Lezionario "I Padri vivi" 124

XIX DOMENICA

124 Letture:
    
1R 19,4-8
     Ep 4,30
     Jn 6,41-52


1. Solo un cuore che ama può comprendere

       "Non mormorate tra voi: nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato" (Jn 6,43-44).

       Con queste parole il Signore ci annunzia una grande grazia. Nessuno va a lui se non è attirato. Non cercare di giudicare chi è che sarà attirato e chi è che non lo sarà, né di stabilire perché uno sarà attirato e un altro non lo sarà, se non vuoi sbagliare. Accetta queste parole e cerca di capirle. Non sei attratto dal Signore? Prega per esserlo. Cosa veniamo a dire, fratelli? Che se siamo attirati a Cristo, allora crediamo nostro malgrado, cioè è per effetto della costrizione, non per effetto della nostra libera volontà? In verità, si può entrare nella chiesa contro la propria volontà, e, contro la propria volontà si può essere indotti ad avvicinarci all’altare e a ricevere i sacramenti; ma non si può credere contro la propria volontà...

       Quando ascolti: «Nessuno viene a me se non è attirato dal Padre», non pensare di essere attirato tuo malgrado. La tua anima è attirata anche dall’amore. Non dobbiamo temere di essere rimproverati da quanti stanno attenti alle parole, ma restano lontanissimi dalla interpretazione delle cose divine, i quali, a proposito di questo passo delle sante Scritture, potrebbero dirci: In qual modo credo di mia volontà se sono attirato da Dio? Io rispondo: Non sei attirato per mezzo della volontà, ma per mezzo della gioia. Che significa essere attirati per mezzo della gioia? "Metti nel Signore la tua gioia, ed egli ti darà ciò che domanda il tuo cuore" (Ps 36,4). Si tratta di una certa qual gioia interiore, cui è nutrimento quel pane celeste.

       Se il poeta ha potuto dire: «Ciascuno è attirato dal suo piacere» (Virgilio, Egl., 2), - ho detto piacere, non necessità, gioia, non costrizione -, con quanta maggior ragione possiamo dire noi che l’uomo è attirato a Cristo, in quanto in esso trova la gioia della verità, della beatitudine, della giustizia, della vita eterna, tutto ciò insomma che è Cristo medesimo? Se il corpo ha i suoi piaceri, perché l’anima non dovrebbe avere i suoi? Se l’anima non avesse i suoi piaceri, il salmista non direbbe: "I figli dell’uomo spereranno sotto la protezione delle tue ali; si inebrieranno per l’abbondanza della tua casa, e, tu darai loro da bere alla fonte delle tue delizie; perché presso di te è la fonte della vita e nella tua luce vedremo la luce" (Ps 35,8ss).

       Dammi un cuore che ama, ed egli capirà ciò che io dico. Dammi un cuore che desidera, un cuore affamato e assetato che si sente in esilio in questa solitudine terrena, un cuore che sospira la fonte della sua eterna dimora ed egli confermerà ciò che dico. Ma se io parlo a un cuore gelido, egli non potrà capirmi. E tali erano coloro che mormoravano...

       "In verità, in verità vi dico, chi crede in me ha la vita eterna" (Jn 6,47). Ha voluto rivelare la sua natura. Avrebbe potuto dire più brevemente: Chi crede in me avrà me stesso. Cristo è infatti vero Dio e vita eterna. Chi crede in me, egli dice, viene in me; e chi viene in me, ha me stesso. Cosa intende, Cristo, dicendo «ha me stesso»? Intende, avere la vita eterna.

       Colui che è vita eterna accettò la morte, ha voluto morire: ma nella tua natura, non nella sua. Egli ha ricevuto la natura carnale da te, in modo da morire per te. Ha preso la carne dagli uomini, ma non nel modo in cui la prendono gli uomini. Egli, che ha il Padre nel cielo, scelse una madre in terra: in cielo è nato senza madre, in terra è nato senza padre. La vita ha accettato la morte, affinché la vita uccidesse la morte. Dunque «chi crede in me - dice - ha la vita eterna»; non la vita che appare manifesta, ma quella che sta nascosta. Perché la vita eterna, cioè il Verbo, «in principio era presso Dio, ed era Dio il Verbo, e la vita era la luce degli uomini».

       Lui che è vita eterna, ha dato la vita eterna alla carne che aveva assunto. È venuto per morire e nel terzo giorno è risuscitato. Tra il Verbo che accetta di farsi carne, e la carne che risuscita, la morte è annientata...

       "Io sono il pane vivo, io che sono disceso dal cielo" (Jn 6,51). Cioè sono vivo perché discendo dal cielo. Anche la manna era discesa dal cielo: ma la manna era un simbolo, questo pane è la verità. "Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò, è la mia carne per la vita del mondo ()".

       Come la carne, cioè gli uomini, potevano comprendere il Signore che dava al pane il nome di carne? Egli chiamava carne ciò che la carne non può comprendere, e tanto meno lo comprende in quanto chiama il pane carne. Per questo essi inorridirono, e dissero che era troppo, e che non era possibile. «È la mia carne - disse -per la vita del mondo».

