Lezionario "I Padri vivi" 99

V DOMENICA DI PASQUA

99 Letture:
    
Ac 9,26-31
     1Jn 3,18-24
     Jn 15,1-18

1. La vite e i tralci

       "Io sono la vite e voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui produce molto frutto: perché senza di me voi non potete far nulla" (Jn 15,5).

       Nessuno pensi che il tralcio possa da solo produrre almeno qualche frutto. Il Signore ha detto che chi è in lui produce «molto frutto». E non ha detto: Senza di me potete fare poco ma: «Senza di me Voi non potete fare nulla». Sia il poco sia il molto, non si può farlo comunque senza di lui, poiché senza di lui non si può fare nulla. Perché anche se, quando il tralcio produce pochi frutti, l’agricoltore lo monda, affinché ne produca di più: tuttavia, se non resterà unito alla vite e non trarrà alimento dalla radice, non potrà da se stesso portare nessun frutto. Anche se Cristo non sarebbe la vite se non fosse uomo, non potrebbe tuttavia fornire ai tralci la capacità di produrre frutti, se non fosse anche Dio. Di modo che, come senza questa grazia è impossibile la vita, così la morte è in potere del libero arbitrio.

       "Chi poi non rimarrà in me sarà gettato via come il tralcio; e si dissecca; e poi sarà raccolto e gettato nel fuoco dove brucerà" (Jn 15,6). Il tralcio è infatti tanto prezioso se resta unito alla vite, quanto, se ne è reciso, è privo di valore. Come il Signore fa rilevare per bocca del profeta Ezechiele (Ez 15,5), i rami di vite recisi non possono né essere utili all’agricoltura, né usati dal falegname in alcuna opera. Il tralcio di vite ha due sole alternative: o restare unito alla vite o essere gettato nel fuoco: se non è unito alla vite sarà buttato nel fuoco. Quindi, per non finire nelle fiamme, deve restare unito alla vite.

       "Se voi rimanete in me e le mie parole rimangono in voi domandate quanto volete e vi sarà fatto" (Jn 15,7).

       Rimanendo in Cristo, che cosa possono chiedere i fedeli se non quanto a Cristo conviene? Che possono volere, se restano uniti al Salvatore, se non ciò che non si oppone alla loro salvezza? Una cosa infatti desideriamo, quando siamo in Cristo, e una cosa ben diversa quando siamo ancora uniti a questo mondo. Ma qualche volta può accadere che il fatto di dimorare in questo mondo ci spinga a chiedere qualcosa che, senza che noi ce ne rendiamo conto, non è utile alla nostra salvezza. Ma questo certamente non ci avviene se siamo in Cristo, poiché egli esaudisce le nostre richieste solo quando giovano alla nostra salute eterna. Rimanendo dunque noi in lui e in noi restando le sue parole, potremo chiedergli qualunque cosa, ed egli la compirà in noi. Se gli chiediamo qualcosa ed egli non ci esaudisce, significa che quanto abbiamo chiesto non favorisce il rimanere in lui e non è conforme alla sua parola che in noi dimora, ma riguarda invece desideri e debolezze della carne, che non sono certo in lui, e nelle quali non è certo la sua parola. Quanto alla preghiera che egli stesso ci ha insegnata e con la quale diciamo: "Padre nostro che sei nei cieli" (Mt 6,9), essa fa parte sicuramente delle sue parole.

       Non allontaniamoci, dunque, nelle nostre richieste al Signore, dalla lettera e dallo spirito di questa preghiera: se così facciamo, ogni cosa che chiederemo egli ce la concederà. Le sue parole rimangono in noi, quando facciamo quanto ci ha ordinato e desideriamo quanto Ci ha promesso; ma quando invece le sue parole restano, sì, nella nostra memoria, ma non se ne trova traccia nella nostra vita e nei nostri costumi, allora il tralcio non fa più parte della vite, perché non assorbe più la vita dalla sua radice. Questa distinzione tra il conoscere la legge e metterla in pratica è efficacemente posta in rilievo dal profeta che dice: "Si ricordano dei suoi comandamenti per metterli in pratica" (Ps 102,18) . Non sono pochi, infatti, coloro che si ricordano dei suoi comandamenti solo per disprezzarli, per deriderli e fare il contrario di ciò che essi ordinano. In costoro non hanno dimora le parole di Cristo; essi sono in qualche modo in contatto con esse, ma non sono affatto ad esse uniti. E tali parole non solo non produrranno in costoro alcun beneficio, ma renderanno invece testimonianza contro di essi. E poiché quelle parole sono in loro, ma essi non le conservano, sono esse che posseggono loro, per condannarli.

       Agostino, Comment. in Ioan. 81, 3-4


2. La vite simbolo della nostra fecondità spirituale

       Saprai certamente che, come hai in comune con i fiori una sorte caduca, così hai in comune la letizia con le viti da cui si ricava il vino che rallegra il cuore dell’uomo (Ps 103,15). E magari tu imitassi, o uomo, un simile esempio, in modo da procurarti letizia e giocondità. In te si trova la dolcezza della tua amabilità, da te sgorga, in te rimane, è insita in te; in te stesso devi cercare la gioia della tua coscienza. Perciò la Scrittura dice: "Bevi l’acqua dai tuoi vasi e dalla fonte dei tuoi pozzi" (Pr 5,15). Anzitutto nulla è più gradito del profumo della vite in fiore, se è vero che il succo spremuto dal fiore della vite produce una bevanda che nello stesso tempo riesce gradevole e giova alla salute. Inoltre, chi non proverebbe meraviglia al vedere che dal vinacciolo di un acino la vite prorompe fino alla sommità dell’albero che protegge come con un amplesso e avvince tra le sue braccia e circonda in una stretta rigorosa, riveste di pampini e cinge di una corona di grappoli? Essa, ad imitazione della nostra vita, prima affonda la sua radice viva nel terreno; poi, siccome per natura è flessibile e non sta ritta, stringe tutto ciò che riesce ad afferrare con i suoi viticci quasi fossero braccia e, reggendosi per mezzo di questi, sale in alto.

