Lezionario "I Padri vivi" 169

DOMENICA DOPO PENTECOSTE: SANTISSIMA TRINITÀ

169 Letture:
    
Pr 8,22-31
     Rm 5,1-5
     Jn 16,12-15

1. L’anima umile è illuminata dallo Spirito

       Tu, dunque, anima fedele, quando nella tua fede t’imbatti in un più occulto mistero, osa e di’, non per il desiderio di incontrare, ma di seguire: Come avvengono queste cose? Ma la tua domanda, sia la tua preghiera, il tuo amore e il tuo umile desiderio. Non cercare di scoprire in alto la maestà di Dio, ma cerca la salvezza di Dio, e ti risponderà l’angelo della sapienza. "Quando verrà lo Spirito che io manderò a voi dal Padre, egli vi suggerirà tutto e vi insegnerà tutta la verità" (Jn 14,26). "Nessuno infatti sa le cose dell’uomo, se non lo spirito dell’uomo che è in esso; e nessuno sa le cose di Dio, se non lo Spirito di Dio" (1Co 2,11). Sbrigati, dunque, a farti partecipe dello Spirito Santo. È presente, quando viene invocato; se non ci fosse, non sarebbe invocato. E quando viene, viene con l’abbondanza della benedizione di Dio. È fiume impetuoso, che letifica la città di Dio. E quando arriva, se ti trova umile, sereno e rispettoso della Parola di Dio, si poserà su di te, e ti rivelerà ciò che il Padre nasconde ai sapienti e avveduti di questo mondo; e cominceranno a brillare ai tuoi occhi quelle cose che i discepoli non riuscirono ad assorbire, finché non fosse venuto lo Spirito di verità, che avrebbe detto loro tutta la verità. Verità che non può essere rivelata da nessun uomo.

       E come è necessario che quelli che lo adorano, lo adorino in spirito e verità, così coloro che desiderano di conoscerlo devono cercare l’intelligenza della fede e il senso della verità nello Spirito Santo. Infatti nelle tenebre e ignoranza di questa vita ai poveri di spirito esso è luce che illumina, è carità che attira, dolce soavità; è lui che avvicina l’uomo a Dio; è l’amore di chi ama, devozione e pietà. Lui di fede in fede rivela ai fedeli la giustizia di Dio; quando dà la grazia e per la fede accolta dalla Parola di Dio dà la fede illuminata.

       Guglielmo di Saint-Thierry, Speculum fidei


2. L’ascolto di Mosè e l’ascolto di Gesù

       Cosa dicono pertanto a Gesù coloro che provengono dalla terra distribuita da Mosè? "Come abbiamo ascoltato Mosè, così ascolteremo anche te" (Jos 1,17). Nulla di più vero: chiunque ascolta Mosè, ascolta anche Gesù, nostro Signore, poiché è di Gesù che Mosè ha scritto. Nel Vangelo, il Signore dimostra ai Giudei che, non credendo in lui, non credono neppure a Mosè: "Se credeste a Mosè, credereste anche a me, perché di me egli ha scritto" (Jn 5,46).

       Ecco, tuttavia, un fatto che mi sembra carico di significato: non sono esattamente tre tribù che ricevono la terra da Mosè, né sono esattamente nove tribù che entrano nella loro eredità, grazie a Gesù, bensì due e mezza da un lato, e nove e mezza dall’altro (cf. Jos 14,2s) e questa tribù divisa in due impedisce al numero tre di essere intero e al numero dieci di arrivare al suo perfetto e completo compimento. Ritengo che il significato di questi dettagli sia che gli antichi, vivendo sotto la Legge, abbiano raggiunto una certa conoscenza della Trinità; non una conoscenza completa e perfetta, ma una "conoscenza parziale" (1Co 13,9). Mancava loro, in effetti, nella Trinità, di conoscere anche l’Incarnazione del Figlio unigenito. Infatti, pur avendo essi creduto nella sua venuta, e creduto a tutti i beni che avrebbe dispensato; e quantunque lo abbiano annunciato, tuttavia non fu loro possibile vedere e raggiungere l’oggetto della propria fede: "Molti profeti e giusti" - disse il Signore ai suoi discepoli - "hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non l’hanno visto; ascoltare ciò che voi ascoltate, e non hanno potuto" (Mt 13,17). Difatti, mancava qualcosa alla loro fede, perché l’economia dell’Incarnazione non era stata ancora realizzata in Cristo. Ciò in cui noi ora crediamo come fatto e compiuto, essi lo credevano solo come futuro.

