Lezionario "I Padri vivi" 139

Anno C


I DOMENICA DI AVVENTO

140 Letture:
    
Jr 33,14-16
     1Th 3,12-4,2
     Lc 21,25-28 Lc 21,34-36

1. La fine del mondo segna il trionfo di Gesù Cristo e il premio degli eletti.

       Fratelli carissimi, il nostro Signore e Redentore, volendoci trovare preparati e per allontanarci dall’amore del mondo, ci dice quali mali ne accompagnino la fine. Ci scopre quali colpi ne indichino la fine, in modo che se non temiamo Dio nella tranquillità, il terrore di quei colpi ci faccia temere l’imminenza del suo giudizio. Infatti alla pagina del santo Vangelo che avete ora sentito, il Signore poco prima ha premesso: "Si leverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno terremoti, pestilenze e carestie dappertutto" (Lc 21,10-11); e poi ancora: "Ci saranno anche cose nuove nel sole, nella luna e nelle stelle; sulla terra le genti saranno prese da angoscia e spavento per il fragore del mare in tempesta" (Lc 21,25); dalle cui parole vediamo che alcune cose già sono avvenute e tremiamo per quelle che devono ancora arrivare. Che le genti si levino contro altre genti e che la loro angoscia si sia diffusa sulla terra l’abbiam visto più ai nostri tempi che non sia avvenuto nel passato. Che il terremoto abbia sconquassato innumerevoli città, sapete quante volte l’abbiam letto. Di pestilenze ne abbiamo senza fine. Di fatti nuovi nel sole, nella luna e nelle stelle, apertamente per ora non ne abbiam visto nulla, ma che non siano lontani ce ne dà un segno il cambiamento dell’aria. Tuttavia prima che l’Italia cadesse sotto la spada dei pagani, vedemmo in cielo eserciti di fuoco, cioè proprio quel sangue rosseggiante del genere umano, che poi fu sparso. Di notevoli confusioni di onde e di mare non ne abbiamo ancora avute, ma poiché molte delle cose predette già si sono avverate, non c’è dubbio che avvengano anche le poche, che ancora non si sono avverate; il passato è garanzia del futuro.

       Queste cose, fratelli carissimi, le andiamo dicendo, perché le vostre menti stiano vigilanti nell’attesa, non s’intorpidiscano nella sicurezza, non s’addormentino nell’ignoranza e vi stimoli alle opere buone il pensiero del Redentore che dice: "Gli abitanti della terra moriranno per la paura e per il presentimento delle cose che devono avvenire. Infatti le forze del cielo saranno sconvolte" (Lc 21,26). Che cosa il Signore intende per forze dei cieli, se non gli angeli, arcangeli, troni, dominazioni, principati e potestà, che appariranno visibilmente all’arrivo del giudice severo, perché severamente esigano da noi ciò che oggi l’invisibile Creatore tollera pazientemente? Ivi stesso si aggiunge: "E allora vedranno venire il Figlio dell’uomo sulle nubi con gran potenza e maestà". Come se volesse dire: Vedranno in maestà e potenza colui che non vollero sentire nell’umiltà, perché ne sentano tanto più severamente la forza, quanto meno oggi piegano l’orgoglio del loro cuore innanzi a lui.

       Ma poiché queste cose sono state dette contro i malvagi, ecco ora la consolazione degli eletti. Difatti viene soggiunto: "All’inizio di questi avvenimenti, guardate e sollevate le vostre teste, perché s’avvicina il vostro riscatto". È la Verità che avverte i suoi eletti dicendo: Mentre s’addensano le piaghe del mondo, quando il terrore del giudizio si fa palese per lo sconvolgimento di tutte le cose, alzate la testa, cioè prendete animo, perché, se finisce il mondo, di cui non siete amici, si compie il riscatto che aspettate. Spesso nella Scrittura il capo sta per la mente, perché come le membra son guidate dal capo, così i pensieri sono ordinati dalla mente. Sollevare la testa, quindi, vuol dire innalzare le menti alla felicità della patria celeste. Coloro, dunque, che amano Dio sono invitati a rallegrarsi per la fine del mondo, perché presto incontreranno colui che amano, mentre se ne va colui ch’essi non amavano. Non sia mai che un fedele che aspetta di vedere Dio, s’abbia a rattristare per la fine del mondo. Sta scritto infatti: "Chi vorrà essere amico di questo mondo, diventerà nemico di Dio" (Jc 4,4). Colui che, allora, avvicinandosi la fine del mondo, non si rallegra, si dimostra amico del mondo e nemico di Dio. Ma non può essere questo per un fedele, che crede che c’è un’altra vita e l’ama nelle sue opere. Si può dispiacere della fine di questo mondo, chi ha posto in esso le radici del suo cuore, chi non tende a una vita futura, chi neanche sospetta che ci sia. Ma noi che sappiamo dell’eterna felicità della patria, dobbiamo affrettarne il conseguimento. Dobbiamo desiderare d’andarvi al più presto possibile per la via più breve. Quali mali non ha il mondo? Quale tristezza e angustia vi manca? Che cosa è la vita mortale, se non una via? E giudicate voi stessi, fratelli, che significherebbe stancarsi nel cammino d’un viaggio e tuttavia non desiderare ch’esso sia finito.

