PAULO VI-PACE


MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PAOLO VI PER LA CELEBRAZIONE DELLA «GIORNATA DELLA PACE»

Paolo VI




MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PAOLO VI PER LA CELEBRAZIONE DELLA «GIORNATA DELLA PACE»

1° GENNAIO 1968

Ci rivolgiamo a tutti gli uomini di buona volontà per esortarli a celebrare "La Giornata della Pace", in tutto il mondo, il primo giorno dell'anno civile, 1° gennaio 1968.

Sarebbe Nostro desiderio che poi, ogni anno, questa celebrazione si ripetesse come augurio e come promessa - all'inizio del calendario che misura e descrive il cammino della vita umana nel tempo - che sia la Pace con il suo giusto e benefico equilibrio a dominare lo svolgimento della storia avvenire:

Noi pensiamo che la proposta interpreti le aspirazioni dei Popoli, dei loro Governanti, degli Enti internazionali che attendono a conservare la pace nel mondo, delle Istituzioni religiose tanto interessate alla promozione della Pace, dei Movimenti culturali, politici e sociali che della Pace fanno il loro ideale, della Gioventù - in cui più viva è la perspicacia delle vie nuove della civiltà, doverosamente orientate verso un suo pacifico sviluppo - degli uomini saggi che vedono quanto oggi la Pace sia al tempo stesso necessaria e minacciata.

La proposta di dedicare alla Pace il primo giorno dell’anno nuovo non intende perciò qualificarsi come esclusivamente nostra, religiosa cioè cattolica; essa vorrebbe incontrare l'adesione di tutti i veri amici della pace, come fosse iniziativa loro propria, ed esprimersi in libere forme, congeniali all'indole particolare di quanti avvertono quanto bella e quanto importante sia la consonanza d'ogni voce nel mondo per l'esaltazione di questo bene primario, che è la pace, nel vario concerto della moderna umanità.

La Chiesa cattolica, con intenzione di servizio e di esempio, vuole semplicemente "lanciare l'idea", nella speranza ch'essa raccolga non solo il più largo consenso del mondo civile, ma che tale idea trovi dappertutto promotori molteplici, abili e validi a imprimere nella "Giornata della Pace", da celebrarsi alle calende d'ogni anno nuovo, quel sincero e forte carattere d'umanità cosciente e redenta dai suoi tristi e fatali conflitti bellici, che sappia dare alla storia del mondo un più felice svolgimento ordinato e civile.

La Chiesa cattolica provvederà a richiamare i suoi figli al dovere di celebrare la "Giornata della Pace" con le espressioni religiose e morali della fede cristiana; ma ritiene doveroso ricordare a tutti coloro che vorranno condividere l'opportunità di tale "Giornata", alcuni punti che la devono caratterizzare; e primo fra essi: la necessità di difendere la pace nei confronti dei pericoli, che sempre la minacciano:

- il pericolo della sopravvivenza degli egoismi nei rapporti tra le nazioni;

- il pericolo delle violenze, a cui alcune popolazioni possono lasciarsi trascinare per la disperazione nel non vedere riconosciuto e rispettato il loro diritto alla vita e alla dignità umana;

- il pericolo, oggi tremendamente cresciuto, del ricorso ai terribili armamenti sterminatori, di cui alcune Potenze dispongono, impiegandovi enormi mezzi finanziari, il cui dispendio è motivo di penosa riflessione, di fronte alle gravi necessità che angustiano lo sviluppo di tanti altri popoli;

- il pericolo di credere che le controversie internazionali non siano risolvibili per le vie della ragione, cioè delle trattative fondate sul diritto, la giustizia, l'equità, ma solo per quelle delle forze deterrenti e micidiali.

La pace si fonda soggettivamente sopra un nuovo spirito, che deve animare la convivenza dei Popoli, una nuova mentalità circa l'uomo ed i suoi doveri ed i suoi destini.

Lungo cammino ancora è necessario per rendere universale ed operante questa mentalità; una nuova pedagogia deve educare le nuove generazioni al reciproco rispetto delle Nazioni, alla fratellanza dei Popoli, alla collaborazione delle genti fra loro, anche in vista del loro progresso e sviluppo.

Gli Organismi internazionali, istituiti a questo scopo, devono essere sostenuti da tutti, meglio conosciuti, dotati di autorità e di mezzi, idonei alla loro grande missione.

La "Giornata della Pace" deve rendere onore a queste Istituzioni e circondare la loro opera di prestigio, di fiducia e di quel senso di attesa, che deve in esse tenere vigile il senso delle loro gravissime responsabilità e forte la coscienza del mandato loro affidato.