       Del tutto simile è il popolo fedele che viene piantato, per così dire, mediante la radice della fede e frenato dalla propaggine dell’umiltà. Di essa dice bene il profeta: "Hai trasportato la vite dall’Egitto e ne hai piantato le radici e la terra ne è stata riempita. La sua ombra ha ricoperto i monti e i suoi viticci i cedri del Signore. Stese i suoi rami fino al mare e fino al fiume le sue propaggini" (Ps 79,9-12). E il Signore stesso parlò per bocca d’Is dicendo: "Il mio diletto acquistò una vigna su un colle, in un luogo fertile, e la circondai d’un muro e vangai tutt’attorno la vigna di Sorec e nel mezzo vi innalzai una torre" (Is 5,1-2). La circondò infatti come con la palizzata dei comandamenti celesti e con la scolta degli angeli. Infatti "l’angelo del Signore si accamperà attorno a quanti lo temono" (Ps 33,8). Pose nella Chiesa come la torre degli apostoli, dei profeti, dei dottori, che sogliono vigilare per la pace della Chiesa. La vangò tutt’intorno, quando la liberò dal peso delle cure terrene; nulla infatti grava la mente più delle preoccupazioni di questo mondo e dell’avidità di denaro o di potere. Ciò ti viene mostrato nel Vangelo quando leggi che quella donna, che uno spirito teneva inferma, era così curva da non poter guardare in alto. Era curva la sua anima che, rivolta ai guadagni, non vedeva la grazia celeste. Gesù la guardò, la chiamò, e subito la donna depose i pesi terreni. Egli mostra che da simili brame erano gravati coloro ai quali dice: "Venite a me tutti voi che siete affaticati ed oppressi, e io vi ristorerò" (Mt 11,28). L’anima di quella donna, come se le avessero scavato intorno la terra, poté respirare e si raddrizzò.

       Ma anche la vite, quando intorno le è stato zappato il terreno, viene legata e tenuta diritta affinché non si pieghi verso terra. Alcuni tralci si tagliano, altri si fanno ramificare: si tagliano quelli che ostentano un’inutile esuberanza, si fanno ramificare quelli che l’esperto agricoltore giudica produttivi. Perché dovrei descrivere l’ordinata disposizione dei pali di sostegno e la bellezza dei pergolati, che insegnano con verità e chiarezza come nella Chiesa debba essere conservata l’uguaglianza, sicché nessuno, se ricco, e ragguardevole, si senta superiore e nessuno, se povero, e di oscuri natali, si abbatta o si disperi? Nella Chiesa ci sia per tutti un’unica e uguale libertà, con tutti si usi pari giustizia e identica cortesia. Perciò nel mezzo si innalza una torre, per mostrare tutt’intorno l’esempio di quei contadini, di quei pescatori che meritano di occupare la rocca della virtù. Sul loro esempio i nostri sentimenti si elevino, non giacciano a terra spregevoli ed abietti; ma ciascuno innalzi l’animo a ciò che sta sopra di noi e abbia il coraggio di dire: "Ma la nostra cittadinanza è nei cieli" (Ph 3,20). Quindi, per non essere piegato dalle burrasche del secolo e travolto dalla tempesta, ognuno, come fa la vite con i suoi viticci e le sue volute, si stringe a tutti quelli che gli sono vicini quasi in un abbraccio di carità e unito ad essi si sente tranquillo. È la carità che ci unisce a ciò che sta sopra di noi e ci introduce in cielo. "Se uno rimane nella carità, Dio rimane in lui" (1Jn 4,16). Perciò anche il Signore dice: "Rimanete in me ed io in voi. Come il tralcio non può produrre frutto da solo, se non resta unito alla vite, così anche voi, se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci" (Jn 15,4-5).

       Manifestamente il Signore ha indicato che l’esempio della vite deve essere richiamato quale regola per la nostra vita. Sappiamo che quella, riscaldata dal tepore primaverile, dapprima comincia a gemmare, poi manda fuori il frutto dagli stessi nodi dei tralci, dai quali nascendo l’uva prende forma e, a poco a poco sviluppandosi, conserva l’asprezza del prodotto immaturo e non può diventare dolce se non raggiunge la maturazione sotto l’azione del sole. Quale spettacolo è più gradevole, quale frutto più dolce che vedere i festoni pendenti come monili di cui si adorna la campagna in tutto il suo splendore, cogliere i grappoli rilucenti d’un colore dorato o simili alla porpora? Crederesti di veder scintillare le ametiste e le altre gemme, balenare le pietre indiane, risplendere l’attraente eleganza delle perle, e non ti accorgi che tutto ciò ti ammonisce a stare in guardia perché il giorno supremo non trovi immaturi i tuoi frutti, il tempo dell’età nella sua pienezza non produca opere di scarso valore. Il frutto acerbo suole essere senz’altro amaro e non può essere dolce se non ciò che è cresciuto sino alla perfetta maturità. A quest’uomo perfetto solitamente non nuoce né il freddo della morte con il suo brivido né il sole dell’iniquità, perché lo protegge con la sua ombra la grazia divina e spegne ogni incendio di cupidigie mondane e di lussuria carnale e ne tiene lontani gli ardori. Ti lodino tutti coloro che ti vedono e ammirino le schiere dei cristiani come ghirlande di tralci, contempli ciascuno i magnifici ornamenti delle anime fedeli, tragga diletto dalla maturità della loro prudenza, dallo splendore della loro fede, dalla dignità della loro testimonianza, dalla bellezza della loro santa vita, dall’abbondanza della loro misericordia, così che ti possano dire: "La tua sposa è come vite ricca di grappoli nell’interno della tua casa" (Ps 127,3), perché con l’esercizio di una generosa liberalità riproduci l’opulenza d’una vite carica di grappoli.

