Lezionario "I Padri vivi" 36

SOLENNITÀ DELL’ASCENSIONE DEL SIGNORE

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36 Originariamente, la Chiesa celebrava l’Ascensione del Signore insieme con la solennità della Pentecoste. Conosce questa prassi la Chiesa di Gerusalemme ancora alla fine del secolo IV. Nel giorno della Pentecoste, nel pomeriggio, i fedeli si recavano al Monte degli Ulivi dove, nella chiesa che ricordava l’Ascensione del Signore, si leggevano i brani della Sacra Scrittura riguardanti l’Ascensione, nonché si cantavano le antifone e gl’inni. Nella seconda metà del secolo IV l’Ascensione del Signore costituisce già una festa a parte e viene celebrata quaranta giorni dopo la Risurrezione; nel V secolo, è già comunemente conosciuta. Ne parla san Giovanni Crisostomo. Sant’Agostino scrive, che «il giorno di oggi viene festeggiato in tutto il mondo». Si sono conservate le omelie del papa Leone Magno pronunziate in questo giorno. Nel canone romano della Messa si ricorda l’Ascensione di Cristo chiamandola «gloriosa», ed i Sacramentari romani contengono formulari di Messa per questo giorno. Nel Medioevo, compare la processione, che doveva ricordare il cammino di Cristo con i discepoli verso il Monte degli Ulivi, quasi ad esprimere l’entrata trionfale del Salvatore in Cielo.

       Nella cattedrale di Milano si innalzava il cero pasquale per simboleggiare l’Ascensione del Signore ed in alcune chiese tedesche si innalzava la Croce. Il costume della processione dura ancora oggi. 

       Dopo la sua Risurrezione, Cristo si manifestava ai discepoli ed ai loro occhi si è innalzato al Cielo. Lui, nostro Signore e Signore di tutto, il vincitore del peccato e della morte, oggi ascende al Cielo. Ha adempiuto l’opera di salvezza e adesso siede alla destra del Padre. E il Mediatore tra Dio e gli uomini e perciò, andando via, non ha lasciato l’uomo nell’abbassamento: egli ci precede nella patria celeste, in lui la nostra natura umana è stata già introdotta nella gloria. L’Ascensione di Gesù al Cielo è la nostra vittoria: ci dà la speranza che insieme con lui saremo nella stessa gloria. Siamo i membri del suo Corpo, per questo saremo uniti a Colui che è il nostro Capo.

       L’Ascensione al Cielo del Signore è l’inizio della glorificazione dell’uomo, ma è anche l’impegno nella nuova vita. Giorno dopo giorno, dobbiamo cercare le cose di lassù, innalzarci con lo spirito alla vera patria, vivere desiderando il Cielo dove si trova Cristo, quale primo degli uomini. Il Cristo, che è salito al Cielo, rimane con noi tutti i giorni: vive nella sua Chiesa e attraverso la Chiesa continua l’opera della salvezza. Il Cristo salito al Cielo ritornerà nell’ultimo giorno, lo vedremo venire di nuovo.

       O Cristo, scendendo dal cielo in terra,
       come Dio facesti risorgere con te il genere umano
       dalla schiavitù dell’inferno cui soggiaceva,
       e per la sua Ascensione lo riconducesti al cielo
       facendolo sedere con te sul trono del Padre tuo,
       perché sei misericordioso ed amante degli uomini.

       Liturgia Bizantina, EE, n. 3151


1. Primo Discorso sull’Ascensione del Signore

       Carissimi, questi giorni intercorsi tra la Risurrezione del Signore e la sua Ascensione non sono trascorsi nell’oziosità; grandi misteri vi hanno invece ricevuto conferma, e grandi verità sono state svelate. E in questi giorni che viene abolita la paura di una morte temuta e viene proclamata non solo l’immortalità dell’anima, ma anche quella della carne. È in questi giorni che viene infuso lo Spirito Santo in tutti gli apostoli attraverso il soffio del Signore (
Jn 20,22) e che, dopo aver ricevuto le chiavi del Regno, il beato apostolo Pietro si vede affidata, con preferenza sugli altri, la cura del gregge del Signore (Jn 21,15-17). E in questi giorni che il Signore si affianca ai due discepoli in cammino (Lc 24,13-35) e che, per sgombrare il terreno da ogni dubbio, contesta la lentezza a credere a coloro che tremano di spavento. I cuori che egli illumina sentono ardere la fiamma della fede, e quelli che erano tiepidi diventano ardenti quando il Signore apre loro le Scritture. Al momento della frazione del pane, si illuminano gli sguardi di coloro che siedono a mensa; i loro occhi si aprono per veder manifestata la gloria della loro natura, molto più beatamente di quelli dei principi della nostra specie ai quali il crimine apporta confusione.

       Tuttavia, dato che gli spiriti dei discepoli, in mezzo a queste meraviglie e ad altre ancora, continuavano a scaldarsi in inquieti pensieri, il Signore apparve in mezzo a loro e disse: La pace sia con voi (Lc 24,36 Jn 20,26). E perché non restasse in loro il pensiero che andavano rimuginando nella mente - credevano, infatti, di vedere un fantasma e non un corpo -, rimproverò loro i pensieri contrari al vero e mise sotto i loro occhi esitanti i segni della crocifissione che serbavano le sue mani e i suoi piedi, invitandoli a toccarli attentamente; aveva voluto conservare, infatti i segni dei chiodi e della lancia per guarire le ferite dei cuori infedeli. Così, non è da una fede esitante, bensì da una conoscenza molto certa, che affermeranno che la natura che stava per sedere alla destra del Padre, era la stessa che aveva riposato nel sepolcro.

       Durante tutto questo tempo, carissimi, intercorso tra la Risurrezione del Signore e la sua Ascensione, ecco dunque a cosa volse le sue cure la Provvidenza di Dio; ecco ciò che essa volle insegnare; ecco ciò che essa mostrò agli occhi e ai cuori dei suoi; perciò si riconoscerà come veramente risorto il Signore Gesù Cristo che era davvero nato, aveva sofferto ed era morto. Così i beati Apostoli e tutti i discepoli, resi timorosi dalla sua morte sulla croce, e che avevano esitato a credere alla sua Risurrezione furono a tal punto riconfermati dall’evidenza della verità che quando il Signore si levò verso le altezze dei cieli, non solo non furono presi da tristezza alcuna, bensì furono ripieni da una grande gioia (Lc 24,52). E, in verità, grande e ineffabile era la causa di quella gioia, allorché in presenza di una santa moltitudine, la natura umana saliva al di sopra delle creature celesti di ogni rango, superava gli ordini angelici e si elevava al di sopra della sublimità degli arcangeli (Ep 1,21), non potendo trovare a livello alcuno, per elevato che fosse, la misura della sua esaltazione fintanto che non venne ammessa a prender posto alla destra dell’eterno Padre, che l’associava al suo trono di gloria dopo averla unita nel Figlio suo alla sua stessa natura.

       L’Ascensione di Cristo è quindi la nostra stessa elevazione e là dove ci ha preceduti la gloria del capo, è chiamata altresì la speranza del corpo.

       Lasciamo dunque esplodere la nostra gioia come si deve e rallegriamoci in una fervorosa azione di grazie: oggi, infatti, non solo siamo confermati nel possesso del paradiso, ma siamo anche penetrati con Cristo nelle altezze dei cieli; abbiamo ricevuto più dalla grazia ineffabile di Cristo di quanto non avevamo perduto per la gelosia del Maligno. Infatti, coloro che quel virulento nemico aveva scacciato dal primo soggiorno di felicità, il Figlio di Dio li ha incorporati a sé per collocarli in seguito alla destra del Padre.

       Leone Magno, Sermo 73 [60], 2-4


2. La Risurrezione del Signore è la causa della nostra gioia

       In occasione della festività pasquale, la Risurrezione del Signore si presentava come causa della nostra gioia; oggi, ricorre la sua Ascensione al cielo che ci offre nuovi motivi di gioia, in quanto commemoriamo e veneriamo, come si conviene, il giorno in cui l’umiltà della nostra natura è stata elevata in Cristo al di sopra di tutte le schiere celesti, al di sopra di tutti gli ordini angelici e oltre la sublimità di tutte le potenze (Ep 1,21), fino a condividere il trono di Dio Padre. E su questa disposizione delle opere divine che siamo costituiti ed edificati; la grazia di Dio diviene, in verità, più ammirevole quando fa sì che la fede non dubiti, che la speranza non vacilli, che la carità non si intiepidisca, allorché è scomparso dalla vista degli uomini ciò che, con la sua presenza sensibile, meritava di ispirare loro il rispetto. Tale è in effetti, la forza propria dei grandi spiriti, tale la luce propria delle anime eminentemente fedeli: essa consiste nel credere incrollabilmente ciò che non vedono con gli occhi del corpo e nel fissare il proprio desiderio là dove non può arrivare la vista. Ma una tale pietà come può nascere nei nostri cuori, o come possiamo essere giustificati dalla fede, se la nostra salvezza risiedesse solo in ciò che cade sotto i nostri occhi? Di qui, la parola detta dal Signore a quel tale che sembrava dubitare della Risurrezione di Cristo, ove non gli fosse stata offerta la possibilità di verificare con i propri occhi e di toccare con le proprie mani i segni della Passione nella carne [del Signore]: Perché mi hai veduto, hai creduto: beati coloro che pur non vedendo crederanno (Jn 20,29).

       Per renderci capaci di questa beatitudine, carissimi, nostro Signore Gesù Cristo, dopo aver realizzato tutto ciò che era conforme alla predicazione del Vangelo e ai misteri della Nuova Alleanza, quaranta giorni dopo la sua Risurrezione, ascese al Cielo alla presenza dei discepoli. Mise così termine alla sua presenza corporale, per rimanere alla destra del Padre suo fino a che siano compiuti i tempi divinamente previsti perché si moltiplichino i figli della Chiesa e ritorni a giudicare i vivi e i morti, nella stessa carne nella quale è asceso. Ciò che si era potuto vedere del nostro Redentore è dunque passato nei misteri; e, affinché la fede divenga più eccellente e più ferma, l’istruzione è succeduta alla visione: è sulla di lui autorità che il coro dei credenti, illuminati dai raggi provenienti dall’alto, ormai faranno leva.