Un'avvertenza sarà da ricordare. La pace non può essere basata su una falsa retorica di parole, bene accette perché rispondenti alle profonde e genuine aspirazioni degli uomini, ma che possono anche servire, ed hanno purtroppo a volte servito, a nascondere il vuoto di vero spirito e di reali intenzioni di pace, se non addirittura a coprire sentimenti ed azioni di sopraffazioni o interessi di parte.

Né di pace si può legittimamente parlare, ove della pace non si riconoscano e non si rispettino i solidi fondamenti: la sincerità, cioè, la giustizia e l'amore nei rapporti fra gli Stati e, nell'ambito di ciascuna Nazione, fra i cittadini tra di loro e con i loro governanti; la libertà, degli individui e dei popoli, in tutte le sue espressioni, civiche, culturali, morali, religiose.

Altrimenti, non la pace si avrà - anche se, per avventura, l'oppressione sia capace di creare un aspetto esteriore di ordine e di legalità - ma il germinare continuo e insoffocabile di rivolte e di guerre.

E' dunque alla pace vera, alla pace giusta ed equilibrata, nel riconoscimento sincero dei diritti della persona umana e dell'indipendenza delle singole Nazioni che Noi invitiamo gli uomini saggi e forti a dedicare questa "Giornata".

Così, da ultimo, sarà da auspicare che la esaltazione dell'ideale della pace non debba favorire l'ignavia di coloro che temono di dover dare la vita al servizio del proprio Paese e dei propri fratelli quando questi sono impegnati nella difesa della giustizia e della libertà, ma cercano solamente la fuga della responsabilità, dei rischi necessari per il compimento di grandi doveri e di imprese generose.

Pace non è pacifismo, non nasconde una concezione vile e pigra della vita, ma proclama i più alti ed universali valori della vita; la verità, la giustizia, la libertà, l'amore.

Ed è per la tutela di questi valori che Noi li poniamo sotto il vessillo della pace, e che invitiamo uomini e Nazioni, e innalzare, all'alba dell'anno nuovo, questo vessillo, che deve guidare la nave della civiltà, attraverso le inevitabili tempeste della storia, al porto delle sue più alte mete.

A voi, venerati fratelli nell'Episcopato; a Voi, figli e fedeli carissimi della nostra santa Chiesa cattolica, rivolgiamo l'invito, di cui sopra abbiamo dato l'annuncio; quello di dedicare ai pensieri ed ai propositi della pace una particolare celebrazione nel primo giorno dell'anno civile, l'uno gennaio del prossimo anno.

Questa celebrazione non deve alterare il calendario liturgico, che riserva il «Capo d'anno» al culto della divina maternità di Maria ed al nome beatissimo di Gesù; anzi queste sante e soavi memorie religiose devono proiettare la loro luce di bontà, di sapienza e di speranza sopra l'implorazione, la meditazione, la promozione del grande e desiderato dono della Pace, di cui il mondo ha tanto bisogno.

Vi sarete accorti, Fratelli veneratissimi e Figli carissimi, quanto spesso la Nostra parola ripeta considerazioni ed esortazioni circa il tema della Pace; non lo facciamo per cedere ad una facile abitudine, ovvero per servirCi di argomento di pura attualità;

- lo facciamo perché pensiamo essere ciò reclamato dal Nostro dovere di Pastore universale;

- lo facciamo perché vediamo minacciata la pace in misura grave e con previsioni di avvenimenti terribili, che possono essere catastrofici per nazioni intere e fors'anche per gran parte dell'umanità;

- lo facciamo perché negli ultimi anni della storia del nostro secolo è finalmente emerso chiarissimo la pace essere l'unica e vera linea dell'umano progresso (non le tensioni di ambiziosi nazionalismi, non le conquiste violente, non le repressioni apportatrici di falso ordine civile);

- lo facciamo perché la pace è nel genio della religione cristiana, poiché per il cristiano proclamare la Pace è annunciare Gesù Cristo, "Egli è la nostra pace" (Ep 2,14) ; "il Suo è Vangelo di pace" (Ep 6,15): mediante il Suo sacrificio sulla Croce Egli ha compiuto la riconciliazione universale, e noi, Suoi seguaci, siamo chiamati ad essere «operatori della pace» (Mt 5,9); e solo dal Vangelo, alla fine, può effettivamente scaturire la pace, non per rendere fiacchi e molli gli uomini, ma per sostituire nei loro animi agli impulsi della violenza e delle sopraffazioni le virili virtù della ragione e del cuore d'un vero umanesimo;

- lo facciamo infine perché vorremmo che non mai Ci fosse rimproverato da Dio e dalla storia di aver taciuto davanti al pericolo d'una nuova conflagrazione fra i Popoli, la quale, come ognuno sa, potrebbe assumere forme improvvise di apocalittica terribilità.