       I fedeli conosceranno il corpo di Cristo, se non trascureranno di essere essi stessi il corpo di Cristo. Che divengano il corpo di Cristo, se vogliono vivere dello Spirito di Cristo. Solo il corpo di Cristo vive del suo Spirito. Cercate di capire, fratelli, quanto ho detto. Tu sei un uomo, hai lo spirito e hai il corpo. Chiamo spirito ciò che è chiamato anima, grazie alla quale l’uomo è uomo: infatti l’uomo consta di anima e di corpo. Hai dunque uno spirito invisibile, mentre il corpo è visibile. Dimmi: è il tuo spirito che vive del tuo corpo, o il tuo corpo che vive del tuo spirito? Mi rispondano coloro che vivono (e chi non può rispondere, io non so se egli vive); è il corpo che vive del mio spirito. Tu vuoi vivere dello Spirito di Cristo? Sii nel corpo di Cristo. Forse che - obietti - il mio corpo vive del tuo spirito? Il mio corpo vive del mio spirito, e il tuo del tuo. Il corpo di Cristo non può vivere se non dello Spirito di Cristo. Questo ci dice l’apostolo Paolo quando ci spiega la natura di questo pane: "Un solo pane, un solo corpo siamo noi, anche se siamo molti" (1Co 10,17).

       Oh, grande mistero d’amore! grande simbolo di unità! grande legame di carità! Chi vuol vivere, ha dove vivere, e ha di che vivere. Si avvicini, creda, entri nel corpo, e parteciperà alla vita. Non fugga la unione con gli altri membri, non sia un membro corrotto che merita di essere tagliato, non sia un membro difforme di cui il corpo debba vergognarsi, sia bello, sia composto, sia sano, si unisca al corpo e viva di Dio e per Dio: si affaticherà sulla terra, ma per regnare, dopo, in cielo.

       Agostino, Comment. in Ioan., 26, 2.4.10.13


2. Risurrezione per la carne e il sangue di Cristo

       Sono completamente stolti quelli che disprezzano tutta l’economia di Dio e negano la salvezza della carne e ne spregiano la rigenerazione, dicendo che essa non è capace di incorruttibilità. Ma se questa non si salva, né il Signore ci ha redento davvero col suo sangue, né il calice eucaristico è comunicazione del suo sangue, né il pane che spezziamo è la comunione del suo corpo. Non c’è infatti sangue se non dalle vene, dalle carni e dalla rimanente sostanza dell’uomo, quale veramente si è fatto il Verbo di Dio; egli col suo sangue ci ha redento, come dice l’Apostolo: "Nel quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati mediante il suo sangue" (Col 1,14). E poiché siamo sue membra, ci nutriamo con le sue creature. Egli infatti ce le offre: fa sorgere il suo sole e fa cadere la sua pioggia come a lui piace. Egli ha affermato che il calice, il quale è sua creatura, è il suo sangue sparso per noi, con cui aumenta il nostro sangue; e che il pane, il quale appartiene al creato, è il suo corpo, con il quale alimenta i nostri corpi.

       Se dunque il calice mescolato e il pane preparato ricevono il Verbo di Dio e si compie così l’Eucaristia del sangue e del corpo di Cristo, con cui cresce e si rafforza la sostanza della nostra carne, come possono negare che la carne può accogliere il dono di Dio, che è la vita eterna? Essa si nutre del sangue e del corpo di Cristo, è membro di lui. Lo dice il beato Apostolo nella lettera agli Efesini: "Siamo membra del suo corpo, della sua carne e delle sue ossa" (Ep 5,30). Non parla di un corpo invisibile e spirituale - "uno spirito infatti non ha né ossa né carne" (Lc 24,39) -, ma di un vero organismo umano che consta di carne, nervi e ossa; e che si nutre del calice che è il suo sangue e cresce con il pane che è il suo corpo.

       Come il legno della vite, piantato in terra, dà frutto a suo tempo, come il grano di frumento, caduto in terra e marcito, sorge molteplice per opera dello Spirito di Dio che tutto contiene - vite e frumento che, per la sapienza di Dio, servono alla vera utilità dell’uomo, perché accogliendo la parola di Dio diventano l’Eucaristia che è il corpo e il sangue di Cristo -; allo stesso modo i nostri corpi, nutriti dell’Eucaristia, deposti in terra e qui dissolti, risorgeranno a suo tempo perché il Verbo di Dio elargirà loro la risurrezione a gloria di Dio Padre. Egli circonda dell’immortalità questo corpo mortale e dona gratuitamente l’incorruttibilità a questo corpo corruttibile, perché la virtù di Dio si mostra nella debolezza. E questo affinché non ci avvenga di gonfiarci, come se avessimo da noi stessi la vita, e di innalzarci contro Dio con animo profondamente ingrato. E sapendo che per sua magnanimità e non per nostra natura vivremo in eterno, affinché non succeda mai che menomiamo la sua gloria. E neppure che ignoriamo la nostra natura, ma che ci rendiamo conto di quanto Dio può e di quanti benefici l’uomo può ricevere, e non ci capiti di errare nella valutazione della realtà, cioè del rapporto tra Dio e l’uomo. Dio, come abbiamo detto, non ha forse tollerato che ci dissolvessimo nella terra, affinché fossimo perfettamente istruiti e in futuro pienamente coscienti così da non misconoscere la nostra posizione di fronte a lui?