       Queste tribù non sono dunque in numero di due, perché i Padri non siano ritenuti estranei del tutto alla fede trinitaria e alla salvezza che da essa deriva, e neppure in numero di tre - numero completo e perfetto - perché non si creda che il mistero della beata Trinità sia stato già in loro portato a compimento. Tuttavia, ad onor del vero, essi hanno toccato il numero tre e, come dice il Signore, hanno desiderato vedere ciò che noi vediamo e ascoltare ciò che noi ascoltiamo, ma non lo hanno potuto, poiché il Figlio dell’uomo non era stato ancora "innalzato" (Jn 3,15) e "la pienezza dei tempi non era ancora venuta" (Ga 4,4)

       Ora, però, mi vedo costretto a procedere oltre. Sì, forse la venuta e l’Incarnazione di Gesù non ci danno ancora un insegnamento perfetto e completo; e neppure la sua Passione -consumazione totale - e la sua Risurrezione dai morti ci danno una piena rivelazione. Un altro è necessario per aprircene e rivelarcene la totalità. Ascolta lo stesso Signore nei Vangeli: "Ho ancora molte cose da dirvi, ma ora non potete comprenderle. Quando verrà lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli prenderà del mio e vi insegnerà ogni cosa" (Jn 16,12-14).

       Se il numero tre appare incompleto, questo non capita solo in Mosè; anche Gesù dice ai suoi discepoli: Non potete capire prima della venuta del Paraclito dello Spirito di verità, perché è per lui e in lui che si consuma la perfezione della Trinità. Di quelle nove tribù e mezza di cui Gesù ha il comando, e che non sono esattamente dieci - numero per eccellenza della consumazione e della perfezione - non si può dare, infatti, altra ragione se non quella che dà lo stesso Signore Gesù: ciò che è riservato allo Spirito Santo ancora non si manifesta che in uno stadio incompleto e intermedio. Difatti, è il Signore e Salvatore che predica la penitenza e la conversione al bene; è per suo tramite che viene concessa a tutti coloro che credono la remissione dei loro peccati, e che si compiono tutte le cose che vediamo tendere alla perfezione della decade; tuttavia, la perfezione e la consumazione di tutti i beni, è, alla fin fine, di meritare di ricevere la grazia dello Spirito Santo. Quale mai perfezione si potrà trovare in chi manca dello Spirito Santo, lo Spirito per il quale si consuma il mistero della beata Trinità?

       Origene, In Jesu Nave, 3, 2


3. Inno alla Santissima Trinità

Dio,
O beata Trinità...

Seme,
Albero,
Frutto,
O beata Trinità.

Tutto viene dall’Uno,
Tutto è per l’Uno,
Tutto è nell’Uno,
O beata Trinità...

Ingenerato dall’eternità,
Generato da tutta l’eternità,
Generato perché tutto sia eterno,
O beata Trinità.

Tu comandi di creare,
Tu crei,
Tu il creato ricrei,
O beata Trinità.

O Padre, sei per tutti la sostanza,
O Figlio, per tutti sei la vita,
O Spirito, per tutti sei salvezza,
O beata Trinità...

Colui "che ascende al cielo" è Cristo;
Colui "che dal cielo discende" è sempre Cristo;
Cristo non è dall’uomo, ma fino a lui si estende,
O beata Trinità.

Lui tutti preghiamo,
E l’Uno noi preghiamo,
L’Uno che è Padre e Figlio e Spirito,
O beata Trinità.

Liberaci,
Salvaci,
Giustificaci,
O beata Trinità.

       Mario Vittorino, Hymn. 3, vv. 1, 83, 86-93, 101-112, 266-285




II DOMENICA

172 Letture:
    
Is 62,1-5
     1Co 12,4-11
     Jn 2,1-12


1. L’ora di Gesù

       "Che c’è tra me e te, o donna? L’ora mia non è ancora venuta" (Jn 2,4).

       È certamente cosa faticosa il tenere sermoni, come riconosce lo stesso Paolo con queste parole: "I presbiteri che governano bene siano compensati di duplice onore: soprattutto quelli che si affaticano e nella predicazione e nell’insegnamento" (1Tm 5,17). Però dipende unicamente da voi il rendere questa fatica leggera o pesante. Se respingete quanto vi si dice, oppure, senza respingerlo, non lo mettete in pratica, la nostra fatica sarà pesante, perché sappiamo di lavorare inutilmente; se, invece, prestate attenzione e mettete in pratica quanto ascoltate, non ci accorgeremo neppure del sudore che tutto questo ci costa: l’abbondanza dei frutti delle nostre fatiche ce le farà sembrare leggere. Perciò, se volete stimolare il nostro zelo, e non spegnerlo o diminuirlo, mostratecene, vi prego, il frutto, affinché, vedendo il buon raccolto, confortati dalla speranza di prosperità e contando già i buoni risultati che ne ricaveremo, non siamo indolenti nell’impegnarci in un’impresa così importante. Infatti, anche la questione che oggi ci proponiamo di trattare non è di scarsa importanza. La madre di Gesù gli disse: "Non hanno più vino", e il Cristo le rispose: "Che c’è tra me e te, o donna? L’ora mia non è ancora venuta"; però, dopo aver risposto così, egli compì proprio quello che gli aveva chiesto la madre. Tale questione non è meno difficile e importante della precedente. Invocando dunque l’aiuto di colui che fece questo miracolo, cerchiamo di arrivare prontamente alla soluzione.