       Gregorio Magno, Sermo 1, 1-3


2. Beato chi pensa al giudizio

       Beata l’anima che notte e giorno non si preoccupa d’altro che di rendere agevole il suo compito quel giorno in cui ogni creatura dovrà presentare i suoi conti al grande giudice. Colui, infatti, che tiene fisso innanzi agli occhi quel giorno e quell’ora e medita su quel tribunale che non può essere ingannato, non può commettere se non qualche lievissimo peccato; poiché, quando pecchiamo, pecchiamo per mancanza di timor di Dio; perciò, se uno tiene ben fisso lo sguardo sulle pene che sono minacciate, il suo intimo ed istintivo timore gli consentirà soltanto di cadere in qualche involontaria azione o pensiero. Perciò, ricordati di Dio, conservane il timore nel tuo cuore e invita tutti a pregare con te. È grande l’aiuto di quelli che possono placare Dio. E questo non lo devi tralasciare mai. Questo sostegno dell’altrui preghiera ci è di aiuto in questa vita e ci è di buon viatico, quando ne usciamo per la vita futura. Però, com’è cosa buona la preoccupazione del bene, così è dannoso per l’anima lo scoraggiamento e la disperazione. Riponi la tua speranza nella bontà di Dio e aspettane l’aiuto con la sicurezza che, se ci rivolgiamo a lui con sincerità di cuore, non solo non ci rigetterà, ma prima ancora che si chiuda la bocca sulla preghiera, egli ci dirà: Eccomi, son qui.

       Basilio di Cesarea, Epist., 174


3. La fine del mondo

       Sorvegliate la vostra vita. Le vostre lampade non si spengano, e non si sciolgano i vostri fianchi, ma siate pronti. Non sapete l’ora in cui nostro Signore viene (Mt 24,42-44). Riunitevi spesso cercando ciò che conviene alle vostre anime non vi gioverà tutto il tempo della vostra fede, se non sarete perfetti in ultimo.

       Didachè, 16, 1-2


4. «Ottava omelia sul digiuno del decimo mese»

       Istruendo i suoi discepoli circa l’avvento del Regno di Dio e la fine del mondo - e, nei suoi apostoli, insegnava a tutta la Chiesa -, il Salvatore disse: "Siate vigilanti, perché i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita" (Lc 21,34).

       Ecco, in verità, o carissimi, un precetto di cui sappiamo che ci riguarda in modo specialissimo, noi che non dubitiamo che il giorno annunciato in questi termini, per quanto nascosto, sia molto vicino. È opportuno che ogni uomo si prepari alla sua venuta, di modo che non vi sia nessuno che risulti o schiavo del ventre (Rm 16,18) o implicato negli affanni della vita. L’esperienza quotidiana prova, in effetti, che saziando la carne, si smussa la punta dello spirito, e l’eccesso di cibo infiacchisce la forza del cuore; di modo che riporre le proprie delizie nel cibo è contrario persino alla salute del corpo, a meno che la misura imposta dalla temperanza non si opponga alle attrattive carnali e non rifiuti alla voluttà ciò che diverrebbe un fardello.

       Difatti, se è vero che la carne non desidera niente senza il concorso dell’anima e riceve le sensazioni dallo stesso principio che gli permette anche il movimento, è tuttavia in facoltà di quest’anima rifiutare talune cose alla materia che le è sottomessa e, attraverso un giudizio interiore, disporre un freno, per non soffrirne, a ciò che le è esterno; così, sempre più libera dai desideri carnali, essa potrà vagare nella divina sapienza nell’intimo di sé dove, tacendo il trambusto degli affanni mondani, essa troverà la sua gioia in sante meditazioni e nelle delizie eterne. Naturalmente, è difficile realizzare questo in modo continuativo in questa vita; si può però applicarvisi spesso, in modo che ci occupiamo più frequentemente e più a lungo di ciò che è spirituale che non di ciò che è carnale; così, quando consacriamo più tempo a preoccupazioni migliori, le nostre azioni temporali si cambiano anch’esse in ricchezze incorruttibili.

       Questa utile osservanza, carissimi, è il principale oggetto del digiuno della Chiesa, che, seguendo l’insegnamento dello Spirito Santo, è stato ripartito in modo tale, nel corso dell’anno, che la legge dell’astinenza sia sottolineata in ogni stagione..

