Lezionario "I Padri vivi" 57

XVII Domenica

57 Letture:
    
1R 3,5 1R 3,7-12
     Rm 8,28-30
     Mt 13,44-52

1. Stimare il Vangelo al di sopra di tutto

       "Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo: l’uomo che l’ha trovato, lo nasconde di nuovo e, fuor di sé dalla gioia, va, vende tutto quanto possiede, e compra quel campo. Inoltre il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; e trovata una perla di gran valore, va, vende tutto ciò che possiede e la compra" (Mt 13,44-46). Come le due parabole del granello di senape e del lievito non differiscono molto tra di loro, così anche le parabole del tesoro e della perla si assomigliano: sia l’una che l’altra fanno intendere che dobbiamo preferire e stimare il Vangelo al di sopra di tutto. Le parabole del lievito e del chicco di senape si riferiscono alla forza del Vangelo e mostrano che esso vincerà totalmente il mondo. Le due ultime parabole, invece, pongono in risalto il suo valore e il suo prezzo. Il Vangelo cresce infatti e si dilata come l’albero di senape ed ha il sopravvento sul mondo come il lievito sulla farina; d’altra parte, il Vangelo è prezioso come una perla, e procura vantaggi e gloria senza fine come un tesoro.

       Con queste due ultime parabole noi apprendiamo non solo che è necessario spogliarci di tutti gli altri beni per abbracciare il Vangelo, ma che dobbiamo fare questo atto con gioia. Chi rinunzia a quanto possiede, deve essere persuaso che questo è un affare, non una perdita. Vedi come il Vangelo è nascosto nel mondo, al pari di un tesoro, e come esso racchiude in sé tutti i beni? Se non vendi tutto, non puoi acquistarlo e, se non hai un’anima che lo cerca con la stessa sollecitudine e con lo stesso ardore con cui si cerca un tesoro, non puoi trovarlo. Due condizioni sono assolutamente necessarie: tenersi lontani da tutto ciò che è terreno ed essere vigilanti. "Il regno dei cieli" - dice Gesù -"è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; e trovata una perla di gran valore, va, vende tutto ciò che possiede e la compra" (Mt 13,45-46). Una sola, infatti, è la verità e non è possibile dividerla in molte parti. E come chi possiede la perla sa di essere ricco, ma spesso la sua ricchezza sfugge agli occhi degli altri, perché egli la tiene nella mano, - non si tratta qui di peso e di grandezza materiale, - la stessa cosa accade del Vangelo: coloro che lo posseggono sanno di essere ricchi, mentre chi non crede, non conoscendo questo tesoro, ignora anche la nostra ricchezza.

       A questo punto, tuttavia, per evitare che gli uomini confidino soltanto nella predicazione evangelica e credano che la sola fede basti a salvarli, il Signore aggiunge un’altra parabola piena di terrore. Quale? La parabola della rete. "Parimenti il regno dei cieli è simile a una rete che, gettata nel mare, raccoglie ogni sorta di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e, sedutisi, ripongono in ceste i buoni, buttando via i cattivi" (Mt 13,47-48). In che cosa differisce questa parabola da quella della zizzania? In realtà anche là alcuni uomini si salvano, mentre altri si dannano. Nella parabola della zizzania, tuttavia, gli uomini si perdono perché seguono dottrine eretiche e, ancor prima di questo, perché non ascoltano la parola di Dio; mentre coloro che sono raffigurati nei pesci cattivi si dannano per la malvagità della loro vita. Costoro sono senza dubbio i più miserabili di tutti, perché, dopo aver conosciuto la verità ed essere stati presi da questa rete spirituale, non hanno saputo neppure in tal modo salvarsi.

       Crisostomo Giovanni, In Matth. 47, 2

2. La parabola delle reti

       In questo mondo perverso, in questi giorni cattivi, in cui la Chiesa si guadagna la sua futura glorificazione con l’umiltà presente, in cui viene ammaestrata dagli stimoli del timore, dai tormenti del dolore, dalle molestie della fatica e dai pericoli della tentazione, in cui ha l’unica gioia della speranza, se gioisce come deve, molti reprobi sono mescolati con i buoni. Gli uni e gli altri vengono raccolti come nella rete di cui parla il Vangelo (Mt 13,47-50), e in questo mondo, quasi fosse un mare, viaggiano tutti insieme raccolti nelle reti, fino a quando giungono alla riva, ove i cattivi vengono separati dai buoni, perché nei buoni, come nel suo tempio "Dio sia tutto in tutti" (1Co 15,28). Ora perciò vediamo che si adempie la voce che diceva nel salmo: "Annunciai e parlai, si son moltiplicati in soprannumero" (Ps 39,6). Ed è ciò che accade da quando, per la prima volta per bocca del suo precursore, e poi per sua propria bocca, [Cristo] ha annunziato e detto: "Pentitevi, perché il regno dei cieli è vicino" (Mt 3,2).