       Ireneo di Lione, Adv. haer., 5, 2, 2-3


3. La validità oggettiva del sacerdozio

       Dirai: Dio ordina tutti, anche quelli che sono indegni?

       Dio non ordina tutti, ma opera per mezzo di tutti, anche se sono indegni, per la salvezza del suo popolo. Se, infatti, Dio parlò per mezzo di un’asina, per mezzo dello scellerato Balaam (Nb 22) in grazia del suo popolo, molto più lo farà per mezzo del sacerdote. Che cosa non fa Dio per la nostra salvezza? che cosa non dice? di chi non si serve? Se si è servito di Giuda e di coloro ai quali dice: "Non vi conosco, andate via da me, operatori d’iniquità" (Mt 7,23), tanto più agirà per mezzo di un sacerdote...

       Dirai ancora: Ma costui non fa elemosina ai poveri, non è onesto nella amministrazione.

       Come lo sai? Non accusare, se non sei sicuro, temi d’essere chiamato a render conto. Molte cose son dette in base a un sospetto. Imita il Signore. Senti che dice: "Verrò a vedere se agiscono come si dice" (Gn 18,21). Se hai sentito, esaminato e visto, aspetta il giudice; non arrogarti l’ufficio di Cristo. Tocca a lui trattare queste cose, non a te. Tu sei l’ultimo servo; non sei il padrone. Tu sei una pecora; non ti mettere a giudicare il pastore, per non rischiar di scontar la pena di ciò di cui lo accusi.

       Dirai: Perché non fa, ciò ch’egli stesso m’insegna?

       Non è lui che lo dice. E se obbedissi a lui, non meriteresti il premio. E Cristo che ti comanda. Che dico? Neanche Paolo dovrebbe essere obbedito, se parlasse da sé, se dicesse cose umane. Ma bisogna credere che in Paolo parla Cristo. Non giudichiamo, dunque, le cose degli altri, pensa alla tua vita.

       Dirai: Ma lui dovrebbe essere migliore di me.

       Perché? Perché è sacerdote. E che cosa non ha lui più di te? Non forse fatiche, pericoli, contese, preoccupazioni, sfortune? Se ha tutte queste cose, come non è migliore di te? Ma anche se egli non fosse migliore di te, perché dovresti tu perderti? Ma questa è arroganza. Come fai a sapere che non è migliore di te? Se rubasse, diresti; se approfittasse delle cose sacre? Come sai questo, buon uomo? Perché ti vuoi buttare nel fosso?...

       Ti credi migliore d’un altro, e non chiedi pietà? non ti batti il petto, non pieghi il capo, non imiti il pubblicano? Ma così ti vuoi perdere, anche se sei migliore. Migliore? stai zitto, se vuoi rimaner migliore; se lo dici, ti svuoti tutto. Se credi di esserlo, non lo sei; se non lo credi, fai un passo avanti. Se, infatti, colui ch’era peccatore, perché se ne accusò, uscì dal tempio giustificato, colui che lo è e si giudica tale, che cosa non guadagnerà? Esamina la tua vita. Non rubi? ma strappi, fai violenza e tante cose simili. Con questo non plaudo al furto, per carità, tanto meno lo approverei, se versasse lacrime e continuasse ad esserlo. Infatti che gran male sia il sacrilegio neanche lo si può dire; ma preferisco fermarmi qui e non voglio diminuire la nostra virtù accusando gli altri...

       Dimmi: Se ti capita d’essere ferito, che forse innanzi al medico ti metti a domandargli se pure lui ha una ferita? e se l’ha, ti preoccupi? o, perché pure lui ce l’ha, tu non curi più la tua e dici: - Il medico dovrebbe star bene. Se lui, che è medico, non sta bene, io mi riporto a casa la mia ferita? Che forse, se il sacerdote è cattivo, il fedele ne riceve un sollievo? Tutt’altro. Lui sconterà la sua pena, e tu la tua; il Maestro mette tutto a posto, dice, infatti: "Riceveranno tutti la sentenza di Dio" (Jn 6,45 Is 54,13)...

       L’offerta è la stessa, chiunque la faccia sia Pietro, sia Paolo; è la stessa che Cristo diede ai discepoli e che fanno oggi i sacerdoti. La nostra non è affatto inferiore a quella, perché non sono gli uomini a farla santa, ma il Cristo in persona che santificò la prima. Come le parole, che disse Cristo, sono le stesse che dice il sacerdote oggi; così la messa è la stessa, come il battesimo è ancora lo stesso. E tutta opera della fede. Scese lo Spirito nel centurione Cornelio, perché aveva creduto. Questo, come quello, è corpo di Cristo. Chi pensa che questo lo sia di meno non sa che Cristo è presente e opera nei sacramenti.

       Crisostomo Giovanni, In II ad Timoth., 2, 3 s.




XX DOMENICA

125 Letture:
    
Pr 9,1-6
     Ep 5,15-20
     Jn 6,52-59


1. Seguire Cristo vuol dire aderire a lui

       "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna" (Jn 6,55). Insegnaci, Maestro buono (Mc 10,17), tu che solo insegni all’uomo la sapienza (Ps 93,10); insegnaci come dobbiamo mangiare la tua carne e bere il tuo sangue...