Occorre sempre parlare di Pace!

Occorre educare il mondo ad amare la pace, a costruirla, a difenderla; e contro le rinascenti premesse della guerra (emulazioni nazionalistiche, armamenti, provocazioni rivoluzionarie, odio di razze, spirito di vendetta, ecc.) , e contro le insidie di un pacifismo tattico, che narcotizza l'avversario da abbattere, o disarma negli spiriti il senso della giustizia, del dovere e del sacrificio, occorre suscitare negli uomini del nostro tempo e delle generazioni venture il senso e l'amore della pace fondata sulla verità, sulla giustizia, sulla libertà, sull'amore (cf. Giovanni XXIII, "Pacem in terris").

La grande idea della Pace abbia, specialmente per noi seguaci di Cristo, la sua Giornata solenne, all'inizio dell'anno nuovo 1968.

Noi credenti nel Vangelo possiamo infondere in questa celebrazione un tesoro meraviglioso di idee originali e potenti: come quella dell'intangibile e universale fratellanza di tutti gli uomini, derivante dall'unica, sovrana e amabilissima Paternità di Dio, e proveniente dalla comunione che - in re vel in spe - tutti ci unisce a Cristo; ed anche dalla vocazione profetica, che nello Spirito Santo chiama il genere umano all'unità, non solo di coscienza, ma di opere e di destini.

Noi possiamo, come nessuno, parlare dell'amore del prossimo. Noi possiamo trarre dall'evangelico precetto del perdono e della misericordia fermenti rigeneratori della società.

Noi, soprattutto, Fratelli veneratissimi e Figli dilettissimi, possiamo avere un'arma singolare per la pace: la preghiera, con le sue meravigliose energie di tonificazione morale e di impetrazione, di trascendenti fattori divini, di innovazioni spirituali e politiche; e con la possibilità ch'essa offre a ciascuno di interrogarsi individualmente e sinceramente circa le radici del rancore e della violenza, che possono eventualmente trovarsi nel cuore di ognuno.

Vediamo allora d'inaugurare l'anno di grazia 1968 (anno della fede che diviene speranza) pregando per la pace; tutti, possibilmente insieme nelle nostre chiese e nelle nostre case; è ciò che per ora vi chiediamo: non manchi la voce di alcuno nel grande coro della Chiesa e del mondo invocante da Cristo, immolato per noi: dona nobis pacem.

Dal Vaticano, 8 dicembre 1967.

PAULUS PP. VI



MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PAOLO VI PER LA CELEBRAZIONE DELLA «GIORNATA DELLA PACE»

1° GENNAIO 1969

A tutti gli uomini di buona volontà, a tutti i responsabili circa il corso della storia di oggi e di domani;

alle guide perciò della politica, dell'opinione pubblica, dell'orientamento sociale, della cultura, della scuola;

a tutta la gioventù, che insorge nell'ansia d'un rinnovamento mondiale,

con umile e libera voce, che viene dal deserto d'ogni terreno interesse,
noi ancora annunciamo l'implorante e solenne parola: Pace.

La Pace è oggi intrinsecamente collegata al riconoscimento ideale e all'instaurazione effettiva dei Diritti dell'Uomo.

A questi fondamentali diritti corrisponde un fondamentale dovere; ch'è appunto la Pace.

La Pace è un dovere.