       Notiamo prima di tutto che questa espressione non ricorre solo in questa circostanza; lo stesso evangelista dice più avanti: "Nessuno lo arrestò, perché la sua ora non era ancora venuta" (Jn 8,20); e ancora: "Nessuno gli mise le mani addosso perché la sua ora non era ancora venuta" (Jn 7,30); e infine il Salvatore dice: "È venuta l’ora, glorifica il Figlio tuo" (Jn 17,1). Ho raccolto qui tutti questi passi tratti dall’intero Vangelo, per darne un’unica soluzione. Qual è in effetti il significato di queste espressioni? In primo luogo, il Cristo non era soggetto alle leggi del tempo, e non era per obbedire alle esigenze di una determinata ora che egli diceva: "L’ora mia non è ancora venuta". E come avrebbe potuto l’Autore del tempo, il Creatore delle ere e dei secoli, subire una tale necessità? Esprimendosi in questo modo, vuole solo farci intendere che egli compie ogni cosa a tempo opportuno e non tutte nello stesso tempo; giacché se non fissasse a ciascuna delle sue opere il momento opportuno, la nascita, la risurrezione, il giudizio dovrebbero mescolarsi l’un l’altro, e ne nascerebbe confusione e disordine. Notate bene, infatti: Era opportuno che la creazione avvenisse, ma non tutta in una volta; era opportuno che venissero creati l’uomo e la donna, ma non entrambi nello stesso istante; era opportuno condannare alla morte il genere umano e che avvenisse poi la risurrezione, ma tra i due decreti doveva esservi un grande intervallo; era opportuno che venisse data la legge, ma non contemporaneamente alla grazia; a ciascuna delle due cose conveniva un tempo particolare. Il Cristo non era dunque soggetto alla necessità dei tempi, ma è lui che ha assegnato un ordine ai tempi, e che li ha creati.

       Se perciò Giovanni riporta qui la frase del Cristo: "L’ora mia non è ancora venuta", è per significare che egli era ancora sconosciuto a molti e che non aveva neppure al suo seguito l’intera schiera dei discepoli: lo seguivano solo Andrea e Filippo e nessun altro; e nemmeno questi lo conoscevano in maniera adeguata, come neanche sua madre e i suoi fratelli. Prova ne è quanto dice l’evangelista a proposito dei fratelli, dopo che erano avvenuti molti miracoli: "E neanche i suoi fratelli credevano in lui" (Jn 7,5). Così non lo conoscevano nemmeno quelli che erano presenti alle nozze: altrimenti, essi stessi gli si sarebbero avvicinati e lo avrebbero pregato, trovandosi ad aver bisogno di lui. Ecco perché egli dice: "L’ora mia non è ancora venuta": - non sono, cioè, ancora conosciuto dai presenti ed essi non sanno neppure che il vino manca. Lascia che almeno se ne accorgano. Però non sei tu che devi rivolgermi questa domanda, perché tu sei la madre e rendi sospetto il miracolo. Sarebbe stata cosa più opportuna che quelli stessi che si trovano nel bisogno fossero venuti da me a pregarmi; non perché questa sia per me una condizione indispensabile, ma affinché essi accolgano il miracolo che io compirò con piena soddisfazione -. Chi, infatti, sa di trovarsi in stato di necessità, appena ottiene quello che desidera, pensa di aver ricevuto una grande grazia; chi, invece, non si rende ancora conto di trovarsi nel bisogno, non avrà neanche una chiara e piena coscienza del beneficio.

       «Ma perché mai - mi chiederete -, dopo aver detto: "L’ora mia non è ancora venuta" e dopo aver opposto un rifiuto, compì ciò che la madre gli aveva chiesto?». Per dimostrare ai suoi oppositori e a quanti lo ritenevano soggetto all’ora e al tempo, che non lo era affatto. Se, infatti, fosse stato soggetto ad essi, come avrebbe potuto compiere quest’opera, quando non era ancora venuta l’ora? Inoltre, egli volle rendere onore a sua madre, affinché non sembrasse resisterle completamente, non si spargesse la diceria della sua impotenza a compiere qualcosa di straordinario, e per non farla vergognare in presenza di tante persone: ella, infatti, gli aveva mandato i servitori. Anche quando disse alla Cananea: "Non è bene prendere il pane dei figlioli per gettarlo ai cagnolini" (Mt 15,26), le concesse poi ciò che ella gli aveva chiesto, commosso dalla sua insistenza; e benché le avesse detto precedentemente: "Io non sono stato mandato se non per le pecorelle smarrite della casa d’Israele" (Mt 15,24), egli le liberò la sua figlia.