       Per praticarlo, in effetti, non ci è richiesto soltanto di privarci del cibo, bensì di astenerci da ogni desiderio carnale. D’altronde, sarebbe inutile soffrire volontariamente la fame senza rinunciare nel contempo ad una volontà perversa; infliggersi una privazione di cibo e non svincolarsi da un peccato già concepito nell’anima. È carnale e non spirituale il digiuno che si riferisce solo al corpo, mentre si persiste a restare in ciò che nuoce più di tutte le delizie. Che serve all’anima comportarsi esteriormente da padrona ed essere schiava e prigioniera interiormente; comandare alle proprie membra e abbandonarsi poi dritta dritta alla propria libertà? Ed è a ragione che spesso essa soffre la ribellione della serva, lei che non serve il Signore come dovrebbe. Digiunando dunque di cibi grazie al corpo, lo spirito digiuna dei vizi e stima le cure e i desideri terreni secondo la legge del suo re.

       Questo spirito ricordi che deve il primo amore a Dio e il secondo al prossimo; che la regola di tutti i suoi sentimenti è quella di non trascurare né il culto del Signore né l’utilità di chiunque lo serve insieme a noi.

       Ma come si rende culto a Dio, se non quando ci piace ciò che a lui piace e il nostro cuore non si allontana mai dal suo comandamento? Infatti, se noi vogliamo ciò che egli vuole, la nostra debolezza troverà la sua forza in colui dal quale riceviamo persino il nostro volere, "poiché è Dio" - dice l’Apostolo - "che suscita in voi il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni" (Ph 2,13). Ecco perché l’uomo non si gonfierà di orgoglio, né cadrà vittima della disperazione, se è per la gloria di colui che li dona che usa dei beni che gli sono divinamente dati ed allontana i suoi desideri da ciò che sa che gli possa nuocere. Se, in verità, si guarda bene dall’invidia cattiva, dalla lussuria dissolutrice, dal turbamento che genera la collera, dal desiderio di vendicarsi, egli si purifica allora santificandosi con un digiuno autentico e si sazierà del piacere di delizie incorruttibili; saprà dall’uso spirituale che ne farà, trasformare gli stessi beni terreni in ricchezze celesti, non serbando per sé quanto ha ricevuto, bensì moltiplicando sempre di più ciò che avrà dato.

       Per questo, con senso di amore paterno, esortiamo la vostra carità a rendere profittevole per voi, con l’abbondanza delle elemosine, il digiuno del decimo mese; vi rallegrerete allora del fatto che, tramite il vostro ministero, il Signore nutre e riveste i suoi poveri.

       Leone Magno, Sermo 89 [19], 1-3




II DOMENICA DI AVVENTO

141 Letture:
    
Ba 5,1-9
     Ph 1,4-6 Ph 1,8-11
     Lc 3,1-6


1. Il Battista

       Il precursore del nostro Redentore viene presentato attraverso l’indicazione delle autorità che governavano Roma e la Giudea al tempo della sua predicazione, con le parole: "Nel quindicesimo anno dell’impero di Tiberio Cesare, essendo procuratore della Giudea Pilato, tetrarca della Galilea Erode, Filippo suo fratello tetrarca dell’Iturea e della Traconitide e Lisania tetrarca dell’Abilene, mentr’erano principi dei sacerdoti Anna e Caifa, la Parola di Dio si manifestò a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto" (Lc 3,1s). Poiché, infatti, Giovanni veniva ad annunziare colui che doveva redimere alcuni Giudei e molti Gentili, i tempi vengono indicati menzionando il re dei Gentili e i principi dei Giudei. Poiché poi i Gentili dovevano venir raccolti e i Giudei stavano per essere dispersi a causa della loro perfidia, nella descrizione dei principati, la repubblica romana è tutta assegnata a un solo capo e nel regno della Giudea viene sottolineata la divisione in quattro parti. Il nostro Redentore infatti dice: "Ogni regno diviso in se stesso, andrà in rovina" (Lc 11,17). È chiaro allora che la Giudea, divisa tra tanti re, era giunta alla fine del regno. E proprio opportunamente vien notato non solo chi fossero a quel tempo i re, ma anche chi fossero i sacerdoti, perché Giovanni Battista avrebbe annunziato colui che sarebbe stato allo stesso tempo e re e sacerdote.

       "E si recò per tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di penitenza per il perdono dei peccati" (Lc 3,3). Chi legge comprende che Giovanni non solo predicò ma diede anche ad alcuni il battesimo di penitenza, ma tuttavia non poté dare il suo battesimo in remissione dei peccati. La remissione dei peccati, infatti, avviene solo nel Battesimo di Cristo. Bisogna osservare che vien detto: "Predicando un battesimo di penitenza per il perdono dei peccati", predicava cioè un battesimo che perdonasse i peccati, perché non lo poteva dare. Come annunziava con la parola il Verbo del Padre che si era incarnato, così nel suo battesimo che non poteva perdonare i peccati, anticipava il Battesimo di penitenza, che avrebbe liberato dai peccati. La sua predicazione anticipava la presenza del Redentore, il suo battesimo era ombra del vero Battesimo di Cristo.