Tutto quello che il mondo contemporaneo viene commentando sullo sviluppo delle relazioni internazionali, sull'interdipendenza degli interessi dei Popoli, sull'accesso dei nuovi Stati alla libertà e all'indipendenza, su gli sforzi che la civiltà va facendo per avviarsi ad un'organizzazione giuridica unitaria e mondiale, sui pericoli d'incalcolabili catastrofi nell'eventualità di nuovi conflitti armati, sulla psicologia dell'uomo moderno desideroso di prosperità indisturbata e di rapporti umani universali, sul progresso dell'ecumenismo e del reciproco rispetto delle libertà personali e sociali, ci persuade che la Pace è un bene supremo della vita dell'uomo sulla terra, un interesse di primo grado, un'aspirazione comune, un ideale degno dell'umanità padrona di sé e del mondo, una necessità per mantenere le conquiste raggiunte e per raggiungerne altre, una legge fondamentale per la circolazione del pensiero, della cultura, dell'economia, dell'arte, un'esigenza ormai insopprimibile nella visione dei destini umani. Perché la Pace è la sicurezza, la Pace è l'ordine. Un ordine giusto e dinamico, diciamo, da costruire continuamente. Senza la Pace nessuna fiducia, senza fiducia nessun progresso. Una fiducia, diciamo, radicata nella giustizia e nella lealtà. Solo nel clima della Pace si attesta il diritto, progredisce la giustizia, respira la libertà. Se questo è il senso della Pace, se questo è il valore della Pace, la Pace è un dovere.

È il dovere della storia presente. Chi sa riflettere sugli insegnamenti che la storia passata ci dà, conclude subito per dichiarare assurdo il ritorno alle guerre, alle lotte, alle stragi, alle rovine generate dalla psicologia delle armi e delle forze contrastanti fino alla morte di uomini cittadini della terra, patria comune della nostra vita nel tempo. Chi possiede il senso dell'uomo non può non essere un fautore della Pace. Chi riflette sulle cause dei conflitti fra gli uomini deve riconoscere ch'esse denunciano carenze dell'animo umano, non virtù autentiche per la sua morale grandezza. La necessità della guerra poteva avere una giustificazione solo in condizioni eccezionali e deprecabili di fatto e di diritto, che non dovrebbero mai più verificarsi nella società mondiale moderna. La ragione, non la forza deve decidere delle sorti dei popoli. L'intesa, la trattativa, l'arbitrato, non l'oltraggio, il sangue o la schiavitù, devono intercorrere nei difficili rapporti fra gli uomini. E nemmeno una tregua precaria, un equilibrio instabile, un terrore di rappresaglia e di vendetta, una sopraffazione ben riuscita, una prepotenza fortunata possono essere garanzia di Pace degna di tal nome. La Pace bisogna volerla. La Pace bisogna amarla. La Pace bisogna produrla. Dev'essere un risultato morale; deve scaturire da spiriti liberi e generosi. Un sogno, essa può sembrare; un sogno che diventa realtà, in virtù d'una concezione umana nuova e superiore.

Un sogno diciamo, perché l'esperienza di questi ultimi anni e l'insorgenza di recenti torbide correnti di cattivi pensieri: sulla contestazione radicale ed anarchica, sulla violenza lecita e necessaria in ogni caso, sulla politica di potenza e di dominazione, sulla gara degli armamenti e la fiducia nei metodi dell'insidia e dell'inganno, sulla ineluttabilità delle prove di forza, ecc., sembrano soffocare la speranza nell'ordinamento pacifico del mondo. Ma questa speranza rimane, perché deve rimanere. È la luce del progresso e della civiltà. Il mondo non può rinunciare al suo sogno di Pace universale. E proprio perché la Pace è sempre in divenire, perché è sempre incompleta, perché è sempre fragile, perché è sempre insidiata, perché è sempre difficile noi la proclamiamo. Come un dovere. Un dovere inderogabile. Un dovere dei responsabili della sorte dei Popoli. Un dovere d'ogni cittadino del mondo: perché tutti devono amare la Pace; tutti devono concorrere a produrre quella mentalità pubblica, quella coscienza comune che la rende auspicabile e possibile. La Pace dev'essere dapprima negli animi, affinché poi sia negli avvenimenti.

Sì, la Pace è un dovere universale e perenne. Per ricordare questo assioma della civiltà moderna, noi invitiamo il mondo a celebrare anche per l'anno incipiente 1969 la «Giornata della Pace», il primo gennaio. È un augurio, è una speranza, è un impegno: il primo sole dell'anno nuovo deve irradiare sulla terra la luce della Pace.

Noi osiamo sperare che fra tutti siano i giovani ad afferrare questo invito come un richiamo capace d'interpretare ciò che di nuovo, ciò che di vivo, ciò che di grande si agita nei loro animi esacerbati, perché la Pace esige la revisione degli abusi e coincide con la causa della giustizia.

