Lezionario "I Padri vivi" 51

XI Domenica

51 Letture:
    
Ex 19,2-6a
     Rm 5,6-11
     Mt 9,36-38 Mt 10,1-8

1. «Vedute le turbe, ebbe compassione»

       "E vedute le turbe, ne ebbe compassione, perché erano travagliate e abbattute come pecore senza pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è molta, pochi gli operai. Pregate dunque il padrone della messe, che mandi operai nella sua messe»" (Mt 9,36-38). Osservate: anche in questa circostanza Gesù rifugge dalla vanagloria. Egli preferisce mandare a questa folla i suoi discepoli, per non richiamar su di sé l’attenzione di essa. E non solo per tale motivo, ma anche per addestrare loro. La Palestina sarà lo stadio in cui i discepoli si allenano per prepararsi ad affrontare i combattimenti in tutta la terra. Perciò fa loro superare prove sempre più dure in quanto la loro virtù lo permette, affinché possano più facilmente dopo tale addestramento sostenere le future battaglie. Egli li manda fuori dal nido come teneri uccellini perché imparino a volare. Li fa dapprima medici dei corpi dando loro il potere di guarire, e più avanti affiderà loro la cura, più importante, delle anime. Notate come mostra nello stesso tempo la felicità e la necessità della loro missione. Che dice, infatti? «La messe è molta, pochi gli operai». Dichiara cioè, che non li manda a seminare, ma solo a raccogliere una messe già pronta. Nel Vangelo di Giovanni, Gesù dice la stessa cosa: "Altri hanno lavorato, e voi siete sottentrati nel loro lavoro" (Jn 4,38). Parla in questo modo perché non si inorgogliscano, e per dar loro fiducia: mostra, infatti, che la maggior parte del lavoro è già stata compiuta. Dobbiamo rilevare, inoltre, che anche in questa circostanza egli agisce spinto dal suo amore per gli uomini e non per rendere un ricambio dovuto: «Vedute le turbe, ne ebbe compassione, perché erano travagliate e abbattute come pecore senza pastore». Sono parole queste che ricadono come un’accusa sui capi dei Giudei, i quali, benché fossero i pastori del popolo si comportavano come i lupi. Non solo essi non correggevano gli errori della moltitudine, ma si opponevano a qualunque suo progresso. Vediamo, infatti, che quando la folla, ammirata dei miracoli di Gesù, proclama di non aver mai visto cosa simile in Israele, essi dichiarano al contrario che egli scaccia i demoni in virtù del principe dei demoni. Ma chi sono gli operai di cui parla Gesù? Evidentemente i dodici apostoli. E tuttavia dopo aver detto che «sono pochi», manda forse altri discepoli con loro? No, affatto, ma invia soltanto loro alla moltitudine. Perché allora invita a pregare il padrone della messe affinché mandi altri operai ed egli personalmente non ne manda che dodici? Ma se essi erano soltanto dodici, Gesù seppe moltiplicarli, non aumentandone il numero, ma comunicando loro la sua potenza e la sua grazia.

       «Pregate, dunque, il padrone della messe». Con queste parole fa loro intendere quale grande dono sta per fare, e insieme lascia intravedere che egli stesso ha tale potere. Infatti, dopo aver dato questo avvertimento, senza che essi abbiano in precedenza rivolto una preghiera o una richiesta, egli subito li consacra apostoli, richiamando alla loro mente le parole di Giovanni, l’aia, il ventilabro, la paglia e il buon grano. Tutto questo mostra chiaramente che egli è l’agricoltore e insieme il padrone della messe e il Signore dei profeti che l’hanno seminata. È fuor di dubbio che, inviando gli apostoli a raccogliere la messe, non li invia a mietere la messe di un altro ma ciò che egli stesso ha seminato per mezzo dei profeti.

       E non si limita a dar coraggio ai discepoli mostrando che il loro lavoro, il loro ministero consiste nella mietitura di una messe già pronta, ma anche li rende atti a questo ministero. "E chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere di scacciare gli spiriti immondi, e di guarire ogni malattia e ogni infermità" (Mt 10,1). Lo Spirito Santo, tuttavia, non era ancora disceso sugli apostoli, lo Spirito Santo non era ancora stato donato, perché Gesù non era stato ancora glorificato (Jn 7,39). Come potevano, allora, gli apostoli scacciare i demoni? Lo potevano grazie al comando e all’autorità di Cristo. Notate, inoltre, come è opportuno il momento scelto dal Signore per la loro missione. Gesù non li invia a predicare prima, quando essi avevano appena cominciato a seguirlo, ma solo dopo che l’hanno seguito e sono stati sufficientemente insieme con lui; dopo che lo hanno visto risuscitare una persona morta, dare ordini al mare infuriato, scacciare i demoni, sanare il paralitico, rimettere i peccati, guarire il lebbroso. Li invia a predicare e a compiere miracoli, solo dopo aver offerto loro sufficienti prove della sua potenza, sia con le parole sia con le opere. E non li espone subito ad azioni pericolose - essi allora non avevano ancora niente da temere in Palestina. Avrebbero dovuto difendersi soltanto dalle ingiurie e dalle calunnie. Ma preannunzia che dovranno affrontare rischi in futuro, preparandoli anche prima del tempo e facendoli diventare coraggiosi lottatori con la frequente predizione di tali pericoli...

