Lezionario "I Padri vivi" 127

XXII DOMENICA

127 Letture:
    
Dt 4,1-2 Dt 4,6-8
     Jc 1,17-18 Jc 1,21-22 Jc 1,27
     Mc 7,1-8 Mc 7,14-15 Mc 7,21 Mc 7,23

1. L’esteriorità inquina l’uomo

       E si radunarono presso di lui i farisei e alcuni scribi venuti da Gerusalemme. I quali avendo visto alcuni dei discepoli di lui che mangiavano il pane con mani impure, cioè non lavate, li rimproverarono (Mc 7,1-2).

       Quanto è giusta quella lode che rivolge al Padre il Signore dicendo: "Hai nascosto queste cose ai sapienti e ai saggi e le hai rivelate ai piccoli!" (Mt 11,25). Gli uomini della terra di Gennesaret, che erano considerati uomini ignoranti, non soltanto personalmente accorrono dal Signore, ma portano con sé i loro infermi, anzi li trasportano sulle lettighe, affinché possa capitare loro almeno di toccare la frangia del suo vestito ed essere salvati: per questo ottengono subito la meritata ricompensa della salvezza che avevano desiderata. Al contrario, i farisei e gli scribi, che dovevano essere maestri del popolo, accorrono dal Signore non per ascoltare la sua parola, non per ottenere la guarigione, ma soltanto per sollevare questioni e contrasti. Rimproverano i discepoli di non aver lavate le mani del corpo, benché non riuscissero a trovare nelle loro opere, compiute con le mani o con le altre membra del corpo, alcuna impurità; avrebbero fatto meglio a incolpare sé stessi, che pur avendo le mani ben lavate con l’acqua, recavano la coscienza insozzata dall’invidia.

       I farisei infatti e tutti i giudei, attaccati alla tradizione degli antichi, non mangiano se non si sono accuratamente lavate le mani, e non prendono cibo, di ritorno dal mercato, se non si sono prima purificati (Mc 7,3-4).

       E una superstiziosa tradizione quella di lavarsi ripetutamente, dopo essersi già lavati, per mangiare il pane, e non prendere cibo di ritorno dal mercato senza essersi prima purificati. Ma è necessario l’insegnamento della verità, secondo il quale coloro che desiderano aver parte al pane della vita che discende dal cielo, debbono purificare le loro opere con il frequente lavacro delle elemosine, delle lacrime e degli altri frutti della giustizia, per poter partecipare ai misteri celesti in purezza di cuore e di corpo. È necessario che le impurità di cui ciascuno si macchia nell’occuparsi degli affari terreni, siano purificate dalla successiva presenza dei buoni pensieri e delle buone azioni, se egli desidera godere dell’intimo ristoro di quel pane. Ma i farisei che accoglievano carnalmente le parole spirituali dei profeti - i quali ordinavano la purificazione del cuore e delle opere dicendo: "Lavatevi, siate puri, e purificatevi (Is 1,16) voi che portate i vasi del Signore" (Is 52,11) - osservavano tali precetti soltanto purificando il corpo. Ma invano i farisei, invano i giudei tutti si lavano le mani e si purificano tornando dal mercato, se rifiutano di lavarsi alla fonte del Salvatore. Invano osservano la purificazione dei vasi coloro che trascurano di lavare la sporcizia dei loro cuori e dei loro corpi, quando è fuor di dubbio che Mosè e i profeti - i quali ordinarono sia di lavare con l’acqua i vasi del popolo di Dio, sia di purificarli col fuoco, sia di santificarli con l’olio - non stabilirono tali prescrizioni per un motivo generico o per ottenere la purificazione di questi oggetti materiali, ma piuttosto per comandarci la purificazione e la santificazione degli spiriti e delle opere e la salvezza delle anime.

       Beda il Venerabile, Evang. Marc., 2, 7, 1-4


2. I comandamenti dell’Antico e del Nuovo Testamento

       Da parte del Padre, poi, egli ha portato la libertà a coloro che lo servivano con fedeltà, con prontezza e di tutto cuore invece a coloro che lo disprezzavano, che non ubbidivano a Dio, ma per semplice gloria umana cercavano la mondezza esteriore - mondezza che era una semplice figura degli eventi futuri, una semplice ombra: la legge infatti prescriveva e delineava con mezzi temporanei le realtà eterne, e con mezzi terrestri le realtà del cielo - ma dentro erano pieni di ipocrisia, di cupidigia e di ogni malvagità... a costoro ha portato la perdizione, il taglio definitivo dalla vita.