       Su questa fede, che l’Ascensione del Signore aveva aumentata e che il dono dello Spirito Santo aveva fortificata, né le catene, né le prigioni, né la fame, né il fuoco, né le belve, né i raffinati supplizi di crudeli persecutori potranno prevalere per paura. Per questa fede, in tutto il mondo, non solo gli uomini, ma anche le donne; non solo i fanciulli, ma anche tenere vergini lotteranno fino alla effusione del sangue. Questa fede mise in fuga i demoni, scacciò le malattie, risuscitò i morti. Così, gli stessi santi Apostoli che, quantunque fortificati da tanti miracoli e istruiti da tanti discorsi, si erano nondimeno lasciati spaventare dall’atroce Passione del Signore e avevano accettato non senza esitazione la verità della sua Risurrezione, trassero dalla sua Ascensione un tal profitto che tutto ciò che prima costituiva motivo di paura ora diveniva soggetto di gioia. Tutta la contemplazione della loro anima li aveva elevati, in effetti, verso la divinità di Colui che sedeva alla destra del Padre; la vista del suo corpo non era più ormai un ostacolo che potesse attardarli o impedir loro di fissare lo sguardo dello spirito su quella Verità che, scendendo verso di essi, non aveva lasciato il Padre suo, e che, ritornando verso quest’ultimo, non si era allontanata dai suoi discepoli...

       Esultiamo dunque, carissimi, di una gioia spirituale e, rallegrandoci davanti al Signore in degna azione di grazie, eleviamo liberamente gli sguardi dei nostri cuori verso quelle altezze dove si trova Cristo. Le anime nostre sono chiamate in alto: non le appesantiscano i desideri terrestri; esse sono predestinate all’eternità. Non le accaparrino le cose destinate a perire: esse sono entrate nella via della verità. Non le trattenga un ingannevole fascino; in tal guisa, i fedeli trascorrano il tempo della vita presente sapendo di essere stranieri in viaggio in questa valle del mondo in cui, anche se li lusinga qualche vantaggio, non debbono attaccarvisi colpevolmente, bensì trascenderli con vigore.

       Leone Magno, Sermo 74 [61], 1-3.5


3. Con Gesù si ascende solo in compagnia delle virtù

       La terra e quanto essa contiene appartiene al Signore (Ps 23,1ss)

       Che cosa avviene, dunque, di nuovo, o uomo, se il nostro Dio fu visto in terra, se visse con gli uomini? Egli stesso creò la terra e la stabilì [con leggi].

       Per la qual cosa non è né cosa insolita, né assurda che il Signore venga presso le proprie creature.

       Infatti, egli non si trova in un mondo straniero, ma proprio in quello che egli stesso stabilì e creò, che poggiò la terra sui mari e fece in modo che fosse situata nella posizione migliore presso il corso dei fiumi.

       Per quale causa, poi, egli venne se non perché dopo averti liberato dalla voragine del peccato, ti conducesse sul monte, il carro del regno, cioè la pratica della virtù durante l’ascensione?

       Non si può, infatti, ascendere su quel monte, se non ti servi delle virtù come compagne (di viaggio), e, con le mani pure da ogni colpa, e non macchiato da alcun delitto, con il cuore innocente non volgi il tuo animo a nessuna vanità e né inganni il tuo fratello con frode.

       La benedizione è il premio di tale ascensione, e ad essa il Signore largisce la sua misericordia.

       Questa è la generazione delle anime che lo cercano, di quelle che salgono in alto per mezzo della virtù, e di quelle che cercano il volto del Dio di Giacobbe.

       La rimanente parte di questo salmo è più sublime, forse, anche per il tono evangelico e la dottrina.

       Infatti, il Vangelo del Signore narra le abitudini e la vita che egli condusse in terra, e il suo ritorno in Cielo.

       Questo sommo Profeta, d’altronde, innalzandosi sopra se stesso, come se non fosse impedito da nessun peso del corpo, entra nei Celesti Poteri, e ci riferisce le loro voci, allorché, accompagnando il Signore che ritornava in Cielo, agli angeli che risiedono sulla terra, ai quali fu affidata la venuta nella vita umana, danno ordini in questo modo: Togliete, o principi, le vostre porte, e voi, porte eterne, elevatevi: entrerà il Re della gloria.

       E poiché, dovunque, sarà presente colui che in se stesso contiene tutte le cose, misura (se stesso) secondo la capienza di quelli che lo ricevono; e né solamente, infatti, tra gli uomini si fa uomo, ma anche tra gli angeli si trova, e si libera alla loro natura: per questo i custodi delle porte interrogano il narratore: Chi è questo Re della gloria?

       Rispondono loro e lo manifestano come forte e potente in battaglia, che combatterà contro colui che tratteneva la natura umana prigioniera nella schiavitù, e rovescerà colui che aveva il dominio della morte (He 2,14); in tal modo, debellato il pericolosissimo nemico, riconducesse il genere umano nella libertà e nella pace.

       Di nuovo ripete le medesime voci.

       Adempiuto, infatti, è già il mistero della morte e la vittoria è stata riportata sui nemici e contro di essi è stato rivolto il trofeo della croce.

       Ascese in alto, conducendo prigioniera la schiavitù (Ps 67,19) colui che concesse agli uomini la vita, il regno, e questi importanti doni.         

       Poste per lui, di nuovo si debbono spalancare le porte.

       Gli vanno incontro i nostri custodi, i quali impongono di chiudere le porte, affinché di nuovo consegua la gloria in essi.

       Ma essi non conoscono colui che si è rivestito della veste macchiata della nostra vita, i cui abiti sono rossi dal torchio dei peccati degli uomini.

       Perciò, di nuovo i suoi compagni sono interrogati da quelle parole: Chi è questo Re della gloria? Ma non sarà risposto più: Forte, potente in battaglia, ma il Signore delle potenze, che ottenne il dominio del mondo, che assomma in sé tutte le cose, che in tutte possiede le prime, che restituì tutte le cose all’antica condizione, questi è il re della gloria.

       Gregorio di Nissa, Sermo de Ascens., passim


4. Il corpo di Cristo è in cielo com’era sulla terra

       Mi domandi «se il corpo del Signore abbia adesso le ossa e il sangue con tutte le altre fattezze fisiche»...

       Dio può prolungare ovunque e per tutto il tempo che vorrà l’incorruttibilità di qualsiasi corpo. Io quindi credo che il corpo del Signore si trova nel cielo nello stesso identico stato in cui era sulla terra al momento della sua ascensione al cielo. Infatti ai suoi discepoli, i quali, come si legge nel Vangelo, dubitavano della sua risurrezione (Lc 24,37) e credevano che fosse uno spirito e non già un corpo quello che vedevano, il Signore disse: Osservate le mie mani e i miei piedi; palpate ed osservate, poiché lo spirito non ha né ossa né carne, come vedete che ho io (Lc 24,39). Come l’avevano toccato i suoi discepoli con le loro mani mentre era sulla terra, così i loro sguardi lo accompagnarono mentre saliva al cielo. S’intese allora la voce di un angelo dire: Egli tornerà così come lo avete visto salire al cielo (Ac 1,11).

       Agostino, Epist. 205, 1.2


5. Vigilanza cristiana

       Perciò, fratelli dilettissimi, occorre che col cuore ci volgiamo là dove crediamo che Egli sia asceso col corpo. Fuggiamo i desideri terreni, nulla più ci diletti quaggiù, poiché abbiamo un Padre nei cieli. E ciò noi dobbiamo considerare attentamente, poiché Colui che mite salì in cielo tornerà terribile; e tutto ciò che ci insegnò con mansuetudine, esigerà da noi con severità. Nessuno, dunque, tenga in poco conto il tempo dovuto alla penitenza; nessuno, mentre è nel pieno delle proprie forze, trascuri se stesso, poiché il nostro Redentore quando verrà a giudicarci sarà tanto più severo quanto più paziente è stato con noi prima del giudizio. Pertanto, fratelli, fate questo tra voi e su questo meditate assiduamente. Sebbene l’animo, sconvolto dalle passioni terrene, sia ancora incerto, tuttavia adesso gettate l’ancora della vostra speranza verso la patria eterna, fortificate nella vera luce i propositi dell’animo. Ecco abbiamo sentito che il Signore è asceso al cielo. Perciò meditiamo sempre su ciò in cui crediamo. E se ancora siamo trattenuti qui dall’impedimento del corpo, tuttavia seguiamo Lui con passi d’amore. Non può lasciare insoddisfatto il nostro desiderio Colui che ce l’ha ispirato, Gesù Cristo Nostro Signore.

       Gregorio Magno, Hom. 2, 29, 11


6. Vivere per le cose di lassù

       Oggi, come avete sentito, fratelli, Nostro Signore Gesù Cristo è salito in cielo: salga con lui anche il nostro cuore. Ascoltiamo l’Apostolo che dice: Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra (Col 3,1-2). Infatti, come egli è salito [in cielo] e non si è allontanato da noi, così anche noi siamo già lassù con lui, sebbene nel nostro corpo non sia ancora accaduto ciò che ci viene promesso. Egli ormai è stato innalzato sopra i cieli. In verità, non dobbiamo disperare di raggiungere la perfetta ed angelica dimora celeste, per il fatto che egli ha detto: Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell’uomo che è disceso dal cielo (Jn 3,13). Ma ciò è stato detto perché siamo uniti a lui: egli è infatti il nostro capo e noi il suo corpo. Se, quindi, egli sale in cielo, noi non ci separiamo da lui. Colui che è disceso dal cielo non ci nega il cielo; ma in un certo modo ci dice: «Siate le mie membra, se volete salire in cielo». Dunque fortifichiamoci intanto in ciò che più desideriamo vivamente. Meditiamo in terra ciò che ci aspettiamo [di trovare] nei cieli. Allora ci spoglieremo della carne mortale, ora spogliamoci dell’uomo vecchio. Un corpo leggero si alzerà nell’alto dei cieli, se il peso dei peccati non opprimerà lo spirito.