       Impariamo da questi esempi che la perseveranza spesso ci rende degni di ricevere le grazie, anche se ne siamo indegni. Per questo anche la madre aspettò, e poi saggiamente gli mandò i servitori affinché egli venisse pregato da più persone. Aggiunse infatti: "Fate quello che vi dirà" (Jn 2,5). Ella sapeva che non era per incapacità che le aveva opposto un rifiuto, ma perché rifuggiva dalla vanità, e per evitare ogni apparenza di precipitazione nel fare questo miracolo, gli fece avvicinare i servitori.

       "C’erano là sei idrie, per la purificazione dei Giudei, della capacità di due o tre metrete l’una. Gesù disse loro: «Riempite le idrie di acqua». Ed essi le riempirono fino all’orlo" (Jn 2,6-7). Non senza motivo l’evangelista precisò: "per la purificazione dei Giudei", affinché nessun incredulo potesse pensare che vi fosse rimasta dentro un po’ di feccia di vino la quale, mescolandosi con l’acqua in esse versata, avesse prodotto una sorta di vino leggerissimo. Disse dunque: "per la purificazione dei Giudei", per precisare che in quelle idrie non veniva mai conservato il vino. Infatti, soffrendo la Palestina di penuria di acqua ed essendo colà rare le fonti e le sorgenti, i Giudei tenevano idrie piene d’acqua, per non essere costretti a correre al fiume quando diventavano impuri e per avere a portata di mano il mezzo per purificarsi.

       Crisostomo Giovanni, Comment. in Ioan., 22, 1-2


2. Il profumo di Maria nella Chiesa

       La presenza di Maria offriva la gradevole dolcezza della primavera, e dovunque ella si girasse per accordare il suo favore, fioriva il paradiso. I tuoi germogli, dice lo Sposo, sono un paradiso di melograni dai frutti squisiti. La henna con il nardo, il nardo con il croco, il croco e la cannella con tutti gli alberi del Libano, la mirra e l’aloe con tutti i balsami scelti. È la fontana dei giardini, il pozzo di acque vive che scorrono a torrenti dal Libano" (Ct 4,13-15).

       Il paradiso della Vergine gloriosa ha proprio le sue melagrane nella varietà delle virtù, i suoi frutti squisiti nella perfezione delle opere. C’è anche la henna con il nardo: l’una, carica di grappoli; l’altro, erba aromatica dal profumo meraviglioso, a motivo della sobria ebbrezza dei sensi e della fama deliziosa e profumata delle virtù. Vi si aggiungono il croco della gioia, la canna del distacco carnale, la cannella della soavità, e tutti gli alberi del Libano che significano l’insieme delle virtù, la mirra della mortificazione come l’aloe dell’incorruttibilità, con tutti i balsami scelti, senza omettere quel balsamo, che, versato sul capo, discende lungo la barba, la barba di Aronne (Ps 132,2) non dell’antico Aronne, che era figura, ma del nuovo che è raffigurato. E discende sull’orlo del suo vestito che è la Chiesa, la quale, secondo Paolo, è stata presentata senza macchia né ruga (Ep 5,27) a questo autentico Aronne.

       Amedeo di Losanna, Hom., VII, 124-144


3. Gesù e Maria, invitati alle nozze

       Qual è, allora, il senso di queste parole del Signore: "Che c’è fra me e te, o donna"? Forse ciò che segue può farci capire perché così si sia espresso il Signore: "L’ora mia non è ancora venuta". Così dice la risposta tutta intera: "Che c’è fra me e te, o donna? L’ora mia non è ancora venuta". Cerchiamo la ragione di questa risposta. Prima, però, confutiamo gli eretici.

       Che cosa insinua il serpente, l’antico inoculatore di veleni? Che cosa dice? Che Gesù non ebbe per madre una donna. Come puoi provarlo? Con le parole, tu mi dici, del Signore: "Che c’è fra me e te, o donna"? Ma, rispondo, chi ha scritto queste parole perché possiamo credere che ha detto questo? Chi? Giovanni l’evangelista, lo sappiamo tutti. Ma questo stesso ha detto: "E c’era la madre di Gesù". Questo è il racconto, infatti: "Il terzo giorno si facevano nozze in Cana di Galilea, e c’era la madre di Gesù; e anche Gesù con i suoi discepoli fu invitato alle nozze" (Jn 2,1-2).