       Di fatto la tradizione dei loro anziani, che fingevano di osservare la legge, era invece contraria alla legge data da Mosè. Per questo dice Isaia: "I tuoi osti aggiungono acqua al vino" (Is 1,22), mostrando così che gli anziani mistificavano gli austeri precetti di Dio con tradizioni annacquate, con una legge cioè adulterata e contraria alla vera legge. Anche il Signore lo dichiarò, dicendo loro: "Perché trasgredite il precetto di Dio per la vostra tradizione?" (Mt 15,3). Non contenti di violare la legge con l’inosservanza e di mescolare l’acqua al vino, promulgarono una legge contraria, che resta fino ad oggi e si chiama «legge farisaica». In essa hanno abrogato alcune disposizioni, altre ne hanno aggiunte e altre poi le interpretano come vogliono; i loro maestri le applicano a loro capriccio. Per rivendicare le loro tradizioni, non vollero sottomettersi alla legge che li preparava alla venuta di Cristo; anzi rimproverarono il Signore perché guariva di sabato (il che, come abbiamo detto, non era vietato dalla legge; anch’essa in un certo senso curava, circoncidendo l’uomo di sabato), ma non sapevano rimproverare a sé stessi di trasgredire il precetto di Dio per la tradizione e per la suddetta legge farisaica, e di non avere quello che è l’essenziale della legge, cioè l’amore verso Dio.

       Questo è infatti il primo e sommo comandamento, e il secondo è l’amore verso il prossimo. Ce l’ha insegnato il Signore, soggiungendo che da questi due precetti dipendono tutta la legge e i profeti. Egli poi non diede un altro precetto superiore a questo, ma lo rinnovò comandando ai suoi discepoli di amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come sé stessi...

       Paolo dice: "L’amore è l’adempimento della legge" (1Co 13,13), e soggiunge che quando tutto il resto verrà abolito, rimarranno la fede, la speranza e l’amore; ma più grande di tutto è l’amore. Afferma poi che senza l’amore verso Dio, nulla giovano né la gnosi né la comprensione dei misteri né la fede né la profezia: tutto è inutile e vuoto, senza amore. L’amore rende l’uomo perfetto; chi ama Dio è perfetto in questo secolo e nel secolo futuro; mai infatti cesserà il nostro amore per Dio: quanto più lo contempleremo, tanto più lo ameremo...

       "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei; tutto quello che vi dicono, fatelo dunque ed osservatelo; ma non agite come loro agiscono: infatti dicono e non fanno. Confezionano grossi fardelli e li pongono sulle spalle degli uomini, ma loro non li vogliono spostare neppure con un dito" (Mt 23,2s). Non denunciava la legge data da Mosè - che anzi invitava ad osservare fino a quando sarebbe esistita Gerusalemme - ma rimproverava coloro che avevano sulle labbra le frasi della legge, ma non avevano amore ed erano perciò ingiusti verso Dio e verso il prossimo. Così aveva detto Isaia: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me; è inutile il culto che mi rendono, perché insegnano dottrine e comandamenti umani" (Is 29,13). Non chiamava comandamenti umani la legge data da Mosè, ma le tradizioni degli anziani, che quelli si erano congegnate e pretendevano di osservare violando la legge di Dio e disubbidendo perciò al suo Verbo.

       Ireneo di Lione, Adv. haer., 4, 11, 4-12


3. L’amore verso i genitori

       Ma c’è un onore non solo di ossequio, ma anche di liberalità: "Onora le vedove, che sono veramente vedove" (1Tm 5,3). Onorare, infatti, significa trattare secondo i meriti.

       Nutri dunque tuo padre, nutri tua madre. E se nutrirai tua madre, non la ricompenserai certo per il dolore, per i tormenti ch’ella ha sofferto per te, non le restituirai le cure che per te ha avuto, non le renderai il cibo che ella ti ha dato con tenera pietà versando il latte delle sue mammelle nelle tue labbra, non le restituirai la fame che ha sopportato per te, quando non mangiava ciò che poteva nuocerti, ciò che poteva sciupare il suo latte. Per te ella ha digiunato, per te ha mangiato, per te non ha preso il cibo che desiderava e ha preso quello che non le piaceva, per te ha vegliato, per te ha pianto: e tu puoi tollerare che le manchi qualcosa? Oh, figlio, quale condanna ti attiri sulla testa, se non nutri tua madre? A lei devi ciò che hai, a lei devi ciò che sei...