       Agostino, Sermo 263, 2


7. Inno per la festa dell’Ascensione

       Eterno, Altissimo Signore,
       che hai redento il mondo;
       tu, distrutto il regno della morte,
       hai fatto trionfar la grazia.

       Alla destra del Padre tu sali,
       o Gesù, quale giudice tu siedi;
       non dalla terra, ma dal ciel tu hai
       ricevuto ogni tuo potere.

       Tu sali per accogliere l’omaggio
       del mondo triplice creato,
       celeste, terrestre ed infernale,
       che, sottomesso, a te il ginocchio piega.

       Tremano gli angeli vedendo
       la sorte capovolta dei mortali:
       pecca l’uomo, redime l’Uomo;
       regna Dio, l’Uomo Dio.

       Nostra gioia sii tu che in ciel n’attendi
       per farti premio a noi; tu che governi
       con la destra la macchina del mondo
       tu che oltrepassi ogni mondana gioia.

       Quaggiù rimasti, noi ti supplichiamo,
       le nostre colpe nell’oblio perdona,
       in alto i cuori verso te solleva
       porgi l’aiuto di tua superna grazia.

       Sicché quando improvviso tornerai
       giudice sulle nubi luminoso,
       le meritate pene allontanate,
       le perdute corone a noi ridar tu possa.

       A te, Signor, sia gloria
       risorto dalle strette della morte,
       e al Padre, e al Santo Spirito,
       ora e nei secoli perenni. Amen.

       Aeterne Rex altissime, Ascensione, liturgia horarum, hymn. ad off. lectionis




VISITAZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA


(31 maggio)

       La festa ha la sua origine nella pietà francescana: l’Ordine, sorto da poco, la celebra sin dal 1263, il giorno dopo l’ottava della Natività di Giovanni il Battista, il 2 luglio. Bonifacio IX, nell’anno 1389, estende la nuova festa a tutta la Chiesa, il che viene confermato dal Concilio di Basilea nel 1441. L’attuale riforma del calendario liturgico trasferisce la festa all’ultimo giorno di maggio e in questa maniera essa viene celebrata tra l’Annunciazione e la Nascita di Giovanni il Battista, cosa che corrisponde meglio al racconto evangelico.

       Maria si reca dalla sua parente Elisabetta, questo l’avvenimento della storia della salvezza che commemora oggi la Chiesa. Maria saluta Elisabetta, che esclama con gioia: «Benedetta tu fra le donne. A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?» (Lc 1,42). Maria è stata chiamata benedetta perché aveva creduto nelle parole del Signore: la Madre del Messia è la Madre della fede. L’incontro di Maria e di Elisabetta diviene l’incontro di Giovanni e di Gesù.

       Sono di fronte il tempo dell’Antica Alleanza ed il prossimo tempo della Nuova Alleanza; l’attesa sta per finire, inizia la nuova era. Maria canta l’inno di esultanza «Magnificat» - l’anima mia magnifica il Signore -, pieno della sapienza dell’Antica Alleanza, ma rianimato già dallo spirito della Nuova che sta per arrivare. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente - esclama Maria - e la consapevolezza della misura della grazia conduce all’umiltà del cuore. Maria rappresenta in questo momento tutti i «timorosi di Dio» in Israele, tutto «il resto d’Israele», che conformemente alle predizioni dei profeti accoglierà le promesse di Dio.

       D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata: le parole profetiche di Maria si sono adempiute. Benedicono Maria tutte le generazioni per la sua fede e per il suo «avvenga di me secondo la tua parola», per lo spirito di servizio e per la sottomissione alle ispirazioni di Dio.

       Purifica, ti preghiamo, Dio onnipotente

       le nostre coscienze visitandole ogni giorno,

       affinché venendo il Figlio tuo e nostro Signore

       trovi in noi per lui pronta una dimora.

       Sacramentarium Bergomense, ed. A. Paredi, Bergamo 1962, n. 78


1. Nella festività della Visitazione della B.V.M.

       In quel tempo, Maria, alzatasi, si diresse verso regioni montane, con sollecitudine, nella città di Giuda, ed entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta (Lc 1,39-40).

       La lettura del santo Vangelo, che abbiamo ascoltato, ci insegna le origini venerande della nostra redenzione e ci raccomanda i rimedi salutari dell’umiltà che dobbiamo sempre imitare.

       Infatti, poiché a causa della peste della superbia, il genere umano contagiato, era (andato in perdizione) perduto, conveniva che il rimedio dell’umiltà col quale fosse risanato, lo offrissero i primi tempi della salvezza, appena al suo inizio.

       E poiché a causa della temerità della donna che era stata sedotta, la morte era entrata nel mondo, fu conveniente che le donne con l’omaggio della loro devota e vicendevole umiltà e pietà precedessero il giudizio della vita che ritornava.

       Verso di noi, dunque, la beata Vergine Maria, Madre di Dio per prima ci indicò il cammino dell’umiltà per (raggiungere) la sublimità della patria celeste, non meno (il cammino) della religione, che con l’esempio della verginità degna di venerazione.

       Giacché la gloria del suo corpo verginale ed integro, indica chiaramente quale sia la vita della celeste patria, alla quale aspiriamo, dove né si sposano, né vengono condotte come spose, ma sono come gli angeli di Dio nel Cielo, e rivela la superiore virtù della mente, per mezzo della quale dobbiamo giungere ad essa (patria).

       Infatti, come abbiamo appreso nella precedente lettura del santo Vangelo, dopo il merito che ebbe con l’annuncio dell’angelo e il sublime colloquio, dopo che imparò a dover essere piena del parto divino, non se ne insuperbì di questi doni celesti quasi fossero suoi: ma affinché fosse predisposta sempre di più ai doni divini, attirò l’attenzione della sua mente a custodire l’umiltà, rispondendo all’angelo annunziatore: Ecco la serva del Signore, avvenga in me come tu hai detto.

       Ma come abbiamo ascoltato nella lettura di oggi, cercò di mostrare anche agli uomini la stessa umiltà che aveva palesato all’angelo, e ciò che è [proprio] della virtù maggiore, lo è anche della minore.

       Chi, infatti, potrebbe non conoscere che una vergine consacrata a Dio, è preferibile ad una donna dedita a Dio?

       Chi potrebbe dubitare che la madre del re eterno sia da preferirsi, a ragione, alla madre di un soldato?

       Tuttavia, questa stessa, memore della Scrittura che ordina: Quanto sei grande, renditi umile davanti a tutte le cose (Si 3): subito, non appena l’angelo che le aveva parlato ritornò nel Cielo, si alzò e si diresse verso paesi montani, portando nel seno il Dio dei servi, raggiunse i luoghi di Dio e cercò di sapere il significato del colloquio.

       E giustamente dopo la visita dell’angelo si avvicinò ai luoghi montani, ai quali si era portata con umili passi verso i luoghi elevati della virtù, dopo di aver gustato la dolcezza dei cittadini celesti [i santi].

       Entra, dunque, nella casa di Zaccaria e di Elisabetta, e la saluta, non sapendo che stava per dare alla luce il Precursore del Signore, non dubitando della parola divina che aveva ascoltato, per congratularsi del dono che, come aveva saputo, la sua parente aveva ricevuto: non per verificare la parola dell’angelo con la testimonianza della cugina, ma affinché la giovane vergine, premurosa, offrisse il servizio alla donna avanzata in età.

       Non appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino esultò nel suo grembo, e fu ripiena di Spirito Santo.

       E mentre la beata Maria stava salutando, Elisabetta fu subito ripiena di Spirito Santo, e così pure Giovanni: e, spinti dall’unico e medesimo Spirito, riconobbe chi era che la salutava, e la venerò come madre del suo Signore, con la doverosa benedizione ed egli capì che era il Signore in persona colui che era racchiuso nel grembo della vergine: e poiché con la lingua ancora non era capace, con l’animo esultante salutò, e adempì al dovere di precursore che, da giovane, avrebbe adempiuto con devozione, e volentieri, e prima che nascesse con la venuta del Signore, fece conoscere con quali segni era capace.

       E, infatti, era vicino il tempo in cui si compiva la parola che l’angelo aveva detto: sarà ripieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre (Lc 1).

       Elisabetta, dunque, fu ripiena di Spirito Santo, ed esclamò a gran voce.

       Giustamente, a gran voce, perché conobbe i grandi doni di Dio; a buon diritto, a gran voce, perché sentiva in sé, anche col corpo la presenza di colui che ovunque aveva conosciuto con la sua presenza spirituale.

       E si deve, infatti, capire «a gran voce», non tanto clamorosa, ma devota.

       Né importava, pertanto lodare il Signore con una devozione di voce sommessa, la quale, perché ripiena di Spirito Santo, era fervida: portava nel grembo colui del quale nessuno era più grande fra i figli di donna: e si rallegrava della sua venuta, colui che, concepito nel seno di una madre vergine, era chiamato figlio dell’Altissimo, e lo era.

       Esclamò, in seguito, e disse: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno.

       Non solo benedetta fra le donne, ma tra le donne benedette insignita in un modo particolare, di una benedizione maggiore.

       E benedetto il frutto del tuo seno. Né fu benedetto secondo l’abitudine generale dei Santi, ma come dice l’Apostolo: I loro padri, dai quali Cristo [è disceso] secondo la carne, il quale è Dio benedetto sopra tutti nei secoli (Rm 9).

       Il Salmista, con mistica espressione, attesta i frutti di questa origine dicendo: E il Signore, infatti, rivolgerà la sua benevolenza, e la nostra terra sarà il suo frutto (Ps 84).

       Dio rivolse veramente la sua benevolenza, perché deliberò di sciogliere il genere umano dalla colpa della ribellione per mezzo del suo Insignito: diede la sua benevolenza, colui che consacrò il tempio con la grazia dello Spirito Santo, nell’entrare nel suo seno verginale.

       E la terra nostra diede il suo frutto, poiché la stessa vergine che aveva avuto il corpo della terra, generò il Figlio, eguale, in verità, a Dio Padre, ma della sua stessa sostanza corporale.