       "Com’è scritto nel libro d’Isaia: Voce di colui che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri" (Is 40,3). Lo stesso Battista, interrogato chi egli fosse, rispose: "Io sono la voce di colui che grida nel deserto" (Jn 1,23). È detto voce, perché annunzia il Verbo. Quello poi che diceva sta nelle parole: "Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri". Chiunque annunzia la fede vera e predica le opere buone che altro fa se non preparare i cuori di chi lo ascolta al Signore che viene? Perché la forza della grazia penetri, la luce della verità illumini, raddrizzi le vie innanzi al Signore, mentre il sermone della buona predicazione forma buoni pensieri nell’animo.

       "Ogni valle sarà riempita e ogni colle e monte sarà abbassato". Che cosa s’intende qui per valli se non gli umili, che cosa per monti e colli se non i superbi? Alla venuta del Salvatore le valli saranno riempite, i colli e i monti saranno abbassati, perché com’egli stesso dice: "Chiunque si esalta sarà umiliato e chiunque si umilia sarà esaltato" (Lc 14,11). Infatti, la valle riempita s’alza, il monte e il colle umiliato, s’abbassa, perché nella fede del Mediatore tra Dio e gli uomini Cristo Gesù, la gentilità ricevette la pienezza della grazia e la Giudea per la sua perfidia perdette ciò di cui s’inorgogliva. Ogni valle sarà riempita, perché i cuori degli umili saranno riempiti dalla grazia delle virtù...

       Il popolo, poiché vedeva Giovanni Battista fornito di meravigliosa santità, lo riteneva un monte singolarmente alto e solido... Ma se lo stesso Giovanni non si fosse ritenuto una valle, non sarebbe stato riempito dello spirito della grazia. Egli infatti disse di sé: "Viene uno più forte di me; non son degno di sciogliere i legacci dei suoi calzari" (Mc 1,7). Ed anche: "Chi ha la sposa è lo sposo, l’amico dello sposo sta lì a sentirlo e gode a sentir la voce dello sposo. Questa mia gioia è piena. Lui deve crescere, io devo essere diminuito" (Jn 3,29-30). Infatti, essendo stato ritenuto, a motivo della sua eccezionale virtù, d’essere il Cristo, non solo disse di non esserlo, ma disse addirittura ch’egli non era degno di sciogliere i lacci dei suoi calzari, di frugare, cioè, nel mistero della sua incarnazione. Credevano che la Chiesa fosse sua sposa; ma egli li corresse: "Chi ha la sposa è lo sposo". Io non sono lo sposo, ma l’amico dello sposo. E diceva di godere non della propria voce, ma di quella dello sposo, perché si rallegrava non di essere umilmente ascoltato dal popolo, quanto perché sentiva dentro di sé la voce della verità, ch’egli annunziava. Dice che la sua gioia era piena, perché colui che gode della sua propria voce, non ha gioia piena, e aggiunge: "Lui deve crescere, io devo essere diminuito".

       Bisogna ora chiedersi in che cosa è cresciuto il Cristo e in che cosa è stato diminuito Giovanni, ed è che il popolo vedendo l’astinenza e la solitudine di Giovanni, lo credeva il Cristo, vedendo invece il Cristo che mangiava coi pubblicani e peccatori, credeva che non fosse il Cristo, ma un profeta. Ma con l’andar del tempo, quando il Cristo, ch’era ritenuto un profeta fu riconosciuto come il Cristo e Giovanni, che era ritenuto di essere il Cristo, fu riconosciuto come un profeta, allora si avverò ciò che il precursore aveva detto del Cristo: "Lui deve crescere, io devo essere diminuito... E le vie storte saranno raddrizzate e le aspre appianate". Le vie storte si raddrizzano, quando i cuori dei malvagi, storpiati dall’ingiustizia, vengono allineati con la giustizia (Is 40,4). E le vie aspre vengono appianate, quando le menti iraconde tornano, per opera della grazia, alla serenità della mansuetudine. Quando, infatti, la mente iraconda respinge la parola di verità, è come se l’asprezza del cammino impedisse il passo del viandante. Ma quando l’anima iraconda, attraverso la grazia ricevuta, accoglie la parola della correzione, allora il predicatore trova la via piana, laddove non osava muovere il piede.

       "E ogni uomo vedrà la salvezza di Dio". Ma non tutti gli uomini hanno potuto vedere Cristo, salvezza di Dio, in questa vita. Dove allora appunta lo sguardo il profeta, se non all’ultimo giorno del giudizio? Quando, aperti i cieli, tra gli angeli e gli apostoli, in un trono di maestà, apparirà il Cristo e tutti, eletti e dannati, lo vedranno, perché i giusti abbiano un premio senza fine e i dannati gemano nell’eternità del supplizio.

       Gregorio Magno, Hom., 20, 1-7


2. La via diritta

       Sta scritto di Giovanni: "Voce di colui che grida nel deserto: preparate la via al Signore, raddrizzate i suoi sentieri" (Lc 3,4 Is 40,3). Quanto segue si riferisce espressamente al nostro Signore e Salvatore. Non è infatti Giovanni che «ha colmato ogni valle», ma il nostro Signore e Salvatore. Osservi ciascuno che cosa era prima di avere la fede: si accorgerà che era una valle bassa, una valle in pendio che sprofondava negli abissi. Ma quando è venuto il Signore Gesù e ha inviato quale suo vicario lo Spirito Santo, «ogni valle è stata colmata». È stata colmata con le buone opere e i frutti dello Spirito Santo. La carità non lascia che in te resti una valle, perché, se tu possiedi la pace, la pazienza e la bontà, non soltanto cesserai di essere una valle, ma comincerai a divenire «montagna» di Dio.