Quest'anno infatti una circostanza favorisce per tutti la nostra proposta: si è ora ricordato il XX anniversario della proclamazione dei Diritti dell'Uomo. È questo un avvenimento che riguarda tutti gli uomini: individui, famiglie, gruppi, associazioni, Nazioni. Nessuno lo deve dimenticare, nessuno trascurare, perché tutti esso richiama a quel fondamentale riconoscimento d'una degna e piena cittadinanza d'ogni uomo sulla terra. E nasce da questo riconoscimento il titolo primigenio alla Pace: ecco il tema della Giornata mondiale della Pace, il quale suona appunto così: «La promozione dei Diritti dell'Uomo, via verso la Pace». Affinché all'uomo sia garantito il diritto alla vita, alla libertà, all'eguaglianza, alla cultura, al godimento dei beni della civiltà, alla dignità personale e sociale, occorre la Pace, dove questa perde il suo equilibrio e la sua efficienza i Diritti dell'Uomo diventano precari e compromessi; dove non vi è Pace il diritto perde il suo volto umano. Là dove non vi è rispetto, difesa, promozione dei Diritti dell'Uomo, - là dove si fa violenza, o frode alle sue inalienabili libertà, dove si ignora o si degrada la sua personalità, dove si esercitano la discriminazione, lo schiavismo, l'intolleranza, - non vi può essere vera Pace. Perché Pace e Diritto sono reciprocamente causa ed effetto uno dell'altro; la Pace favorisce il Diritto; e, a sua volta, il Diritto la Pace.

Vogliamo sperare che queste ragioni siano valide per ogni persona, per ogni gruppo di persone, per ogni Nazione; e che la trascendente importanza della causa della Pace ne diffonda la riflessione e ne promuova l'applicazione. Pace e Diritti dell'Uomo, ecco l'oggetto dei pensieri con cui Noi vorremmo che gli uomini inaugurassero l'anno nascente. Il nostro invito è sincero, e non nasconde alcun altro fine che il bene dell'umanità. La nostra voce è debole, ma chiara; essa è quella d'un amico, che vorrebbe vederla ascoltata non tanto per chi la proferisce, ma per quello che dice. È al mondo che essa si rivolge; al mondo che pensa, al mondo che può, al mondo che cresce, al mondo che lavora, al mondo che soffre, al mondo che aspetta. Oh! non vada dispersa! La Pace è un dovere!

Questo nostro messaggio non può mancare della forza che gli viene dal Vangelo di cui noi siamo ministri, il Vangelo di Cristo.

A tutti nel mondo, come appunto il Vangelo, ancora esso si rivolge.

Ma più direttamente a voi, venerati Fratelli nell'Episcopato, a voi, Figli e Fedeli carissimi della Chiesa cattolica, noi ripetiamo l'invito a celebrare la «Giornata della Pace »: l'invito diventa un precetto, non nostro, ma del Signore, il Quale ci vuole convinti e solerti operatori della pace come condizione d'essere fra i beati insigniti del nome di figli di Dio (Mt 5,9). A voi si rivolge la nostra voce: essa diventa un grido, perché per noi credenti la pace assume un significato ancora più profondo e misterioso, per noi acquista valore di pienezza spirituale e di salvezza personale, oltre che collettiva e sociale; la Pace terrestre e temporale per noi è riflesso e preludio di Pace celeste ed eterna.

La Pace per noi Cristiani non è soltanto un equilibrio esteriore, un ordine giuridico, un complesso di rapporti pubblici disciplinati; per noi la Pace è innanzi tutto il risultato dell'attuazione del disegno di sapienza e d'amore, con cui Dio ha voluto instaurare relazioni soprannaturali con l'umanità. La Pace è il primo effetto di questa nuova economia divina, che chiamiamo la grazia; «grazia e pace» ripete l'Apostolo; è un dono di Dio, che diventa stile della vita cristiana, è una fase messianica, che riflette la sua luce e la sua speranza anche sulla città temporale, e che conforta con le sue più alte ragioni quelle su cui essa fonda la propria Pace. Alla dignità dei cittadini del mondo la Pace di Cristo aggiunge quella di figli del Padre celeste; all'eguaglianza naturale degli uomini aggiunge quella della fraternità cristiana; alle contese umane, che sempre compromettono e violano la Pace, quella di Cristo svigorisce i pretesti e contesta i motivi, prospettando i vantaggi d'un ordine morale, ideale e superiore, e svela la prodigiosa virtù religiosa e civile del perdono generoso; all'insufficienza dell'arte umana di produrre una solida e stabile Pace, quella di Cristo presta il soccorso del suo inesauribile ottimismo; alla fallacia della politica del prestigio orgoglioso e dell'interesse materiale la Pace di Cristo suggerisce la politica della carità; alla giustizia troppo sovente imbelle e impaziente, che sostiene le sue esigenze col furore delle armi, la Pace di Cristo infonde l'energia invitta del diritto derivato dalle profonde ragioni della natura umana e del trascendente destino dell'uomo. E non è paura della fortezza e della resistenza la Pace di Cristo, la quale deriva il suo spirito dal sacrificio che redime; e non è viltà transigente alle sventure e alle deficienze degli uomini senza fortuna e senza difesa la Pace di Cristo, che ha l'intelligenza del dolore e dei bisogni umani e sa trovare amore e dono per i piccoli, per i poveri, per i deboli, per i diseredati, per i sofferenti, per gli umiliati, per i vinti. Cioè la Pace di Cristo è, più d'ogni altra formula umanitaria, sollecita dei Diritti dell'Uomo.