       Ambrogio, Exameron III, V, 12, 49-52


3. L’immagine si rinnova avvicinandosi progressivamente a Dio

       Certo, il rinnovamento di cui ora si parla, non si compie istantaneamente con la conversione stessa, come il rinnovamento del Battesimo si compie istantaneamente con la remissione di tutti i peccati, senza che rimanga da rimettere la più piccola colpa. Ma come una cosa è non avere più la febbre, altra cosa ristabilirsi dalla debolezza causata dalla febbre, ancora come una cosa è estrarre il dardo conficcato nel corpo, altra cosa poi guarire con un’altra cura la ferita procurata dal dardo; così la prima cura consiste nel rimuovere la causa della malattia, ciò che avviene con il perdono di tutti i peccati, la seconda nel curare la malattia stessa, ciò che avviene a poco a poco progredendo nel rinnovamento di questa immagine. Questi due momenti sono indicati nel Salmo in cui si legge: "Egli perdona tutte le tue iniquità", ciò che si attua nel Battesimo; poi il Salmo continua: "Egli guarisce tutte le tue malattie" (Ps 102,3), ciò che si attua con i progressi quotidiani, quando si rinnova questa immagine. Di questo rinnovamento parla assai chiaramente l’Apostolo quando dice: "Quantunque il nostro uomo esteriore vada deperendo, quello interiore però si rinnova di giorno in giorno" (2Co 4,16). Ora "si rinnova nella conoscenza di Dio" (Col 3,10), cioè "nella vera giustizia e santità" (Ep 4,24), secondo i termini usati dall’Apostolo nelle testimonianze che ho riportato un po’ più sopra. Dunque colui che di giorno in giorno si rinnova progredendo nella conoscenza di Dio e nella vera giustizia e santità, trasporta il suo amore dalle cose temporali alle cose eterne, dalle cose sensibili alle intelligibili, dalle carnali alle spirituali e si dedica con cura a separarsi dalle cose temporali, frenando ed indebolendo la passione, e ad unirsi con la carità a quelle eterne. Non gli è possibile però questo che nella misura in cui riceve l’aiuto di Dio. E Dio che l’ha detto: "Senza di me non potete far nulla" (Jn 15,5). Chiunque l’ultimo giorno di questa vita sorprenda in tale progresso e accrescimento, e nella fede nel Mediatore, questi sarà accolto dai santi Angeli per essere condotto a Dio che ha onorato e per ricevere da lui la sua perfezione, alla fine dei tempi gli sarà dato un corpo incorruttibile per non essere destinato alla sofferenza, ma alla gloria. In questa immagine sarà perfetta la somiglianza di Dio (Gn 5,1 Jc 3,9), quando sarà perfetta la visione di Dio. Di questa visione l’apostolo Paolo dice: "Ora vediamo per mezzo di uno specchio in enigma, ma allora a faccia a faccia" (1Co 13,12). Egli dice pure: "Noi che, a faccia velata, rispecchiamo la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine, salendo di gloria in gloria, in conformità all’operazione del Signore che è spirito" (2Co 3,18). E questo che si realizza in coloro che progrediscono di giorno in giorno nel bene.

       Agostino, De Trinit., 14, 17, 23


4. Lotta contro le tentazioni

       Se ti viene in mente un cattivo pensiero, grida, con lacrime al Signore: «Signore, sii buono con me peccatore! Perdonami, o amico degli uomini. Signore, allontana il male da noi!». Certo, il Signore conosce i cuori: sa quali pensieri sorgono da un animo cattivo, ma sa anche quali pensieri vengono in noi versati dalla stizza amara dei demoni. Tuttavia sappilo: più tu combatti e resti fedele nel servizio del Signore, più i tuoi sensi e i tuoi pensieri verranno purificati. Infatti, nostro Signore Gesù Cristo ha detto: "Ogni ramo che in me porta frutto, io lo purificherò, perché porti frutto maggiore" (Jn 15,2). Solo abbi la più sincera volontà di farti santo! Il Signore ama e appoggia col suo aiuto coloro che sono zelanti e lavorano per ottenere la salvezza dell’anima.

       Senti ora un esempio, che ti illustra i cattivi pensieri. Quando l’uva vien colta dalla vite, gettata nel torchio e pigiata, produce il suo mosto, che vien raccolto in vasi. E questo mosto, all’inizio, fermenta tanto forte, come se bollisse al fuoco più acceso in una caldaia; anche i vasi migliori non riescono a contenerne la forza, ma si rompono pel suo calore. Ciò avviene coi pensieri degli uomini, quando essi si elevano da questo mondo vano, e dalle sue cure, alle realtà celesti. Allora gli spiriti cattivi, che non ne possono sopportare il fervore, conturbano in mille modi la mente dell’uomo, cercando di suscitarvi una tetra burrasca, per rovinare e squarciare il vaso, cioè l’anima riempiendola di dubbi e rendendola infedele.

       Efrem, Ad monach. Aegypt., 10, 2




VI DOMENICA DI PASQUA

100 Letture:
    
Ac 10,25 Ac 10,27 Ac 10,34-35 Ac 10,44-48
     1Jn 4,7-10
     Jn 15,9-17

1. Il comandamento «nuovo» di Gesù

       Dal momento che la Sacra Scrittura è tutta piena di divini precetti, come mai il Signore parla della carità quasi di un comandamento unico, e dice: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate scambievolmente" (Jn 15,12), se non perché i comandamenti sono tutti compendiati nell’unica carità e tutti formano un unico comandamento? Infatti, tutto ciò che ci viene comandato ha il suo fondamento solo nella carità. Come i molteplici rami di un albero provengono da una sola radice, così le molteplici virtù traggono origine dalla sola carità. E non ha vigore di verde il ramo del ben operare, se non resta unito alla radice della carità. Perciò, i precetti del Signore sono molti e al tempo stesso uno solo: molti per la diversità delle opere, uno per la radice della carità.

       Come poi dobbiamo conservare la carità, ce lo insegna quegli stesso che in varie parti della Scrittura ci ordina di amare gli amici in lui e i nemici per lui. Possiede, invero, carità vera solo chi ama l’amico in Dio, e il nemico per Dio.

       Vi sono alcuni, infatti, che amano il prossimo per affetto di sangue o di parentela, e ciò non trova sanzione di condanna nella Scrittura. Ricordiamoci però che una cosa è ciò che nasce spontaneamente dalla natura, un’altra è quel che siamo tenuti a praticare in obbedienza al precetto del Signore. Coloro che amano di amore naturale i loro parenti, amano certamente il prossimo; tuttavia, essi non acquistano i nobilissimi premi della carità perché il loro amore non è spirituale, bensì carnale. Ecco perché il Signore Gesù, dopo aver detto: "Questo è il mio comandamento: che vi amiate scambievolmente", subito aggiunge: "come io ho amato voi". Quasi a volerci dire: «Amatevi per quei motivi per i quali io stesso ho amato voi».