       Queste parole: «Ogni valle sarà colmata», vediamo che ogni giorno si realizzano e si compiono tanto per i Gentili quanto per il popolo di Israele, che è stato rovesciato dalla sua grandezza: "ogni montagna e ogni colle sarà abbassato" (Lc 3,5 Is 40,4). Questo popolo era un giorno un monte e un colle, ed è stato abbattuto e smantellato. Ma "per il loro delitto è stata data la salvezza alle genti, per provocare la loro emulazione" (Rm 11,11).

       E per contro, non sbaglierai se vedrai in queste montagne e in queste colline abbattute le potenze nemiche che si levano contro gli uomini. Affinché infatti siano colmate le vallate di cui parliamo, dovranno essere abbattute le potenze nemiche, montagne e colline.

       Ma vediamo se si è compiuta la profezia seguente che concerne l’avvento del Cristo. Dice infatti: "E tutte le cose tortuose diverranno dritte" (Lc 3,5 Is 40,4). Ognuno di noi era tortuoso - sempreché lo sia stato allora senza esserlo ancora oggi - e, per la venuta di Cristo che si è compiuta anche nella nostra anima, tutto ciò che era tortuoso è diventato dritto. A che ti serve infatti che Cristo sia venuto un tempo nella carne, se non è venuto anche nella tua anima? Preghiamo dunque perché ogni giorno il suo avvento si compia in noi, onde possiamo dire: "Vivo, ma non più io; è Cristo che vive in me" (Ga 2,20). Se Cristo vive in Paolo e non vive in me, che vantaggio ne ho? Ma quando egli sarà venuto anche in me e io ne gioirò come ne ha gioito Paolo, anch’io potrò dire come Paolo: "Vivo, ma non più io; è Cristo che vive in me" (Ga 2,20).

       Consideriamo anche il resto di ciò che si annunzia a proposito dell’avvento del Cristo. Niente al mondo era più aspro di te. Guarda le tue passioni di un tempo, la tua ira e i tuoi altri vizi, sempreché ora siano scomparsi; e comprenderai che niente era più aspro di te, oppure, per esprimermi in un modo più chiaro, comprenderai che niente era più ingiusto di te. La tua condotta era ingiusta, ingiuste le tue parole e le tue opere. Ma è venuto il mio Signore Gesù, ha spianato le tue asperità, ha mutato in strade dritte tutto il tuo disordine, perché in te sorgesse una strada senza inciampi, un cammino dolce e puro, lungo il quale in te Dio Padre potesse procedere e Cristo Signore in te potesse fissare la sua dimora e dire: "Io e il Padre mio verremo e porremo in lui la nostra dimora" (Jn 14,23).

       Così continua: "e ogni carne vedrà la salvezza di Dio" (Lc 3,6 Is 40,5). Tu un tempo eri carne; ebbene, mentre eri carne, anzi mentre ancora sei carne, ecco il prodigio, vedi già «la salvezza di Dio».

       Quanto al significato delle parole: «ogni carne», senza che nessuna sia esclusa dalla visione «della salvezza di Dio», lo lascio comprendere a coloro che sono capaci di sondare il mistero e il cuore della Scrittura.

       Origene, In Luc., 22, 1-5


3. L’Incarnazione

       Chi fra tutti gli uomini sapeva perfettamente che cosa è Dio, prima che egli venisse?...

       Nessun uomo lo vide e lo conobbe, ma egli stesso si rivelò a noi. Si rivelò mediante la fede, con la quale solo è concesso vedere Dio. Dio, Signore e Creatore dell’universo, che ha fatto tutte le cose e le ha stabilite in ordine, non solo si mostrò amico degli uomini, ma anche magnanimo. Tale fu sempre, è e sarà: eccellente, buono, mite e veritiero, il solo buono (Mt 19,17 Mc 10,18 Lc 18,19). Avendo pensato un piano grande e ineffabile lo comunicò solo al Figlio. Finché lo teneva nel mistero e custodiva il suo saggio volere, pareva che non si curasse e non pensasse a noi. Dopo che per mezzo del suo Figlio diletto rivelò e manifestò ciò che aveva stabilito sin dall’inizio, ci concesse insieme ogni cosa, cioè di partecipare ai suoi benefici, di vederli e di comprenderli. Chi di noi se lo sarebbe aspettato?