       Quando mangiamo quel pane corporeo e sensibile, noi mettiamo in bocca anzitutto un frammento staccato da un pane, che poi trituriamo con i denti, liquefacciamo con la saliva e ingoiamo, affinché il nutrimento, entrando dentro, distribuisca alimento e forza a tutto il corpo. Ora, il pane dell’anima è Cristo, "pane vivo disceso dal cielo" (Jn 6,41), che nutre i suoi, al presente nella fede, nel mondo futuro con la visione (2Co 5,7). Infatti, Cristo abita per la fede in te, e la fede in Cristo è Cristo stesso nel tuo cuore (Ep 3,17). Nella misura in cui credi in Cristo, in quella stessa misura tu lo possiedi. E Cristo è in verità un solo pane, poiché vi è un solo Signore, una sola fede (Ep 4,5) per tutti i credenti, benché del dono dell’unica fede alcuni ricevano di più e altri di meno. Epperò non vi sono tante fedi quanti sono i credenti, altrimenti non sarebbero i fedeli ad essere sottomessi alla fede, bensì questa a loro. Ora, come è una la verità, del pari una sola fede nell’unica verità guida e nutre tutti i credenti e un solo e medesimo Spirito distribuisce a ciascuno i suoi doni in particolare, secondo il suo beneplacito (1Co 12,11).

       Viviamo tutti dunque dello stesso pane (1Co 10,17), e ciascuno di noi riceve la sua porzione; tuttavia, Cristo è tutto intero per tutti, eccettuati coloro che lacerano l’unità. Non dico tutto intero nel senso che tu gusti Cristo così come lui stesso si gusta, il che non possono fare né gli angeli in cielo, né alcun’ altra creatura. Però nel dono da me ricevuto, io posseggo tutto il Cristo, e Cristo mi possiede interamente, come il singolo membro appartiene a tutto il corpo e possiede in cambio il corpo nella sua interezza.

       Perciò, la porzione di fede da te ricevuta è come il pezzettino di pane nella tua bocca; però, se tu non mediti frequentemente e piamente il contenuto stesso del tuo credere, se con i tuoi denti, ovvero con i sensi dell’anima, non lo macini triturandolo, esso non andrà oltre la gola, come dire che non arriverà mai alla tua intelligenza. Come potrebbe essere compreso, in effetti, quel che viene raramente e con negligenza meditato, tenendo conto poi che si tratta di cosa tanto sottile quanto invisibile? La fede infatti propone cose invisibili, ed occorre compiere un grande sforzo di mente prima che alcunché possa essere deglutito e assimilato. Se, invero, la saliva della sapienza, scendendo dall’alto dal Padre dei lumi (Jc 1,17), non ammorbidisce e liquefa quel nutrimento disseccato, tu fatichi invano (Ps 126,1), perché le riflessioni da te coagulate non penetrano nell’intelligenza...

       Attraverso l’intelligenza, difatti, il cibo stesso passa nell’affetto del cuore, affinché tu non trascuri tutto ciò che hai compreso, e anzi tu lo raccolga con diligenza per mezzo dell’amore. Infatti, se tu non ami ciò che hai compreso, la tua intelligenza avrà lavorato invano: la sapienza, invero, sta nell’amore.

       In effetti, l’intelligenza precede lo spirito di sapienza e non gusta che in maniera del tutto transitoria: l’amore, invece, assapora cibo solido. Nell’amore ha sede tutta la forza dell’anima; in esso si raccoglie tutto il nutrimento vitale, ed è da qui che la vita viene diffusa per tutte le membra che sono le virtù. "Con ogni cura vigila sul cuore, perché da esso sgorga la vita" (Pr 4,23).

       L’amore, dunque, al pari del cuore, è posto al centro, verso il quale convergono le tre cose che lo precedono e cioè la fede, la meditazione e l’intelligenza, e qui si consolidano; da qui stesso poi, procedono e vengono dirette le successive conseguenze. In primo luogo, dall’amore procede l’imitazione. Chi infatti non desidera imitare ciò che ama? Se non amerai Cristo, non lo potrai imitare, e cioè non potrai seguirlo. Disse infatti a Simon Pietro, dopo aver indagato sul suo amore: "Seguimi" (Jn 21,19)...

       Occorre, dunque, seguire Cristo, aderire a lui. "Il mio bene" - è scritto - "è aderire a Dio" (Ps 72,28); e: "A te si stringe l’anima mia e la forza delta tua destra mi sostiene" (Ps 62,9). "Chi si unisce al Signore forma", infatti, "con lui un solo spirito" (1Co 6,17). Non soltanto un sol corpo, ma anche un solo spirito. Dello spirito di Cristo tutto il suo corpo vive. Attraverso il corpo di Cristo, si perviene al suo spirito. Cerca quindi di stare nel corpo di Cristo e sarai un giorno un solo spirito con lui. Già, per la fede, sei unito al suo corpo; per la visione, poi, sarai unito anche al suo spirito. Tuttavia, né la fede, quaggiù, può stare senza lo spirito, né lo spirito potrà stare, lassù, senza il corpo, poiché i nostri corpi non saranno allora degli spiriti, bensì spiritualizzati (1Co 15,44). "Voglio, o Padre" - dice infatti Gesù - "che come tu sei in me e io in te, siano anch’essi una cosa sola, perché il mondo creda (Jn 17,21). Ecco l’uomo per fede. E poco dopo: "Perché anch’essi siano perfetti nell’unità, e il mondo conosca" (Jn 17,23). Ecco l’unione per visione.

