d’una concomitante realtà ineffabile: quel Bambino risulta vivente d’una trascendente Figliolanza divina, «Filius Altissimi vocabitur» (Lc 1,32). Facciamo nostre le espressioni entusiastiche del grande nostro Predecessore, San Leone Magno, il quale esclama: «Il nostro Salvatore, o carissimi, oggi è nato: godiamo! Non vi è luogo a tristezza, quando è il natale della vita, che, spento il timore della morte, ci infonde la letizia della promessa eternità» (S. LEONIS MAGNI Sermo I de Nativitate Domini).

Così che mentre il sommo mistero della vita trinitaria dell’unico Iddio ci si rivela nelle tre distinte Persone, Padre generante, Figlio generato, entrambi uniti nel vincolo dello Spirito Santo, un altro mistero integra d’inestinguibile meraviglia il nostro rapporto religioso con Dio aprendo il cielo alla visione della gloria dell’infinita trascendenza divina, e, superando in un dono d’incomparabile amore ogni distanza, la prossimità, la vicinanza di Cristo-Dio fatto uomo ci mostra ch’Egli è con noi, Egli è in cerca di noi: «È apparsa infatti la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini» (Tt 2,11 Tt 3,4).

Fratelli! Uomini tutti! Che cosa è il Natale se non questo avvenimento storico, cosmico, estremamente comunitario perché rivolto a proporzioni universali, ed insieme incomparabilmente intimo e personale per ciascuno di noi, poiché il Verbo eterno di Dio, in virtù del Quale noi già viviamo della nostra esistenza naturale (Cfr. Ac 17,23-28), è appunto venuto in cerca di noi; Lui eterno si è inserito nel tempo, Lui infinito si è quasi annientato «assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini, è apparso in forma umana, ha umiliato se stesso facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce» (Ph 2,6 ss.). I nostri orecchi sono - ahimé! - abituati a simile messaggio, e i nostri cuori sordi a simile chiamata, una chiamata d’amore: «così Dio ha amato il mondo ...» (Jn 3,16); anzi siamo precisi: ciascuno di noi può dire con San Paolo: «Egli ha amato me, e ha dato la sua vita per me...»! (Ga 2,20)

Il Natale è questo arrivo del Verbo di Dio fatto uomo fra noi. Ciascuno può dire: per me! Il Natale è questo prodigio. Il Natale è questa meraviglia. Il Natale è questa gioia. Ritornano alle labbra le parole di Pascal: Gioia, gioia, gioia: pianti di gioia!

Oh! che davvero questa celebrazione notturna del Natale di Cristo sia per noi tutti, sia per la Chiesa intera, sia per il mondo una rinnovata rivelazione del mistero ineffabile dell’Incarnazione, una sorgente d’inestinguibile felicità! Così sia!






OMELIE 1978




Domenica 1° gennaio 1978: DURANTE LA MESSA PER LA « GIORNATA DELLA PACE »

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RACCOLTI DALLA FEDE in questa Basilica - innalzata dal nostro predecessore Sisto III qualche anno dopo il Concilio di Efeso, che nel 431 aveva proclamato solennemente Maria la « Theotókos », cioè Genitrice di Dio - uniamo insieme nella nostra celebrazione la lode per i privilegi altissimi, concessi da Dio alla Vergine Madre, e la riflessione sulle esigenze cristiane della Pace nel mondo.

In questo splendido tempio, espressione singolare della fervente devozione mariana del popolo romano, storia ed arte si sono fuse mirabilmente nei secoli; esso ci invita, con la sua classica bellezza ed arcana suggestione, a pensieri di serena letizia: brillano negli antichissimi mosaici le varie tappe della storia della salvezza; sfolgora, nel catino dell’abside, la sublime scena della Incoronazione di Maria, opera di Jacopo Torriti; e accanto ai ricordi della grotta del Presepe, nella composizione scultorea di Arnolfo di Cambio, i Magi adorano il Verbo Incarnato.

È proprio in questa stupenda cornice, creata dalla pietà dei nostri antenati, che abbiamo scelto di celebrare la « Giornata della Pace » e vogliamo ancora una volta rivolgere all’umanità tutta la parola mite e solenne della Pace.

La Giornata della Pace non riguarda la pace di una giornata, di una sola giornata.