       E Isaia, intuendo il tempo della Redenzione umana, disse sopra questa verità: In quel giorno, vi sarà il germe del Signore nella maestà e nella gloria, e il frutto della terra sarà sublime (Is 4).

       E, infatti, il germe del Signore si manifestò nello splendore e nella gloria, poiché l’eterno Figlio di Dio apparendo nel tempo come uomo, splendette fulgido con la grandezza delle virtù celesti.

       Anche il frutto della terra fu sublime, dal momento che innalzò al cielo la carne che Dio aveva preso mortale dalla nostra natura, ed, in virtù della risurrezione, aveva reso immortale.

       Giustamente, dunque, si dice: «Tu sei benedetta fra le donne, e benedetto è il frutto del tuo seno».

       Benedetta è, infatti, incomparabilmente colei che ricevette la gloria del germe divino, e conservò la corona della verginità. Benedetta tra le donne (perché) a causa del tuo parto verginale sei stata esclusa, fra i nati di donna, dalla maledizione della prima madre.

       Benedetto il frutto del seno di colei per il quale abbiamo ricevuto il germe della incorruttibilità e della celeste eredità che perdemmo in Adamo.

       E benedetto in modo vero ed unico colui che ricevette la grazia della benedizione dal Signore non secondo il nostro modo, dopo che nacque, ma benedetto per salvare il mondo venne, nel nome del Signore.

       E donde quest’onore che la madre del mio Signore venga a me?

       O quanta umiltà nell’animo della profetessa, quanto è vera la parola del Signore che dice: Il mio Spirito non riposerà se non sopra colui che è umile, e mite e rispettoso delle mie parole (Is 56).

       Quando vide subito la madre del Signore che era venuta da lei, la riconobbe: ma, non trovando in sé nessun merito del quale diventasse degna di essere visitata da un così illustre ospite, disse: Donde a me questo onore che la madre del mio Dio venga a me?poiché, senza dubbio, lo stesso Spirito, che le aveva portato il dono della profezia, le diede parimenti anche il dono dell’umiltà.

       Ripiena di Spirito profetico capì che era venuta presso di sé la Madre del Salvatore, ma circonfusa dello spirito di umiltà fu presa dal timore di essere meno degna della sua venuta.

       Ecco che non appena ho udito nelle mie orecchie la voce del tuo saluto, esultò di gioia il bambino nel mio seno.

       Capì Elisabetta, sotto la rivelazione dello Spirito di cui era ripiena, che cosa volesse dire l’esultanza del bambino, cioè che era venuta la madre di colui di cui lo stesso precursore e annunziatore era per venire.

       Oh, quanto è meravigliosa, quanto sollecita l’azione dello Spirito Santo!

       Nessun indugio vi è, senza dubbio, nell’imparare, dove lo Spirito Santo è presente come maestro. Nel medesimo istante, con la voce del saluto, nasce la gioia del bambino, poiché mentre la voce giunge alle orecchie, la virtù dello Spirito Santo nel cuore di chi ascoltava, non solo della madre, influì anche sulla prole con l’amore del Dio che stava venendo.

       Quindi la stessa madre del precursore del Signore subito si preoccupò di diffondere apertamente quelle cose che aveva in segreto conosciuto, a quelle persone che si avvicinavano ed ascoltavano.

       Infatti, aggiunge:

       E beata te che hai creduto, poiché si adempiranno in te quelle cose che ti sono state dette dal Signore.

       Infatti, anche questo Elisabetta apprese dallo Spirito Santo, [cioè] quelle parole che l’angelo aveva pronunziato a Maria, poiché credette subito a chi gliele annunziava, poiché tali [parole] con l’efficacia della divina potenza, si dovevano adempiere senza alcun dubbio.

       E lo stesso Spirito non appena la riempì in modo meraviglioso, la illuminò anche, nel contempo, con la scienza delle cose presenti, passate e future.

       Intorno alle presenti si mostrò già informata, allorché chiamando Maria, Madre del suo Signore, indicò perché portasse nel seno il Redentore del genere umano.

       Per la qual cosa proclamò benedetto in maniera singolare anche il frutto del suo seno.

       Indicò che aveva ricevuto notizia delle cose passate che riconobbe che le erano state svelate nelle parole dell’angelo a Maria, e nel consenso di Maria che aveva creduto.

       Ma confermò che non le era stata negata la scienza delle cose future, poiché rivelò che quelle cose che erano state dette, dovevano essere compiute dal Signore.

       Chi, poi, fratelli miei, sarebbe capace di dire, di valutare, quale grazia dello Spirito di Dio, ricolmò la sua Madre, e quale luce del dono celeste risplendette nella madre così grande del Precursore?

       Beda il Venerabile, In Visitatione B.V.M., hom. 2


2. La profezia di Maria

       Prima di Giovanni profetizza Elisabetta, prima della nascita del Signore e Salvatore profetizza Maria. E come il peccato ha cominciato dalla donna per raggiungere poi l’uomo, così il principio della salvezza ha preso inizio dalle donne, affinché anche tutte le altre donne, superando la debolezza del sesso, imitino la vita e la condotta delle sante, e soprattutto di quelle di cui si parla ora nel Vangelo.

       Vediamo dunque la profezia della Vergine. Dice: La mia anima magnifica il Signore, e ha esultato il mio spirito in Dio mio Salvatore ().

       Ci si domanda in che modo l’anima possa magnificare il Signore. Se infatti il Signore non può ricevere né accrescimento né diminuzione, ed è colui che è, per qual motivo ora Maria dice: «La mia anima magnifica il Signore»?

       Se io considero che il Signore e Salvatore è l’immagine di Dio invisibile (), e se costato che la mia anima è fatta a immagine del Creatore (cf. ) per essere l’immagine dell’immagine (la mia anima in realtà non è proprio l’immagine di Dio, ma è stata creata a somiglianza della prima immagine), potrò allora capire in questi termini: alla maniera di coloro che dipingono immagini e, una volta scelto ad esempio il volto di un re, rivolgono la loro abilità artistica a riprodurre un modello unico, così ciascuno di noi trasformando la sua anima a immagine di Cristo compone di lui una immagine più o meno grande, talvolta trascurata e sporca, tal altra chiara e luminosa e rispondente all’originale. Quando dunque avrò fatto grande l’immagine dell’immagine, cioè la mia anima, e l’avrò magnificata con le opere, con il pensiero, con la parola, allora l’immagine di Dio diviene più grande, e lo stesso Signore, di cui l’anima è l’immagine, è magnificato nella nostra stessa anima. E come il Signore cresce nella nostra immagine, così, se siamo peccatori, egli diminuisce e decresce.

       Per essere più precisi, il Signore non diminuisce né decresce, ma siamo noi che, invece di indossare l’immagine del Salvatore ci rivestiamo di altre immagini; al posto dell’immagine del Verbo, della sapienza, della giustizia e di tutte le altre virtù, assumiamo l’aspetto del diavolo, tanto che possiamo essere chiamati serpenti, generazione di vipere (Mt 23,33)...

       Orbene dapprima «l’anima» di Maria «magnifica il Signore» e, dopo, «il suo spirito esulta in Dio»; cioè, se non siamo dapprima cresciuti, non possiamo esultare.

       Ella dice: Perché ha guardato l’umiltà della sua ancella (Lc 1,48). Su quale umiltà di Maria il Signore ha volto il suo sguardo? Che cosa aveva, la madre del Salvatore, di umile e di basso, ella che portava nel seno il Figlio di Dio? Dicendo: «Ha guardato l’umiltà della sua ancella», è come se dicesse: ha guardato la giustizia della sua ancella, ha guardato la sua temperanza, ha guardato la sua fortezza e la sua sapienza. È giusto infatti che Dio rivolga il suo sguardo sulle virtù. Qualcuno potrebbe dire: capisco che Dio guardi la giustizia e la sapienza della sua ancella; ma non è troppo chiaro perché volge il suo sguardo sull’umiltà. Chi pone questa domanda si ricordi che proprio nelle Scritture l’umiltà è considerata come una delle virtù.

       Dice il Salvatore: Imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo alle anime vostre (Mt 11,29). E se vuoi conoscere il nome di questa virtù, cioè come essa è chiamata dai filosofi, sappi che l’umiltà su cui Dio rivolge il suo sguardo è quella stessa virtù che i filosofi chiamano atufiá oppure metriòtes. Noi possiamo peraltro definirla con una perifrasi: l’umiltà è lo stato di un uomo che non si gonfia, ma si abbassa. Chi infatti si gonfia, cade, come dice l’Apostolo, «nella condanna del diavolo» - il quale appunto ha cominciato col gonfiarsi di superbia -; l’Apostolo dice: Per non incappare, gonfiato d’orgoglio, nella condanna del diavolo (1Tm 3,6).

       «Ha guardato l’umiltà della sua ancella»: Dio mi ha guardato - dice Maria - perché sono umile e perché ricerco la virtù della mitezza e del nascondimento.

       Ecco che sin d’ora tutte le generazioni mi chiameranno beata (Lc l,48). Se intendo «tutte le generazioni» secondo il più semplice significato, ritengo che si faccia allusione ai credenti. Ma se cerco di vedere il significato più profondo, capirò quanto sia preferibile aggiungere: Perché fece grandi cose per me colui che è potente (Lc l,49). Proprio perché chiunque si umilia sarà esaltato (Lc 14,11), Dio «ha guardato l’umiltà» della beata Maria; per questo ha fatto per lei grandi cose colui che è potente e il cui nome è santo.

       E la sua misericordia si estende di generazione in generazione (Lc l,50). Non è su una generazione, né su due, né su tre, e neppure su cinque che si estende «la misericordia» di Dio; essa si estende eternamente «di generazione in generazione».

       Per coloro che lo temono ha dispiegato la potenza del suo braccio (Lc l,51). Anche se sei debole, se tu ti accosti al Signore, se avrai timore di lui, potrai udire la promessa con la quale il Signore risponde al tuo timore.