       Questo significa mangiare spiritualmente il corpo di Cristo: avere in lui una fede pura, e cercare sempre con l’attenta meditazione della stessa fede: e trovare ciò che cerchiamo con l’intelligenza; amare poi ardentemente ciò che si è trovato; imitare ciò che amiamo con tutte le nostre forze, e imitando aderire costantemente a lui; e aderendo, esservi perennemente uniti.

       Guigone II, Certosino, Meditatio X


2. Il pane della concordia

       "Altercavano pertanto i giudei tra loro, dicendo: Come mai può costui darci da mangiare la sua carne?" (Jn 6,52). Altercavano fra di loro perché non capivano il significato del pane della concordia, e non volevano mangiarne; non litigano infatti coloro che mangiano tale pane, in quanto «un solo pane, un solo corpo siamo noi, anche se siamo molti». E per mezzo di questo pane, "Dio fa abitare insieme coloro che hanno un solo spirito" (Ps 67,7).

       Poiché litigando fra loro si domandano come possa il Signore dare in cibo la sua carne, non odono quanto ad essi egli dice di nuovo: "In verità, in verità, vi dico, se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita" (Jn 6,53). Voi non sapete in che modo si mangia questo pane, non sapete in qual modo si deve mangiare: tuttavia, «se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo, e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita».

       Egli diceva queste cose non ai morti, ma ai vivi. E affinché essi credendo che egli parlava di questa vita terrena, di nuovo non litigassero, subito aggiunge: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna" (Jn 6,54). Non l’ha invece chi non mangia questo pane e non beve questo sangue: senza di ciò gli uomini possono avere la vita terrena e mortale, ma assolutamente non possono avere la vita eterna. Chi non mangia la sua carne e non beve il suo sangue, non ha in sé la vita: l’ha chi mangia la sua carne e beve il suo sangue.

       Agostino, Comment. in Ioan., 26, 14


3. L’Eucaristia, fonte di unità con Cristo e con i fratelli

       Mentre porgeva il pane e il vino consacrato ai discepoli disse: "Questo è il mio corpo; questo è il mio sangue" (Mt 26 Lc 22). Crediamo, per favore, a ciò che abbiamo creduto. La verità non conosce menzogna.

       Questo è il legato del suo nuovo Testamento, legato ch’egli fece a nostro favore, come garanzia della sua presenza, quella sera che venne consegnato per essere crocifisso. Questo è il viatico del nostro cammino, di cui ci nutriamo nella via della vita, finché, usciti da questo mondo, arriviamo innanzi a lui; perciò il Signore disse: "Se non mangerete la mia carne e non berrete il mio sangue, non avrete in voi la vita" (Jn 6,53). Volle, infatti, che i suoi doni rimanessero presso di noi, volle che ci potessimo santificare col suo sangue prezioso, immagine della sua passione; perciò ordinò ai suoi discepoli, fatti da lui stesso sacerdoti della sua Chiesa, di operare senza interruzione questi misteri di vita eterna; misteri che tutti i sacerdoti in ciascuna Chiesa del mondo devono celebrare fino a quando Cristo tornerà dal cielo, perché gli stessi sacerdoti e tutti i fedeli, avendo ogni giorno innanzi agli occhi il modello della passione di Cristo, toccandolo con le mani e prendendolo nella bocca e nel petto, possano conservare un ricordo incancellabile della redenzione e ricavarne una dolce medicina d’eterna protezione contro il veleno del diavolo, come ci esorta lo Spirito Santo: "Gustate e vedete quanto il Signore è veramente soave" (Ps 33,9)...

       Di molti chicchi sfarinati e impastati con acqua si fa un pane, che viene poi cotto col fuoco; è la figura del corpo di Cristo, che è uno solo, ma che è formato dalla moltitudine di tutto il genere umano ed è consumato col fuoco dello Spirito Santo. Nacque infatti per opera dello Spirito Santo e poi, pieno di Spirito Santo, ch’era sceso su di lui in figura di colomba, esce dal Giordano, come attesta l’Evangelista: "Gesù pieno di Spirito Santo uscì dal Giordano" (Lc 4,1). Similmente il vino del suo sangue raccolto da molti acini, cioè dall’uva della vigna, da lui stesso piantata, viene spremuto nel torchio della croce e attraverso vasi capaci, ribolle per propria virtù nel cuore fedele di quelli che lo ricevono. Voi tutti che uscite dalla schiavitù dell’Egitto e del diavolo, prendete insieme a noi e con tutto l’ardore del vostro animo religioso questo sacrificio della Pasqua della salvezza, perché il nostro interno venga santificato dallo stesso Signore Gesù Cristo, che è presente nei suoi sacramenti e la cui inestimabile virtù rimane per tutti i secoli.