       "Sono questi i dodici apostoli che Gesù inviò" (Mt 10,5). Chi sono questi dodici? Sono pescatori e pubblicani; quattro di essi infatti erano pescatori e due pubblicani, cioè Matteo e Giacomo; e uno di loro era anche traditore.

       Che cosa dice Cristo agli apostoli? Subito dà loro un avvertimento, dicendo. "Non andate tra i gentili, e non entrate in città di samaritani; ma andate prima alle pecore sperdute della casa d’Israele" (Mt 10,5-6). Non crediate - sembra dire - che io nutra odio e abbia avversione nei confronti dei Giudei che mi ingiuriano e dicono che opero i miracoli per virtù del demonio. Anzi, sono proprio i Giudei che ho cercato di convertire per primi e ora, distogliendovi da tutti gli altri, vi mando a loro come maestri e medici. Non soltanto vi proibisco di predicare ad altri prima che ai Giudei, ma non vi permetto neanche di prendere la strada che porta altrove e non acconsento neppure che entriate nelle città dei Samaritani...

       "Cammin facendo predicate: «È vicino il regno dei cieli»" (Mt 10,7). Considerate la dignità degli apostoli e la grandezza del loro ministero? Gesù non comanda loro di predicare l’avvento di qualcosa di terreno o di sensibile e neppure quanto avevano un tempo predicato Mosè e i profeti; essi devono predicare realtà nuove e al di là di ogni aspettativa. I profeti promettevano soltanto la terra e i beni terreni: gli apostoli annunziano invece il regno dei cieli, e tutti i beni che ad esso appartengono. Non è poi la superiorità della loro predicazione che pone gli apostoli su un piano più alto dei profeti, ma è l’obbedienza pronta che essi manifestano a Cristo. Non tentano di sottrarsi al loro compito, non cercano di resistere agli ordini divini, come tentarono di fare alcuni degli antichi. Nonostante essi conoscano i pericoli, le lotte e gli intollerabili mali che dovranno sopportare, non esitano a obbedire con completa sottomissione a quanto vien loro ordinato, come appunto debbono fare i predicatori del regno dei cieli. Ma cosa c’è da stupirsi - voi mi direte - se essi obbediscono subito, senza difficoltà, dal momento che non devono annunziare niente di doloroso e di triste? Ma che dite? La loro missione non era difficile? Non avete forse sentito parlare del carcere, delle torture, della guerra da parte dei loro connazionali, dell’odio universale e di tutte le altre sciagure che cadranno sopra gli apostoli? Gesù li manda come messaggeri per promettere agli altri infiniti beni, ma promette e preannunzia loro soltanto tribolazioni e sofferenze.

       Per far sì che essi abbiano pieno credito ovunque, dice loro: "Sanate infermi, risuscitate morti, mondate lebbrosi, scacciate demoni; gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" (Mt 10,8). Notate: Gesù ha cura di formarli non meno che di far compiere loro quei miracoli; perciò mostra loro che i prodigi non sono niente se non sono accompagnati da una vita onesta: «Gratuitamente avete ricevuto «- egli dice -» gratuitamente date». Con queste parole reprime la loro vanità e provvede a tenerli lontani dall’avidità dei beni.

       Perché non pensino che così grandi miracoli siano opera loro, e quindi non se ne glorino, egli sottolinea: «Gratuitamente avete ricevuto»: cioè voi non darete niente di vostro a coloro che riceveranno la vostra opera, e i miracoli che compirete non saranno frutto e ricompensa delle vostre fatiche. È per mia grazia che li farete; e questa grazia ricevuta da me gratuitamente, gratuitamente dovrete distribuirla agli altri. D’altra parte non è possibile trovare e ottenere un prezzo degno dei doni che voi darete.