       Per la qual cosa, fratelli carissimi, va notato con scrupolosa diligenza che il nostro antico avversario, mentre attrae il nostro spirito verso il diletto delle cose temporali, ci mette contro qualche prossimo debole, per strapparci via ciò che amiamo. E non si dà pensiero questo antico avversario, così facendo, di toglierci le cose terrene, bensì di ferire la carità in noi. Invero, quando ciò si verifica, noi subito diamo in escandescenze, e mentre bramiamo uscire vittoriosi all’esterno, dentro veniamo gravemente feriti; mentre all’esterno difendiamo cose da nulla, dentro alieniamo le maggiori, poiché mentre amiamo le cose temporali, perdiamo il vero amore. Chiunque infatti ci toglie del nostro, è un nemico. Però se avremo incominciato ad odiare il nemico, è dentro di noi che si verifica la perdita. Quindi, quando subiamo qualche sgarbo esterno da parte di un prossimo, rimaniamo ben vigili rispetto al devastatore dell’anima nostra: nei suoi confronti non si dà modo più clamoroso di vittoria, se non quello stesso che usiamo quando ricambiamo con l’amore chi ci porta via i beni esteriori. Una sola è la prova suprema della carità: amare anche chi ci si rivela nemico. Ecco perché il Signore Gesù, pur subendo i tormenti della crocifissione, mostra verso i suoi persecutori sentimenti di carità, e dice al Padre: "Perdona loro, perché non sanno quello che fanno" (Lc 23,24).

       C’è da meravigliarsi dunque se i discepoli amano in vita quei nemici che il Maestro ha amato proprio mentre veniva ucciso? Egli esprime il culmine della carità, quando soggiunge: "Nessuno ha un amore più grande di colui che dà la vita per i propri amici" (Jn 15,13). Il Signore era venuto a morire per i nemici, e tuttavia diceva di voler dare la sua vita per gli amici, per mostrarci che, senza ombra di dubbio, mentre possiamo trarre merito dall’amore dei nemici, diventano alla fine nostri amici persino coloro che ci perseguitano.

       Gregorio Magno, Hom. in Ev., 27, 1 s.


2. Ama e fa ciò che vuoi

       "In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi, che egli ha mandato in questo mondo il suo Figlio Unigenito, affinché potessimo vivere per mezzo suo" (1Jn 4,9). Il Signore stesso ha detto: "Nessuno può avere maggior amore di chi dà la sua vita per i suoi amici", e l’amore di Cristo verso di noi si dimostra nel fatto che egli è morto per noi. Quale è invece la prova dell’amore del Padre verso di noi? Che egli ha mandato il suo unico Figlio a morire per noi. Così afferma l’apostolo Paolo: "Egli che non risparmiò il suo proprio Figlio, ma lo diede per noi tutti come non ci ha dato insieme con lui tutti i doni? (Rm 8,32). Ecco, il Padre consegnò Cristo e anche Giuda lo consegnò; forse che il fatto non appare simile? Giuda è traditore - dunque anche il Padre è traditore? Non sia mai, tu dici. Non lo dico io ma l’Apostolo: "Lui che non risparmiò il proprio Figlio, ma lo diede per tutti noi". Il Padre lo diede e Cristo stesso si diede. L’Apostolo infatti dice: "Colui che mi amò e diede se stesso per me" (Ga 2,20). Se il Padre diede il Figlio ed il Figlio se stesso, Giuda che cosa fece? Una consegna è stata fatta dal Padre, una dal Figlio, una da Giuda: si tratta di una identica cosa: ma come si distinguono il Padre che dà il Figlio, e il Figlio che dà se stesso e Giuda il discepolo che dà il suo maestro? Il Padre ed il Figlio fecero ciò nella carità; compì la stessa azione anche Giuda, ma nel tradimento. Vedete che non bisogna considerare che cosa fa l’uomo ma con quale animo e con quale volontà lo faccia. Troviamo Dio Padre nella stessa azione in cui troviamo anche Giuda: benediciamo il Padre, detestiamo Giuda. Perché benediciamo il Padre e detestiamo Giuda? Benediciamo la carità, detestiamo l’iniquità. Quanto vantaggio infatti venne al genere umano dal fatto che Cristo fu tradito? Forse che Giuda ebbe in mente questo vantaggio nel tradire? Dio ebbe in mente la nostra salvezza per la quale siamo stati redenti; Giuda ebbe in mente il prezzo che prese per vendere il Signore. Il Figlio ebbe in mente il prezzo che diede per noi, Giuda pensò al prezzo che ricevette per venderlo. Una diversa intenzione dunque, rese i fatti diversi. Se misuriamo questo identico fatto dalle diverse intenzioni, una di esse deve essere amata, l’altra condannata; una deve essere glorificata, l’altra detestata. Tanto vale la carità! Vedete che essa sola soppesa e distingue i fatti degli uomini.

       Dicemmo questo in riferimento a fatti simili. In riferimento a fatti diversi troviamo un uomo che infierisce per motivo di carità ed uno gentile per motivo di iniquità. Un padre percuote il figlio e un mercante di schiavi invece tratta con riguardo. Se ti metti davanti queste due cose, le percosse e le carezze, chi non preferisce le carezze e fugge le percosse? Se poni mente alle persone, la carità colpisce, l’iniquità blandisce. Considerate bene quanto qui insegniamo, che cioè i fatti degli uomini non si differenziano se non partendo dalla radice della carità. Molte cose infatti possono avvenire che hanno una apparenza buona ma non procedono dalla radice della carità: anche le spine hanno i fiori; alcune cose sembrano aspre e dure; ma si fanno, per instaurare una disciplina, sotto il comando della carità. Una volta per tutte dunque ti viene imposto un breve precetto: ama e fa’ ciò che vuoi; sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore; sia in te la radice dell’amore, poiché da questa radice non può procedere se non il bene.