Questo, Fratelli e Figli tutti, noi vorremmo che voi aveste a ricordare e ad annunciare nella «Giornata della Pace», nel cui segno si apre l'anno nuovo, nel nome di Cristo Re della Pace, vindice d'ogni autentico umano diritto.

E ciò sia con la nostra Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 8 dicembre 1968.

PAULUS PP. VI



MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PAOLO VI PER LA CELEBRAZIONE DELLA «GIORNATA DELLA PACE»

1° GENNAIO 1970

Cittadini del mondo che vi destate all'alba di questo nuovo anno 1970, pensate un istante: dove è diretto il cammino dell'umanità? Uno sguardo d'insieme oggi è possibile, uno sguardo profetico.

L'umanità cammina, cioè progredisce verso un dominio sempre maggiore del mondo: il pensiero, lo studio, la scienza la guidano a questa conquista; il lavoro, lo strumento, la tecnica compiono la conquista meravigliosa. E questa a che cosa le serve? A vivere meglio, a vivere di più.

L'umanità cerca la sua pienezza di vita entro l'orizzonte del tempo; e la ottiene. Ma avverte che questa pienezza non sarebbe tale se non fosse universale, cioè estesa a tutti gli uomini. Perciò l'umanità tende ad estendere i benefici del progresso a tutti i Popoli; tende all'unità, tende alla giustizia, tende ad un equilibrio, ad una perfezione, che chiamiamo la Pace.

Anche quando gli uomini operano contro la pace, l'umanità tende alla pace. "In vista della pace, anche le guerre si fanno" (De Civ. Dei, XIX, c. XII; P.L. 7, 637). La pace è il fine logico del mondo presente; è il destino del progresso; è l'ordine terminale dei grandi sforzi della civiltà moderna (cfr. Lumen Gentium LG 36).

Noi oggi perciò annunciamo ancora una volta la pace come l'augurio migliore per il tempo che viene. Pace a voi, uomini dell'anno 70. Noi annunciamo la pace come la concezione dominante della vita cosciente dell'uomo, che vuole guardare la prospettiva del suo prossimo e futuro itinerario.

Noi, una volta di più, annunciamo la pace, perché essa al tempo stesso, sotto aspetti diversi, è principio e fine del normale e progressivo svolgimento della società umana. E' principio, cioè condizione: come una macchina non può funzionare bene, se tutte le sue strutture non corrispondono al disegno secondo il quale la macchina è concepita, così l'umanità non può svilupparsi in efficienza ed in armonia, se la pace non le conferisce il suo proprio equilibrio iniziale.

La pace è l'idea che presiede al progresso umano; è la concezione vera e feconda, donde procede la vita migliore e la storia logica di noi uomini. E' fine, cioè coronamento dello sforzo, spesso laborioso e doloroso, mediante il quale noi uomini cerchiamo di sottoporre il mondo esteriore al nostro servizio e di organizzare la nostra società secondo un ordine che rispecchi giustizia e benessere.

Noi insistiamo: la Pace è la vita reale del quadro ideale del mondo umano. Con questa avvertenza: essa non è propriamente una posizione statica, che può esser acquistata una volta per sempre; non è una tranquillità immobile.

Sarebbe male intesa la celebre definizione agostiniana, che chiama la Pace "la tranquillità dell'ordine" (De Civ. Dei, XIX, c. XIII; P.L. 7, 640) , se noi avessimo dell'ordine un concetto astratto, e non sapessimo che l'ordine umano è un atto, più che uno stato; dipende dalla coscienza e dalla volontà di chi lo compone e ne gode, più che dalle circostanze che lo favoriscono; e per essere davvero ordine umano è sempre perfettibile, cioè è costantemente generato ed evoluto; cioè consiste in un movimento progressivo, come l'equilibrio del volo dev'essere ad ogni istante sostenuto da un dinamismo propulsore.