       Tu forse dai agli altri? E se questi ti obietteranno: va’ prima a nutrire tua madre? Infatti, anche se sono poveri, essi non vogliono fruire di un’empia elemosina. Non hai udito parlare poco fa di quel ricco, disteso sul letto di porpora e di bisso e dal cui tavolo Lazzaro raccoglieva le briciole, il quale ha subito le torture dell’eterno supplizio per non aver dato cibi al povero? Se è grave colpa non dare agli estranei, quanto più grave è escludere i genitori !

       Tu potresti replicare che preferisci donare alla Chiesa ciò che potresti dare ai tuoi genitori: ebbene, Dio non ti chiede un dono fondato sulla fame dei tuoi genitori. Non a caso il Signore, ai giudei che si lamentavano perché i discepoli di Cristo non si lavavano le mani, ha risposto: "Chiunque dirà: - È sacra offerta il sussidio che dovrei darti, - non onora il padre e la madre" (Mt 15,5-6).

       Ambrogio, Exp. in Luc., 8, 75.77


4. Le cose che macchiano l’uomo

       Dio, infatti, non richiede dall’uomo se mentre sta per mangiare si lava le mani, ma se ha il cuore puro e la coscienza monda dalle impurità dei peccati.

       In effetti, cosa giova lavare le mani ed avere la coscienza macchiata ?

       Quindi i discepoli del Signore poiché erano puri di cuore e preferivano una coscienza monda ed immacolata, non davano importanza a lavarsi le mani, che con tutto il corpo, insieme, nel battesimo avevano lavato, mentre il Signore diceva a Pietro: "Chi una volta è lavato, non ba bisogno di lavarsi di nuovo, ma è tutto puro, come siete voi" (Jn 13,10). Invece, che quel lavacro dei Giudei fosse necessario al popolo, il Signore da tempo lo aveva mostrato per mezzo del profeta, dicendo: "Lavatevi, siate puri, togliete l’iniquità dai vostri cuori" (Is 1,16). Con questo lavacro, quindi, fu prescritto non che si lavassero le mani, ma che togliessero le iniquità dai loro cuori. Per questo, se gli scribi e i farisei avessero voluto capire o accettare questa celeste purificazione, non si lamenterebbero mai delle mani impure.

       Per mostrare ancora più ampiamente inutile il rimprovero degli scribi e dei farisei sulle mani non lavate, il Signore, chiamata a sé la folla disse: "Non ciò che entra nella bocca macchia l’uomo, ma ciò che esce lo rende impuro" (Mt 15,11) dimostrando che non dal cibo che entra per la bocca, ma piuttosto dai cattivi pensieri dell’anima, che provengono dal cuore, l’uomo si rende immondo. I cibi, infatti, che prendiamo da ingerire, sono stati creati da Dio per l’uso della vita umana e benedetti, e perciò non possono macchiare l’uomo.

       Ma i cattivi e contrari pensieri che provengono dal cuore, come lo stesso Signore ha interpretato, cioè, "gli omicidi, gli adulteri, le impurità, i furti, le false testimonianze, le bestemmie" (Mt 15,19) e tutte le altre azioni malvagie, che provengono dal demonio, che ne è l’autore, queste sono le cose che veramente macchiano l’uomo.

       Cromazio di Aquileia, In Matth., Tract., 53, 1 s.




XXIII DOMENICA

128 Letture:
    
Is 35,4-7a
     Jc 2,1-5
     Mc 7,31-37


1. Il sordomuto

       E gli conducono un sordomuto e lo pregano di imporre su di lui la mano (Mc 7,32).

       Il sordomuto è colui che non apre le orecchie per ascoltare la parola di Dio, né apre la bocca per pronunziarla. È necessario perciò che coloro i quali, per lunga abitudine, hanno già appreso a pronunziare e ascoltare le parole divine, siano loro a presentare al Signore, perché li risani, quelli che non possono farlo per l’umana debolezza; così egli potrà salvarli con la grazia che la sua mano trasmette.

       "Ed egli, traendolo in disparte dalla folla, separatamente mise le sue dita nelle orecchie di lui" (Mc 7,33).