       Crisostomo Giovanni, In Matth. 32, 2-4


2. «Rivolgetevi prima alla casa d’Israele»

       Essendo noto a tutti, fratelli carissimi, che il nostro Redentore è venuto al mondo per la salvezza dei pagani, e che continuamente ha chiamato alla fede i Samaritani, come mai, mandando i discepoli a predicare, dice: "Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; ma andate piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele" (Mt 10,5-6)? Lo capiamo da ciò che è detto alla fine: [Gesù] volle che si predicasse prima ai soli Giudei, e poi a tutti i pagani, affinché mentre quelli, chiamati, rifiutavano di convertirsi, dei santi predicatori andassero a chiamare i pagani, dal momento che la predicazione del nostro Redentore, respinta dai suoi, si rivolgeva a popoli pagani e stranieri; e ciò che per i Giudei era una testimonianza, diventava per questi pagani un accrescimento di grazia. C’erano infatti allora dei Giudei che dovevano essere chiamati, mentre i pagani non dovevano esserlo. Infatti, anche negli "Atti degli Apostoli" leggiamo che alla predicazione di Pietro credettero prima tremila Ebrei e poi cinquemila (Ac 2,11 Ac 4,4). Quando gli apostoli vollero predicare ai pagani d’Asia, è detto che fu loro impedito (Ac 16,6); e tuttavia lo stesso Spirito che prima aveva vietato questa predicazione, la infuse lui stesso nei cuori degli abitanti dell’Asia. Per questo tutta l’Asia ormai crede da molto tempo. Ecco perché in un primo tempo proibì ciò che in seguito fece, perché allora vivevano in essa alcuni che non dovevano essere salvati. Allora vivevano in essa alcuni che non meritavano di essere richiamati alla vita, e che però non meritavano neppure di essere giudicati più severamente per aver disprezzato la predicazione. Per un preciso e occulto giudizio divino, la santa predicazione può essere negata alle orecchie di certi uomini che non meritano di essere svegliati alla grazia. Perciò è necessario, fratelli carissimi, che in ogni cosa che facciamo nutriamo il timore delle occulte decisioni di Dio onnipotente su di noi, affinché, mentre l’anima nostra, perdendosi nelle dissipazioni esterne, va in cerca del suo piacere, non avvenga che il Giudice le prepari all’interno terribili castighi. È ciò che vede bene il Salmista, allorché dice: "Venite e osservate le opere del Signore, quanto è terribile nei suoi disegni sopra i figli degli uomini" (Ps 45,9 Ps 45,5). Vide infatti che uno è misericordiosamente chiamato, un altro, a motivo della giustizia, è respinto. E poiché il Signore a volte agisce con indulgenza, a volte con severità, si spaventa perché non può capire; e chiama terribile nei suoi disegni Colui che aveva conosciuto non solo incomprensibile, ma anche inflessibile in certe sue decisioni.

       Gregorio Magno, Hom. 4, 1


3. La sproporzione della messe

       "«La messe è veramente molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe»" (Mt 9,38). La messe abbondante indica la moltitudine dei popoli; i pochi operai rappresentano la penuria di maestri. Egli ordina di pregare il Signore della messe perché mandi operai nella sua messe. Si tratta degli stessi operai di cui parla il Salmista: "Coloro che seminano nelle lacrime, mietono nella gioia. Nell’andare, andavan piangendo, recando i loro semi. Nel tornare verranno pieni di esultanza, portando i loro covoni" (Ps 126,6). Per parlare più chiaramente, la messe abbondante rappresenta tutto il popolo dei credenti. Ma pochi sono gli operai, cioè gli apostoli e i seguaci di coloro che vengono mandati nella messe.

       Girolamo, In Matth. I, 9, 37




XII Domenica

52 Letture:
    
Jr 20,10-13
     Rm 5,12-15
     Mt 10,26-33

1. È Dio che dà la forza per credere

       Ecco perché il Salmista, dicendo profeticamente: "Dio è mirabile nei suoi santi", aggiunge: "Egli darà forza e vigore al suo popolo" (Ps 67,36). Considerate con intelligenza la forza dei sermoni profetici; in effetti, a tutto il suo popolo - dice il salmo - Dio darà in verità forza e vigore, infatti, presso Dio non si fa preferenza di persone; però è solo nei suoi santi che Egli è mirabile.