       Quale è dunque questa promessa? Dice: per coloro che lo temono si è fatto potenza. La forza o il potere è attributo regale. Infatti la parola kratos, che noi possiamo tradurre con potenza, si applica a colui che governa oppure a colui che tiene tutto in suo potere. Ebbene, se tu temi Dio, egli ti comunica la sua forza e la sua potenza, egli ti dà il suo regno, onde tu, assoggettato al re dei re (Ap 19,16), possegga il regno dei cieli, in Gesù Cristo, cui appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen (1P 4,11).

       Origene, In Luc., 8, 1-7


3. La beatitudine di Maria

       Eccoti beata fra le donne, integra fra le madri, signora tra le ancelle, regina tra le sorelle. Ecco infatti che da questo momento ti dicono beata tutte le genti; beata ti riconoscono le celesti virtù; beata ti predicano tutti i poeti; beata ti celebrano le nazioni. Beata tu per la mia fede, beata per la mia anima, beata per il mio amore, beata per le mie preghiere e per le mie prediche.

       Che io ti predichi, dunque, finché sei predicanda; che ti ami finché sei amabile; che ti lodi finché sei lodevole; che io ti serva finché servizio merita la tua gloria. Tu ricevendo Dio solo, sei seconda solo al Figlio di Dio; tu, generando nel tempo Dio e l’uomo simultaneamente, sei prima dell’uomo figlio, al quale, accogliendo la venuta di Dio come ospite, e concependolo desti ospitalità ad un tempo a Dio e all’uomo. In passato, pura per intervento di Dio; nel presente accogli in te Dio e l’uomo; nel futuro generando l’uomo e Dio; lieta per la verginità e per il concepimento; gioiosa per la prole e per la purezza; fedele al figlio ed allo sposo. Conservi la fedeltà al Figlio tuo, perché Egli non conosca genitore nella sua carne; serbi fedeltà allo sposo, perché Quegli stesso ti conosca genitrice senza l’uomo.

       Tanto degna di gloria nel Figlio, quanto disconosci ogni contatto di uomo; istruita in ciò che si deve conoscere, edotta in ciò che si deve credere, confermata in ciò che si deve sperare, corroborata in ciò che si deve mantenere senza possibilità di perdita alcuna.

       Ildefonso di Toledo, De virginit. BMV, vv. 106-121


4. Gesù e Giovanni s’incontrano prima di nascere

       Come mai la madre del mio Signore viene da me? (Lc 1,43). Grande umiltà, fratelli miei: la madre del Salvatore si reca dalla madre del Precursore! Giovanni saluta il Cristo, ma non si vedono l’un l’altro nella carne. Cristo stava nel grembo di Maria e Giovanni era portato in quello d’Elisabetta. E la voce profetica a nome di Cristo diceva: Ti riconobbi prima che fossi formato nell’utero e ti santificai prima che ne uscissi, e ti costituii profeta tra i popoli (Jr 1,5).

       Beate quelle madri, che furon fatte genitrici di santi! E saranno sempre benedette coloro che poterono essere dette madri di tale persone!

       Osserviamo la nascita di questi due e vediamone la meravigliosa generazione: uno da una sterile, l’altro da una vergine; la sterilità diventa feconda, la verginità rimane dopo il parto; la sterile genera il profeta, la vergine il giudice. Elisabetta genera Giovanni il Battista, Maria genera Cristo il Salvatore.

       Pseudo Agostino, De natali sancti J.B., I, 2


5. Giovanni profeta nel seno materno

       Giovanni, figlio di Zaccaria, fu il primo precursore e araldo del Salvatore; e annunziando la luce celeste, ch’era venuta nel mondo, per primo, nell’utero materno, appena concepito da Elisabetta, fece l’ufficio di precursore, per additare la nuova nascita, di cui dovevano essere arricchiti dalla Vergine e dallo Spirito Santo, anche quelli ch’erano ancora piccoli in seno alle madri.

       Sentito il saluto della madre, Giovanni sussultò di gioia nell’utero di sua madre, vedendo Dio Verbo, anch’esso concepito nell’utero della Vergine.

       Ippolito di Roma, De Christo et antichr., n. 109


6. Maria ed Elisabetta

       Elisabetta veniva riempita dallo spirito del figlio, Maria era santificata dallo spirito del figlio; perciò leggi che esultò il bambino del suo ventre ed Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo (Lc 1,41).

       Fai attenzione a ciascuna parola. Elisabetta per prima udì la voce di Maria, ma Giovanni per primo sentì la grazia del Signore. Bellamente s’accordano gli oracoli con gli oracoli, la donna con la donna, il concepito col concepito. Le donne parlano di grazia, i concepiti operano nel seno e attraverso l’elevazione delle madri dimostrano il mistero della pietà; e con un duplice miracolo, sebbene con diverso onore le madri profetizzano per mezzo dello spirito dei figli. Chi è l’autore di questo miracolo? Non forse il Figlio di Dio, che diede vita ai non nati?

       Ambrogio, De fide, IV, 13, 113-114




SOLENNITÀ DELLA PENTECOSTE


La Solennità della Pentecoste conclude attualmente il periodo pasquale. Le testimonianze della sua celebrazione risalgono alla prima metà del II secolo, ma non era una pratica comune (alcune Chiese in Spagna usavano finire la celebrazione della Pasqua con la festa dell’Ascensione). Le ammonizioni e le prescrizioni dei Sinodi hanno fatto sì che nel IV secolo la festa della Pentecoste venisse già celebrata comunemente. All’incremento dell’importanza della festa ha contribuito l’amministrazione del Battesimo nella vigilia della festa a tutti coloro che per diversi motivi non potevano essere battezzati nella Vigilia pasquale. Ancora nei tempi di papa Leone Magno (+ 460), Roma terminava il periodo pasquale con la Solennità della Pentecoste, ma nella seconda metà del secolo VI è comparsa l’ottava della festa, modellata sull’ottava pasquale che Roma accolse e che perdurò fino all’ultima riforma del calendario.

       Lo Spirito Santo discende su Maria e sugli apostoli radunati nel Cenacolo, Cristo risorto dai morti manda il promesso Spirito Consolatore. Comincia la nuova epoca nella storia della salvezza, viene la pienezza dei tempi predetta dai profeti, viene il tempo della Chiesa. La Chiesa, animata dallo Spirito Santo, inizia l’annuncio della lieta notizia della salvezza a tutte le genti e raduna i popoli della terra.

       La Nuova Alleanza nel Sangue di Cristo è aperta a tutti. Lo Spirito Santo anima la Chiesa; con la sua forza, la Chiesa amministra i sacramenti; allo Spirito Santo essa rivolge la supplica per l’unità dei credenti in Cristo. Lo Spirito Santo abita nei cuori dei credenti, li rende figli di Dio, dà loro la forza di testimoniare Cristo, induce a portare il Vangelo agli altri, dà il coraggio nelle contrarietà. Lo Spirito Santo guida la Chiesa nella storia e ciascuno dei credenti nella vita, introduce la Chiesa e ciascuno dei credenti nella più profonda comprensione del mistero di Cristo. La Chiesa, come ciascuno dei suoi membri, deve porgere l’orecchio alle ispirazioni dello Spirito Santo, riconoscere la sua voce e lasciarsi guidare da lui. Lo Spirito del Signore ha riempito la terra, ma continua a risuonare l’esclamazione della Chiesa: vieni Santo Spirito! Vieni nei cuori degli uomini, perché è tanto difficile trasformarli, rinnovarli ed infiammarli col fuoco dell’amore.

       O Dio, luce e vita dei credenti,

       di cui la odierna festività rende testimonianza

       per la magnificenza ineffabile dei doni,

       da’ ai popoli che ti appartengono di capire con la mente

       ciò che solo un prodigio può tradurre in parole

       affinché l’adozione che in loro apportò il tuo Santo Spirito

       nulla abbia di tiepido nell’amore

       e nulla di avverso nella confessione.

       Missale Gothicum, ed. L.C. Mohlberg, Roma 1961, n. 358




SOLENNITÀ DELLA SANTISSIMA TRINITÀ


(Domenica dopo Pentecoste)

       La più antica tradizione liturgica non conosce una speciale festa in onore della Santissima Trinità poiché si pensava che tutta la liturgia fosse la continua adorazione di Dio nelle Tre Persone. Nell’epoca carolingia nasce la devozione privata alla Santissima Trinità, e fin dal secolo X alcune Chiese hanno già una festa a parte. Roma fu contraria a questa prassi ma senza effetto: la festa fu accolta in Gallia ed in Germania. Papa Giovanni XXII l’approva nell’anno 1334 e la festa si diffonde in tutta la Chiesa seguendo la decisione precedente del Sinodo di Arles (1263), si raccomanda di celebrarla la prima domenica dopo la Pentecoste.

       «Santo, santo, santo il Signore, Dio dell’universo», esclamiamo ogni volta che celebriamo l’Eucaristia. Glorifichiamo il Dio vivo e vero, Dio che vive nei secoli e abita nella luce inaccessibile. Dio che ha dato origine all’universo, che con sapienza e amore ha fatto tutte le sue opere. Dio che ha formato l’uomo a sua immagine e somiglianza.

       Unendoci agli angeli, che incessantemente cantano la sua lode, fatti voce di ogni creatura, innalziamo il canto di lode (Preghiera eucaristica IV).

       Questo Dio ci ha fatto conoscere la sua vita intima: è l’Unico ma in Tre Persone. Nel proclamare Dio vero ed eterno, noi adoriamo la Trinità delle Persone. I libri della Nuova Alleanza ci introducono nella profondità di questo mistero. Il Padre ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito per salvarlo ed ha mandato lo Spirito Santo per guidarlo alla pienezza della santità. Contemplando il mistero di Dio esclamiamo: sia benedetto Dio Padre, e l’unigenito Figlio di Dio, e lo Spirito Santo. Professare la fede nella Santissima Trinità vuol dire accettare l’amore del Padre, vivere per mezzo della grazia del Figlio ed aprirsi al dono dello Spirito Santo: credere che il Padre ed il Figlio vengono all’uomo attraverso lo Spirito e vi abitano; gioire che il cristiano è il tempio vivo di Dio nel mondo; vivere sulla terra ma nello stesso tempo in Dio, camminare verso Dio con Dio.