       Agostino, In Ioan. Ep. Tract., 7, 7-8


3. Cristo non vuole chiamarci servi ma amici

       Dal momento che tutti i precetti naturali sono comuni a noi e ad essi (Giudei), avendo avuto origine presso di loro, mentre presso di noi hanno trovato crescita e compimento - obbedire a Dio, infatti, seguire il suo Verbo, amarlo sopra ogni cosa e amare il prossimo come sé stessi (e l’uomo è il prossimo dell’uomo), astenersi da azioni malvagie, e così via, tutto ciò è comune agli uni e agli altri -, manifestano un solo e medesimo Signore. E questi, altri non è che nostro Signore, il Verbo di Dio, il quale dapprima attrasse a Dio dei servi, poi li liberò dal giogo della soggezione, secondo quanto egli stesso dichiara ai discepoli: "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi" (Jn 15,15). Quando, infatti, dice: "Non vi chiamo più servi", vuole significare con assoluta certezza che è lui che, con la Legge, ha dapprima imposto agli uomini la servitù nei riguardi di Dio, e che in seguito ha ridato loro la libertà.

       Dicendo, poi: "Perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, egli sottolinea lignoranza del popolo servile relativamente alla sua venuta.

       Infine, chiamando amici di Dio i suoi discepoli, dimostra apertamente che egli è il Verbo, seguendo il quale, volontariamente e senza costrizioni, Abramo è divenuto, per la generosità della fede, "amico di Dio" (Jc 2,23).

       Ireneo di Lione, Adv. haer., IV, 13, 4


4. Non si deve giudicare il prossimo

       Se infatti avessimo amore, insieme a compassione e pena tralasceremmo di guardare i difetti del prossimo, come è detto. "L’amore copre un gran numero di peccati (1P 4,8), e ancora: "L’amore non calcola il male, tutto ricopre" (1Co 13,5ss), con quel che segue. Anche noi dunque, come ho detto, se avessimo l’amore, l’amore stesso riparerebbe ogni caduta, come i santi quando vedono i difetti degli uomini. Forse che i santi sono ciechi e non vedono i peccati? Chi odia tanto il peccato quanto i i santi? E tuttavia non odiano il peccatore, non lo condannano, non se ne allontanano, ma ne hanno compassione, lo ammoniscono, lo consolano, lo curano come un membro malato: fanno di tutto per salvarlo. I pescatori, quando gettano l’amo in mare e prendono un grosso pesce, se si accorgono che si agita e si divincola, non lo tirano subito con violenza, perché la lenza si romperebbe e tutto andrebbe perduto, ma gli danno corda abilmente e lo lasciano andare dove vuole; quando poi capiscono che non ce la fa più e ha cessato di dibattersi, allora piano piano cominciano a tirarlo indietro. Allo stesso modo fanno anche i santi: con la pazienza e con l’amore attirano il fratello e non lo cacciano via a calci né se ne disgustano, ma come una madre, se ha un figlio deforme, non se ne disgusta, non se ne allontana, ma volentieri lo adorna e fa quello che può per renderlo gradevole, così i santi sempre proteggono il peccatore, lo preparano, se ne prendono cura per poterlo correggere al momento opportuno e per non permettergli di danneggiare qualcun altro, ma per fare anch’essi maggiori progressi nell’amore di Cristo. Che fece sant’Ammonas, quando vennero quei fratelli, tutti turbati, a dirgli: «Ecco, guarda, "abbà" c’è una donna nella cella del tal fratello»? Quanta misericordia dimostrò? Quanto amore ebbe quell’anima santa? Sapendo che il fratello aveva nascosto la donna sotto la botte, se ne andò a sederci sopra e disse agli altri di cercare in tutta la cella. E siccome non la trovarono, disse loro: «Dio vi perdoni!». Li svergognò per aiutare anche loro a non dar credito facilmente alle dicerie contro il prossimo; ma fece rinsavire anche quell’altro, non solo proteggendolo, dopo Dio, ma anche correggendolo, quando trovò il momento adatto. Infatti, dopo aver fatto uscire tutti gli altri, non fece altro che prendergli la mano e dirgli: «Pensa a te stesso, fratello»: e il fratello subito si vergognò e restò compunto, e subito agì sulla sua anima la bontà e la compassione dell’Anziano.

       Anche noi, dunque, cerchiamo di acquistare l’amore, cerchiamo di acquistare la misericordia per il prossimo, per guardarci dalla terribile maldicenza e dal condannare o disprezzare chicchessia. Aiutiamoci gli uni gli altri come membra nostre. Chi, se ha una ferita nella mano o nel piede o in una delle altre membra, prova ripugnanza di se stesso o taglia via le proprie membra, anche se la ferita va in putrefazione, e non piuttosto la pulisce, la lava, vi mette empiastri, la fascia, l’unge con l’olio santo, prega, invoca i santi perché preghino per lui, come diceva anche l’"abbà" Zosima? E insomma non abbandona, non rigetta il proprio membro o il suo fetore, ma fa di tutto per guarire. Così dobbiamo anche noi compatirci gli uni gli altri, prenderci cura di noi stessi o direttamente o attraverso altri più capaci, ed escogitare e fare di tutto per aiutare noi stessi e aiutarci gli uni gli altri. "Siamo infatti membra gli uni degli altri", come dice l’Apostolo (Rm 12,5). Se dunque siamo tutti quanti un solo corpo e uno per uno siamo membra gli uni degli altri, se un membro soffre, soffrono insieme a lui anche tutte le altre membra (1Co 12,26). Che vi sembrano i cenobi? Non vi sembrano un corpo solo, e membra gli uni degli altri? Quelli che governano sono la testa: quelli che sorvegliano e correggono sono gli occhi; quelli che aiutano con la parola sono la bocca; le orecchie sono quelli che obbediscono; le mani sono quelli che lavorano; i piedi sono quelli che hanno incarichi e si occupano dei servizi. Sei testa? Governa. Sei occhio? Sorveglia, fa’ attenzione. Sei bocca? Parla, porta aiuto. Sei orecchio? Obbedisci. Sei mano? Lavora. Sei piede? Adempi ai servizi. Ciascuno serva il corpo per quanto può; studiatevi sempre di aiutarvi vicendevolmente, sia ammaestrando, sia ponendo la parola di Dio nel cuore del fratello, sia consolandolo nel tempo dell’afflizione, sia dandogli una mano nel lavoro e aiutandolo. Cercate insomma ognuno, come ho detto, per quanto può, di essere uniti gli uni agli altri: perché quanto uno è unito al prossimo, altrettanto è unito a Dio.