       Abbiamo qui due affermazioni riportate dall’evangelista. Dice: "C’era la madre di Gesù"; e ancora lui riferisce le parole di Gesù a sua madre. Ma come ci riporta la risposta di Gesù? Comincia da prima con il dire: "La madre di Gesù disse a lui" (Jn 2,3). State attenti a queste parole, fratelli; esse sono la difesa della integrità del vostro cuore contro la lingua del serpente. Lì, nel medesimo Vangelo, nella narrazione del medesimo evangelista, è detto: "C’era la madre di Gesù". E: "la madre di Gesù disse a lui". Chi ci ha narrato questi fatti? Giovanni evangelista. E che cosa rispose Gesù a sua madre? "Che c’è fra me e te, o donna"? Chi ci riporta queste parole? Sempre il medesimo Giovanni evangelista.

       O evangelista fedelissimo e veracissimo, tu mi racconti che Gesù disse a sua madre: "Che c’è fra me e te, o donna"? Perché hai assegnato a Gesù una madre che egli non riconosce? Tu hai detto infatti, che "c’era la madre di Gesù", e che "la madre di Gesù disse a lui" perché non hai detto piuttosto: c’era Maria, e: Maria disse a lui Tu riporti, invece, tutte e due le espressioni; sia "la madre di Gesù disse a lui", sia: "E Gesù le rispose: Che c’è fra me e te, o donna"? Perché ciò, se non perché tutte e due le espressioni sono vere? Quelli, invece, vogliono credere all’evangelista solo quando narra che Gesù disse a sua madre: "Che c’è fra me e te, o donna?", e non quando dice: "C’era la madre di Gesù", e "la madre di Gesù disse a lui". Ebbene, chi è che resiste al serpente e possiede la verità, di chi è il cuore la cui integrità non è corrotta dall’astuzia del diavolo? Certamente di chi ritiene vero sia che c’era lì la madre di Gesù, sia che Gesù rispose a quel modo a sua madre.

       Se ancora non comprendi in che senso Gesù disse: "Che c’è fra me e te, o donna"?, credi frattanto che Gesù ha detto quelle parole, e le ha dette a sua madre. Comincia con il credere adorando, e tale fede avrà i suoi frutti.

       Mi rivolgo a voi, cristiani fedeli: c’era la madre di Gesù? Voi rispondete: c’era. Come lo sapete? Voi rispondete: lo racconta il Vangelo. E che cosa risponde Gesù alla madre? Voi dite: "Che c’è fra me e te, o donna"? "L’ora mia non è ancora venuta". Anche questo, come lo sapete? Voi rispondete: lo racconta il Vangelo. Che nessuno vi corrompa questa fede, se volete conservare per !o sposo una casta verginità. Se poi qualcuno vi domanda perché Gesù rispose a quel modo alla madre, parli pure colui che ne conosce il motivo, e chi non lo conosce ancora, continui a credere fermissimamente che Gesù ha risposto veramente così, e che ha risposto così a sua madre. Questo spirito di pietà gli meriterà anche di capire il senso di quella risposta, se busserà con la preghiera e non con le obiezioni, alla porta della verità. Ma stia in guardia, perché, mentre crede di sapere il motivo di quella risposta o si vergogna di non saperlo, non sia indotto a credere che l’evangelista ha mentito dicendo: "c’era la madre di Gesù"; oppure che Cristo stesso ha sofferto per i nostri peccati una morte fittizia, ha mostrato delle false cicatrici per la nostra giustificazione, ed ha egli stesso mentito quando disse: "Se voi rimanete costanti nella mia parola, sarete davvero miei discepoli e conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Jn 8,31-32). Perché, se la madre è fittizia, e fittizia la carne, fittizia la morte, fittizie le piaghe della Passione, fittizie le cicatrici della Risurrezione; allora non sarà la verità a liberare quelli che credono in lui, ma piuttosto la falsità. No, tutto al contrario la falsità ceda alla verità e siano confusi tutti coloro che vorrebbero sembrare veraci proprio perché si sforzano di dimostrare Cristo fallace, e non vogliono sentirsi dire: - Non vi crediamo, perché mentite -, mentre loro vanno dicendo che la verità stessa ha mentito.