       Infatti, sebbene il sole diffonda copiosamente e uniformemente su tutti i suoi raggi, li vedono in verità solo coloro che non tengono gli occhi chiusi; fruiscono della pura luce coloro che per la purezza degli occhi guardano acutamente, e non coloro ai quali per malattia, per caligine o per qualche altro inconveniente il potere visivo rimane debole; così pure, Dio spande su tutti le ricchezze della sua grazia, Egli infatti è la fonte della salvezza e della luce dalla quale perennemente fluiscono misericordia e clemenza. Fruiscono però della sua forza e grazia per l’esercizio e la perfezione delle virtù, od anche per operare miracoli, non tutti indistintamente, bensì coloro che, conseguito il buon proposito, presentano a Dio frutti di carità e di opere, quelli che per nulla sviati da azioni turpi, che aderiscono davvero e saldamente allo stesso sole di Giustizia che è Cristo, egli che non soltanto invisibilmente stende il braccio dell’aiuto celeste ai combattenti, ma si fa ascoltare attraverso l’esortazione del Vangelo, quando dice: "Chi dunque mi avrà riconosciuto davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli" (Mt 10,32). Vedete come, in alcun modo possiamo dichiarare la nostra fede in Cristo e confessarlo pubblicamente, se non avremo ricevuto da lui forza e cooperazione? Né il Signore nostro Gesù Cristo si pronuncerà in nostro favore nel secolo venturo, né ci presenterà e introdurrà al Padre altissimo, se non gliene avremo dato il modo...

       In realtà, chiunque tra i santi, benché servo di Dio, proclamò la sua confessione in questa vita temporale, e davanti ad uomini mortali, e oltretutto per un breve momento del secolo presente e davanti a pochi uomini mortali. Nostro Signore Gesù Cristo, invece, ed essendo Dio e Signore del cielo e della terra, ci riconoscerà in quell’eterno e perenne mondo, davanti a Dio e Padre, alla presenza degli angeli, degli arcangeli e di tutte le celesti potestà, presenti tutti gli uomini da Adamo fino alla fine del mondo: tutti infatti risorgeranno e staranno davanti al tribunale di Cristo. E allora, davanti a tutti i presenti, a tutti coloro che vedranno, Egli predicherà, glorificherà e coronerà coloro che avranno dimostrato fede in lui sino alla fine.

       Gregorio Palamas, Homilia XXV


2. Il timore di Dio

       "E non temete coloro che uccidono il corpo, ma che non possono uccidere l’anima; temete piuttosto colui che può e anima e corpo mandare in perdizione alla Geenna" (Mt 10,28)... Voi temete la morte e questo timore vi trattiene dal predicare? Ebbene, proprio perché temete la morte dovete predicare, poiché solo ciò potrà salvarvi dalla morte vera. Anche se i vostri nemici vi uccideranno, per quanti sforzi facciano, non potranno toccare la più nobile parte di voi. Per questo egli non afferma che questi nemici non uccidono l’anima, ma dichiara esplicitamente che essi «non possono» ucciderla, per dimostrare che anche se lo volessero non potrebbero farlo. Dunque, se temete il supplizio, temete quello che è più terribile. Vedete che anche qui Gesù non promette ai suoi discepoli di liberarli dalla morte, ma permette che essi muoiano per largire loro grazie ben più grandi di quelle che avrebbero ottenute se egli avesse evitato loro questo estremo dolore. È certo molto più grande convincere gli uomini a disprezzare la morte, anziché liberarli da essa. Vedete quindi che Cristo non abbandona i suoi apostoli nel mezzo del pericolo, ma dona loro un coraggio assai più forte di qualsiasi pericolo. Con brevi parole infonde in loro le verità riguardanti l’immortalità dell’anima, con due o tre espressioni incide profondamente nel cuore dei suoi discepoli la dottrina della salvezza e con altri argomenti li consola.

       Per evitare, infatti, che essi si credano abbandonati da Dio nel momento in cui si troveranno in mezzo ai tormenti e al cospetto della morte, introduce di nuovo il suo insegnamento sulla provvidenza di Dio...

       Se voi temete un uomo che dispone del potere di darvi la morte, quanto più dovete temere colui che può perdere la vostra anima e il vostro corpo, precipitandoli ambedue all’inferno. Non dice chiaramente di essere lui che può perdere l’anima e il corpo gettandoli nella Geenna, ma è facile trarre questa conseguenza da quanto ha detto prima, quando ha manifestato di essere il Giudice del mondo. Malgrado tutte queste esortazioni, noi facciamo ora il contrario di quanto comanda Cristo. Noi non abbiamo timore di chi può perdere le nostre anime, e temiamo invece coloro che uccidono il corpo. Eppure Dio può punire nello stesso tempo l’anima e il corpo, mentre gli uomini non solo non possono nuocere alla nostra anima, ma neppure ai nostri corpi . Essi possono, è vero, sottoporre a infiniti supplizi i nostri corpi, ma così facendo li rendono assai più gloriosi.

       Crisostomo Giovanni, In Matth. 34, 2 s.