Perché diciamo questo? Perché il Nostro discorso si rivolge specialmente agli spiriti giovani. Quando parliamo di pace, non vi proponiamo, o amici, un immobilismo mortificante ed egoista.

La pace non si gode; si crea. La pace non è un livello ormai raggiunto, è un livello superiore, a cui sempre tutti e ciascuno dobbiamo aspirare.

Non è una ideologia soporifera; è una concezione deontologica, che ci rende tutti responsabili del bene comune, e che ci obbliga ad offrire ogni nostro sforzo per la sua causa; la causa vera della umanità.

Chi vorrà penetrare col proprio pensiero in questa convinzione scoprirà molte cose. Scoprirà che occorre massimamente riformare le idee, che guidano il mondo. Scoprirà che tutte queste idee-forze sono almeno parzialmente false, perché sono particolari, ristrette, egoiste. Scoprirà che una sola idea è, in fondo, vera e buona; è quella dell'amore universale; cioè quella della pace.

E scoprirà come questa idea sia al tempo stesso semplicissima e difficilissima;

- semplicissima in se stessa: l'uomo è fatto per l'amore, è fatto per la pace;

- difficilissima: come si può amare? come si può spingere l'amore alla dignità di principio universale? come può l'amore prendere il posto nella mentalità dell'uomo moderno, tutta intrisa di lotte, di egoismo, di odio? chi può dire di sé d'avere nel cuore l'amore? l'amore per l'intera umanità? l'amore per l'umanità in fieri, l'umanità di domani, l'umanità del progresso, l'umanità autentica, che non può essere tale se non è unita, non per forza, non per calcolo interessato, egoista e sfruttatore, ma per fraterna amorosa concordia?

Scoprirà allora questo alunno della grande idea della pace che occorre oggi, subito, un'educazione ideologica nuova, l'educazione alla pace. Sì, la pace comincia nell'interno dei cuori. Prima bisogna conoscerla, riconoscerla, volerla, amarla la pace; poi la esprimeremo, e la imprimeremo nel costume rinnovato dell'umanità; nella sua filosofia, nella sua sociologia, nella sua politica.

Rendiamoci conto, o Uomini Fratelli, della grandezza di questa visione avveniristica; e affrontiamo coraggiosamente il primo programma: educare alla pace.

Noi siamo coscienti dell'apparenza paradossale di questo programma; esso pare affermarsi fuori della realtà; fuori d'ogni realtà istintiva, filosofica, sociale, storica . . . La lotta è la legge. La lotta è la forza del successo. Ed anche: la lotta è la giustizia. Legge inesorabile: essa rinasce ad ogni tappa dell'umano progresso; anche oggi, dopo le spaventose esperienze delle ultime guerre, la lotta, non la pace, si impone. Perfino la violenza ritrova i suoi seguaci ed i suoi adulatori. La rivoluzione dà nome e prestigio ad ogni rivendicazione della giustizia, ad ogni rinnovamento del progresso. E' fatale: solo la forza apre la via ai destini umani.

Uomini Fratelli: questa è la grande difficoltà da considerare e da risolvere. Che la lotta possa essere necessaria, che possa essere l'arma della giustizia, che possa assurgere a dovere magnanimo ed eroico Noi non neghiamo. Che la lotta possa conseguire successi, nessuno può contestare.

Ma Noi diciamo ch'essa non può costituire l'idea luce, di cui l'umanità ha bisogno. Diciamo che è tempo per la civiltà di ispirarsi ad una concezione differente da quella della lotta, della violenza, della guerra, della sopraffazione per far camminare il mondo verso una giustizia vera e comune. Diciamo che la pace non è viltà, non è debolezza imbelle; la pace deve gradualmente, e subito, se possibile, sostituire la fortezza morale alla forza brutale; deve sostituire la ragione, la parola, la grandezza morale all'efficacia fatale e troppo spesso fallace delle armi e dei mezzi violenti e della potenza materiale ed economica.

La pace è l'uomo, che ha concesso d'essere lupo per l'altro uomo, l'uomo nella sua invincibile potestà morale. Questa deve oggi prevalere nel mondo. E prevale.

Noi salutiamo con entusiasmo gli sforzi dell'uomo moderno per affermare nel mondo e nella storia attuale la pace come metodo, come istituzione internazionale, come trattativa leale, come autodisciplina nelle contese territoriali e sociali, come questione superiore al prestigio della rappresaglia e della vendetta.