       Agostino, De civit. Dei, 18, 49

3. La perla preziosa è la carità

       Se ricordate, noi già abbiamo affermato, proprio all’inizio della lettura di questa Epistola, che nulla vi è tanto raccomandato quanto la carità. Anche se Giovanni tratta ora questo, ora quest’altro argomento, sempre poi ritorna su questo punto, volendo ricondurre al dovere della carità tutto quello che ha esposto. Vediamo se, anche qui, fa così. Fa’ attenzione a queste parole: "Chi è nato da Dio, non pecca" (1Jn 3,9). Ci domandiamo di quale peccato si tratta; non certo di qualunque peccato, perché saremmo in contraddizione con l’altro passo che dice: "Se diremo di non aver peccato, ci inganniamo e la verità non è in noi (1Jn 1,8)". Voglia allora dirci quale peccato intende, ci istruisca, perché io non venga giudicato temerario nell’asserire che esso è la violazione della carità, come si può ricavare dalle sue stesse parole precedenti: "Chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre accecano i suoi occhi" (1Jn 2,11). Forse ha dato ulteriori spiegazioni affermando esplicitamente che si tratta della carità. Vedete che tutti questi diversi modi di esprimersi portano alla medesima conclusione. "Chiunque è nato da Dio, non pecca, perché in lui rimane il seme di Dio". Il seme di Dio è la parola di Dio, per cui l’Apostolo può dire: "Io vi ho generato per mezzo del Vangelo (1Co 4,15). Quest’ uomo non può peccare, perché nato da Dio". Ma ci dica l’Apostolo in che senso non può peccare. "A questo segno sono riconoscibili i figli di Dio ed figli del diavolo. Chi non è giusto, non viene da Dio ed altrettanto chi non ama il proprio fratello" (1Jn 3,10). È ormai certo chiaro del perché dice: "Chi non ama il proprio fratello". Solo l’amore dunque distingue i figli di Dio dai figli del diavolo. Se tutti si segnassero con la croce, se rispondessero amen e cantassero tutti l’Alleluja; se tutti ricevessero il Battesimo ed entrassero nelle chiese, se facessero costruire i muri delle basiliche, resta il fatto che soltanto la carità fa distinguere i figli di Dio dai figli del diavolo. Quelli che hanno la carità sono nati da Dio, quelli che non l’hanno non sono nati da Dio. È questo il grande criterio di discernimento. Se tu avessi tutto, ma ti mancasse quest’unica cosa, a nulla ti gioverebbe ciò che hai; se non hai le altre cose, ma possiedi questa, tu hai adempiuto la Legge. "Chi infatti ama il prossimo" -dice l’Apostolo - "ha adempiuto la Legge; e, il compimento della Legge è la carità" (Rm 13,8 Rm 13,10). La carità è, a mio parere, la pietra preziosa, scoperta e comperata da quel mercante del Vangelo, il quale per far questo, vendette tutto ciò che aveva (Mt 13,46). La carità è quella pietra preziosa, non avendo la quale nessun giovamento verrà da qualunque cosa tu possegga; se invece possiedi soltanto la carità, ti basterebbe essa sola. Adesso vedi nella fede ma un giorno vedrai direttamente. Se noi amiamo fin da adesso il Signore che non vediamo, come l’ameremo quando lo vedremo direttamente? Ma in quale campo dobbiamo esercitare questo amore? In quello della carità fraterna. Potresti dirmi che non hai mai visto Dio; non potrai mai dirmi che non hai visto gli uomini. Ama dunque il tuo fratello. Se amerai il fratello che tu vedi, potrai contemporaneamente vedere Dio, poiché vedrai la carità stessa, e Dio abita nella carità.

       Agostino, In Ioan. Ep. 5, 7


4. La rete di Dio

Come la Roccia immortale, vivente (1P 2,4),
essa è per la rovina e per il risollevamento (Lc 2,34);
come il Giudice di tutte le anime,
essa si presenta con autorità ammirabile
per maledire e per benedire (Mt 25,34 Mt 25,41);
come il Veggente di cose invisibili,
essa denuncia l’uno e cura l’altro;
essa chiama a sé col loro nome
come il Signore che comanda agli esseri (Ps 147,4).
Come la montagna eterna,
essa è invulnerabile ai colpi degli avversari (Ps 125,1);
essa prende gli uomini spirituali
come una rete inventata dal Grande (Mt 13,47); innocente e infallibile, essa corre sulle tracce del Cristo (Ep 5,24-27)
con una sublime ricchezza, senza confusione,
con ardimento essa tiene alta la testa,
sull’esempio del Lodato.

       Gregorio di Narek, Liber orat. 77, 10


5. Inno primo sulla perla

Un giorno,
Miei fratelli,
Presi una perla,
Vi percepii dei simboli,
Relativi al regno,
Immagini e tipi,
Di quella (divina) Maestà.
Essa divenne una fontana
E io mi ci abbeverai
Dei simboli del Figlio.

RITORNELLO

Beato colui che possiede una perla
Ha confrontato il regno dell’Altissimo! (Mt 13,45).

La collocai, fratelli,
Nel cavo della mano.
Per meglio esaminarla,
Mi disposi a guardarla
Su una sola faccetta.

Però, da tutti i lati,
Non era che faccetta.
Tale è la ricerca del Figlio,
Lui che non si può scrutare,
Poich’Egli è tutta luce.
In questa purezza (della perla)
Io riconosco il Puro
Che non sopporta macchia,
E in tale limpidità

Il grande mistero
Del corpo del Signore,
Che è totalmente puro.
Nella sua indivisione
Riconosco la verità
Che è indivisibile.