       Il primo passo verso la salvezza è che l’infermo, guidato dal Signore, sia portato in disparte, lontano dalla folla. E questo avviene quando, illuminando l’anima di lui prostrata dai peccati con la presenza del suo amore, lo distoglie dal consueto modo di vivere e lo avvia a seguire la strada dei suoi comandamenti. Mette le sue dita nelle orecchie quando, per mezzo dei doni dello Spirito Santo, apre le orecchie del cuore a intendere e accogliere le parole della salvezza. Infatti lo stesso Signore testimonia che lo Spirito Santo è il dito di Dio, quando dice ai giudei: "Se io scaccio i demoni col dito di Dio, i vostri figli con che cosa li scacciano?" (Lc 11,19-20). Spiegando queste parole un altro evangelista dice: "Se io scaccio i demoni con lo Spirito di Dio" (Mt 12,28). Gli stessi maghi d’Egitto furono sconfitti da Mosè in virtù di questo dito, dato che riconobbero: "Qui è il dito di Dio" (Ex 8,18-19); infine la legge fu scritta su tavole di pietra (); in quanto, per mezzo del dono dello Spirito Santo, siamo protetti dalle insidie degli uomini e degli spiriti maligni, e veniamo istruiti nella conoscenza della volontà divina. Ebbene, le dita di Dio messe nelle orecchie dell’infermo che doveva essere risanato, sono i doni dello Spirito Santo, che apre i cuori che si erano allontanati dalla via della verità all’apprendimento della scienza della salvezza...

       "E levati gli occhi al cielo, emise un gemito e pronunciò: «Effata», cioè «apriti»" (Mc 7,34).

       Ha levato gli occhi al cielo per insegnare che dobbiamo prendere da lì la medicina che dà la voce ai muti, l’udito ai sordi e cura tutte le altre infermità. Ha emesso un gemito non perché abbia bisogno di gemere per chiedere qualcosa al Padre colui che in unità col Padre dona ogni cosa a coloro che chiedono, ma per presentarsi a noi come modello di sofferenza quando dobbiamo invocare l’aiuto della divina pietà per i nostri errori oppure per le colpe del nostro prossimo.

       "E subito si aprirono le orecchie di lui e subito si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente" (Mc 7,35).

       In questa circostanza sono chiaramente distinte le due nature dell’unico e solo Mediatore tra Dio e gli uomini. Infatti, levando gli occhi al cielo per pregare Dio, sospira come un uomo, ma subito guarisce il sordomuto con una sola parola, grazie alla potenza che gli deriva dalla divina maestà. E giustamente si dice che «parlava correttamente» colui al quale il Signore aprì le orecchie e sciolse il nodo della lingua. Parla infatti correttamente, sia confessando Dio, sia predicandolo agli altri, solo colui il cui udito è stato liberato dalla grazia divina in modo che possa ascoltare e attuare i comandamenti celesti, e la cui lingua è stata posta in grado di parlare dal tocco del Signore, che è la Sapienza stessa. Il malato così risanato può giustamente dire col salmista: "Signore, apri le mie labbra, e la mia bocca annunzierà la tua lode" (Ps 50,17), e con Isaia: "Il Signore mi ha dato una lingua da discepolo affinché sappia rianimare chi è stanco con la parola. Ogni mattina mi sveglia l’orecchio, perché ascolti, come fanno i discepoli" (Is 50,4).

       "E ordinò loro di non dirlo a nessuno. Ma quanto più così loro ordinava, tanto più essi lo divulgavano e, al colmo dello stupore, dicevano: «Ha fatto tutto bene; ha fatto udire i sordi e parlare i muti»" (Mc 7,36-37).

       «Se il Signore, che conosceva le volontà presenti e future degli uomini, sapeva che costoro avrebbero tanto più annunziato i suoi miracoli quanto più egli ordinava loro di non divulgarli, perché mai dava quest’ordine, se non per dimostrare con quanto zelo e con quanto fervore dovrebbero annunziarlo quegli indolenti ai quali ordina di annunziare i suoi prodigi, dato che non potevano tacere coloro cui egli ordinava di non parlare? «(Agostino).