3. La gloria e l’eroe cristiano

       A questa passione dunque senza dubbio è meglio resistere che acconsentire. Si è infatti tanto più simili a Dio quanto più si è immuni da questa colpa. Ed anche se nella vita presente non si estirpa completamente dal cuore, perché non cessa di tentare anche le coscienze che fanno buoni progressi, si superi per lo meno la passione della gloria con l’amore alla giustizia. E se in certi casi rimangono neglette le attività che sono disapprovate dall’opinione pubblica, se esse sono buone e oneste, anche l’amore della fama abbia il pudore di cedere all’amore della verità. Il vizio in parola infatti è molto contrario alla fede religiosa se nella coscienza è maggiore la passione della gloria che il timore e l’amore di Dio. In proposito ha detto il Signore: "Come potete credere se cercate la gloria l’un dall’altro e non cercate la gloria che viene soltanto da Dio?" (Jn 5,44). Per lo stesso motivo ha detto un Evangelista nei confronti di alcuni che avevano creduto nel Cristo ma temevano di confessarlo apertamente: "Hanno amato di più la gloria degli uomini che quella di Dio" (Jn 12,43). I santi Apostoli non si comportarono così. Essi predicavano il cristianesimo dove esso era disapprovato secondo le parole di Cicerone: "Rimangono sempre neglette le attività che sono disapprovate dall’opinione pubblica". In alcuni luoghi anzi esso era oggetto di grandissima esecrazione. Ma essi tenevano presente ciò che avevano udito dal divino Maestro che è anche medico delle coscienze: "Se qualcuno mi rinnegherà davanti agli uomini, lo rinnegherò anche io davanti al Padre mio che è nei cieli o anche davanti agli angeli di Dio" (Mt 10,33 Lc 12,9). Quindi fra le maledizioni e gli insulti, fra gravissime persecuzioni e pene crudeli non si lasciavano distogliere dalla predicazione della salvezza umana per timore dello strepito della disapprovazione umana. E conseguirono nella Chiesa di Cristo una gloria straordinaria appunto perché affermavano una dottrina divina con l’azione, la parola e la vita disarmando con la loro condotta i cuori duri e facendo intravedere la pace della giustizia. Ma essi non si fermavano alla gloria come a un obiettivo della propria vita ma la riferivano alla gloria di Dio, perché con la sua grazia erano quel che erano. Ed anche con questo stimolo accendevano coloro di cui si prendevano cura, affinché anche i proseliti fossero quali essi erano.;

       Agostino, De civit. Dei, 5, 14


4. Due passeri si vendono per un soldo

       "Due passeri si vendono per un soldo"; «due passeri «, e non uno. Egli ha voluto significare il poco valore del passero. Le cose che hanno maggior valore si vendono al pezzo, mentre quelle che sono comuni si vendono alla rinfusa, tipo le olive. "E nessuno di loro cade a terra senza vostro Padre". Se non si toccano questi passeri che non valgono gran che e non sono che ombra, e se egli non ha detto: Senza Dio, bensì: «Senza vostro Padre», questa provvidenza del Padre per le piccole cose non ci si pone forse come un esempio della sollecitudine di ben altre proporzioni del suo amore nei nostri confronti?

       Efrem, Diatessaron, 10, 12


5. Accettare la volontà di Dio negli avvenimenti

       Ma i nostri eventi non si svolgono senza la provvidenza: come abbiamo imparato nel Vangelo, neppure un passero cade a terra senza la volontà del nostro Padre (Mt 10,29). Quando qualcosa succede, succede per volontà del nostro Creatore. Chi può opporsi alla volontà di Dio? Accettiamo gli eventi: con l’impazienza non correggiamo ciò che è avvenuto e piuttosto roviniamo noi stessi: non accusiamo il retto giudizio di Dio. Non siamo saggi abbastanza per giudicare i suoi disegni arcani. Ora il Signore mette alla prova il tuo amore per lui.

       Basilio il Grande, Epist. 6


6. Nell’anima è tutto il nostro essere

       L’anima nostra dunque è a immagine di Dio. In essa, o uomo, è tutto il tuo essere, perché senza di lei tu sei nulla, o al più sei terra e in terra ritornerai. Affinché tu possa riconoscere che il corpo senza l’anima è nulla, sta scritto: "Non temete coloro che possono uccidere il corpo, ma non possono uccidere l’anima!" (Mt 10,28). Che cosa presumi mai tu, col corpo, se con la perdita del corpo nulla tu perdi? Abbi timore, dunque, di perdere ciò che è l’aiuto dell’anima! Cosa infatti può dare l’uomo in cambio della sua anima, in cui è non solo una parte limitata del suo io, ma la totalità intera dell’essenza umana? È ben essa quella per cui tu domini su tutte le altre specie di animali, fiere ed uccelli. Essa è a immagine di Dio, il corpo invece è formato sul modello degli animali. Essa porta il divino suggello della somiglianza a Dio, il corpo invece porta i tratti inferiori delle bestie e delle fiere.