È ancora Maria
Che io là scorgevo
E il suo puro concepimento.
Anche la Chiesa
E il Figlio nel suo seno
Come la nube (cf. Ex 13,21)
Che lo porta:
Simbolo del cielo
Donde rifulge
Il suo scoppio risplendente.

Io vidi in lei i trofei,
E delle sue vittorie
E delle sue corone.
Io vidi in lei il suo appoggio
E le risorse sue
Tanto celate
Che manifeste,
Più vaste per me
Dell’Arca
Dove mi perdo.

Ho visto in lei segreti
Che non hanno ombra alcuna
Poiché essa è dell’Astro figlia
Vidi figure
Senza lingua evocate
E simboli
Senza le labbra espressi:
Muta cetra
Che senza produrre suoni
Fa scoltare canti.
Ma ecco venne della tromba il suono
E il tuono mormorò:
Non esser temerario,
Lascia cadere le questioni oscure,
Non prender altro che ciò che ti è chiaro.
Allora io vidi nel cielo sereno
Una pioggia tutta nuova;
Una fonte ai miei orecchi
Sembrando uscire dalla nube,
Li colmò di spiegazioni (cf. Ex 18,44 Os 6,3).

Era come la manna
Che da sola
Saziò il popolo,
Rimpiazzando ogni altro piatto (cf. Ex 16,15 Sg 16,20s).
Anche me, delle sue delizie,
Essa ha saziato, Quella perla,
Sostituendomi libri,
Letture e anche
I commenti.

E dato che le chiesi
Se vi fossero ancora in essa
Altri simboli:
La perla non ha bocca
Da cui io la senta parlare
Così come non ha orecchi
Per sentirmi parlare.
O tu che non hai sensi,
Che presso te io acquisti
Dei sensi tutti nuovi!

Essa rispose e dissemi:
Io son la figlia
Dell’immenso mare.
Più vasta di questo mare
Da cui son risalita,
Un tesoro di simboli
Nel mio seno alberga.
Scruta il mare, se vuoi!
Ma scrutar tu non devi
Il signore del mare!

Ho visto i palombari
Avventurarsi alla mia ricerca
Col fiato mozzo
Quando dal fondo del mare
Risalgono alla terra
Dopo brevi momenti:
È perché non ne posson più!
Chi dunque po,trebbe fissare,
Scrutare le profondità
Della Divinità?

Il mare del Figlio
È tutto benefico
Ma anche malefico.
Non hai tu osservato
Le onde del mare?
Sol che una barca voglia lottarvi contro,
Esse la infrangeranno.
Ma ch’essa si abbandoni
E non sia più ribelle:
Allora essa è salva.

In mare essi perirono tutti,
Gli Egiziani
Senza raggiungere i loro nemici (cf. Ex 14,28).
E, senza esser interpellati,
Sulla terra, gli Ebrei
Del pari furono inghiottiti (Nb 16,31).
(E voi) come sopravvivrete?
Anche le genti di Sodoma
Furono arse dal fuoco! (Gn 19,24).
(E voi) come potrete vincere?

Durante tutti questi tormenti
I pesci nel mare
Vicino a noi tremarono.
Avete dunque un cuore di pietra
Voi che leggete questi racconti
E li dimenticate?
C’è da temere ancor più
Per il fatto che la giustizia (di Dio)
Ha taciuto sì a lungo.

La ricerca gareggia
Con il riconoscimento
Sul quale avrà la meglio.
La lode abbonda
Come altresì la ricerca
Provenendo dalla stessa lingua.
Quale verrà ascoltata?
La ricerca o la preghiera?
Venendo dalla stessa bocca,
Quale verrà esaudita?

In mare
Durante tre giorni
Tremarono per Giona
Divenuto loro vicino
Gli animali marini (Gn 2,1).
Chi dunque mai
Può sfuggire a Dio?
Giona, lui, è scappato,
E voi, da parte vostra,
Oserete scrutare (Dio) ?

       Efrem, Carmen de margarita, 1-16


6. Il tesoro è lo stesso Verbo di Dio

       Questo tesoro, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza (cf. Col 2,2s), è il Verbo di Dio, che si rivela nascosto nel corpo di Cristo (cf. "ibid".), o le Sante Scritture, nelle quali è riposta ogni verità riguardante il Salvatore. Quando qualcuno trova in esse tale verità, deve rinunziare a tutte le ricchezze di questo mondo, pur di possedere quanto ha trovato. Le parole: "l’uomo che lo ha scoperto, lo nasconde di nuovo" (Mt 13,44), non indicano che quest’uomo si comporta così perché ne è geloso, ma perché ha timore di perderlo e vuole conservarlo, e perciò cela nel suo cuore colui per il quale ha rinunziato a tutte le ricchezze che aveva...

       Le belle perle sono la Legge e i Profeti, e la conoscenza del Vecchio Testamento. Ma una sola è la perla di grande valore, cioè la conoscenza del Salvatore, il sacramento della sua passione, il mistero della sua risurrezione. Il mercante che ha scoperto, a somiglianza dell’apostolo Paolo, tutti i misteri della Legge e dei Profeti e le antiche osservanze, nel rispetto delle quali ha sinora vissuto, tutte alla fine le disprezza come spazzatura e banalità, per guadagnarsi Cristo (Ph 3,8). Non perché la scoperta della nuova perla comporti la condanna di quelle antiche; ma perché, al suo confronto, tutte le altre perle appaiono di minor valore . . .