       Beda il Venerabile, In Evang. Marc., 2, 7, 32-37


2. Ottenuto il perdono, persevera!

       Ieri eri la Cananea, piegata a terra dal peccato; oggi, grazie al Verbo, stai dritta. Non ti far piegare un’altra volta, come da un giogo posto sul tuo collo dal demonio, che ti opprime al punto da non consentirti di raddrizzarti. Ieri perivi per il tuo flusso di sangue, perché un rosso e sanguigno peccato veniva fuori da te, oggi, fermato il profluvio, torni a fiorire. Hai toccato la frangia del mantello di Cristo e il sangue s’è fermato. Fa’ in modo che la purificazione duri, per non ricadere nella malattia, perché non sai se poi riuscirai un’altra volta a toccar il lembo di Cristo, per ricuperar la salute. Cristo non ha piacere che gli si porti via troppe volte qualche cosa, anche se è tanto benevolo e accessibile. Ieri stavi in un letto, inerte, e non avevi uno che ti calasse nell’acqua al movimento dell’angelo; oggi hai trovato l’uomo, che è lo stesso Dio e, più precisamente, è uomo e Dio. Sei stato sollevato dal tuo lettuccio, anzi, hai sollevato tu il tuo lettuccio e lo hai mostrato, come un monumento del beneficio che avevi ricevuto. Stai attento a non ritornare, tornando al peccato, nell’inerzia di quel lettuccio. Al contrario, allontanati e ricorda il precetto: "Ecco, sei guarito; non peccare più, perché non ti accada di peggio" (Jn 5,14), se dopo un tal beneficio sei trovato cattivo. Sentisti, mentre giacevi nel sepolcro, questa voce potente - che cosa è più forte della voce del Verbo? - "Lazzaro vieni fuori" (Jn 11,43); e sei venuto fuori, non dopo solo quattro giorni, ma dopo tanti, e sei tornato alla vita libero dai vincoli della morte, insieme a quel morto di tre giorni. Guarda di non morire un’altra volta e di non finire ancora, con le funi dei tuoi peccati, tra coloro che abitano nei sepolcri; non sai se sarai risuscitato un’altra volta dal sepolcro, prima dell’ultima e universale risurrezione, la quale porterà al giudizio tutte le tue azioni, non per curarle, ma per giudicarle, e perché ne renda conto...

       Fino a ieri l’avarizia faceva secca la tua mano, oggi la faccia morbida la beneficenza. È una splendida cura della mano il distribuire, il dare ai poveri le cose di cui abbondiamo, darle fino a toccare il fondo (forse da quel fondo verrà il tuo alimento, come avvenne una volta alla vedova di Sarefta, specialmente se ti capiterà di nutrire Elia); sappi che è distinta ricchezza il soffrire indigenza per quel Cristo, che per noi soffrì la povertà. Se eri sordo e muto, risuoni il Verbo alle tue orecchie; o, piuttosto, trattieni colui che ha parlato, perché all’ammonizione del Signore non presenti, come un serpente incantato, delle orecchie serrate. Se sei cieco, illumina i tuoi occhi, per non addormentarti nella morte. Nella luce del Signore fissa la luce, nello Spirito di Dio riconosci il Figlio, riconosci dico, Dio trino, quella luce una e indivisa. Se accetti Cristo interamente, puoi raccogliere nella tua anima tutte le guarigioni con le quali tutti i malati uno alla volta furono guariti. Stai solo attento a non ignorare la grandezza della grazia, perché, mentre tu dormi e non sei ben saldo, il nemico non ti semini della zizzania. Stai anche attento che, vittima dell’invidia del demonio per la tua purità, non ti riduci un’altra volta alla miseria. Stai attento che, concedendoti troppo alla gioia d’una opera buona, non t’invanisca e abbia a cadere, mentre ti porti troppo in alto. Stai attento a non rallentar mai la cura della tua purificazione; cerca di crescere, anzi, e con molta diligenza proteggi il perdono ricevuto per grazia di Dio; in modo che si possa dire che, mentre il perdono è venuto da Dio, la conservazione della remissione è anche opera tua.

       Gregorio Nazianzeno, Oratio LX, in sanat. Bapt., 33 s.