       Se poi domandiamo a costoro come facciano a sapere che Cristo ha detto: "Che c’è fra me e te, o donna?", essi rispondono che han creduto al Vangelo. Ma perché allora non credono al Vangelo, quando dice: "C’era la madre di Gesù, e la madre di Gesù disse a lui"? Ché se qui il Vangelo ha mentito, come gli si può credere che Gesù ha detto: "Che c’è fra me e te, o donna"? Non farebbero molto meglio a credere, questi infelici, che è stato proprio a sua madre che il Signore ha risposto a quel modo, e non a una donna estranea? e cercare religiosamente il senso di questa risposta? C’è in effetti una grande differenza fra chi dice: - Vorrei sapere perché Gesù ha risposto in quel modo alla madre - , e chi dice: -Io so che Cristo non a sua madre ha dato quella risposta. Una cosa è voler penetrare ciò che è chiuso, un’altra cosa non voler credere a ciò che è manifesto. Chi dice: - Voglio sapere perché Cristo ha risposto a quel modo a sua madre -, desidera che gli venga aperto il senso del Vangelo, cui crede. Ma colui che dice: -So che Gesù non a sua madre ha dato quella risposta -, accusa di menzogna il Vangelo stesso, dal quale ha saputo, e creduto, che Cristo diede veramente quella risposta.

       Agostino, Comment. in Ioan., 8, 6-7


4. Cristo con la sua presenza santifica il matrimonio

       Quando si celebrano nozze, naturalmente che siano caste ed oneste, di sicuro è presente la madre del Salvatore, ma lui stesso viene con i suoi discepoli se è invitato, e non tanto per prendere parte al banchetto quanto per compiere il miracolo, e inoltre per santificare il principio stesso della procreazione, che di sua natura è cosa che concerne la carne.

       Cirillo di Alessandria, In Io. comment., 2, 1




III DOMENICA

173 Letture:
    
Ne 8,2-4a Ne 8,5-6 Ne 8,8 Ne 8,10
     1Co 12,12-31a
     Lc 1,1-4 Lc 4,14-21

1. La trasmissione della Parola

       Un tempo, presso il popolo giudeo, molti pretendevano di avere il dono della profezia, ma alcuni erano dei falsi profeti, -ricordiamo tra essi Anania, figlio di Azor (Jr 28), - mentre altri invece erano profeti autentici (il popolo aveva un carisma particolare per distinguere gli spiriti, in base al quale, con una perizia degna di «cambiavalute molto esperti», ne accoglieva alcuni e respingeva gli altri). Così, anche ai tempi del Nuovo Testamento, molti hanno tentato di scrivere vangeli; ma non tutti sono stati accolti. E affinché sappiate che non sono stati scritti soltanto quattro Vangeli ma un numero maggiore e che da essi sono stati scelti quelli che noi possediamo e che vengono tramandati alle Chiese, ascoltiamo quanto lo stesso Prologo di Luca, qui riportato, ci dice: "Perché molti hanno tentato di comporre una narrazione" (Lc 1,1). Queste parole «hanno tentato» contengono implicitamente un’accusa contro coloro i quali, senza la grazia dello Spirito Santo, si sono gettati nella redazione dei Vangeli. Non v’è dubbio che Matteo, Marco, Giovanni e Luca non hanno affatto «tentato» di scrivere, ma, ricolmi di Spirito Santo, hanno scritto i Vangeli. "Molti hanno tentato di comporre una narrazione di questi avvenimenti che sono a noi perfettamente noti" (Lc 1,1).

       La Chiesa possiede quattro Vangeli, gli eretici moltissimi...

       Lc rivela i suoi sentimenti dicendo: «Ci sono state molto chiaramente manifestate». È infatti con la certezza della fede e della ragione che egli aveva conosciuto gli avvenimenti; e non aveva il benché minimo dubbio su un fatto, se fosse accaduto in un certo modo anziché in un altro.

       Questo succede a coloro che hanno creduto con la massima fedeltà, e hanno raggiunto ciò che il Profeta chiede con insistenza e possono dire: "Confermami nelle tue parole" (Ps 119,29); ecco perché l’Apostolo, di quelli che erano saldi e forti, dice: "Affinché siate radicati e fondati nella fede" (Ep 3,17 Col 2,7 Col 1,23). Infatti, per chi è radicato e fondato nella fede, la tempesta può sollevarsi, i venti possono soffiare, la pioggia può cadere a rovesci, ma egli non sarà scosso, né vacilerà, perché l’edificio è stato fondato "sulla pietra" (Mt 7,24-28), cioè su una solida base.

       E non pensiamo che venga concessa a questi occhi del corpo la fermezza della fede, che è dono della mente e della ragione. Lasciamo che gl’infedeli credano a motivo dei miracoli e dei prodigi che l’occhio umano può vedere; il fedele saggio e prudente segua la ragione e il verbo, e distingua così la verità dall’errore.