       Il vaticinio di Geremia, che dice: "Ecco, manderò a voi molti pescatori" (Jr 16,16), si è compiuto: Pietro e Andrea, Jc e Giovanni, i figli di Zebedeo, dopo avere udito le parole: Seguitemi, e vi farò pescatori di uomini (Mt 4,19 Mc 1,17) hanno intrecciato per sé stessi, ricavandola dal Vecchio e dai Nuovo Testamento, una rete fatta di insegnamenti evangelici e l’hanno gettata nel mare di questo mondo. Questa rete è ancor oggi tesa in mezzo ai flutti e prende, dalle onde amare e salate, tutto quanto incontra, cioè uomini buoni e cattivi, pesci buoni e cattivi. Ma quando verrà la fine del mondo, come Gesù più avanti chiaramente dirà, allora la rete sarà tratta a riva, allora sarà manifesto il giudizio che separerà i pesci: come in un tranquillissimo porto, i buoni saranno riposti nell’ufficio delle celesti mansioni, mentre i cattivi saranno gettati nel fuoco della geenna, dove saranno bruciati e inariditi (Mt 13,47-50).

       Girolamo, In Matth. II, 13, 44-46




XVIII Domenica

58 Letture:
    
Is 55,1-3
     Rm 8,35 Rm 8,37-39
     Mt 14,13-21

1. Gesù opera per accrescere la fede dei discepoli

       "Venuta la sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto, e l’ora è già passata; licenzia, dunque, le turbe, affinché vadano per i villaggi a comperarsi da mangiare»" (Mt 14,15).

       Certo, anche prima Gesù aveva curato molti malati; tuttavia neppure con ciò i discepoli possono prevedere il miracolo della moltiplicazione dei pani; sono ancora deboli nella loro fede.

       Ma voi considerate la sapienza del Maestro, ammirate come li invita e li conduce discretamente alla fede. Non afferma subito: Io darò da mangiare, perché ciò non sarebbe parso loro ammissibile, ma: "Non c’è bisogno che se ne vadano, date voi da mangiare loro" (Mt 14,16). E neppure dice: io do loro, ma «date voi».

       I discepoli tuttavia lo considerano ancora soltanto come uomo, e neppure a queste parole si elevano più in alto, ma continuano a parlare con Gesù come se fosse soltanto tale, contestandogli: "Noi non abbiamo che cinque pani e due pesci" (Mt 14,17). Marco, a questo punto, riferisce che i discepoli non compresero quanto Gesù aveva loro detto, in quanto il loro cuore era indurito (Mc 8,17).

       Poiché, dunque, si trascinano ancora per terra con i loro pensieri umani, allora Cristo interviene personalmente e ordina: "Portatemeli qua" (Mt 14,18): se quel luogo è deserto, colui che è qui presente alimenta tutta la terra; se l’ora è già passata, ora vi parla chi non è soggetto né all’ora né al tempo...

       "E dopo aver comandato alle turbe di adagiarsi sopra l’erba, presi i cinque pani e i due pesci, con gli occhi levati al cielo pronunziò la benedizione. E li spezzò e li diede ai discepoli, e i discepoli alle turbe" (Mt 14,19-20).

       Perché Gesù leva gli occhi al cielo e pronunzia la benedizione? Affinché essi credano che egli è inviato dal Padre e che è uguale al Padre. Tuttavia, le prove di queste due verità sembrano contraddirsi e combattersi a vicenda. Gesù dimostra di essere uguale al Padre operando tutto con la sua personale autorità. D’altra parte non possono credere che egli sia inviato dal Padre, se egli non agisce con tutta umiltà, riferendo al Padre ogni sua azione, e invocandolo quando deve compiere i suoi miracoli. Cristo, perciò, non mette in atto esclusivamente questo o quel comportamento, affinché ambedue queste realtà possano essere ugualmente confermate. Così, ora compie i miracoli con piena autorità, ora invece prega prima il Padre. Per evitare che questo fatto non sembri una contraddizione, quando compie prodigi meno grandi leva gli occhi al cielo; mentre quando opera miracoli straordinari agisce totalmente di propria autorità. Insegna in tal modo che se nei miracoli meno sorprendenti egli alza lo sguardo al cielo non è per mutuare da altri la sua potenza, ma perché vuole glorificare il Padre. Così quando rimette i peccati, apre le porte del paradiso facendovi entrare il ladrone, abroga la legge, risuscita innumerevoli morti, placa la tempesta del mare, rivela gli intimi segreti degli uomini, guarisce il cieco nato, azioni che non possono essere che esclusiva opera di Dio, non lo si vede affatto pregare; quando invece si appresta a moltiplicare i pani, miracolo assai meno straordinario di tutti quelli menzionati, allora leva gli occhi al cielo. In pari tempo egli vuol dimostrare questo che vi ho detto e insegnarci che non dobbiamo mai prender cibo senza ringraziare prima Dio che ce lo procura.

       Crisostomo Giovanni, In Matth. 49, 1 s.