       Voglio dirvi un’immagine dei Padri, perché capiate meglio il senso di questa parola. Supponete che per terra ci sia un cerchio, cioè una linea tonda tracciata con un compasso dal centro. Centro si chiama propriamente il punto che sta proprio in mezzo al cerchio. Adesso state attenti a quello che vi dico. Pensate che questo cerchio sia il mondo, il centro del cerchio, Dio, e le linee che vanno dal cerchio al centro, le vie, ossia i modi di vivere degli uomini. In quanto dunque i santi avanzano verso l’interno, desiderando di avvicinarsi a Dio, a mano a mano che procedono, si avvicinano a Dio e si avvicinano gli uni agli altri, e quanto più si avvicinano a Dio, si avvicinano l’un l’altro, e quanto più si avvicinano l’un l’altro, si avvicinano a Dio. Similmente immaginate anche la separazione. Quando infatti si allontanano da Dio e si rivolgono verso l’esterno, è chiaro che quanto più escono e si dilungano da Dio, tanto più si dilungano gli uni dagli altri, e quanto più si dilungano gli uni dagli altri, tanto più si dilungano anche da Dio.

       Doroteo di Gaza, Institut., 6, 76-78




PENTECOSTE

103 Letture:
    
Ac 2,1-11
     1Co 12,3-7 1Co 12,12-13
     Jn 20,19-23

1. Abbeverarsi alle fonti della Scrittura

       Beviamo dell’acqua viva "che zampilla per la vita eterna" (Jn 4,14 Jn 7,38). Il Salvatore, "diceva questo infatti dello Spirito che dovevano ricevere coloro che avrebbero creduto in lui" (Jn 7,39). Sta’ attento infatti a ciò che egli dice: "Dal seno di chi crede in me" - e non si limitò ad affermare, ma citò anche il Vecchio Testamento -, "come dice la Scrittura, scaturiranno torrenti di acqua viva" (Jn 7,38). Non torrenti nel senso materiale del termine, che irrigano solamente una terra che dà spine e alberi, bensì torrenti che illuminano le anime. Altrove dice: "L’acqua che io gli darò, diverrà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna" (Jn 4,14). Acqua di specie nuova, che vive, e zampilla; zampilla in verità su coloro che ne sono degni.

       E come mai chiamò la grazia dello Spirito con il nome di acqua? In effetti, l’acqua dà consistenza a tutte le cose; essa è animatrice di vita animale e vegetale. L’acqua scende dal cielo. Unica nell’aspetto, è molteplice nella virtù operativa. Una sola sorgente irriga tutto il giardino (Gn 2,10) e un’unica pioggia scende su tutto il mondo. Essa si trasforma in bianco giglio, in rossa rosa, purpurea nelle viole e nei giacinti, e differente e variopinta nelle diverse specie. E diversa nella palma e nella vite ed tutto in tutte le cose, pur restando unica ed uguale a se stessa. La pioggia non muta e scende in forme diverse; si adatta invece alla natura delle cose che la ricevono ed è per ciascuna quel che le conviene.

       Così è anche dello Spirito Santo. Pur essendo uno solo, unico e indivisibile nell’aspetto, conferisce nondimeno a ciascuno la grazia a seconda del suo desiderio (1Co 12,11). Alla stregua di un legno secco, che emette germogli se imbevuto di acqua, così avviene all’anima peccatrice, divenuta degna dello Spirito Santo attraverso la penitenza: produce grappoli di giustizia. Pur essendo uno solo, al cenno di Dio e nel nome di Cristo, lo Spirito Santo suscita le varie virtù. Di uno si serve per comunicare la sapienza; di un altro illumina la mente con la profezia; ad un altro ancora conferisce la potestà di scacciare i demoni, e ad un quarto dà il potere di interpretare le Scritture. Di uno corrobora la temperanza (o la castità), ad un altro insegna quanto conviene alla carità (ovvero all’elemosina)- ad un terzo, il digiuno e gli esercizi della vita ascetica; ad un quarto ispira il disprezzo delle cose corporali; ad un ultimo, infine, insegna a prepararsi al martirio. Differente negli altri, egli è sempre identico a se stesso, come sta scritto: "La manifestazione dello Spirito è data a ognuno per quanto gli conviene. Infatti, dallo Spirito a uno è dato il linguaggio della sapienza; ad un altro, il linguaggio della scienza, però secondo il medesimo Spirito; ad un altro, il dono di operare miracoli; ad un altro la profezia; ad un altro il discernimento degli spiriti; ad un altro la diversità delle lingue, ad un altro l’interpretazione delle lingue. Ora, tutte queste cose le compie un solo e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno in particolare come vuole" (1Co 12,7-11)...

       In verità, la sua azione è tutta diretta al bene e alla salvezza. Anzitutto, soave e pacifico è il suo avvento; la sua presenza è avvertita come un profumo; il suo peso è leggero. Raggi splendenti di intelligenza precedono la sua venuta. Egli giunge con viscere di fraterno tutore: viene a salvare, infatti, ad insegnare, ad ammonire, a corroborare, a consolare, ad illuminare la mente dapprima in chi lo accoglie, poi, per opera di questa, negli altri. E alla stregua di chi, immerso dapprima nelle tenebre, ha visto improvvisamente il sole, che illumina l’occhio del suo corpo, sì da poter vedere ciò che prima non vedeva, così chi è stato reso degno di ricevere lo Spirito Santo rimane illuminato nell’anima e vede nel soprannaturale quanto prima non riusciva a vedere. Quantunque il suo corpo resti sulla terra, la sua anima contempla i cieli come in uno specchio. Vede, al pari di Isaia, "il Signore seduto sopra un trono alto ed elevato" (Is 6,1); come Ezechiele, "Colui che siede sui cherubini" (Ez 10,1); e come Daniele, "le miriadi di migliaia e le migliaia di migliaia" (Da 7,10)...