       "Come ce li hanno tramandati coloro che all’inizio videro e furono poi ministri della Parola" (Lc 1,2). Nell’Ex sta scritto: "Il popolo vedeva la voce del Signore" (Ex 20,18). Certamente a voce si ascolta piuttosto che vederla, ma così sta scritto per farci capire che vedere la voce di Dio significa possedere altri occhi, che permettono di vedere a coloro che lo meritano. Senza dubbio nel Vangelo non è la voce che si vede, ma la Parola, che è superiore alla voce. Per questo dice ora: «Come ce li hanno tramandati coloro che all’inizio videro e poi sono divenuti ministri della Parola».

       Gli apostoli hanno visto la Parola, non perché hanno visto il corpo del Signore e Salvatore, ma perché hanno visto il Verbo. Se, infatti, aver visto Gesù con gli occhi del corpo fosse lo stesso che aver visto la Parola di Dio, in questo caso Pilato, che condannò Gesù, avrebbe visto il Verbo, come anche lo avrebbero visto il traditore Giuda e tutti coloro che gridavano: "Crocifiggilo, crocifiggilo, fallo sparire dalla terra" (Jn 19,15). Lungi da me ammettere che qualsiasi infedele abbia potuto vedere il Verbo di Dio. Vedere il Verbo di Dio è ciò che dice il Salvatore stesso: "Chi ha visto me, ha visto anche il Padre che mi ha mandato" (Jn 14,9).

       «Come ce li hanno tramandati coloro che all’inizio videro e sono divenuti poi ministri della Parola». Le parole di Luca ci insegnano implicitamente che lo scopo di una dottrina può essere la conoscenza della dottrina stessa, e che c’è invece un’altra dottrina il cui scopo consiste nelle opere che la mettono in pratica. Ad esempio: la scienza della geometria ha per scopo soltanto la conoscenza e la dottrina; ben diversa è la scienza il cui fine esige la pratica, come la medicina. In questo caso io debbo conoscere i metodi e principi della medicina, non soltanto per conoscere ciò che debbo fare, ma anche per fare: cioè per incidere una piaga, per prescrivere una dieta rigorosamente misurata, per valutare il grado della febbre secondo il pulsare delle vene, per moderare e ridurre con periodiche cure l’abbondanza degli umori. Chi sa soltanto queste cose e non le mette in pratica possiederà una scienza inutile. C’è pertanto un analogo rapporto tra la scienza della medicina e le opere, come tra la conoscenza della Parola e il suo ministero. Per questo sta scritto: «Come ce li hanno tramandati coloro che all’inizio videro e poi divennero ministri della Parola». Dicendo «videro» significa la conoscenza e la dottrina, e dicendo «divennero ministri» ci fa conoscere che hanno compiuto le opere.

       "È sembrato anche a me, investigata accuratamente ogni cosa fin dal principio..." (Lc 1,3). Insiste e ripete che tutto ciò che si appresta a scrivere non l’ha conosciuto per sentito dire, ma che ha investigato ogni cosa fin dall’origine. Per questo giustamente anche l’Apostolo lo loda dicendo: "La cui lode per quanto riguarda il Vangelo è diffusa in tutte le Chiese" (2Co 8,18). Non dice così di nessun altro, lo dice solo a proposito di Luca.

       "È sembrato anche a me, investigata accuratamente ogni cosa fin dal principio, di scrivere per te ordinatamente, ottimo Teofilo" (Lc 1,3). Qualcuno può credere che il Vangelo sia stato scritto per un certo Teofilo. Tutti voi che ascoltate le nostre parole, se siete uomini tali da essere amati da Dio, siete anche voi Teofili, e per voi il Vangelo è scritto...

       Così audacemente direi che chi è Teofilo è forte, perché deriva la sua forza e il suo vigore tanto da Dio quanto dalla sua Parola, per cui è capace di conoscere «la verità delle parole nelle quali è ammaestrato» comprendendo le parole del Vangelo nel Cristo.

       Origene, In Luc., 1


2. La Parola annunzio di liberazione

       Quando tu leggi: «E insegnava nelle loro sinagoghe e tutti celebravano le sue lodi», stai attento a non credere che soltanto quelli siano stati felici, mentre tu sei stato privato del suo insegnamento. Se la Scrittura è la verità, Dio non ha parlato soltanto allora nelle assemblee giudee, ma anche oggi parla in questa nostra assemblea; e non soltanto qui, nella nostra Chiesa, ma anche in altri consessi e in tutto il mondo Gesù insegna, cercando gli strumenti per trasmettere il suo insegnamento. Pregate dunque affinché egli trovi anche in me uno strumento idoneo e ben disposto a parlare di lui. Così, come Dio onnipotente, cercando dei profeti, al tempo in cui gli uomini avevano bisogno delle profezie, trovò per esempio Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele; del pari Gesù cerca strumenti con cui trasmettere la sua Parola, e ammaestrare i popoli nelle loro sinagoghe ed essere glorificato da tutti. Oggi Gesù è «più glorificato da tutti» che non in quel tempo in cui era conosciuto in una sola regione.