3. Anche nella Chiesa si operano le guarigioni

       E quando tu vedi, nell’assemblea di ciò che si chiama più comunemente Chiesa, respinti dietro gli ultimi membri di questa Chiesa, come ai piedi del corpo di Gesù, i catecumeni che si presentano, ciascuno con la propria sordità, cecità, claudicazione, deformità, e che, col tempo, sono guariti secondo la parola (di Gesù) (Mt 11,5), non avresti torto a dire che tali uomini, dopo essersi inerpicati, con le folle della Chiesa, su per la montagna dov’era Gesù, si sono gettati ai suoi piedi, curati da lui, tanto che la folla della Chiesa si stupisce (Mt 15,29-31) dinanzi a un tale miglioramento di così gravi infermità, e potrebbe dire: Coloro che, un tempo erano sordomuti dicono la parola di Dio e gli zoppi camminano (Mt 11,5), poiché si compie non soltanto nel corpo ma anche nello spirito, la profezia di Isaia che dice: "Lo zoppo salterà come un cervo e si scioglierà la lingua del muto" (Is 35,6). E non è per caso che, in questo testo, troviamo le parole: «Lo zoppo salterà come un cervo», diremo che non è inutile il paragone tra il cervo, l’animale puro e nemico dei serpenti, che resta immune dal loro veleno, e coloro che un tempo sono stati zoppi e, grazie a Gesù, saltano come un cervo. E si compie anche, nella misura in cui si vede che i sordomuti parlano, la profezia che dice: «E la lingua dei muti si scioglierà», o meglio ancora quella che dichiara: "Sordi, ascoltate" (Is 42,18). Poi i ciechi vedono, conformemente alla profezia, la quale, dopo aver detto: «Sordi, ascoltate», aggiunge: "Ciechi, recuperate la vista per vedere" (Is 42,18). Ed essi, i ciechi, vedono allorché, alla presenza del mondo, dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia contemplano il loro autore (Sg 13,5), e quando: dalla creazione del mondo contemplano ciò che di lui (Dio) è invisibile e ciò che è percepito grazie alle sue opere (Rm 1,20), il che significa che, in forza della loro attenzione, vedono e comprendono chiaramente.

       Origene, Comment. in Matth., 11, 18




XXIV DOMENICA

129 Letture:
    
Is 50,5-9a
     Jc 2,14-18
     Mc 8,27-35

1. Le due nature in Cristo

       A proposito di questa unità della persona da intendersi nelle due nature, si legge che il figlio dell’uomo è disceso dal cielo, quando il Figlio di Dio assunse carne dalla Vergine da cui nacque. E si dice ancora che il Figlio di Dio fu crocifisso e sepolto, per quanto egli abbia sofferto tutto ciò non nella sua divinità, per la quale l’Unigenito è coeterno e consustanziale al Padre, ma nella debolezza della natura umana. Per questo tutti professiamo nel Simbolo che l’unigenito Figlio di Dio fu crocifisso e sepolto, secondo quanto dice l’Apostolo: "Se infatti lo avessero saputo, non avrebbero mai crocifisso il Signore della maestà" (1Co 2,8). E lo stesso Signore nostro e Salvatore, volendo ammaestrare nella fede i suoi discepoli, li interrogò chiedendo loro: «La gente chi dice che sia io, Figlio dell’uomo?». E avendo quelli riferito alcune opinioni altrui, disse: «Ma voi, chi dite che io sia?». Chi dite che sia io, proprio io, che sono figlio dell’uomo, che voi vedete in condizione di schiavo, in una carne vera? E allora san Pietro divinamente ispirato, per giovare con la sua professione a tutte le genti disse: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16). E ben giustamente il Signore lo proclamò beato e a buon diritto dalla pietra angolare (Cristo) egli derivò la forza e il nome, perché per divina rivelazione egli lo proclamò messia e insieme Figlio di Dio. Accettare una di queste due realtà senza l’altra, nulla avrebbe giovato alla salvezza, ed era ugualmente pericoloso credere che il Signore Gesù Cristo fosse solamente Dio e non uomo, o solo uomo e non Dio... La Chiesa cattolica vive e cresce in questa fede: in Gesù, non crede all’umanità senza vera divinità, e neppure alla divinità senza vera umanità.

       Leone Magno, Epist. 28, ad Flav.


2. «Preziosa è agli occhi del Signore la morte dei suoi santi»

       Infatti, per tutti quelli che muoiono professando la fede in Cristo anche senza aver ricevuto il lavacro della nuova vita, tanto vale ciò, a cancellare i loro peccati, quanto il lavacro del sacro fonte battesimale. Infatti colui che ha detto: "Se qualcuno non sarà nuovamente nato dall’acqua e dallo Spirito Santo, non entrerà nel regno dei cieli" (Jn 3,5) ha fatto per loro un’eccezione affermando, in senso non meno generale: "Chi mi confesserà davanti agli uomini, anch’io lo confesserò davanti al Padre mio che è nei cieli" (Mt 10,32); e in un altro luogo: "Chi perderà la sua anima per me, la troverà" (Mt 16,25). Ecco perché sta scritto: "Preziosa è agli occhi del Signore la morte dei suoi santi" (Ps 115,15). Cosa infatti è più prezioso della morte per la quale tutti i delitti vengono rimessi e i meriti aumentano a cumuli?