       (Dio) dunque avendo da sé tutto disposto con il Figlio, permise che noi fino all’ultimo, trascinati dai piaceri e dalle brame (Tt 3,3) come volevamo, fossimo travolti dai piaceri e dalle passioni. Non si compiaceva affatto dei nostri peccati, ma ci sopportava e non approvava quel tempo di ingiustizia. Invece, preparava il tempo della giustizia perché noi fossimo convinti che in quel periodo, per le nostre opere, eravamo indegni della vita, e ora solo per bontà di Dio ne siamo degni, e dimostrassimo, per quanto fosse in noi, che era impossibile entrare nel Regno di Dio e che solo per sua potenza ne diventiamo capaci. Dopo che la nostra ingiustizia giunse al colmo e fu dimostrato chiaramente che come suo guadagno spettava il castigo e la morte, venne il tempo che Dio aveva stabilito per manifestare la sua bontà e la sua potenza. O immensa bontà e amore di Dio. Non ci odiò, non ci respinse e non si vendicò, ma fu magnanimo e ci sopportò e con misericordia si addossò i nostri peccati e mandò suo Figlio per il nostro riscatto (Mt 20,28 Mc 10,45); il santo per gli empi, l’innocente per i malvagi, il giusto per gli ingiusti, l’incorruttibile per i corrotti, l’immortale per i mortali. Quale altra cosa poteva coprire i nostri peccati se non la sua giustizia? In chi avremmo potuto essere giustificati noi ingiusti ed empi se non nel solo Figlio di Dio? Dolce sostituzione, opera inscrutabile, benefici insospettati! L’ingiustizia di molti viene riparata da un solo giusto e la giustizia di uno solo rende giusti molti (Rm 5,18). Egli che prima ci convinse dell’importanza della nostra natura Per avere la vita, ora ci mostra il Salvatore capace di salvare anche l’impossibile. Con queste due cose ha voluto che ci fidiamo della sua bontà e lo consideriamo nostro sostentatore, padre, maestro, consigliere, medico, mente, luce, onore, gloria, forza, vita, senza preoccuparsi del vestito e del cibo.

       Ep. ad Diognetum, 8,1; 8,5-9,6




III DOMENICA DI AVVENTO

142 Letture:
    
So 3,14-18a
     Ph 4,4-7
     Lc 3,10-18


1. I beni temporali possono avere il merito d’un carisma spirituale

       Rispose loro: "Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha del cibo faccia altrettanto" (Lc 3,11).

       Per il fatto che la tunica ci è più necessaria del mantello dobbiamo dire che per produrre un frutto degno di penitenza non basta dividere con i poveri soltanto cose esterne e non necessarie, ma anche quelle cose che son molto necessarie, come il cibo, che ci serve a vivere, e la tunica che ci riveste. Poiché infatti, nella Legge sta scritto: "Amerai ii tuo prossimo come te stesso" (Lv 19,18), si capisce che non ama abbastanza il suo prossimo colui che, nel bisogno, non divide con lui anche le cose necessarie. Quanto alla divisione delle tuniche, si parla di due, perché, se ne hai una sola e la dividi in due, finisci per restar nudo tu e colui che riceve l’altra metà. Bisogna sottolineare tuttavia quanto grande sia il valore delle opere di misericordia, se queste sono le prime comandate per produrre frutti degni di penitenza. E la Verità stessa dice: "Fate elemosina, e tutto è puro per voi" (Lc 11,41). E ancora: "Date e vi sarà dato" (Lc 6,38). Perciò è stato scritto: "L’acqua spegne il fuoco ardente e l’elemosina resiste ai peccati" (Si 3,29). E di nuovo: "Nascondi l’elemosina nel seno del povero e questa intercederà per te" (Si 29,15)... Per mostrare poi quanta virtù ci sia nell’accogliere i poveri, il nostro Redentore dice: "Chi riceve un profeta, perché profeta, riceverà la mercede del profeta e chi accoglie un giusto, perché giusto, riceverà la mercede del giusto" (Mt 10,41). In queste parole bisogna osservare che non dice: mercede per il profeta, o per il giusto, ma proprio mercede del profeta e mercede del giusto, perché colui che mantiene un profeta, sebbene non abbia lui la profezia, avrà tuttavia dall’Onnipotente il premio della profezia. Il giusto poi, quanto meno possiede in questo mondo, tanta più audacia ha di parlare per la giustizia; e colui che, avendo qualche cosa in questo mondo, sostiene il giusto, sebbene non osi forse parlare liberamente per la giustizia, si rende socio della giustizia del giusto, tanto da ricevere insieme con lui il premio della giustizia. Il profeta è pieno di spirito di profezia, manca però di alimento corporale; e se il corpo non è sostenuto, la voce viene a mancare. Chi dunque alimenta il profeta, gli dà la forza per alimentarne la profezia, e davanti agli occhi di Dio, pur non avendo lui lo spirito di profezia, ne riceverà la mercede, perché è come se avesse dato lui ciò che ha contribuito ad annunziare. Perciò Giovanni dice: "Sono partiti per il servizia del Signore, senza accettare nulla dai pagani. Pertanto abbiamo l’obbligo di sostenerli, così saremo anche noi collaboratori della verità" (3Jn 1,7-8). Infatti chi dà un aiuto temporale a chi ha un carisma spirituale, diventa partecipe del carisma spirituale. Poiché son pochi quelli che hanno carismi spirituali e molti, invece, quelli che abbondano di cose temporali, questi però mettono se stessi a parte delle virtù del profeta povero proprio con quell’atto che fa delle loro ricchezze un mezzo di sollievo per il profeta...