       Gaudenzio di Brescia, Sermo 2


4. I motivi della istituzione dell’Eucaristia

       Nostro Signore Gesù ci ha lasciati per salire in alto, affinché, al momento del suo ritorno, potesse farci salire con lui nel regno dei cieli. E poiché andava in un luogo troppo lontano perché noi potessimo conoscerlo, volle confortarci con il suo corpo e il suo sangue fino al suo ritorno. E siccome non era possibile che egli desse il suo corpo e il suo sangue alla sua Chiesa, ci ordinò di realizzare questo sacramento con il pane e il vino. Beato il popolo dei cristiani! Quale dono possiede e quale speranza custodisce per sempre nei cieli!

       Infatti, quando giunse l’ora della Passione di colui che dà la vita a tutte le cose, egli mangiò la Pasqua legale con i suoi discepoli. Poi, prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e lo dette ai discepoli, dicendo: Questo è il mio corpo in verità, senza alcun dubbio (Lc 22,19 1Co 11,24-25). Quindi, prese il calice, rese grazie, lo benedisse e lo dette agli apostoli, dicendo: Questo è in verità il mio sangue, dato per voi. E ordinò a tutti di prenderlo e di berne, perché fossero rimesse le loro colpe per sempre ().

       "Preghiera di Gesù durante la Cena secondo Teodoro di Mopsuestia"

       È scritto, nel Vangelo pieno di vita, che Egli "rese grazie e benedisse ()". Ma, ciò che disse gli apostoli da lui scelti non ce lo hanno fatto conoscere. Il grande dottore e interprete Teodoro ci ha trasmesso ciò che nostro Signore ha detto prendendo il pane:

       «La tua natura divina, o Signore di tutte le cose, merita ogni gloria, ogni confessione e ogni lode, poiché, in tutte le generazioni, tu hai compiuto e realizzato la tua Economia [disegno di salvezza], come per la vita e la salvezza degli uomini; e quantunque essi si dimostrassero molto ingrati con le loro azioni, tu non hai cessato di soccorrerli con la tua misericordia. E per realizzare la salvezza e la restaurazione di tutti, tu hai preso me che sono della stessa natura di Adamo, e mi hai unito a te. In me si compiranno tutte le promesse e tutte le alleanze, e in me si realizzeranno i misteri e le figure che furono manifestati ai giusti. Perché sono senza macchia e ho adempiuto ogni giustizia, tu, per mio tramite, hai estirpato dall’umanità ogni peccato. E perché muoio senza essere colpevole e senza aver peccato, tu decreti, per mezzo mio, una risurrezione dei corpi per l’intera natura».

       Così il Figlio dell’Altissimo rese grazie a suo Padre e, donando il suo corpo e il suo sangue, pronunciò queste parole: «Questo è il mio corpo che io ho dato per i peccati del mondo, e questo, inoltre, è il mio sangue che ho voluto versare a causa delle offese. Chiunque mangia la mia carne con amore, e beve il mio sangue, vivrà per sempre; egli dimora in me, e io in lui. Fate così in memoria di me, all’interno delle vostre riunioni, e ricevete con fede il mio corpo e il mio sangue. Offrite il pane e il vino come io vi ho insegnato, e io agirò, facendo di essi il corpo e il sangue. Faccio del pane il corpo e del vino il sangue, per la venuta e l’opera dello Spirito Santo».

       Così parlò colui che dà la vita ai mondi, chiamando il pane suo corpo e il vino suo sangue. Non li denominò né simboli e neppure somiglianza, bensì corpo reale e sangue vero. Ed anche se la natura del pane e del vino è incommensurabilmente lontana da lui, tuttavia per il potere e per l’unione, il corpo è uno. Che gli angeli e gli uomini ti rendano grazie senza posa, Signore, Cristo, nostra speranza, che ti sei dato per noi! Per il suo potere, il corpo che i sacerdoti spezzano nella Chiesa, non fa che uno con il corpo che siede nella gloria alla destra del Padre. E così come il Dio di tutte le cose è unito alle «primizie» della nostra specie, del pari il Cristo è unito al pane e al vino che sono sull’altare. Ecco perché il pane è realmente il corpo di nostro Signore, e il vino, in senso proprio e vero, il suo sangue. Così ordinò a coloro che vi sono ammessi, di mangiare il suo corpo, e consigliò ai suoi fedeli di bere il suo sangue.

       Beato chi crede in lui e chi si fida della sua parola, poiché, se è morto, vivrà, se è vivo, non morirà per aver peccato!

       Gli apostoli adottarono con diligenza il comando del loro Signore, e lo trasmisero con cura a coloro che vennero dopo di loro. Esso è stato presente fino ad oggi nella Chiesa, e sarà conservato fino a quando Cristo stesso non abolisca il suo sacramento con la sua apparizione e la sua manifestazione.

       A tal fine, il sacerdote rende grazie davanti a Dio ed eleva la sua voce al termine della sua preghiera, per far sì che il popolo la senta. Fa sentire la sua voce e con la mano segna le offerte deposte sull’altare, e il popolo esprime il proprio assenso, dicendo: Amen!, approvando in tal modo la preghiera del sacerdote.

       Narsaj il Lebbroso, Expositio myst.




XXI DOMENICA

126 Letture:
    
Jos 24,1-2a Jos 24,15-17 Jos 24,18b
     Ep 5,21-32
     Jn 6,61-70

1. «Tu hai parole di vita eterna»

       L’evangelista ci racconta che il Signore restò con dodici discepoli, i quali gli dissero: "Ecco, Signore, quelli ti hanno abbandonato". E Gesù rispose: "Anche voi ve ne volete andare?" (Jn 6,67), volendo dimostrare che egli era necessario a loro, e non loro erano necessari a Cristo.