       Ambrogio, Hexamer. 6, 39.42-43




XIII Domenica

53 Letture:
    
2R 4,8-11 2R 4,14-16a
     Rm 6,3-4 Rm 6,8-11
     Mt 10,37-42

1. I diritti esclusivi di Gesù

       "Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me; e chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me. E chi non prende la sua croce e viene dietro a me, non è degno di me" (Mt 10,37-38). Notate la dignità e l’autorità del Maestro. Vedete come egli dimostra di essere il Figlio unico e legittimo del Padre, ordinando agli uomini di rinunziare a tutto e di anteporre l’amore per lui a ogni cosa. Non vi ordino soltanto -egli dice in sostanza - di preferire me ai vostri amici o ai vostri parenti. Vi ordino qualcosa di più, vi dico cioè che se preferite la vostra anima, la vostra vita all’amore che mi dovete, siete ben lontani dall’essere miei discepoli...

       E se Paolo raccomanda con tanta cura ai figli di essere sottomessi ai genitori, non stupitevene. Egli ordina di obbedire ai genitori solo in quelle cose che non offendono l’amore di Dio. È santo rendere ai genitori tutto l’onore e la deferenza che loro è dovuta. Ma se essi esigono da noi quanto non è loro dovuto, non si deve obbedir loro. Ecco perché Luca, citando le parole di Gesù, scrive: "Se uno viene a me senza disamare il proprio padre e la madre, la moglie e i figli, i fratelli, e persino la propria vita, non può essere mio discepolo" (Lc 14,26). Cristo non comanda di non amare in senso assoluto, perché ciò sarebbe del tutto ingiusto; ma se i genitori e i parenti esigessero per sé un amore più grande di quello che nutriamo per lui, egli dice di detestarli per tale motivo. Questo amore non ordinato, infatti, perderebbe sia colui che ama sia coloro che sono così amati.

       Gesù parla in tal modo per rendere al tempo stesso i figli più forti, quando è in causa l’amore di Dio, e i genitori, che volessero ostacolarli, più miti e ragionevoli. Costatando che Dio ha tale forza e potenza da attirare a sé i figli degli uomini, separandoli dai loro genitori, questi ultimi desisteranno dall’opporsi, ben comprendendo che tutti i loro sforzi in tal senso sarebbero inutili. Ecco perché in questo passo Gesù si rivolge solo ai figli, e non indirizza le sue parole anche ai padri, i quali, però, dalle sue parole sono avvertiti di non tentare mai di allontanare da Dio i loro figli trattandosi di impresa impossibile. Ma affinché i padri non rimangano indignati e non si ritengano offesi da questo comando ch’egli rivolge ai giovani, osservate come prosegue il suo discorso. Dopo aver detto «Se uno viene a me senza disamare il proprio padre e la madre» aggiunge subito «e persino la propria vita». Credete voi - egli dice in sostanza - che io vi chieda soltanto di rinunziare ai vostri genitori, ai vostri fratelli, alle vostre sorelle, alle vostre spose? Non c’è niente di più strettamente unito all’uomo della sua vita: ebbene, se non giungerete a disprezzare anche quella, io non vi considererò né vi tratterò certo da amici, ma in modo del tutto contrario. E non chiede ai suoi discepoli solo di disprezzare la propria vita, ma ingiunge loro di esporla alla guerra, alle lotte, all’uccisione, al sangue.

"Chi non porta la sua croce e viene dietro a me, non può essere mio discepolo" (Lc 14,27). Vuole insomma che noi siamo pronti non solo alla morte, ma anche a una morte violenta e persino alla più ignominiosa di tutte le morti. Non parla ancora ai discepoli della sua passione, volendo che, ammaestrati prima da tali insegnamenti, più facilmente siano pronti ad accettarla quando dovranno sentirne parlare. Come è possibile non ammirare il fatto che l’anima degli apostoli, dopo tali predizioni, non si sia staccata dal corpo, dato che nel tempo presente si preparavano per loro solo dolori e sofferenze, mentre la felicità che attendevano era solo nelle loro speranze? Come hanno fatto a non scoraggiarsi e a non perdersi d’animo? Non possiamo trovare altra spiegazione per questo straordinario fatto se non la straordinaria potenza del Maestro e il grande amore dei discepoli. Queste sono le ragioni per cui, pur vedendosi destinati a soffrire tribolazioni ben più aspre e terribili di quelle subite da grandi uomini quali furono Mosè e Geremia, rimasero fedeli e si mostrarono pronti ad affrontarle senza obiettare ed opporsi minimamente.