       Poiché però Giovanni ci richiama a grandi opere con le parole: "Fate frutti degni di penitenza" (Mt 3,8), e ancora: "Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha del cibo faccia altrettanto" (Lc 3,11), si può ormai capire che cosa voglia dire la Verità, quando dice: "Dai giorni del Battista a oggi il regno dei cieli è esposto alla violenza, e i violenti lo conquistano" (Mt 11,12). E queste parole di divina sapienza devono essere studiate. Come può subir violenza il regno dei cieli? Chi può farla questa violenza? E se il regno dei cieli può essere esposto alla violenza, perché lo è solo dal tempo del Battista e non da prima? Ma poiché la Legge dice: Chi ha fatto questo o quello, morrà, il lettore capisce che la Legge può colpire chiunque con la sua severità, ma non risuscita nessuno attraverso la penitenza. Poiché però Giovanni Battista, precorrendo la grazia del Redentore, predica la penitenza, perché il peccatore, morto per la colpa, riviva attraverso la conversione, si capisce perché il regno dei cieli sia esposto alla violenza solo a partire da Giovanni Battista. Che cosa è poi il regno dei cieli se non la dimora dei giusti? Solo i giusti hanno diritto al premio eterno; sono i miti, gli umili, i casti, i misericordiosi che entrano nella gioia celeste. Sicché quando un superbo, un dissoluto, un iracondo, un empio o crudele fa penitenza e riceve la vita eterna, è come se un peccatore entrasse in casa altrui. Dal tempo del Battista il regno dei cieli è esposto alla violenza e i violenti lo conquistano, perché colui che chiamò i peccatori a penitenza, che altro fece se non insegnare a forzare il regno dei cieli?

       Gregorio Magno, Hom., 20, 11


2. Il soldato piace a Dio se lotta per la pace

       Non credere che non possa piacere a Dio nessuno il quale faccia il soldato tra le armi destinate alla guerra. Era guerriero il santo re David, al quale il Signore diede una si grande testimonianza. Erano guerrieri moltissimi altri giusti di quel tempo. Era soldato anche quel centurione che al Signore disse: "Non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ una sola parola ed il mio attendente guarirà. Infatti sono anch’io rivestito d’autorità avendo dei soldati ai miei ordini e dico a uno: «Va’» ed egli va; ad un altro: «Vieni», ed egli viene; e al mio attendente: «Fa’ ciò», ed egli lo fa. Per conseguenza il Signore disse di lui: In verità vi dico che non ho trovato tanta fede in Israele" (Mt 8,8-10 Lc 7,6-9). Era soldato anche quel Cornelio al quale l’angelo rivolse le seguenti parole: Cornelio, gradite sono state le tue elemosine ed esaudite le tue preghiere" (Ac 10,1-8 Ac 10,30-33), quando lo esortò di mandare a chiamare l’apostolo Pietro, per sentire che cosa doveva fare. Mandò infatti un soldato timorato di Dio dall’apostolo per pregarlo di recarsi da lui. Erano soldati anche quelli ch’erano andati a ricevere il battesimo da Giovanni (Lc 3,12), il santo precursore del Signore e amico dello Sposo, del quale proprio il Signore disse: "Tra i nati di donna non è sorto nessuno più grande di Giovanni Battista" (Mt 11,11). Quei soldati gli avevano chiesto che cosa dovessero fare ed egli rispose: "Non fate vessazioni ad alcuno, non fate false denunce ed accontentatevi della vostra paga" (Lc 3,14). Egli dunque non proibì loro di fare il soldato sotto le armi, dal momento che raccomandò loro di accontentarsi della loro paga.

       Quando perciò indossi le armi per combattere, pensa anzitutto che la tua stessa vigoria fisica è un dono di Dio; così facendo non ti passerà neppure per la mente di abusare d’un dono di Dio contro di lui. La parola data, infatti, si deve mantenere anche verso il nemico contro il quale si fa guerra; quanto più dev’essere mantenuta verso l’amico per il quale si combatte! La pace deve essere nella volontà e la guerra solo una necessità, affinché Dio ci liberi dalla necessità e ci conservi nella pace! Infatti non si cerca la pace per provocare la guerra, ma si fa la guerra per ottenere la pace! Anche facendo la guerra sii dunque ispirato dalla pace in modo che, vincendo, tu possa condurre al bene della pace coloro che tu sconfiggi. "Beati i pacificatori" -dice il Signore - "perché saranno chiamati figli di Dio" (Mt 5,9). Ora, se la pace umana è tanto dolce a causa della salvezza temporale dei mortali, quanto più dolce è la pace divina, a causa dell’eterna salvezza degli angeli! Sia pertanto la necessità e non la volontà il motivo per togliere di mezzo il nemico che combatte. Allo stesso modo che si usa la violenza con chi si ribella e resiste, così deve usarsi misericordia con chi è ormai vinto o prigioniero, soprattutto se non c’è da temere, nei suoi riguardi, che turbi la pace.