2. I discepoli vogliono che Gesù congedi la folla

       "Venuta la sera, gli si avvicinarono i suoi discepoli" (Mt 14,15), cioè alla consumazione del secolo, nel momento in cui si può giustamente dire che si "è all’ultima ora" (1Jn 2,18), quella di cui si argomenta nella Lettera di Giovanni; essi non comprendendo ancora ciò che il Logos stava per fare, gli dissero che "il luogo era deserto" (Mt 14,15), poiché costatavano l’assenza della fede e della parola divine tra le masse. Aggiunsero che "l’ora è ormai avanzata ()", come se se ne fosse andato il tempo favorevole della fede e dei profeti. Forse parlavano così perché si esprimevano in linguaggio spirituale, dal momento che Giovanni era stato decapitato e che la Legge e i profeti, che avevano retto fino a Giovanni (Lc 16,16), avevano visto la fine. L’ora è dunque avanzata, dissero essi, e qui non vi è del cibo, poiché non è più il tempo favorevole di questo, che aveva fatto sì che quelli che lo avevano seguito nel deserto fossero sottomessi alla Legge e ai profeti. E i discepoli aggiungono: "Congedali dunque ()", affinché ciascuno, se non è più possibile procurarsene nelle città, acquisti di che mangiare nei villaggi, luoghi più disprezzati. I discepoli parlavano così perché ignoravano che le folle erano in procinto di scoprire, dopo l’abrogazione della lettera della Legge e la cessazione dei profeti, cibi straordinari e nuovi. Quanto a Gesù, considera quel ch’egli risponde ai discepoli, quasi gridando, e in un linguaggio chiaro: Voi credete proprio che se si allontana da me, questa folla numerosa, bisognosa di cibo, ne troverà nei villaggi, piuttosto che presso di me, e negli agglomerati umani, non tanto quelli delle città, bensì quelli delle campagne, piuttosto che rimanendo in mia compagnia. Ma io vi dichiaro che di ciò che voi credete che essi abbiano bisogno, essi non ne hanno alcun bisogno, poiché non è necessario per loro andarsene; però ciò di cui, a vostro parere, essi non necessitano affatto, cioè di me - visto che credete che io sono incapace di nutrirli - è di quello, contrariamente alla vostra aspettativa, che essi hanno bisogno. Dunque, dal momento che, attraverso il mio insegnamento, vi ho resi capaci di dare, a coloro che ne difettano, il nutrimento spirituale, sta a voi dar da mangiare alle folle che mi hanno accompagnato (Mt 14,16): infatti voi possedete, poiché lo avete ricevuto da me, il potere di dar da mangiare alle folle e, se ne aveste tenuto conto, avreste capito che io posso nutrirli molto di più, e non avreste detto: "Congeda le folle, perché possano andare ad acquistarsi di che mangiare" (Mt 14,15).

       Origene, In Matth. 11, 1


3. La ricerca di Cristo nel deserto

       Ma nota bene a chi è distribuito. Non agli sfaccendati, non a quanti abitano nella città, cioè nella Sinagoga o fra gli onori del mondo, ma a quanti cercano Cristo nel deserto, proprio coloro che non ne hanno noia sono accolti da Cristo, e il Verbo di Dio parla con essi, non di questioni terrene, ma del Regno dei cieli. E se taluni hanno addosso le piaghe di qualche passione del corpo, Egli accorda volentieri a costoro la sua medicina.

       Era dunque logico che Egli con nutrimenti spirituali salvasse dal digiuno quanti aveva guarito dal dolore delle loro ferite. Perciò nessuno riceve il nutrimento di Cristo se prima non è stato risanato, e coloro che sono invitati alla cena, sono prima risanati da quell’invito. Se c’era uno zoppo, questi, per venire, avrebbe conseguito la possibilità di camminare; se c’era qualcuno privo del lume degli occhi, certo non sarebbe potuto entrare nella casa del Signore senza che gli fosse stata ridata la luce.

       Dappertutto, pertanto, viene rispettato l’ordinato svolgimento del mistero: prima si provvede il rimedio alle ferite mediante la remissione dei peccati, successivamente l’alimento della mensa celeste vien dato in abbondanza, sebbene questa folla non sia ancora saziata da cibi più sostanziosi, né quei cuori ancor digiuni di una fede più ferma siano nutriti col Corpo e col Sangue di Cristo.

       Ambrogio, In Luc. 6, 69-71


4. La croce, nostra somma gloria

       Ogni atto compiuto dal Cristo è una gloria della Chiesa cattolica: gloria delle glorie è, però, la croce. Questo, appunto, intendeva Paolo, nell’affermare: "A me non avvenga mai di menar vanto, se non nella croce di Cristo" (Ga 6,14). Suscita la nostra ammirazione, certo anche il miracolo in seguito al quale il cieco dalla nascita riacquistò, a Siloe, la vista (cf. Jn 9,7ss): ma cosa è un cieco di fronte ai ciechi di tutto il mondo? Straordinaria, e soprannaturale, la risurrezione di Lazzaro, morto già da quattro giorni (Jn 11,39). Una grazia del genere, tuttavia, è toccata ad uno soltanto: che beneficio ne avrebbero tratto quanti, nel mondo intero, erano morti per i loro peccati? (Ep 2,1). Strepitoso il fatto che cinque pani riuscirono a sfamare cinquemila persone (Mt 14,21): ma a che cosa sarebbe servito, se pensiamo a coloro che, su tutta la terra, erano tormentati dalla fame dell’ignoranza? (Am 8,11). Stupefacente, ancora, la liberazione della donna, in preda a Satana da diciotto anni (cf. Lc 13,11ss): che importanza avrebbe avuto, però, per tutti noi, imprigionati dalle catene dei nostri peccati? (Pr 5,22).