       Se talora ti sorge il pensiero della castità o della verginità, sappi che si tratta d’una ispirazione suscitata in te dallo Spirito Santo. E quante volte una fanciulla, destinata ormai al letto nuziale, ne è fuggita via, dietro suggerimento dello Spirito? Quante volte un ricco, nello sfarzo dei suoi palazzi, si è sentito spinto dallo Spirito Santo a rinunziare alle sue ricchezze ed ai suoi privilegi? Quante volte un giovane, alla vista di qualcosa di bello, ha chiuso gli occhi e si è rifiutato di guardare, per non contaminarsi? Chi gli ha dato questa forza, domanderai? Ebbene, è stato lo Spirito Santo ad ispirare la mente del giovane. Quanti interessi e quanta cupidigia a questo mondo! E per questo che i cristiani scelgono la povertà. Per quale motivo? Ma per tener fede al comando dello Spirito.

       Davvero prezioso e buono è lo Spirito Santo! Giustamente noi veniamo battezzati nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo (Mt 28,19)!

       L’uomo, mentre vive ancora nel suo corpo, è costretto a lottare con molti e ferocissimi demoni. Sovente, poi, quel demonio che molti non erano riusciti a dominare, a causa della sua ferrea morsa, è stato sconfitto da qualcuno con la preghiera, grazie alla potenza dello Spirito Santo in lui presente. Il semplice soffio dell’esorcista, così, diventa fuoco per l’invisibile nemico. Dio, perciò, ci procura un soccorritore ed un protettore: grande dottore della Chiesa, altresì, e nostro valido difensore. Non temiamo, allora, né i demoni né il diavolo! Colui che combatte al nostro fianco, infatti, è più potente: apriamo a lui solo le nostre porte! Egli, infatti "va in cerca di quanti siano degni" (Sg 6,16), per arricchirli con i propri doni.

       È chiamato, inoltre, Paraclito, poiché consola, incoraggia e risolleva la nostra debolezza. "Noi, infatti, non sappiamo ciò che ci conviene domandare, ma è lo Spirito stesso che intercede a nostro favore, con gemiti inesprimibili" (Rm 8,26), al cospetto, evidentemente, di Dio. Sovente coloro che sono stati insultati per causa di Cristo, hanno ingiustamente subito oltraggi; su costoro ha gravato la minaccia di martirio, d’ogni sorta di tormenti, del fuoco, della spada, di essere dati in pasto alle belve o di venir precipitati. Lo Spirito Santo però sussurra sommessamente: "Spera nel Signore" (Ps 26,14), o uomo; è una cosa da nulla quanto ti accade, di fronte alla grandezza dei doni che ti son destinati: dopo aver patito per poco, trascorrerai l’eternità in mezzo agli angeli. Infatti, "le sofferenze del tempo presente non possono essere paragonate alla gloria futura che si rileverà in noi (Rm 8,18). Lo Spirito, così, evoca all’uomo l’immagine del regno dei cieli, mostrandogli il paradiso delle delizie. Anche i martiri, d’altronde, pur costretti a guardare con gli occhi materiali i loro giudici, ma già detentori nondimeno della gloria nel paradiso, provavano unicamente disprezzo per quelle pene, per quanto dure apparissero.

       Vuoi conoscere come i martiri rendono testimonianza per la virtù dello Spirito Santo? Ascolta allora quanto dice il Salvatore ai suoi discepoli: "Quando vi trascineranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità non datevi pensiero del modo come vi difenderete o di che cosa dovete dire, giacché lo Spirito Santo vi insegnerà, in quel momento, come bisognerà parlare" (Lc 12,11s). Sarebbe infatti impossibile rendere testimonianza a Cristo, se non la si rendesse nello Spirito Santo. Se è vero, infatti, che "nessuno è in grado di dire «Signore Gesù», se non è in virtù dello Spirito Santo" (1Co 12,3), chi mai potrebbe offrire addirittura la propria vita per Gesù, se non nello Spirito Santo?

       Cirillo di Gerusalemme, Catech. 16, 11-12, 16. 19-21


2. I tre tipi di azione dello Spirito Santo in noi

       Celebriamo oggi, carissimi, la solennità dello Spirito Santo, solennità che merita di essere celebrata in pienezza di gioia e con ogni devozione. Poiché lo Spirito Santo è la suprema dolcezza di Dio, è la benevolenza di Dio, è Dio stesso. Perciò, se celebriamo le feste dei Santi quanto più dovremo celebrare colui dal quale ebbero il dono di essere santi tutti coloro che tali sono stati? Se veneriamo coloro che sono stati santificati, quanto più dovremo onorare il santificatore? Oggi è la celebrazione dello Spirito Santo, o di quella discesa per cui l’invisibile apparve visibile; come il Figlio, che, pur essendo invisibile in se stesso, si degnò di mostrarsi visibile nella carne umana. Oggi lo Spirito Santo ci rivela qualche cosa di se stesso, come prima conoscevamo qualche cosa del Padre e del Figlio: la perfetta conoscenza della Trinità è la vita eterna. Ora conosciamo solo in parte; ciò che non riusciamo a comprendere, lo accettiamo per fede...