       Nessuno s’immagini d’intimorire Cristo, rimandando di farsi cristiano, quasi che Cristo sarà più beato se ti farai cristiano. Diventare cristiano, è bene per te: perché, se non lo diverrai, con ciò non farai del male a Cristo. Ascolta la voce del salmo: "Ho detto al Signore: Tu sei il mio Dio, poiché non hai bisogno dei miei beni" (Ps 15,2). Perciò «Tu sei il mio Dio, poiché non hai bisogno dei miei beni». Se tu non sarai con Dio, ne sarai diminuito; ma Dio non sarà più grande, se tu sarai con lui. Tu non lo fai più grande, ma senza di lui tu diventi più piccolo. Cresci dunque in lui, non ritrarti, quasi ne ricavasse una diminuzione. Se ti avvicini a lui, ne guadagnerai; ti distruggi, se ti allontani da lui. Egli non subisce mutamento, sia che tu ti avvicini, sia che tu ti allontani.

       Quando, dunque, egli disse ai discepoli: «Anche voi ve ne volete andare?», rispose Pietro, quella famosa pietra, e a nome di tutti disse: "Signore, a chi andremo noi? Tu hai parole di vita eterna" (Jn 6,68)...

       Il Signore si rivolse a quei pochi che erano rimasti: "Perciò Gesù disse ai dodici" - cioè a quei pochi che erano rimasti -: «"Anche voi ve ne volete andare?"» (Jn 6,67).

       Anche Giuda era rimasto. La ragione per cui era rimasto era già chiara al Signore, mentre a noi sarà chiara solo più tardi. Pietro rispose per tutti, uno per molti, l’unità per la molteplicità: "Gli rispose Simone Pietro: «Signore, a chi andremo?"» (Jn 6,68). Se ci scacci da te, dacci un altro simile a te. «A chi andremo?». Se ce ne andiamo da te, da chi andremo?

       "Tu hai parole di vita eterna" (Jn 6,68). Vedete in qual modo Pietro, con la grazia di Dio, vivificato dallo Spirito Santo, ha capito le parole di Cristo. In che modo ha capito se non perché ha creduto? «Tu hai parole di vita eterna». Cioè, tu ci dai la vita eterna, nell’offrirci la tua carne e il tuo sangue.

       "E noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto" (Jn 6,69). Non dice Pietro, abbiamo conosciuto e abbiamo creduto, ma «abbiamo creduto e abbiamo conosciuto». Abbiamo creduto per poter conoscere; infatti se prima volessimo sapere e poi credere, non saremmo capaci né di conoscere né di credere. Che cosa abbiamo creduto e che cosa abbiamo conosciuto? "Che tu sei il Cristo Figlio di Dio (Jn 6,69)", cioè che tu sei la stessa vita eterna, e tu ci dai, nella carne e nel sangue tuo, ciò che tu stesso sei.

       Agostino, Comment. in Ioan., 11, 5; 27, 9


2. L’Eucaristia, pane spirituale

       Nella notte in cui nostro Signore Gesù Cristo fu tradito, prese il pane e dopo aver reso grazie lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Poi prese il calice e reso grazie disse: Prendete e bevete, questo è il mio sangue (1Co 11,23-25). Gesù stesso si è manifestato dicendo del pane: «Questo è il mio corpo». Chi avrebbe ora il coraggio di dubitarne? Egli stesso l’ha dichiarato dicendo: «Questo è il mio sangue». Chi lo metterebbe in dubbio dicendo che non è il suo sangue?

       Egli di sua volontà una volta cambiò a Cana di Galilea (Jn 2,1-11) l’acqua in vino, e non è degno di fede se muta il vino in sangue? Invitato alle nozze fisiche fece questo miracolo strepitoso. E noi non lo confesseremo molto più, avendo dato ai figli dello sposo (Mt 9,15 Lc 5,34) la gioia del suo corpo e del suo sangue?

       Con ogni sicurezza partecipiamo al corpo e al sangue di Cristo. Sotto la specie del pane ti è dato il corpo, e sotto la specie del vino ti è dato il sangue perché tu divenga, partecipando al corpo e al sangue di Cristo, un solo corpo e un solo sangue col Cristo. Così diveniamo portatori di Cristo spandendosi il suo corpo e il suo sangue per le nostre membra. Così secondo il beato Pietro noi diveniamo "partecipi della natura divina" (2P 1,4).

       Una volta Cristo parlando ai giudei disse: "Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue non avete in voi la vita" (Jn 6,53). Quelli non intendendo spiritualmente le sue parole se ne andarono scandalizzati (Jn 6,61 Jn 66), credendo che il Salvatore li invitasse alla sarcofagia.

       C’erano nell’Antico Testamento i pani della proposizione (Lv 24,5-93 1M 1,22 2M 10,3) i quali proprio perché dell’Antico Testamento sono terminati. Nel Nuovo Testamento è un pane celeste e un calice di salvezza (Ps 116,4) che santificano l’anima e il corpo. Come il pane è proprio per il corpo, così il Logos è proprio per l’anima.