       La gloria della croce, invece, ha illuminato chi era accecato dall’ignoranza, liberando tutti coloro che erano prigionieri del peccato e portando la redenzione all’intera umanità.

       Cirillo di Gerusalemme, Catechesis, 13, 1-3


5. La compassione di Gesù

       Nelle parole evangeliche sempre la lettera è unita allo spirito, e se qualche particolare sulle prime ti sembra privo di calore, se lo tocchi vedrai che brucia. Il Signore stava nel deserto, e le folle lo seguivano, abbandonando le loro città, cioè le loro antiche abitudini e le varie loro credenze religiose. Il fatto che Gesù scende dalla barca, significa che le folle avevano certamente la volontà di andare da lui, ma non le forze necessarie per farlo; per questo il Salvatore scende dal luogo ove stava e va loro incontro, allo stesso modo che in un’altra parabola il padre corre incontro al figlio pentito (Lc 15,20). Vista la folla, ne ha compassione e cura i malati per dare alla fede sincera e piena subito il suo premio.

       Girolamo, In Matth. II, 14,14


6. Moltiplicazione dei pani (Mt 14,13-21 Mt 15,32-38)

Con soli cinque pani Tu hai avuto
Il superfluo per cinquemila persone;
E di nuovo con quattro (pani)
Tu li hai nutriti in pieno deserto.

Io che sono affamato del tuo Pane,
Del tuo Pane divino, celeste,
Con questo degnati di saziarmi l’anima
Che è disceso dal cielo ed è immortale.

       Nerses Snorhali, Jesus, 486-487




XIX Domenica

59 Letture:
    
1R 19,9 1R 19,11-13a
     Rm 9,1-5
     Mt 14,22-23

1. Perché Gesù si ritira sul monte

       Egli è solito, d’altra parte, quando compie grandi miracoli, congedare le turbe e anche i discepoli, per insegnarci a non cercare in nessun modo la gloria degli uomini e a non trascinarsi dietro la folla. La parola che usa l’evangelista, «obbligò», indica il gran desiderio che i discepoli avevano di stare in compagnia di Gesù. Gesù, dunque, li manda via con il pretesto che egli deve congedare la moltitudine, ma in realtà è perché egli vuole ritirarsi sul monte. Il Signore si comporta così per darci un nuovo ammaestramento: non dobbiamo cioè star continuamente in mezzo alla folla, né dobbiamo d’altra parte fuggire sempre la moltitudine; dobbiamo, invece, fare entrambe le cose con profitto, alternando l’una cosa e l’altra secondo la necessità e l’opportunità.

       Perché Gesù sale sul monte? Per insegnarci che il deserto e la solitudine sono propizi quando dobbiamo supplicare Dio. Per questo infatti egli si ritira spesso in luoghi solitari e ivi passa le notti in preghiera, inducendo così anche noi a cercare sia il tempo sia il luogo più tranquillo per le nostre orazioni. La solitudine infatti è la madre della quiete, è un porto tranquillo che ci mette al riparo da ogni tumulto. Ecco perché Gesù sale sulla montagna. I suoi discepoli, invece, sono nuovamente travolti dai flutti e devono sopportare una tempesta violenta come la precedente. Allora, però, il Signore era con loro nella barca, mentre qui essi sono soli e lontani dal Maestro. Egli vuole infatti condurli soavemente e farli progredire a poco a poco verso esperienze più grandi; in particolar modo desidera che sopportino coraggiosamente tutto quanto accade loro. Quando stavano per correre il primo pericolo, egli era presente anche se dormiva, e poteva offrir loro un immediato conforto e un sostegno. Ora, invece, per abituarli a una maggiore pazienza non resta con loro, ma si apparta permettendo che si scateni una grande tempesta in mezzo al mare, tanto che sembra non esservi da nessuna parte speranza di salvezza. E li lascia per tutta la notte in balia delle onde, desiderando, come io credo, risvegliare il loro cuore indurito. Questo infatti era l’effetto del terrore, cui contribuiva, oltre la tempesta, anche la notte con la sua oscurità. In realtà il Signore, oltre a questo acuto e profondo spavento, vuole eccitare nei suoi discepoli un più grande desiderio e un continuo ricordo di lui: perciò non si presenta immediatamente a loro.

       "Alla quarta vigilia della notte egli se ne venne a loro, camminando sopra il mare" (Mt 14,25): voleva abituarli a non cercar subito di essere liberati dalle difficoltà, ma a sopportare gli avvenimenti con coraggio.

       Ma quando sembra che siano fuori pericolo, ecco che sono colti di nuovo dalla paura. "E i discepoli, vedutolo camminare sopra il mare, si impaurirono, pensando che fosse un fantasma; e dalla paura si misero a gridare" (Mt 14,26). Dio agisce sempre così: quando sta per liberarci da prove terribili, ne fa sorgere altre più gravi e spaventose. E così accade anche in questa occasione. Insieme alla tempesta, l’apparizione del Maestro turba ancor di più i discepoli. Ma neppure ora Gesù dissipa l’oscurità, né si rivela immediatamente perché vuol prepararli con questa continua sequela di prove a sostenere altre lotte e indurli a essere pazienti e costanti.