Commemorata il primo giorno dell’anno civile, essa porta, ogni volta, qualche cosa all’anno che viene: una celebrazione comune che si inscrive come augurio e come promessa, all’inizio del calendario; ma essa porta anche un tema, che noi abbiamo proposto e che è occasione e sorgente di una convergenza di intenzioni a dimensione universale. Convergenza nella preghiera, per i cattolici e per tutti i cristiani che vogliono associarvisi; convergenza nello studio e nella riflessione, per i responsabili della condotta collettiva della società e per tutti gli uomini di buona volontà; convergenza in una azione in comune: testimonianza resa così al mondo mediante uno sforzo solidale per difendere gli abitanti tutti del nostro pianeta sì gravemente minacciati ai nostri giorni dall’ « assurdità della guerra moderna », come abbiamo sottolineato nel nostro recente Messaggio, e per costruire la pace, della quale la coscienza dell’ umanità avverte sempre più l’ assoluta necessità.

Ciascuno dei temi delle varie « Giornate per la Pace » completa i precedenti come una pietra si aggiunge alle altre per costruire una casa: questa casa della Pace, che - come diceva il nostro venerato predecessore Giovanni XXIII - si fonda su quattro pilastri : « la verità, la giustizia, la solidarietà operante e la libertà ». (1) Ma il pensiero dominante di questa nostra celebrazione si presenta spontaneo nel binomio: Maria e la Pace.

Non c’ è forse un legame tra la maternità divina di Maria e la Pace, che noi celebriamo nel giorno stesso della sua festa, un legame che non è accidentale ma che trae la sua realtà e il suo frutto da tutto il patrimonio dogmatico, patristico, teologico e mistico della Chiesa di Cristo?

Non è ugualmente una ragione storica, che vi si aggiunge e che ci fa radunare oggi, insieme con voi; figlie e figli carissimi romani di nascita o di adozione? Non venite voi, di fatto, per continuare e confermare questa mattina, con la vostra presenza, la pratica profondamente religiosa e filiale dei vostri avi, diocesani di questa Chiesa di Roma, che ha scelto, per rendere omaggio particolare alla Madre di Dio, l’ ottava della Natività, prima ancora che tale data segnasse in Occidente l’ inizio dell’ anno civile?

E attorno a voi, non è anche tutta la Chiesa, tutto il Popolo di Dio che si raduna misticamente in questa Patriarcale Basilica per celebrare, allo stesso tempo, la Maternità di Maria e la Pace, quella pace, che è venuto a portare al mondo il suo figlio, Gesù Cristo?

Ma non occorre andare molto lontano nella nostra riflessione. Se esiste una correlazione tra la maternità divina di Maria e la Pace, quale rapporto c’è tra questa maternità e il rifiuto della violenza, che fa parte del tema scelto per la Giornata di questo anno 1978?

Sì, il legame esiste.

E gli studi teologici ed esegetici si moltiplicano su tale argomento, lo sottolineano sempre più, nella prospettiva loro propria, raggiungendo, nelle loro conclusioni, il giudizio spontaneo delle popolazioni.

Che si consideri - come abbiamo fatto nel nostro recente Messaggio per questa Giornata - la violenza nel suo aspetto collettivo internazionale, cioè quello della guerra moderna, che minaccia, con la sua « suprema irrazionalità », con la sua « assurdità » e con la triste ipotesi della guerra spaziale, o che la si consideri sotto i molteplici aspetti della violenza passionale della delinquenza crescente, o della violenza civile eretta a sistema, si pone una domanda fondamentale: quali sono le cause di tali comportamenti e delle idee o dei sentimenti, che li ispirano?

Queste cause noi le abbiamo parecchie volte ricordate nei nostri precedenti Messaggi, in particolare, in quelli sul disarmo e sulla difesa della vita.

Noi stamane non ne ricordiamo che una: l’urto provocato nella società dalle condizioni di vita disumanizzanti.(2)

Tali condizioni di vita provocano, soprattutto tra i giovani, frustrazioni che scatenano reazioni di violenza e di aggressività contro certe strutture e congiunture della società contemporanea, che li vorrebbe ridurre al ruolo di semplici strumenti passivi.

Ma la loro contestazione, istintiva od organizzata, si rivolge non solo alle conseguenze di queste penose situazioni, ma anche « ad una società ridondante di benessere materiale, soddisfatta e gaudente, ma priva di ideali superiori che danno senso e valore alla vita ».(3)

Per dirla in breve, una società desacralizzata, una società senz’ anima, una società senza amore.