Grandi questioni per la vittoria della pace sono già sul tappeto: il disarmo, dapprima, la limitazione delle armi nucleari, l'ipotesi del ricorso all'arbitrato, la sostituzione della collaborazione alla concorrenza, la convivenza pacifica nella diversità delle ideologie e dei regimi, la speranza che sia devoluta un'aliquota delle spese militari in soccorso dei Popoli in via di sviluppo.

Così ravvisiamo un contributo alla pace nella deplorazione ormai universale del terrorismo, della tortura dei prigionieri, delle repressioni vendicative su popolazioni innocenti, dei campi di concentramento di detenuti civili, dell'uccisione di ostaggi, eccetera. La coscienza del mondo non tollera più simili delitti, che ritorcono la loro feroce inumanità in disonore sopra coloro che li compiono.

Non è Nostro ufficio giudicare le vertenze tuttora in atto fra le Nazioni, le razze, le tribù, le classi sociali. Ma è Nostra missione lanciare la parola « Pace in mezzo agli uomini in lotta fra loro. E' Nostra missione ricordare agli uomini che sono fratelli.

E' Nostra missione insegnare agli uomini ad amarsi, a riconciliarsi, a educarsi alla pace. Noi perciò esprimiamo il Nostro plauso, il Nostro incoraggiamento, la Nostra speranza per quanti si fanno promotori di questa pedagogia della pace.

Noi invitiamo anche per quest'anno le Persone e gli Enti responsabili, gli organi dell'opinione pubblica, i Politici, i Maestri, gli Artisti e specialmente la Gioventù a camminare risolutamente per questa via della civiltà vera e universale. Bisogna arrivare alla celebrazione effettiva della profezia biblica: la giustizia e la pace si sono incontrate e baciate.

E a voi, Fratelli e Figli nella medesima fede di Cristo, Noi aggiungiamo una parola di più sul Nostro dovere, come dicevamo, di educare gli uomini ad amarsi, a riconciliarsi, a perdonarsi scambievolmente. Noi ne abbiamo preciso insegnamento dal Maestro Gesù; ne abbiamo il suo esempio, ne abbiamo l'impegno, ch'Egli capta dalle nostra labbra quando recitiamo la preghiera al Padre, secondo le parole ben note: "Rimetti a noi i nostri debiti"come"noi li rimettiamo ai nostri debitori". Questo "come" è tremendo; esso stabilisce un'equazione, che, realizzata, è la nostra fortuna nell'economia della salvezza: non realizzata, può essere la nostra condanna (cfr. Mt Mt 18,21-35).

Predicare il Vangelo del perdono sembra assurdo alla politica umana, perché nell'economia naturale la giustizia spesso non lo consente. Ma in una economia cristiana, cioè sovrumana, assurdo non è. Difficile, ma non assurdo.

Come finiscono i conflitti nel mondo secolare? qual è la pace, che alla fine essi raggiungono? Nella dialettica insidiosa e furiosa di questa nostra storia di uomini pieni di passioni, di orgoglio, di rancori, la pace che conclude un conflitto è di solito un'imposizione, una sopraffazione, un giogo, di cui la parte più debole e soccombente subisce una forzata tolleranza, ch'è spesso un rinvio ad una riscossa futura, e accetta lo statuto protocollare, che nasconde l'ipocrisia di cuori tuttora nemici.

Manca a questa pace, troppo spesso finta ed instabile, la completa soluzione del conflitto, cioè il perdono, il sacrificio del vincitore a quei vantaggi raggiunti, che umiliano e rendono il vinto inesorabilmente infelice; e manca al vinto la forza d'animo della riconciliazione. Pace senza clemenza, come può dirsi tale? Pace satura di spirito di vendetta, come può essere vera?

Da una parte e dall'altra occorre l'appello a quella superiore giustizia, ch'è il perdono, il quale cancella le insolubili questioni di prestigio, e rende ancora possibile l'amicizia.

Lezione difficile; ma non è forse di attualità? non è forse cristiano?

A questa scuola superiore della pace educhiamo noi stessi, per primi, o Fratelli e Figli cristiani, rileggiamo il Discorso della montagna (cfr. Mt Mt 5,21-26 Mt 38-48 Mt 6, 12, Mt 14-15); e poi procuriamo di darne, con l'esempio e con la parola, l'annuncio al mondo.

Dal Vaticano, 30 novembre 1969.

PAULUS PP. VI


PAULO VI-PACE