       Così Dio si comportò con Giobbe. Quando infatti si apprestava a liberarlo dalla prova, permise che la fine delle sue sofferenze fosse più dura dell’inizio: non dico per la morte dei figli o per le lamentele e le tentazioni della moglie, ma a causa degli insulti rivoltigli dai suoi stessi domestici e dagli amici. Quando Dio decise di trarre Giacobbe dalla miseria sofferta in terra straniera, permise che egli si trovasse a temere ancor più fortemente: il suocero infatti lo minacciava di morte (Gn 31,1-23) e, dopo di lui, il fratello che stava per accoglierlo in patria lo mise in estremo pericolo (Gn 32,7-12). Siccome i giusti non possono essere provati con violenza per lungo tempo, quando stanno per terminare le loro battaglie, Dio, volendo che essi ne ritraggano una più grande ricompensa, aggiunge altre prove. Nello stesso modo agì con Abramo, ponendogli come ultima prova il sacrificio del figlio (Gn 22,1). Così le prove più intollerabili si fanno sopportabili: esse, infatti, quando sono giunte al limite della sopportazione hanno prossima la liberazione. In tal modo Cristo si comporta qui con gli apostoli. Si rivela loro solo dopo che si sono messi a gridare. Così, quanto più grande è stato il terrore che li ha assaliti, tanto più gioiscono nel vederlo.

       "Ma Gesù subito rivolse loro la parola dicendo: "«Fatevi coraggio, sono io; non abbiate paura!»" (Mt 14,27). Queste parole dissipano del tutto il loro timore e ridanno loro fiducia. Siccome essi, a causa di questa sua straordinaria maniera di camminare sulle onde e per l’oscurità della notte, non lo possono riconoscere con la vista, egli si fa riconoscere con la voce.

       Ma che fa ora Pietro, che è sempre ardente e va sempre avanti agli altri? Gli rispose Pietro: "«Signore, se sei tu, comandami di venire a te sopra le acque» (Mt 14,28). Non gli dice: prega, o supplica, ma «comandami». Vedete quale fervore? E che fede! Certo, molte volte egli si espone al pericolo, perché va oltre la misura e difatti anche qui chiede una cosa molto grande: tuttavia lo fa solo per amore e non per un sentimento di vanità. Ecco perché non dice semplicemente: comandami di camminare sopra le acque, ma precisa «comandami di venire a te». Nessuno ha infatti tanto amato Gesù quanto lui. La stessa cosa egli farà dopo la risurrezione del Salvatore. Allora, non attenderà di andare con gli altri al sepolcro, ma li precederà. In questa circostanza egli dimostra non soltanto il suo amore, ma anche la sua fede. Pietro non solo crede che Gesù può camminare sull’acqua, ma che egli può farvi camminare anche gli altri: perciò desidera avvicinarsi subito a lui.

       "Ed egli rispose: «Vieni». E Pietro, disceso dalla barca, si mise a camminare sulle acque e giunse presso Gesù. Ma, vedendo il vento gagliardo, ebbe paura. E cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami». E subito Gesù, stesa la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?»" (Mt 14,29-31).

       Questo miracolo è più straordinario di quello della tempesta sedata e perciò il Signore lo compie dopo di quello. Aveva mostrato, in quel primo miracolo, che egli comandava al mare; qui compie un prodigio ben più sorprendente. Allora s’era fatto obbedire dai venti; ora egli cammina sulle acque e concede a un altro di fare la stessa cosa. Se al tempo del primo miracolo avesse ordinato a Pietro di camminare sulle acque, l’apostolo non si sarebbe dimostrato ugualmente pronto e deciso, perché non possedeva ancora tanta fede.

       Ma perché ora Gesù acconsente alla richiesta di Pietro? Perché, se gli avesse risposto: Non puoi, l’apostolo, essendo tanto ardente, avrebbe insistito. Gesù quindi lo persuade per via di fatti, così che in avvenire sia più moderato. Ma neppure in tal modo Pietro si conterrà. Buttatosi dunque fuori della barca, incominciò ad essere sbattuto dai flutti, poiché aveva avuto timore.

       Gettatosi, dunque, dalla barca, Pietro andava verso Gesù, felice non tanto di camminare sopra le acque, quanto di andare verso di lui. Ma, dopo aver compiuto quanto era più difficile, l’apostolo cominciò ad essere sopraffatto da un pericolo minore, dall’impeto cioè del vento, non dalla violenza del mare.

       Così è la natura dell’uomo: spesso, dopo aver trionfato delle più grandi prove, cade nelle più piccole.

       Quando ancora è scosso dal terrore della tempesta, ha il coraggio di gettarsi in acqua, mentre, subito dopo, non può resistere al gagliardo assalto del vento, nonostante sia vicino a Gesù. Non giova a nulla infatti esser vicini al Salvatore, se non gli siamo vicini con la fede.