Chi sono spesso, di fatto, questi violenti, i cui atti, provocando il timore o l’orrore, esigono, come un dovere, che ne siano preservate le nostre convivenze umane? Molto spesso, troppo spesso, coloro che pongono tali atti intollerabili sono dei dimenticati, degli emarginati, dei disprezzati, che non sono o non si sentono amati. Avidi dell’ avere più che dell’ essere; testimoni, e sovente vittime, dell’ ingiustizia dei più forti o, in alcuni casi ben conosciuti, della « violenza strutturale di taluni regimi politici », come non possono non sentirsi se non dei « figli smarriti » in questa società anonima che li ha generati, e poi spesso abbandonati, senza scala fissa di valori, in breve, senza bussola, senza stella, senza la stella del Natale?

Nel segreto del loro cuore, questi « orfani » non aspirano forse dal fondo di questa società matrigna ad una società materna, ed infine alla maternità religiosa della Madre universale, alla maternità di Maria?

La parola di Cristo in croce: « Donna, ecco il tuo figlio »,(4) non si indirizzava a loro, attraverso S. Giovanni: « Madre, ecco i tuoi figli... »?

E non è ad essi che il Signore moribondo diceva: « Figli, ecco la vostra Madre », una madre che vi ama, una madre da amare, una madre al vertice di una società dell’ amore?

Madre cioè di Dio e Redentore, (5) del Nuovo Adamo nel quale e per il quale tutti gli uomini sono fratelli, (6) Maria, Nuova Eva, (7) diviene così la madre di tutti i viventi, (8) la nostra madre amantissima. (9) Sovreminente e del tutto singolare membro della Chiesa, (10) Ella ne è il modello; (11) Ella è immagine e inizio della Chiesa che dovrà avere il suo compimento nell’ età futura.(12) Qui una nuova visione a noi si presenta e cioè il riflesso della Madonna nella Chiesa, come dice S. Agostino: Maria « figuram in se sanctae Ecclesiae demonstrat », Maria rispecchia in Se stessa la figura della Chiesa.(13) Madre del Cristo Re, Principe della Pace,(14) Maria diviene, per ciò stesso, Regina e Madre della Pace. Il Concilio Vaticano Secondo, enumerando i titoli di Maria, non la separa mai dalla Chiesa.

Così, è la Chiesa, tutta la Chiesa, che deve anch’ essa, sull’ esempio di Maria vivere sempre più intensamente la propria maternità universale (l5) nei confronti di tutta la famiglia umana attualmente disumanizzata, perché desacralizzata.

« Madre e Maestra », la Chiesa del Cristo non pretende di costruire la pace del mondo senza di esso o al suo posto, ma, proclamando il Regno di Dio in tutte le nazioni, intende « al tempo stesso svelare all’ uomo il senso della sua propria esistenza », sapendo che « chiunque segue Cristo, l’ Uomo perfetto, si fa lui pure più uomo ».(16)

E ritornando col pensiero a Maria Regina della Pace, ricordia-mo volentieri come il nostro venerato Predecessore Papa Benedetto XV ha voluto esaltare questo titolo dovuto alla Madonna, facendo scolpire un monumento in suo onore in questa stessa Basilica, alla fine della prima guerra mondiale.

E nessuno pensi che la Pace, di cui la Madonna è portatrice, sia da confondere con la debolezza e l’ insensibilità dei timidi o dei vili: ricordando l’ inno più bello della liturgia mariana, il « Magnificat », dove la voce squillante e fiera di Maria risuona per dare fortezza e coraggio ai promotori della Pace: « Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili ».(17)

A Maria noi intendiamo affidare la causa della Pace in tutto il mondo e, in particolare, nella diletta Nazione del Libano, che è stato un esempio di Paese travolto dalla spirale della violenza, non tanto per sue cause interne, quanto per riflesso di situazioni che, nella regione, non hanno trovato ancora soluzioni giuste; ne è stato, insomma, più che altro una vittima.

In questa Giornata della Pace esortiamo, pertanto, voi qui presenti e tutti i fedeli, a pregare per il Libano la Vergine « Notre Dame du Liban », perché sia affrettata la riconciliazione dei suoi figli e la ripresa spirituale e morale, oltre che materiale, della Nazione.