       "Chi fa risparmio della sua vita la perderà, chi invece la perde per causa mia, la ritroverà" (Mt 10,39). Vedete quale danno subiscono coloro che amano troppo la loro vita, e quale guadagno ottengono coloro che sanno disprezzarla e perderla? Poiché Cristo comanda ai suoi apostoli cose tanto difficili, come la rinunzia ai genitori, ai figli, alla natura, alla parentela, a tutti i beni, a tutti gli affetti terreni e alla vita stessa, stabilisce anche una ricompensa, che è grandissima. Ciò a cui vi sottoponete - egli dice - non solo non vi danneggerà ma, al contrario, vi arrecherà un immenso vantaggio tanto che il peggior male che potrebbe capitarvi sarebbe proprio rinunziare a soffrire tutte queste tribolazioni. Ripetendo un’argomentazione che gli è familiare, si serve dei loro desideri per persuaderli e stimolarli. Perché non volete rinunziare alla vostra vita? Non è forse perché l’amate? Ebbene, egli conclude, se l’amate, disprezzatela, perché allora le gioverete immensamente e dimostrerete veramente di amarla.

       Crisostomo Giovanni, In Matth. 35, 1 s.


2. Ciò che Dio prepara per chi lo ama

       Lo stesso Nostro Signore ha detto agli apostoli: Non solo voi, ma colui che abbandona le sue case, o la sua famiglia, o i suoi fratelli, o le sue sorelle, o i parenti, o i figli per causa mia e del mio Vangelo, riceverà il centuplo in questo mondo e la vita eterna in quello venturo (Mt 19,29).

       Chi è colui che dorme al punto tale da non risvegliarsi alla voce di tali promesse? E chi è colui che è morto e non è risuscitato a questo soffio di vita spirituale? E chi è colui che non passerà dalla lentezza alla sollecitudine, nella prospettiva di un tale cammino che fa salire al cielo? E chi è colui che starà attento a non essere disprezzato e ingiuriato ascoltando questa promessa senza pari? E chi è colui che non rinuncerà al mondo intero, anche se gli sia stato dato di possederlo, per assidersi con Dio su un trono? E chi non vorrà compiacersi di scambiare le cose presenti che sono temporali con quelle future che sono eterne? Infatti, anche se le cose che ci è necessario abbandonare fossero uguali a quelle che ci verranno elargite, ci occorrerebbe del pari abbandonarle perché Dio lo ha comandato: abbandonale ora perché sono abiette e spregevoli! Ed anche se non le lasciamo per la parola di Cristo, non sarà necessario divenir loro estranei ed esserne allontanati un giorno? Dato che non servono a nulla, non le scambieremo con qualcosa di utile? Chi non correrà al mercato dove si effettua un tale scambio? In effetti, ecco che si scambiano stracci contro porpora, vili ciottoli contro perle, volgari pietre contro berillo, una povertà senza fine contro una smisurata ricchezza, spregevoli falsi contro oro fino, le tenebre contro la luce, la morte contro la vita, l’amaro contro il dolce, la malattia contro la salute, il disprezzo contro l’autorità, la volgarità contro la grandezza, la corruzione contro l’incorruttibilità, ciò che passa contro ciò che resta, le ombre contro il corpo, la fame contro la sazietà, l’ignoranza contro la scienza, la norma degli animali contro la norma degli angeli, lo stato corporale contro lo stato spirituale, l’infelicità senza fine contro la felicità senza misura, e ancor più, senza interruzione, seppure disponiamo di parole per parlare di tali cose come esse meritano. Chi è colui che non cambierebbe quelle con queste, e non cederebbe tutta quella indigenza per questa pienezza? E poiché la parola dello Spirito, anche se detta con semplicità, è più elevata di tutta la sapienza del mondo, Paolo ci ha rivelato la grandezza di questo scambio con una sola parolina, e ci ha svelato con un solo piccolo termine quanto sono basse le nostre cose e quanto sono invece grandi quelle di Dio: "Ciò che si vede è temporale e ciò che non si vede è eterno" (2Co 4,18). Chi dunque non scambierà ciò che è temporale con ciò che è eterno, se non noi, e i pazzi come noi?