       Ma perché, in questo caso, il Signore non comanda ai venti di smettere di soffiare e stende invece la mano per afferrare e sostenere Pietro? Perché c’era bisogno della sua fede. Quando noi cessiamo di fare la nostra parte, anche Dio cessa di aiutarci. Per far capire quindi al suo apostolo che non è l’impeto del vento, ma la scarsezza della sua fede a farlo affondare, Gesù gli dice: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Se la sua fede non si fosse indebolita, egli avrebbe facilmente resistito anche al vento. E la prova sta nel fatto che il Signore, anche dopo aver preso Pietro per mano, lascia che il vento continui a soffiare con tutta la sua forza, per manifestare che esso non potrebbe assolutamente nuocergli, qualora la sua fede fosse salda. E come la madre sostiene con le sue ali e riporta nel nido l’uccellino che uscito anzitempo sta per cadere a terra, così fa anche Cristo con Pietro.

       "E montati che furono in barca, il vento cessò" (Mt 14,32).

       Quando sopravvenne la calma dopo la prima tempesta, gli apostoli si chiesero: "E chi è mai costui che anche i venti e il mare gli ubbidiscono?" (Mt 8,27). Ma ora non si rivolgono più questa domanda. "Allora quelli che erano nella barca gli si prostrarono davanti, dicendo: «Veramente tu sei il Figlio di Dio!»" (Mt 14,33)

       Crisostomo Giovanni, In Matth. 49, 3; 50, 1-2


2. Questa traversata è segno della vita cristiana

       Che qualcuno più semplice si contenti del racconto degli avvenimenti! Noi però, se un giorno saremo alle prese con tentazioni inevitabili, ricordiamoci che Gesù ci ha obbligati ad imbarcarci e che vuole che lo precediamo sulla sponda opposta (Mt 14,22). Infatti, è impossibile a chi non ha sopportato la prova delle onde e del vento contrario (Mt 14,24) pervenire sulla riva opposta. Poi, quando verremo avvolti da difficoltà numerose e penose, stanchi di navigare in mezzo ad esse con la povertà dei nostri mezzi, pensiamo che la nostra barca è allora in mezzo al mare (Mc 6,47), scossa dalle onde che vorrebbero vederci "far naufragio nella fede" (1Tm 1,19) o in qualche altra virtù. Se d’altro canto vediamo il soffio del maligno accanirsi contro i nostri sforzi, pensiamo che allora il vento ci è contrario. Quando perciò, in mezzo a tali sofferenze, avremo resistito per tre vigilie della notte oscura che regna nei momenti di tentazione, lottando del nostro meglio e rimanendo vigilanti su di noi per evitare «il naufragio nella fede» o in un’altra virtù - la prima vigilia rappresenta il padre delle tenebre (Rm 13,12) e del peccato, la seconda suo figlio, «l’avversario», in rivolta contro tutto ciò che ha nome Dio o ciò che è oggetto di adorazione (2Th 2,3-4), la terza lo spirito nemico dello Spirito Santo -,siamo certi allora che, venuta la quarta vigilia, "quando la notte sarà avanzata e già il giorno si avvicina" (Rm 13,12), arriverà accanto a noi il Figlio di Dio, per renderci il mare propizio, camminando sui suoi flutti. E quando vedremo apparirci il Logos, saremo assaliti dal dubbio (Mt 14,26) fino al momento in cui capiremo chiaramente che è il Salvatore esiliatosi (Mt 21,33 Mc 12,1 Lc 20,9) tra noi e, credendo ancora di vedere un fantasma, pieni di paura, grideremo; ma lui ci parlerà tosto, dicendoci: "Abbiate fiducia, sono io; non abbiate paura!" (Mt 14,26-27). A queste parole rassicuranti, ci sarà forse tra noi, animato dal più grande ardore, un Pietro in cammino "verso la perfezione" (He 6,1) - senza che vi sia ancora pervenuto -,che scenderà dalla barca, nella coscienza di essere sfuggito alla prova che lo scuoteva; dapprima, nel suo desiderio di andare davanti a Gesù, egli camminerà sulle acque (Mt 14,29), ma, essendo ancora la sua fede insufficiente e permanendo lui stesso nel dubbio, vedrà la "forza del vento" (Mt 14,30), sarà colto dalla paura e comincerà ad affondare; peraltro sfuggirà a tale sciagura, poiché invocherà Gesù a gran voce, dicendo: "Signore, salvami!" (Mt 14,30). E, appena quest’altro Pietro avrà finito di parlare, dicendo: «Signore, salvami!», il Logos stenderà la mano, gli arrecherà soccorso e lo afferrerà nel momento in cui cominciava ad affondare, rimproverandogli la sua poca fede e i suoi dubbi. Stai attento, tuttavia, che egli non ha detto: «Incredulo», bensì: «Uomo di poca fede», e che sta scritto: «Perché hai dubitato, poiché avevi un po’ di fede, ma tu hai piegato nel senso ad essa contrario» (Mt 14,31).

       Dopodiché, Gesù e Pietro risaliranno sulla barca, il vento cesserà e i passeggeri, comprendendo a quali pericoli sono sfuggiti, lo adoreranno dicendo, non semplicemente: "Tu sei il Figlio di Dio", come hanno detto i due ossessi (Mt 8,28), ma: "Veramente, tu sei il Figlio di Dio" (Mt 14,33); e questa parola sono i discepoli saliti «sulla barca» a dirla, poiché io ritengo che non avrebbero potuto essere altri che i discepoli a dirla.

       Origene, In Matth. 11, 6-7





Lezionario "I Padri vivi" 57