Nelle speranze di Pace, che si intravvedono nel Medio Oriente, la riconciliazione dei vari gruppi libanesi e la serena convivenza delle popolazioni possano essere un fattore ed un esempio di riconciliazione e di rifiuto della violenza da parte di tutti i popoli della regione.

Concludendo queste nostre riflessioni, vogliamo rivolgere un pressante appello a tutti i nostri figli ed a ciascuno singolarmente: ognuno di voi cerchi di portare il suo fattivo, generoso, autentico contributo alla Pace nel mondo, eliminando anzitutto dal cuore ogni forma di violenza, ogni sentimento di sopraffazione sul fratello. Così facendo, sarete già in cammino nel sentiero della Pace universale, che si fonda sulla Pace operosa dei singoli. Se volete fare regnare la Pace in tutto il mondo dovrete farla regnare nel vostro cuore, nella vostra famiglia, nella vostra casa, nel vostro quartiere, nella vostra città, nella vostra regione, nella vostra Nazione. Allora anche gli altri sentiranno il fascino e la gioia di poter vivere nella serenità e di potersi adoperare perché questo bene immenso diventi aspirazione, esigenza e patrimonio di tutti.

Questo vogliamo dire in particolare a voi, Giovani, a voi Ragazzi, presenti oggi in gran numero in questa Basilica. Noi abbiamo voluto terminare il nostro recente Messaggio per la Giornata della Pace rivolgendoci in particolare ai Giovani e ai Ragazzi di tutto il mondo, perché voi avete la capacità di una straordinaria apertura e di una gioiosa disponibilità, che purtroppo talvolta gli adulti hanno dimenticato o smarrito.

Anche voi, Giovani e Ragazzi, avete una vostra parola, fresca, nuova, originale, da dire e da far sentire ai grandi. Ditela questa parola di pace, questo « no alla violenza », con energia, con forza, con la forza del vostro cuore puro, dei vostri occhi limpidi, della vostra gioia di vivere, ma di vivere in un mondo in cui « giustizia e pace si baceranno ».(18)

Date sempre, nei vostri ideali e nei vostri comportamenti, la priorità all’ amore, cioè alla comprensione, alla benevolenza, alla solidarietà verso gli altri. Rafforzate la vostra convinzione di Pace nella preghiera, personale e comunitaria; negli scambi e nelle meditazioni, in cui vi sforzate di conoscere sempre più profondamente il Cristo e di comprendere il suo messaggio in tutte le sue esigenze; nei sacramenti, e soprattutto nel sacramento dell’ Eucaristia, nel quale Cristo stesso vi dona la fede, la speranza e specialmente la carità; rafforzatela, infine, nella devozione filiale alla Vergine Maria.

Se la vostra convinzione sarà salda e ferma, sarete, in tutte le manifestazioni della vostra giovinezza, testimoni della Pace e dell’ Amore di Cristo, che è in voi.

Voi, Giovani e Ragazzi, portate in voi stessi l’ avvenire del mondo e della storia. Questo mondo sarà migliore, sarà più fraterno, più giusto, se già, fin da adesso, tutta la vostra vita sarà aperta alla grazia di Cristo, all’ ideale di Amore e di Pace, che vi insegna il Vangelo.

Maria, Regina della Pace, « Salus Populi Romani », interceda per queste intenzioni.

Note

1. Cfr. IOANNIS XXIII Pacem in Terris, PT 47.
2. Cfr. Gaudium et Spes,
GS 27.
3. PAULI PP. VI Nuntius in Nativitate Domini, die 20 dec. 1968.
4. Jn 19,26-27.
5. Lumen Gentium, LG 53.
6. Cfr. Rm 8,29.
7. Cfr. Lumen Gentium, LG 63.
8. Cfr. Ibid. LG 56.
9. Ibid. LG 53.
10. Ibid. LG 53
11. Ibid. LG 63.
12 Ibid. LG 68.
13. S. AUGUSTINI De Symbolo, CI: PL 40, 661; H. DE LUBAC, Méditations sur l’ Eglise, p. 245.
14. Is 9,6.
15. Cfr. Lumen Gentium, LG 64.
16. Gaudium et Spes, GS 41.
17. Lc 1,51-52.
18. Ps 84,11.







B. Paolo VI Omelie 9107