       Agostino, De civit. Dei, 13, 7


3. Gesù sottolinea il motivo per cui soffrire

       «Chi vuol venire dietro a me»: cioè chiunque, uomo, donna, re, schiavo, s’incammini per questa via. E sembra esprimere qui una sola cosa, ma in realtà ne dice tre: «rinunzi a se stesso», «e prenda la sua croce», «e mi segua». Le prime due esortazioni sono congiunte, mentre la terza è proposta indipendentemente.

       Esaminiamo dapprima cosa vuol dire rinunziare a sé stessi. Per questo dobbiamo anzitutto capire cosa significhi rinunziare a un altro: comprenderemo allora che cosa voglia dire rinunziare a se stesso. Chi rinunzia a qualcuno, per esempio, a un fratello, a un servo o a chiunque altro, anche se lo vede frustato a sangue, incatenato, condotto a morte, sofferente per qualunque altro male, non s’avvicina, né gli porta aiuto, non piange, non s’addolora per lui, come se una volta separato da lui gli fosse completamente estraneo. Nello stesso modo il Signore vuole che noi non facciamo più caso né risparmiamo il nostro corpo. Così quand’anche fosse flagellato, trafitto, gettato nelle fiamme, o dovesse sopportare qualunque altro tormento, noi non dovremmo avere riguardo né compassione per le sue sofferenze. Ma ciò significa risparmiare veramente e aver considerazione per il proprio corpo. I padri non mostrano mai tanta considerazione per i loro figli come quando li affidano a maestri, ordinando loro di non aver riguardo per essi. Così fa anche Cristo e non dice soltanto di non risparmiare e di non aver riguardo per sé stessi, ma con vigore ancor più grande esorta a rinunziare a sé, il che vuol dire: non aver niente a che vedere e fare con sé stessi, ma abbandonarsi ai pericoli e alle lotte, senza avere reazioni come se fosse un altro a soffrire. E non dice: neghi, ma «rinneghi», rinunzi, manifestando, mediante questa piccola aggiunta, l’estremo grado del rinnegamento.

       «E prenda la sua croce». Si tratta di un’ulteriore conseguenza della rinunzia a sé stessi. Affinché non si creda che tale rinunzia consista semplicemente nel subire ingiurie e oltraggi a parole, il Signore sottolinea fin dove dobbiamo spingere il nostro rinnegamento: sino alla morte, e a una morte infamante. Non dice perciò: rinneghi se stesso sino alla morte, ma «prenda la sua croce», dichiarando apertamente di quale morte ignominiosa si tratti, e che si deve fare ciò non una o due volte, ma tutta la nostra vita. Porta ovunque e sempre con te questa morte - egli dice in altri termini - e ogni giorno sii pronto a lasciarti uccidere. Molte persone infatti hanno disprezzato le ricchezze, i piaceri e la gloria, ma non hanno superato il timore dei pericoli e della morte. Io voglio invece - continua Cristo - che il mio discepolo, il mio atleta lotti sino al sangue e affronti combattimenti fino alla morte. Se è necessario pertanto subire la morte e la morte più vergognosa ed esecrabile, anche per un ingiusto sospetto, tutto devi sopportare coraggiosamente e, ancor più, rallegrarti per questo.

       «E mi segua». Può accadere, infatti, che colui che soffre, non segua Cristo, in quanto non soffre per lui. Perché allora nessuno pensi che basti semplicemente soffrire, Gesù sottolinea in particolare quale deve essere il motivo delle nostre sofferenze. Qual è? Che si faccia ogni cosa e si soffra, seguendo lui; che tutto si sopporti per amor suo e che si mettano in pratica anche le altre virtù.

       Crisostomo Giovanni, Comment. in Matth., 55, 1 s.