       Prima lo Spirito invisibile manifestava il suo arrivo con segni visibili: quanto più poi i segni sono spirituali, tanto più sono convenienti allo Spirito Santo. Discese allora sopra i discepoli in lingue di fuoco, perché dicessero parole di fuoco nelle lingue di tutte le genti e predicassero una legge di fuoco con lingua di fuoco. Nessuno si lamenti che tale manifestazione dello Spirito non venga fatta a noi: la manifestazione dello Spirito è fatta a ciascuno a seconda dell’utilità (1Co 12,7). Ma veramente questa manifestazione è stata fatta più a noi che agli apostoli. A che servirono infatti a loro le lingue, se non per la conversione delle genti? Ci fu in loro una ben altra manifestazione più propriamente loro: e questa ancor oggi si rivela a noi. È evidente, infatti, che dovettero essere rivestiti di potenza dall’alto quei tali che, da una così grande pusillanimità di spirito, pervennero poi a così meravigliosa costanza. Non fuggono più, non si nascondono più per paura dei Giudei; è più forte il loro coraggio nel predicare, che non sia stata la loro paura nel nascondersi. E che quel mutamento sia dovuto alla destra dell’Altissimo lo dice chiaramente la paura del principe degli Apostoli, che trema alle parole d’una serva, ma poi diventa forte sotto i flagelli del sinedrio: "Se ne andavano via dal sinedrio pieni di gioia, perché erano stati ritenuti degni di subir ignominia per il nome di Gesù" (Ac 5,11). Eppure, mentre Gesù era condotto innanzi al sinedrio, eran tutti fuggiti e l’avevan lasciato solo. Chi può mettere in dubbio la discesa dello Spirito veemente, che fortificò le loro menti con invisibile potenza? Così anche oggi le cose che lo Spirito opera in noi danno testimonianza della sua presenza.

       Bernardo di Chiarav., Sermo I, in Sp. Sanct., 1 s.


3. La Chiesa e il dono delle lingue

       Vediamo ora perché fosse segno della presenza dello Spirito Santo il fatto che coloro che l’avevano ricevuto parlassero tutte le lingue. Anche oggi, infatti, si riceve in dono lo Spirito Santo, tuttavia coloro che lo ricevono non parlano tutte le lingue. Bisogna rendersi conto, fratelli carissimi, che è lo Spirito Santo, per il quale la carità si diffonde nei nostri cuori. E poiché la carità avrebbe dovuto raccogliere insieme la Chiesa da tutte le parti del mondo, ciò che, allora, un solo uomo, ricevendo lo Spirito Santo, poteva dire in tutte le lingue, ora, la stessa unità della Chiesa, radunata dallo Spirito Santo, lo può dire in tutte le lingue. Perciò, se uno dicesse a qualcuno dei nostri: «Hai ricevuto lo Spirito Santo, perché non parli in tutte le lingue?» gli si potrebbe rispondere: «Ma parlo in tutte le lingue, perché faccio parte di quel corpo di Cristo, cioè di quella Chiesa, che parla in tutte le lingue». Che altro, infatti, Dio volle significate con la presenza dello Spirito Santo, se non la sua Chiesa che avrebbe parlato in tutte le lingue?

       Si è compiuto, dunque, ciò che Dio aveva promesso: "Nessuno mette il vino nuovo in otri vecchi, ma si mette il vino nuovo in otri nuovi, così si mantengono il vino e gli otri" (Mt 9,17). Giustamente, allora, quando si sentirono gli Apostoli parlare in tutte le lingue, alcuni dissero: "Ma costoro son pieni di vino" (Ac 2,12). Difatti, erano diventati otri nuovi, rinnovati dalla grazia della santità, in modo che ripieni di vino nuovo, cioè di Spirito Santo, ribollissero parlando in tutte le lingue e con un miracolo evidentissimo preannunziassero la Chiesa cattolica, che si sarebbe diffusa per tutte le lingue...

       Celebrate allora questo giorno come membra dell’unità del corpo di Cristo. Non sarà inutile la celebrazione, se è questo ciò che celebrate, stringendovi a quella Chiesa, che il Signore riempie di Spirito Santo e, mentre cresce in tutto il mondo, egli la riconosce come sua e lui è riconosciuto da lei. Lo sposo non perde la sua sposa e nessuno gliene sostituisce un’altra. A voi tutti raccolti insieme come Chiesa di Cristo, come membra di Cristo, a voi corpo di Cristo, sposa di Cristo, l’Apostolo dice: "Sopportandovi l’un l’altro nella carità, sforzandovi a vicenda di conservare l’unità dello Spirito nel vincolo della pace " (Ep 4,2-3). Notate che dove ordinò di sopportarci scambievolmente, ivi ha posto la carità; dove ha fatto cenno dell’unità, ivi ha mostrato il vincolo della pace. Questa è la casa di Dio fatta di pietre vive, nella quale piace di abitare a un tal padre di famiglia, i cui occhi non devono essere offesi dalle rovine della divisione.

       Fulgenzio di Ruspe, Sermo, 8, 2


4. Discorso sulla consacrazione episcopale

       Invero, la Chiesa universale di Dio è ordinata in gradi distinti gli uni dagli altri, affinché il suo santo corpo custodisca la propria integrità per l’apporto delle diverse membra; tutti, peraltro - come dice l’Apostolo - "siamo uno in Cristo" (Ga 3,28)...

       Nell’unità della fede e del battesimo (Ep 4,5), la società che tra noi formiamo, carissimi, non presenta screzi ed è identica la dignità di tutti, secondo la buona novella annunciata dal beatissimo apostolo Pietro, con parole sacrosante: "E voi stessi, come pietre vive siete impiegati per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo"; e poco dopo: "Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato" (1P 2,5 1P 2,9). In effetti, il segno della croce ha fatto di tutti i rigenerati in Cristo altrettanti re; l’unzione dello Spirito Santo li consacra come sacerdoti, affinché al di là dello specifico servizio del nostro ministero, tutti i cristiani spirituali e in coerenza con la propria ragione sappiano di essere di stirpe regale e di essere associati alla funzione sacerdotale. Cosa c’è infatti di più regale per un’anima del governare il proprio corpo in sottomissione a Dio? E cosa c’è di più sacerdotale del votare al Signore una coscienza pura e di offrirgli sull’altare del proprio cuore le vittime senza macchia della pietà? (1P 2,5).

       Essendo ciò divenuto comune a tutti per grazia di Dio è atto religioso e meritevole di elogio da parte vostra che vi rallegriate nel giorno della nostra elezione, come si trattasse di un vostro onore personale; cosicché, è in tutto il corpo della Chiesa che si celebra l’unico sacramento di Pontefice, diffuso più abbondantemente, per effetto dell’unguento della benedizione, nelle membra superiori, ma che non ridiscende in minor misura nelle inferiori.

       Leone Magno, Sermo 95, De natali ipsius, 4, 1





Lezionario "I Padri vivi" 99