       Signore Dio, Padre onnipotente,

       guarda i tuoi servi che adorano la tua maestà;

       benedicili e proteggili per il tuo unico Figlio

       nella potenza dello Spirito Santo

       e fa’ che trovino nella tua lode

       letizia sempre più grande.

       Messale Ambrosiano, Santissima Trinità. Orazione a conclus. liturg. parola




SOLENNITÀ DEL SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO


(Domenica dopo la Trinità)

       L’origine della festa del Corpus Christi va associata col sorgere di una nuova pietà eucaristica nel Medioevo che accentuava la presenza di Cristo nel Santissimo Sacramento. La causa prossima dell’introduzione della festa furono le rivelazioni della beata Giuliana (1193-1258), monaca agostiniana del convento di Mont-Cornillon, vicino a Liegi. La materia delle rivelazioni fu presentata ai teologi (tra i quali c’era il futuro papa Urbano IV), e dopo aver ricevuto il loro verdetto, nell’anno 1246, la festa fu introdotta nella diocesi di Liegi e celebrata il giovedì nell’ottava della SS. Trinità. Urbano IV estende la festa a tutta la Chiesa nel 1264; ma la sua morte non ha permesso la promulgazione del documento. Solo dopo aver pubblicato la bolla di papa Giovanni XXII, nell’anno 1317, la festa fu accolta in tutto il mondo.

       La prima menzione della processione in questo giorno proviene da Colonia (1277-1279); nel secolo XIV la conoscono già le altre diocesi di Germania, Inghilterra e Francia, e Roma stessa verso il 1350. Sul territorio di Germania, all’inizio del XV secolo, la processione del Corpus Christi fu legata alla supplica per il buon tempo ed il buon raccolto. Presso quattro altari si cantavano gli inizi dei quattro Vangeli: era comune la convinzione che il canto di questi brani avrebbe portato un particolare aiuto e protezione da tutti i pericoli.

       La processione supplicante diventa importante per i fedeli, che fanno tutto per renderla più splendida. Sotto l’influsso della Riforma, la processione assume un altro carattere, diventa la professione di fede nella reale presenza di Cristo nel Santissimo Sacramento. Si continua a cantare l’inizio dei Vangeli, ma questa prassi viene interpretata in altro modo: sotto le specie del pane è presente Cristo in mezzo a noi, Cristo che una volta ha vissuto sulla terra e il cui Vangelo è adesso annunciato.

       Pio IX, nell’anno 1849, in segno di gratitudine per il felice ritorno dall’esilio, costituì la festa del Preziosissimo Sangue di Cristo. Dato che la festa del Corpo di Cristo è nello stesso tempo festa del Sangue di Cristo, il nuovo calendario sopprime la festa del 1° luglio e alla festa del Corpus Christi dà nome: Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo.

       Cristo nel «mirabile Sacramento ci ha lasciato il memoriale della sua Pasqua» e la Chiesa, attraverso i secoli, celebrando l’Eucaristia «annuncia la morte del Signore, proclama la sua Risurrezione ed attende la sua venuta nella gloria». Cristo in modo mirabile rimane in mezzo a noi: ci fa partecipare al suo Sacrificio di Redenzione e si fa cibo per noi. Egli offre il suo Corpo per noi; il suo Sangue comporta la remissione dei peccati. Il Sacrificio di Gesù porta pace e salvezza a tutto il mondo. La Chiesa si nutre del Corpo e del Sangue del Signore: e allora tutti i suoi figli diventano «un solo corpo e un solo spirito in Cristo». La potenza dello Spirito Santo riveste tutti i credenti e fa sì che essi diventino in Cristo il sacrificio vivente a gloria di Dio Padre. L’Eucaristia diviene per chi crede il preannunzio della piena partecipazione alla vita di Dio nell’eternità, è il pegno della vita eterna. «Chi mangia il mio Corpo e beve il mio Sangue avrà la vita «eterna», disse il Signore.

       Cristo Signore è presente in mezzo a noi nel Santissimo Sacramento. La coscienza di ciò porta all’adorazione e alla lode, specialmente nella Solennità del Corpo e del Sangue del Signore. In questo giorno, il popolo cristiano dà pubblicamente e con pietà la testimonianza della sua fede nell’Eucaristia, esce in processione sulle strade con canti di lode.

       Mistero della Cena!

       Ci nutriamo di Cristo,

       si fa memoria della sua passione,

       l’anima è ricolma di grazia,

       ci è donato il pegno della gloria.

       Liturgia Horarum, III: Sanctissimi Corporis et Sanguinis Christi, ad II Vesperas, ad Magnificat


1. Le condizioni per celebrare la Pasqua

       Facciamo pure così in ciò che spetta ai misteri (eucaristici), senza guardare soltanto ciò che abbiamo dinanzi a noi, ma tenendo presenti le sue parole. Perché la sua parola è infallibile ed i nostri sensi sono fallibili. La sua parola non è mai venuta meno mentre i sensi il più delle volte si ingannano. Poiché la sua parola ci dice: Questo è il mio corpo, ubbidiamo e crediamo, e vediamolo con gli occhi dello spirito. Infatti, Cristo non ci diede nulla di sensibile, ma piuttosto, per mezzo di cose sensibili, non ci diede altro che cose spirituali. Così nel battesimo, per mezzo di una cosa sensibile, ci si dà il dono dell’acqua, ma sono spirituali la rinascita e il rinnovamento ivi prodotti. Se tu fossi incorporeo, ti avrebbe dato soltanto questi doni incorporei; ma poiché l’anima è unita al corpo, ti offre - per mezzo di cose sensibili - altre spirituali. Quanti ora dicono: «Vorrei vedere la sua forma, la sua figura, le sue vesti, i suoi calzari!». Ecco quindi che Lo vedi, Lo tocchi, Lo mangi. Tu desideri vedere le sue vesti; ma Egli stesso ti si dona, e non solo perché tu lo veda, ma perché tu lo veda, ma perché lo possa toccare e mangiare e lo riceva dentro di te. Nessuno, quindi, si avvicini con senso di fastidio, con tiepidezza; tutti vi giungano pieni di ardore, di fervore e ben desti. Perché se i giudei, stando in piedi, tenendo i calzari e i bastoni in mano, mangiavano in fretta, conviene assai di più che tu sia in guardia. Se essi, infatti, dovevano recarsi in Palestina, e per questo prendevano la forma di viandanti, tu invece devi trasferirti in cielo.

       È necessaria quindi una grande vigilanza: il tormento da cui sono minacciati coloro che comunicano indegnamente non è mediocre Considera come ti riempi di sdegno contro il traditore e contro quelli che hanno messo in croce Cristo. Bada bene di non essere anche tu reo del corpo santissimo, ma tu lo ricevi con l’anima immonda dopo aver ricevuto tanti benefici! Poiché Egli non si accontentò di farsi uomo, di essere schiaffeggiato e crocefisso, ma si unisce anche e si intrattiene con noi, e non solo per mezzo della fede, ma in realtà ci fa suo proprio corpo. Quale genere di purezza deve superare colui che partecipa a tale sacrificio? Quali raggi di luce da essere sorpassati dalla mano che spezza questa carne, dalla bocca che si riempie di questo fuoco spirituale, dalla lingua che si arrossa con questo sangue venerando?

       Considera quale onore tanto elevato ti viene reso, di quale banchetto fai parte. Colui che gli angeli vedono con tremore e, a causa del suo splendore, non osano guardare in faccia, di Questi noi ci alimentiamo, con Questi noi ci mescoliamo e diventiamo un solo corpo e carne di Cristo. Chi può narrare i prodigi del Signore, far risuonare tutta la sua lode? (Ps 105,2). Quale pastore non rnanda al pascolo le sue pecore servendosi dei suoi servi? Ma che dico, pastore? Vi sono spesse volte delle madri le quali, dopo aver sofferto i dolori del parto, offrono i loro figli ad altre affinché li allattino e li educhino. Ma Egli non ha voluto così; Egli ci alimenta col suo sangue e si unisce a noi con tutti i mezzi. Osservalo bene: è nato dalla nostra stessa sostanza. Ma ciò non appartiene a tutti, dirai. Invece, sì certamente: a tutti. Perché se è venuto a prendere su di sé la nostra natura, è evidente che è venuto per tutti. E se per tutti, anche per ognuno di noi.

       Ma come mai, mi dirai, non tutti hanno saputo trar profitto da questo guadagno? Non certamente per colpa di Colui il quale ha scelto questo in nome di tutti, bensì per colpa di coloro che non hanno voluto. Con ognuno dei fedeli Egli si unisce e si mescola per mezzo del sacramento, e coloro che ha generati li alimenta lui stesso e non li affida ad altri, e ti persuade allo stesso tempo col fatto che Egli ha preso la tua carne. Non dobbiamo quindi essere pigri, essendo stati giudicati degni di un sì grande amore ed onore. Non vedete con quale slancio i piccoli si attaccano al petto della madre, con quale impulso vi applicano le labbra? Avviciniamoci anche noi con lo stesso slancio a questa mensa, a questo petto e a questo calice spirituale; e ancora di più: attiriamo con un impegno più grande, come fanno i bimbi che devono essere allattati, la grazia dello Spirito Santo, e non abbiamo nessuna altra preoccupazione se non quella di non partecipare di questo alimento. L’Eucaristia non è opera dovuta alla virtù umana. Colui che in quella cena l’ha portata a compimento è Colui che ancor oggi la sostiene. Noi abbiamo la funzione di suoi ministri; ma Colui che santifica la offerta e la trasforma è Lui stesso.