       "Poi venne a Nazaret, ove era stato allevato, entrò, secondo il costume, nel giorno di sabato nella sinagoga e si alzò per fare la lettura. Gli fu dato il libro del profeta Isaia, e, sfogliando il libro, trovò il passo in cui era scritto: lo Spirito del Signore è su di me, per questo mi ha unto" (Lc 4,16-18). Non è per caso, ma per intervento della provvidenza di Dio, che Gesù sfoglia il libro e trova nel testo il capitolo che profetizzava a suo riguardo. Se sta scritto infatti che «nessun uccello cade nella rete senza la volontà del Padre»; e se «i capelli della testa» degli apostoli "sono tutti contati" (Lc 12,6-7), sarebbe forse un effetto del caso che quella scelta sia caduta proprio sul libro di Is e non su un altro, e il passo da leggere sia stato non un altro, ma questo che esprime il mistero del Cristo: «Lo Spirito del Signore è su di me, per questo egli mi ha unto»? È infatti Cristo che commenta questo testo e bisogna quindi pensare che niente sia avvenuto secondo il gioco del caso o della fantasia, ma tutto si svolse secondo il disegno della provvidenza di Dio.

       Consideriamo il senso delle parole del Profeta e, dopo, l’applicazione che di esse fa Gesù a proprio riguardo nella sinagoga. Dice: "Mi ha inviato a portare la buona novella ai poveri" (Lc 4,18). I poveri raffigurano i Gentili. Infatti essi erano poveri, dato che non possedevano assolutamente niente, né Dio, né la legge, né i profeti, né la giustizia, né le altre virtù. Per quel motivo Dio lo ha inviato come messaggero presso i poveri? "Per annunziare agli schiavi la liberazione". Noi fummo prigionieri, e per tanti anni Satana ci ha tenuti incatenati, schiavi e soggetti a sé; è venuto Gesù «ad annunziare la liberazione ai prigionieri "e a dare ai ciechi la vista"». È appunto per la sua parola, e per la predicazione della sua dottrina, che i ciechi vedono. Il termine «predicazione» va logicamente riferito apò koinoù non soltanto «ai prigionieri», ma anche «ai ciechi».

       "E a restituire la libertà agli oppressi" (Lc 4,18). C’è un essere più oppresso e più mortificato dell’uomo, che da Gesù è stato liberato e guarito?

       "A proclamare l’anno di grazia del Signore" (Lc 4,19 Is 61,2). Secondo una pura e semplice interpretazione letterale, alcuni intendono che il Salvatore ha annunziato il vangelo in Giudea durante un anno, e che questo è il significato della frase: «proclamare l’anno di grazia del Signore "e il giorno della ricompensa"». Ma forse la Santa Scrittura nella frase «proclamare l’anno del Signore» ha voluto nascondere un mistero. Diversi saranno i giorni futuri, non paragonabili a quelli che vediamo oggi nel mondo; ed anche i mesi saranno diversi e diverso il calendario. Se dunque i tempi saranno tutti rinnovati, nuovo sarà nel futuro l’anno del Signore portatore di grazia. Queste cose ci sono state annunziate affinché, dopo essere passati dalla cecità alla chiara visione e dalla schiavitù alla libertà, guariti dalle nostre molteplici ferite, noi perveniamo «all’anno di grazia del Signore».

       Gesù, dopo aver letto queste parole, "ripiegandolo restituì il libro al ministro e si pose a sedere. E gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi in lui" (Lc 4,20). Anche ora, se lo volete, in questa sinagoga, in questa nostra assemblea gli occhi vostri possono fissare il Salvatore. Quando voi riuscite a rivolgere lo sguardo più profondo del vostro cuore verso la contemplazione della Sapienza, della Verità e del Figlio unico di Dio, allora i vostri occhi vedranno Gesù. Felice assemblea quella di cui la Scrittura testimonia che «gli occhi di tutti erano fissi in lui». Come desidererei che questa nostra assemblea potesse ricevere una simile testimonianza, cioè che tutti voi, catecumeni e fedeli donne, uomini e fanciulli aveste gli occhi, non gli occhi del corpo ma quelli dell’anima, rivolti a guardare Gesù! Quando voi vi volgerete verso di lui, dalla sua luce e dal suo volto i vostri volti saranno fatti più chiari, e potrete dire: "Impressa su di noi è la luce del tuo volto, o Signore" (Ps 4,7), "cui appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen" (1P 4,11).

       Origene, In Luc., 32, 2-6



Lezionario "I Padri vivi" 169