4. La sequela di Cristo esige fede e semplicità

       È così che Abramo fu chiamato e uscì alla sequela di Dio: egli non si fece giudice della parola rivoltagli e non si sentì impedito dall’attaccamento alla razza e ai parenti, al paese e agli amici, né da altri vincoli umani; ma appena intese la parola e seppe che era di Dio, l’ascoltò semplicemente e, in spirito di fedeltà, la ritenne veritiera; disprezzò tutto e uscì con la semplicità della natura che non agisce con astuzia e per il male...

       Dio non gli rivelò qual fosse questo paese per far trionfare la sua fede e mettere in risalto la sua semplicità; e quantunque sembri che lo conducesse al paese di Canaan, gli prometteva di mostrargli un altro paese, quello della vita che è nei cieli, secondo la testimonianza di Paolo: "Egli aspettava la città dalle solide fondamenta, il cui architetto e cosruttore è Dio" (He 11,10). E ha detto ancora: "È certo che ne desideravano una migliore del paese di Canaan, cioè quella celeste" (He 11,16). E per insegnarci chiaramente che quello che egli prometteva di mostrare ad Abramo non era il paese della promessa corporale, Dio lo fece dimorare ad Haran dopo averlo fatto uscire da Ur dei Caldei, e non lo introdusse nel paese di Canaan subito dopo la sua uscita; e affinché Abramo non pensasse aver inteso l’annuncio di una ricompensa e non uscisse per questa ragione secondo la parola di Dio, non gli fece conoscere fin dall’inizio il nome del paese dove lo conduceva.

       Considera perciò quella uscita, o discepolo, e sia la tua come quella; non tardare a rispondere alla viva voce di Cristo che ti ha chiamato. Là, egli non chiamava che Abramo: qui, nel suo Vangelo, egli chiama e invita a uscire alla sua sequela tutti quelli che lo vogliono, invero, è a tutti gli uomini che egli ha rivolto la sua chiamata quando ha detto: "Chi vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24 Mc 8,34 Lc 9,23); e mentre là non ha scelto che Abramo, qui, invita tutti a divenire simili ad Abramo.

       Filosseno di Mabbug, Hom., 4, 75 s.


5. Dio va anteposto anche al valore della vita

       "Chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia la salverà" (Mc 8,35). È come se si dicesse al contadino: Se tu serbi il tuo grano lo perdi; se invece lo semini, lo rinnovi. Chi ignora, infatti, che il grano, una volta seminato sparisce alla vista e muore sotto terra? Ma proprio perché marcisce nella polvere, vigoreggia poi rinnovato!

       Per la Chiesa, vi è un tempo di persecuzione e un tempo di pace; e il Redentore dà precetti diversi a seconda dei vari tempi. In tempo di persecuzione, ordina di dare la propria vita; in tempo di pace, impone di dominare quei desideri terreni che più si rivelano prepotenti in noi. Ecco perché, anche oggi dice: "Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?" (Mc 8,36 Mt 16,26). Quando cessa la persecuzione da parte dei nemici, è tempo di custodire più attentamente il cuore. Infatti, in tempo di pace, quando ci è concesso un quieto vivere, ci assalgono desideri smodati. È questo stato di avarizia che va tenuto a freno con l’attenta considerazione della condizione di colui che viene assalito. In effetti, a che pro dovrebbe insistere nell’ammassare, chi di per sé non può rimanere quaggiù ad ammassare? Consideri perciò ognuno la propria durata e si accorgerà che gli può bastare senz’altro il poco che possiede! O ha paura, per caso, che lungo il cammino della vita gli venga a mancare il sostentamento? La brevità del cammino è però un rimprovero ai nostri desideri a lungo termine; è inutile, infatti, caricarsi di molte provviste, quando la meta cui si tende è vicina!

       Spesso capita che ci è facile aver ragione dell’avarizia, mentre ci arrestiamo poi davanti ad un altro ostacolo, trascurando in pratica l’impegno verso la perfezione. Ci lasciamo vincere dal rispetto umano, che ci impedisce di esprimere con la voce la rettitudine che sentiamo nell’intimo. In tal modo, di tanto trascuriamo gli interessi di Dio, con la difesa della giustizia, di quanto cediamo alla mentalità degli uomini, contro ogni giustizia. Ma anche per questo malanno, il Signore suggerisce il rimedio appropriato, quando dice: "Chiunque si vergognerà di me e delle mie parole [davanti a questa generazione adultera e peccatrice], anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi" (Mc 8,38).

       Gregorio Magno, Hom. in Ev., 32, [4] 5





Lezionario "I Padri vivi" 127