       Quanto a te che rinunci a ciò che si vede, non chiedere come è la ricchezza che riceverai in cambio della tua povertà, ma, al posto di questo, applicati ad abbandonare la tua povertà ed a correre ad acquistare quella ricchezza. Com’è essa e a cosa somiglia? Paolo non ti spiega come è, ma che essa non ha paragone; non come essa è grande, bensì che essa non ha misura: Ciò che occhio non vide e orecchio mai ha udito e ciò che mai entrò in cuore di uomo, è ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano (1Co 2,9 Is 64,4). La grandezza delle ricompense è rivelata da queste parole e da altre simili. Ascolta le voci divine che ti spingono all’uscita dietro a Gesù e alla rinuncia perfetta: è allora che sarai un discepolo completo: "Colui che non rinuncia a tutto ciò che possiede, non può essere mio discepolo" (Lc 14,33). Dopo ciò cos’hai da dire o da rispondere? Tutte le tue curiosità e i tuoi enigmi sono aboliti da una sola parola. La parola della verità è il sentiero sublime sul quale tu procederai. Egli ha ancora detto in un altro passo: "Chi non lascia tutto ciò che ha e non prende la sua croce e mi segue, non può essere mio discepolo" (Mt 10,38). E per insegnarci a rinunciare non solo ai nostri beni per glorificarlo e al mondo per confessarlo, ma altresì alla nostra vita passeggera, egli ha ancora detto: "Se uno non rinuncia a se stesso, non può essere mio discepolo" (Lc 14,26). Ed ha detto inoltre: "Chi vuol salvare la propria vita la perderà, e colui che perderà la propria vita per me la salverà" (Mt 16,25). Ed ha aggiunto ancora: "Chi perde la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita. Se uno mi serve, il Padre mio lo onorerà" (Jn 12,25-26).

       Filosseno di Mabbug, Hom. 9, 327-330


3. Nell’imitare Cristo consiste il sacrificio perfetto

       Offrire un figlio, una figlia, degli animali, delle ricchezze fondiarie: tutto ciò è del tutto esterno a noi. Offrire sé stessi a Dio e piacere a lui non per merito di un altro essere, ma per il proprio: questo sorpassa in perfezione ed in sublimità ogni altro voto. Chi fa questo, è un imitatore del Cristo. È Dio, infatti, ad aver donato all’uomo, perché gli fossero d’utilità, la terra, il mare e tutto ciò ch’essi contengono. È Dio che ha messo a disposizione dell’uomo il cielo, il sole stesso, la luna insieme con le stelle. È lui ad aver elargito agli uomini le piogge, i venti e tutto quanto l’universo contiene. E, come se ciò non bastasse, alla fine egli ha donato se stesso. "Dio, infatti, ha talmente amato il mondo, da donare il suo unico Figlio" (Jn 3,16) per la vita di questo mondo.

       Qual mai gran merito avrà dunque l’uomo ad offrire qualsiasi cosa a Dio che, per primo, «si è sacrificato» per lui? Se perciò tu prendi la tua croce e segui il Cristo (Mt 10,38); se sei in grado di dire: "Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me" (Ga 2,20); se l’anima nostra nutre "il desiderio, la sete di raggiungere e di rimanere con il Cristo " (Ph 1,23), soltanto allora si potrà dire che essa offre se stessa in sacrificio a Dio.

       Origene, Hom. in Num. 24, 2


4. Si deve amare Dio sia nel tempo della persecuzione, sia nella pace e nella quiete

       "Chi ama suo figlio o sua figlia più di me non è degno di me" (Mt 10,37). Questo detto, i fedeli più tiepidi e negligenti pensano che lo si debba attuare solo nel tempo della persecuzione: quasi esistesse un qualche tempo in cui si possa preferire a Dio qualcos’altro o quasi che chi nel tempo della persecuzione ritiene come suo bene più prezioso di tutti Cristo, in ogni altro tempo lo possa considerare un bene più vile. Se le cose stessero così, il nostro amore per Dio lo dovremmo alla persecuzione, non alla fede; e solo allora potremmo qualcosa, quando gli empi ci perseguitano, mentre dobbiamo a Dio un affetto maggiore, o certamente non minore, nella tranquillità che nelle avversità. Dobbiamo infatti amarlo di più per il fatto stesso che non permette che noi siamo afflitti dai mali, mostrando cioè verso di noi l’indulgenza di un padre dolcissimo e tenerissimo, preferendo che nella pace e nella quiete noi mostriamo con opere di bene la nostra fede, piuttosto di farcene dar prova nella persecuzione, con le pene del nostro corpo. Perciò, se nulla si deve a lui preferire quando ci tratta con asprezza, certo non si deve nulla a lui preferire quando, con la sua bontà, più a sé ci lega.

       Salviano di Marsiglia, Epist. 9





Lezionario "I Padri vivi" 51