       Non vi prenda parte, quindi, nessun Giuda, nessun avaro. Se qualcuno non è suo discepolo, si ritiri; il sacro banchetto non ammette tali commensali. Celebro la Pasqua, afferma, con i miei discepoli (Mt 26,8). Questa è la stessa mensa. Poiché non si può dire che Cristo abbia preparato quella e l’uomo questa: ambedue sono state preparate da Cristo. Questa è quel cenacolo in cui allora si trovavano e da cui si recarono al monte degli; Ulivi. Rechiamoci anche noi verso le mani dei poveri, perché sono esse nel monte degli Ulivi. Ulivi piantati nella casa del Signore, sono la moltitudine dei poveri, i quali distillano l’olio che nell’al di là ci sarà di utilità, l’olio che avevano le cinque vergini, mentre le altre cinque perirono perché non seppero prenderlo da qua. Prendiamolo, dunque, ed entriamo per andar incontro allo Sposo con le lampade splendenti; prendiamolo ed usciamo da qua con esso. Non vi entri nessuno che sia disumano, nessuno che sia crudele e senza compassione, nessuno assolutamente che sia macchiato.

       Dico questo a voi che comunicate e a voi che amministrate la comunione. Perché è necessario parlare anche a voi affinché di affinché distribuiate questi doni con molta diligenza. Non vi viene riservato affatto un piccolo castigo se, conoscendo le cattiverie di qualcuno, permettete che partecipi a questo banchetto. Si domanderà conto del suo sangue alle vostre mani! (Gn 42,22). Anche se si tratta del comandante militare, anche se si tratta del prefetto, anche se è colui stesso che si cinge il diadema, e si accosta indegnamente, allontanalo; tu hai un potere più grande di quello che ha lui! Se tu avessi ricevuto l’incarico di conservare pura una fonte di acqua per un gregge, e vedessi una pecora con la bocca piena di fango, non le permetteresti di abbassarsi sulla corrente e di intorbidirla; e come mai adesso, che sei incaricato di una fonte non d’acqua, ma di sangue e spirito, e vedendo avvicinarsi ad essa alcuni che sono macchiati, non di terra e fango, ma di qualcosa di peggio, il peccato, come mai non ti adiri e non li allontani? Quale perdono pensi vi sia per te?

       Per questo Iddio vi ha distinti con sì grande onore, affinché voi possiate far la cernita tra i degni e gli indegni. Questa è la vostra dignità, questa è la vostra sicurezza, questa la vostra corona; e non passeggiare (per la chiesa) cinti di un bianco e splendente vestito.

       Crisostomo Giovanni, In Matth., 82, 4-6


2. «Fate questo in memoria di me»

       E mentre cenavano, prendendo in mano il pane, lo spezzò. Per quale motivo ha celebrato questo mistero precisamente nel tempo della Pasqua? Affinché tu scopra in ogni luogo che Lui era il Legislatore dell’Antico Testamento, e che quanto è in esso contenuto è stato scritto per raffigurare questa realtà. Ed è per questo motivo che Egli ha collocato la verità al posto della figura. La sera, per suo conto, significava la pienezza dei tempi, e che gli avvenimenti erano vicini ormai al loro termine. Egli, inoltre, rende grazie, insegnandoci così come si deve celebrare questo mistero, dimostrandoci che Egli non cammina verso la Passione involontariamente, insegnandoci a portar avanti con gratitudine tutte le nostre sofferenze e proponendoci tante buone speranze. Poiché se la figura è stata un frutto di libertà da una così grande schiavitù, quanto più lo sarà la verità che darà libertà a tutta la terra e verrà data per il bene della nostra natura! Ed è per questo motivo che Egli non ci ha donato il mistero fino a questo momento, ma soltanto quando le istituzioni legali dovevano cessare. Egli distrugge infine la principale di tutte le sue feste, trasportando [i suoi] ad un’altra mensa terribile, ed esclama: Prendete, mangiate: questo è il mio corpo, il quale viene spezzato per molti (1Co 11,24).

       E come mai, all’udire questo, non ne furono turbati? Perché già in anticipo Egli aveva loro predetto su tale argomento molte e grandi cose. Per cui non le ribadisce ora, perché essi avevano già inteso parlare abbastanza sull’argomento, ma riporta la causa della sua passione, che era la remissione dei peccati. Egli chiama poi il suo sangue del Nuovo Testamento, vale a dire, della promessa, dell’annuncio della nuova legge. Infatti, ciò era stato promesso dai tempi antichi e viene confermato dal Testamento della legge nuova. E cosi come l’Antico Testamento usava pecore e vitelli, il Nuovo ha il sangue del Signore. Per questo stesso motivo fa capire che va verso la morte: per questo fa menzione di Testamento; e fa menzione dell’Antico, perché anch’esso si era iniziato col sangue.

       E ancora una volta accenna alla causa della sua morte. Il quale [il sangue] sarà effuso per molti per la remissione dei peccati; ed aggiunge: Fate questo in memoria di me. Vedete come si sta distaccando ed allontanando dalle usanze giudaiche? Così come quello anteriore - dice ad essi - lo facevate in memoria delle meraviglie di Egitto, ora fate questo in memoria di me. Quel sangue era stato effuso a salvezza dei primogeniti: questo invece in perdono dei peccati di tutto il mondo. Perché questo è il mio sangue - egli dice - che sarà versato in remissione dei peccati. E parlava in questo modo, dichiarando così che la passione e la croce sono un mistero, ed esortando in tale maniera allo stesso tempo i discepoli. E così come Mosè ha detto: Questo [sia] per voi ricordo sempiterno (Ex 3,15), così pure Egli dice: In memoria di me (Lc 22,19) finché io verrò. Per questo motivo dice ancora: Ho desiderato ardentemente di mangiare questo agnello pasquale (Lc 22,15); e cioè, consegnarvi delle cose nuove e donarvi la pasqua, con la quale devo rendervi spirituali.

       Di esso [del sangue] ne bevve anche Lui. Infatti, affinché quelli, nell’udire ciò, non dicessero: «Come mai? Beviamo sangue e mangiamo carne?» e ne fossero turbati (poiché in realtà, quando Egli parlò di questo argomento, molti solo all’udire tali parole, ne furono scandalizzati), Egli - perché non venissero turbati anche ora - è stato il primo a farlo, invogliandoli tranquillamente alla partecipazione dei misteri. Per tal motivo bevve Egli stesso il suo proprio sangue. Ma come? dirai. E bisognerà fare anche quello di prima (quello dell’antica legge)? Niente affatto. Perché Egli ha detto: Fate questo, precisamente per allontanarci da quello. Infatti, se questo opera la remissione dei peccati - come in realtà avviene -, quello è ormai inutile. Così, dunque, come succedeva tra i Giudei, vincola ora al mistero il ricordo del beneficio, chiudendo in tal modo la bocca agli eretici. Perché quando essi dicono: «Da che cosa si deduce che Cristo è stato immolato?», oltre ad altre ragioni, chiudiamo le loro labbra per mezzo dei misteri. Poiché se Cristo non fosse morto, di che cosa sarebbero simbolo i misteri che noi celebriamo?

       Crisostomo Giovanni, In Matth., 82, 1


3. Cibo e bevanda di vita eterna

       Quelli che, cadendo nelle insidie loro tese, hanno preso il veleno, ne estinguono il potere mortifero con un altro farmaco. Allo stesso modo, come è entrato nelle viscere dell’uomo il principio esiziale, deve entrarvi anche il principio salutare, affinché si distribuisca in tutte le parti del suo corpo la virtù salvifica. Avendo noi gustato il cibo dissolvitore della nostra natura, ci fu necessario un altro cibo, che riunisce ciò che è dissolto, perché, entrato in noi, questo medicamento di salvezza agisse da antidoto contro la forza distruggitrice presente nel nostro corpo. E cos’è questo cibo? Null’altro che quel Corpo che si rivelò più possente della morte e fu l’inizio della nostra vita. Come un po’ di lievito, secondo quanto dice l’Apostolo (1Co 5,5), rende simile a sé tutto l’impasto, così quel Corpo, dotato da Dio dell’immortalità, entrato nel nostro, lo trasforma e lo tramuta tutto in sé. Come, infatti, il principio salutare mescolato al principio mortifero toglie il potere esiziale al miscuglio, così il Corpo immortale una volta dentro colui che lo ha ricevuto, lo tramuta tutto nella propria natura.

       Ma non è possibile entrare in un altro corpo, se non unendosi alle sue viscere, se non cioè, come alimento e bevanda: dunque è necessario ricevere la forza vivificante dello Spirito nel modo possibile alla natura. Ora, solo il Corpo, ricettacolo di Dio, ricevette la grazia dell’immortalità, ed è dimostrato che non è possibile, per il nostro corpo vivere nell’immortalità, se non partecipandovi per la comunione a quel Corpo. È necessario considerare come mai sia possibile che quel Corpo, continuamente distribuito in tutto il mondo a tante migliaia di fedeli, rimanga sempre unico e identico in tutto se stesso, affinché la fede, riguardando ciò che è conseguente non abbia dubbi circa le nozioni proposte, è bene fermare un poco il nostro ragionamento sulla fisiologia del corpo.

       Chi non sa che il nostro corpo, per natura sua, ha una vita che non è in sé sussistente, ma, per l’energia che in esso affluisce, si mantiene e resta nell’essere attirando con moto incessante a sé ciò che è estraneo ed espellendo ciò che è superfluo? Un otre pieno di un liquido, se il contenuto esce dal fondo, non può mantenere inalterata la forma e il volume, se dall’alto non entra altro liquido al posto di quello che se ne è andato: perciò chi vede la massa a forma d’otre di questo recipiente, sa che non e propria dell’oggetto che vede, ma che è il liquido che in lui affluisce a dare forma e volume al recipiente. Così anche il nostro corpo, per sua struttura, non ha nulla di proprio, a quanto ci consta, per la propria sussistenza, ma resta nell’essere per una forza che introduce in sé. Questa forza è e si chiama cibo. Essa poi non è identica per tutti i vari corpi che si nutrono, ma per ciascuno è stato stabilito il cibo conveniente da colui che governa la natura. Alcuni animali scavano radici e se ne nutrono, per altri nutrimento è l’erba e per altri ancora, invece, la carne. Per l’uomo, l’alimento principale è il pane, mentre la bevanda, necessaria per mantenere e conservare l’umidità, non è solo la semplice acqua, ma spesso unita al vino, che è di giovamento al nostro calore animale. Chi dunque guarda questi cibi, vede in potenza la massa del nostro corpo. Quando infatti sono in me diventano rispettivamente carne e sangue, perché il potere assimilante muta l’alimento nella forma del nostro corpo.