       Non ritenerli come semplici e naturali quel pane e quel vino; sono invece, secondo la dichiarazione del Signore, il corpo e il sangue. Anche se i sensi ti inducono a questo, la fede però ti sia salda. Non giudicare la cosa dal gusto, ma per fede abbi la piena convinzione tu che sei giudicato degno del corpo e del sangue di Cristo...

       Avendo appreso queste cose hai piena coscienza che ciò che ti pare pane non è pane, anche se al gusto è tale, ma corpo di Cristo, e il vino che pare vino non è vino, anche se il gusto l’avverte come tale, ma sangue di Cristo. Di ciò anticamente David cantando disse: "Il pane fortifica il cuore dell’uomo, e il suo volto brilla d’olio" (Ps 104,15). Fortifica il tuo cuore, prendendo il pane come spirituale e si rallegri il volto della tua anima. Il tuo volto discoperto in una coscienza pura possa riflettere come in uno specchio la gloria del Signore (2Co 3,18) e progredire di gloria in gloria nel Cristo Gesù nostro Signore al quale sia gloria nei secoli dei secoli.

       Cirillo di Gerusalemme, Catech. IV mist., 1-6.9


3. I sacrifici dell’Antico e del Nuovo Testamento

       Ritieni con somma fermezza e non dubitare affatto che lo stesso Verbo di Dio, unigenito e fatto carne, offrì se stesso per noi in sacrificio e ostia a Dio, in odore di soavità (Ep 5,2). A lui, al tempo dell’Antico Testamento, insieme con il Padre e lo Spirito Santo, venivano sacrificati gli animali, dai patriarchi, dai profeti e dai sacerdoti; a lui ora, ai tempi del Nuovo Testamento, insieme con il Padre e lo Spirito Santo - con i quali egli ha l’identica natura divina - la santa Chiesa cattolica non cessa di offrire su tutta la terra, in fede e amore, il sacrificio del pane e del vino. Quelle vittime carnali erano una raffigurazione della carne di Cristo che egli, senza peccato, avrebbe immolato per i nostri peccati, e del sangue che avrebbe sparso in remissione dei nostri peccati.

       Questo sacrificio invece, è un ringraziamento e una commemorazione della carne di Cristo che egli offrì per noi, e del sangue che Dio stesso versò per noi. Di lui dice il beato Paolo negli Atti degli Apostoli: "Badate a voi e a tutto il gregge, in cui lo Spirito Santo vi ha posti come sovrintendenti per reggere la Chiesa di Dio, che ha acquistato con il suo sangue" (Ac 20,28). Quei sacrifici dunque rappresentavano simbolicamente ciò che a noi sarebbe stato donato; questo sacrificio invece mostra chiaramente ciò che ci è già stato donato. Quei sacrifici annunciavano che il Figlio di Dio sarebbe stato ucciso per i peccatori, questo invece annuncia che il Figlio di Dio è già stato ucciso per i peccatori, come attesta l’Apostolo che Cristo, "quando noi eravamo ancora infermi, a tempo opportuno, è morto per gli empi" (Rm 5,6) "e che quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del suo Figlio" (Rm 5,10).

       Fulgenzio di Ruspe, De fide, 19, 60


4. Noi siamo in Cristo un solo corpo, come l’acqua e il vino nel calice

       In verità, poiché noi tutti portava il Cristo, il quale portava altresì i nostri peccati, possiamo veder simboleggiati nell’acqua il popolo e nel vino il sangue di Cristo. Quando, in effetti, acqua e vino si mescolano nel calice, il popolo è raccolto in Cristo e la massa dei credenti si unisce e congiunge a lui, nel quale ha creduto. Una unione e congiunzione di acqua e vino, risultante da una mescolanza tale nel calice del Signore, che quella commistione non può più vicendevolmente separarsi.

       Di qui la conseguenza che neppure la Chiesa, cioè il popolo costituito come Chiesa, perseverante fedelmente e fermamente in ciò che ha creduto, nessuna cosa potrà separare da Cristo, sì da essere sempre unita e da restare un amore indivisibile.

       Dimodoché, il calice del sacrificio del Signore non può essere offerto con la sola acqua, e neppure con il solo vino. Infatti, se uno, per caso, offrisse il solo vino, il sangue di Cristo comincerebbe ad essere senza di noi; se invece fosse solo l’acqua, il popolo resterebbe senza Cristo. Quando poi l’uno e l’altra si mescolano e le confuse adunanze si uniscono tra loro vicendevolmente, allora si compie il sacramento spirituale e celeste. Per cui, il calice del Signore non è né la sola acqua, e neppure il solo vino, se l’uno e l’altra non si mescolano tra loro, come pure il corpo del Signore non può essere fatto di sola farina o di sola acqua, se entrambe non siano state radunate e congiunte sì da formare un solo pane solidamente compaginato.

       Ed è in questo stesso sacramento che il nostro popolo si mostra radunato; sicché, come molti chicchi raccolti insieme, macinati e intrisi formano un unico pane, così del pari in Cristo che è il pane del cielo, sappiamo di essere un sol corpo, nei quale noi tutti veniamo radunati e compaginati.

       Cipriano di Cartagine, Epist., 63, 13





Lezionario "I Padri vivi" 124