       Agostino, Epist., 189, 4.6


3. Cristo fondamento sulla roccia

       Orbene, "colui che battezza nello Spirito Santo e nel fuoco" -dice la Scrittura - "ha in mano il ventilabro e purificherà la sua aia; raccoglierà il grano nel suo granaio e brucerà la paglia nel fuoco inestinguibile" (Lc 3,17). Vorrei scoprire qual è il motivo per cui il nostro Signore tiene «il ventilabro» in mano, e da quale vento la paglia leggera è spostata di qua e di là, mentre il grano più pesante cade sempre nello stesso punto, dato che, senza il vento, non si può separare il grano dalla paglia.

       Il vento, io credo siano le tentazioni, le quali, nella massa confusa dei credenti, mostrano che alcuni sono paglia e altri buon grano. Infatti, quando la tua anima si è lasciata dominare da qualche tentazione, non è che la tentazione l’abbia mutata in paglia; ma è perché tu eri paglia, cioè uomo leggero e incredulo, che la tentazione ha rivelato la tua natura nascosta. Al contrario, quando tu affronti coraggiosamente la tentazione, non è la tentazione che ti rende fedele e paziente, ma essa mostra alla luce del giorno le virtù della pazienza e della fortezza che erano in te, ma che erano nascoste. "Credi infatti" - dice il Signore - "che io avevo nel parlarti uno scopo diverso da quello di manifestare la tua giustizia?" (Jb 40,3 , secondo i LXX). E altrove aggiunge: "Ti ho afflitto e ti ho colpito con la privazione ma per manifestare il contenuto del tuo cuore" (Dt 8,3-5). Nello stesso senso la tempesta non permette che una costruzione elevata sulla sabbia resista, mentre lascia in piedi quella che è stata costruita sulla "pietra" (Mt 7,24-25). La tempesta, una volta scatenata, non potrà rovesciare un edificio costruito sulla pietra, mentre rivelerà la debolezza delle fondamenta della casa che vacilla sulla sabbia.

       Ecco perché, prima che la tempesta si scateni, prima che soffino le raffiche di vento e i torrenti si gonfino, mentre ancora tutto è nel silenzio, dedichiamo ogni nostra cura alle fondamenta della costruzione, eleviamo la nostra casa con le pietre solide e molteplici che sono i comandamenti di Dio; affinché, quando la persecuzione incrudelirà, quando la bufera delle sciagure si scatenerà contro i cristiani, potremo allora mostrare che il nostro edificio è fondato sulla "pietra" (1Co 10,4) che è Cristo Gesù. Ma se qualcuno allora lo rinnegherà -lungi da noi tale sciagura - sappia bene costui che non è nel momento in cui tutti lo hanno visto rinnegare Cristo che egli lo ha rinnegato, ma portava in sé antichi germogli e radici del rinnegamento. In quel momento si è rivelato ciò che era in lui, e si è manifestato alla luce del giorno. Chiediamo anche noi al Signore di essere un solido edificio, che nessun uragano possa rovesciare, «fondato sulla pietra», sul nostro Signore Gesù Cristo, "cui appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen" (1P 4,11).

       Origene, In Luc., 26, 3-5


4. Accettare la perdita dei beni terreni è un esercitarsi a donarli

       Volentieri, dunque, accettiamo la perdita dei beni terreni, per assicurarci i celesti; cada pure tutto il mondo, perché io progredisca in questa accettazione! Che se uno non è deciso a sopportare con animo tranquillo una qualche diminuzione dei suoi beni per furto, rapina o per indolenza, non so poi se riuscirà facilmente e generosamente a farci un taglio a titolo di elemosina. Come mai, infatti, uno che non sopporta un taglio, quando gli vien fatto da un altro, riuscirà a infiggere lui stesso il coltello nel suo corpo? La tolleranza delle perdite è un esercizio per imparare a donare e a far gli altri partecipi del proprio: non ha difficoltà a donare, colui che non ha paura di perdere. Altrimenti come farebbe, chi ha due tuniche, a darne una a un altro, se questo stesso non è capace di dare il mantello a uno che gli avesse portato via la tunica? Come potremmo farci degli amici col mammona, se neanche riusciamo a tollerare la perdita di questo mammona? Perderemmo con esso anche la nostra anima. E che cosa troviamo, dove perdiamo tutto? Ma è proprio dei pagani perdere la pazienza in ogni danno di cose temporali, perché essi antepongono il danaro forse anche alla vita... Noi però, conservando la diversità dei valori, non diamo la vita per il danaro, ma il danaro per la vita, dandolo generosamente o sopportandone la perdita pazientemente.

       Tertulliano, De patientia, 7, 8-11.13





Lezionario "I Padri vivi" 139