       Esaminato così dettagliatamente tutto ciò, riportiamo il pensiero al nostro argomento. Ci si chiedeva dunque come il corpo di Cristo, che è in lui, possa vivificare la natura di tutti gli uomini che hanno fede, venendo a tutti distribuito e non diminuendo in se stesso. Forse non siamo lontani da una ragione plausibile. Infatti, se la realtà di ogni corpo deriva dall’alimentazione, che consta di cibo e bevande, e il cibo è pane, la bevanda acqua unita al vino; se poi, come abbiam detto sopra, il Logos di Dio, che è Dio e Logos, si unì alla natura umana, e venendo nel nostro corpo, non innovò la realtà di tale natura umana, ma diede al suo corpo la possibilità di permanere in vita per mezzo di ciò che è consueto e adatto, dominandone cioè la sussistenza, per mezzo del cibo e della bevanda; se quel cibo era pane; se come in noi - l’abbiamo già detto ripetutamente - chi vede il pane vede in un certo senso il corpo umano, perché il pane in esso entrato in esso si trasforma; così anche nel nostro caso: il corpo ricettacolo di Dio, preso il pane in nutrimento, era in un certo senso lo stesso che il pane, perché il nutrimento, come abbiamo detto, si tramuta nella natura del corpo.

       Ciò che è proprio di tutti i corpi umani si verifica anche in quella carne: quel Corpo cioè veniva sostentato dal pane; ma quel Corpo, per l’inabitazione del Logos di Dio, si era trasmutato in dignità divina: giustamente credo, dunque, che anche ora il pane santificato dal Logos (Parola) di Dio si tramuta nel Logos di Dio, anche quel Corpo, infatti, era in potenza pane; fu santificato dall’abitazione del Logos che si attendò nella carne. Come il pane, trasformato in quel Corpo, si mutò in potenza divina, così anche ora diventa la stessa realtà. Allora la grazia del Logos rese santo il corpo la cui sussistenza dipendeva dal pane e in un certo senso era anch’esso pane; allo stesso modo ora il pane, come dice l’Apostolo (1Tm 4,5), santificato dal Logos di Dio e dalla preghiera, diviene corpo del Logos, non lentamente, come fanno cibo e bevanda, ma immediatamente come disse il Logos stesso: Questo è il mio corpo (Mt 26,26).

       Ogni corpo si ciba anche di liquido: senza il suo apporto, infatti, l’elemento terrestre che è in noi, non resterebbe in vita. Come sostentiamo la parte solida del nostro corpo con il cibo solido e duro, così all’elemento liquido del nostro corpo aggiungiamo qualcosa della sua stessa natura. Quando questo liquido è in noi, per la funzione assimilatrice, si tramuta in sangue, soprattutto se dal vino ha ricevuto la forza di mutarsi in calore. Dunque, anche questo elemento accolse nella sua struttura quella carne ricettacolo di Dio, ed è chiaro che il Logos unì se stesso alla caduca natura degli uomini affinché per la partecipazione alla divinità ciò che è umano fosse anch’esso divinizzato; per questo motivo egli, per disegno della sua grazia, per mezzo della carne la cui sussistenza proviene dal pane e dal vino, quasi seminò se stesso in tutti i credenti, unendosi ai loro corpi, affinché per l’unione con ciò che è immortale anche l’uomo diventasse partecipe dell’incorruttibilità. Questo egli dona per la potenza della benedizione che tramuta in ciò la natura degli elementi visibili.

       Gregorio di Nissa, Catech. M., 37


4. Credere per capire

       Ciò che dunque vedete è pane e vino; ed è ciò che anche i vostri occhi vi fanno vedere: ma la vostra fede vuol essere istruita, il pane è il corpo di Cristo, il vino è il sangue di Cristo. Veramente quello che è stato detto in poche parole forse basta alla fede: ma la fede desidera essere istruita. Dice infatti il profeta: Se non crederete, non capirete (Is 7,9). Infatti voi potete dirmi: «Ci hai insegnato a credere, fa’ in modo che noi comprendiamo». Nel proprio animo qualcuno può pensare: «Sappiamo che Nostro Signore Gesù Cristo nacque da Maria Vergine. Da bambino fu allattato, nutrito; quindi crebbe, divenne giovane, fu perseguitato dai Giudei, fu messo in croce, morì in croce, fu deposto dalla croce, fu sepolto, il terzo giorno risuscitò come aveva stabilito, salì in cielo; come è asceso così verrà a giudicare i vivi e i morti; quindi ora siede alla destra del Padre: come può il pane essere il suo corpo? E il calice, ossia il vino che il calice contiene, come può essere il suo sangue?». Ma queste cose, fratelli, si chiamano Sacramenti, poiché in essi una cosa si vede, un’altra si intende. Ciò che si vede ha un aspetto corporeo, ciò che si intende ha sostanza spirituale. Se dunque vuoi farti una idea del corpo di Cristo, ascolta l’Apostolo che dice ai fedeli: Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra (1Co 12,27). Perciò se voi siete il corpo e le membra di Cristo, il vostro mistero risiede nella mensa del Signore: voi accettate il vostro mistero. A ciò che siete voi rispondete Amen, e così rispondendo voi l’approvate. Infatti tu senti: «Il Corpo di Cristo»; e rispondi Amen. Sii membro del corpo di Cristo, perché sia vero quell’Amen. Perché dunque nel pane? Qui non aggiungiamo nulla di nostro, ascoltiamo sempre lo stesso Apostolo che, parlando di questo sacramento, dice: Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo (1Co 10,17): comprendete e gioite; unità, verità, pietà, carità. Un pane solo: che cos’è questo solo pane? Pur essendo molti siamo un corpo solo. Ricordatevi che il pane non si ottiene da un solo chicco di grano, ma da molti. Quando venivate esorcizzati era come se foste macinati. Quando siete stati battezzati, come se foste impastati. Quando avete ricevuto il fuoco dello Spirito Santo, come se foste cotti. Siate ciò che vedete e accettate quello che siete. Questo ha detto del pane l’Apostolo. Quindi quello che intendiamo col calice, anche se non è stato detto, lo ha mostrato sufficientemente. Infatti come molti chicchi si fondono in uno solo per avere la forma visibile del pane, così avvenga ciò che la Sacra Scrittura dice dei fedeli: Essi avevano un cuor solo e un’anima sola rivolti verso Dio (Ac 4,32): ed è così anche per quanto riguarda il vino. Fratelli, ricordate da che cosa si ricava il vino. Molti sono i chicchi che pendono dal grappolo, ma poi tutti si mescolano in un solo liquido. Cristo Signore ha voluto che noi fossimo così, ha voluto che noi gli appartenessimo, ha consacrato alla sua mensa il mistero della pace e della nostra unità. Chi accoglie il mistero dell’unità, ma non mantiene il vincolo della pace, non accoglie il mistero in suo favore, ma una prova contro di sè.

       Agostino, Sermo 272


5. Il dono ineffabile di Cristo

       Tali sono i gloriosi misteri della santa Chiesa, e tale è l’ordine nel quale sono celebrati dai sacerdoti.

       Felice colui che ha il cuore puro, nel momento in cui sono consacrati i misteri tremendi del Corpo di nostro Signore. Gli angeli del Cielo giudicano molto fortunati i figli della Chiesa che sono stati resi degni di ricevere il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore.

       Gloria al tuo nome per il tuo dono ineffabile!

       E chi può adeguatamente rendere gloria alla tua divinità?

       Vieni, dunque, tu, che sei ammesso al sacramento dei figli della Chiesa, ad imparare secondo quella prescrizione che ti puoi avvicinare ai sacerdoti, purché te ne accosti secondo il modo che l’apostolo Paolo ha deciso.

       Avvicinati con cuore puro al corpo e al sangue di nostro Signore, che ti purificheranno dalle macchie dei peccati che tu hai commesso. I sacerdoti non allontanino il peccatore che viene a pentirsi, né l’impuro che si lamenta e che si affligge di essere impuro. Ma essi accolgono e gli impuri e i peccatori a condizione che essi facciano il proposito di non più ritornare al male. Prega, allora, con amore, insieme col sacerdote, affinché colui che dà la vita e perdona i peccati ti accolga! Stai attento, tuttavia, a non uscire dalla nave per andare al di fuori, nel momento in cui sono consacrati i tremendi misteri! Chi è colui che volontariamente, rifiuterebbe questo pasto al quale sono invitati gli angeli e gli uomini? Chi è colui che, dal momento che è stato inserito nelle file della Chiesa, preferirebbe il posto degli estranei che la Chiesa ha allontanato?

       È il momento in cui occorre comportarsi come un angelo in questo momento in cui lo Spirito Santo dimora. Questo istante dà la vita a colui che vi è presente, e condivide dei doni con colui che l’accoglie. Felice colui che vi crede, e riceve questi doni, poiché se egli è morto rivivrà, e se è vivo, non morrà per aver peccato!

       Narsaj il Lebbroso, Expositio Myster., passim


6. Il dono dell’Eucaristia

       Avendo amato i suoi ch’erano nel mondo, li amò fino alla fine (Jn 13,1). Allora diffuse sui suoi amici quasi tutta la forza del suo amore, prima di effondersi egli stesso, come acque per gli amici. Allora diede loro il sacramento del suo corpo e del suo sangue e ne istituì la celebrazione. Non so se più ammirare la sua potenza o il suo amore! Per consolarli della sua partenza, inventò questo nuovo modo di presenza; così, anche lasciandoli e togliendo loro la sua presenza corporale, egli restava non solo con loro, ma in loro, per virtù del sacramento Allora, come se avesse completamente dimenticato la sua maestà e facesse oltraggio a se stesso - ma è un vanto per chi ama abbassarsi per gli amici - con una degnazione ineffabile il Signore - quel Signore! - lavò i piedi dei servi. Così, allo stesso tempo, diede loro un modello di umiltà e il sacramento del perdono.

       Guerric d’Igny, Sermo in Ascens., 1





Lezionario "I Padri vivi" 36