Lezionario "I Padri vivi" 202

XXXII DOMENICA

202 Letture:
    
2M 7,1-2 2M 7,9-14
     2Th 2,15 2Th 3,5
     Lc 20,27-38

1. Cristo ci libera dal peccato

       "Come abbiamo portato l’immagine dell’uomo terreno, così portiamo anche l’immagine dell’uomo che viene dal cielo; poiché il primo uomo, che vien dalla terra, è terreno; l’altro che vien dal cielo, celeste" (1Co 15,49). Se faremo questo, carissimi, non morremo più. Anche se questo corpo si corromperà vivremo in Cristo, come dice egli stesso: "Chi crede in me, anche se muore vivrà" (Jn 11,25). Siam dunque certi, sulla parola del Signore che Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti gli altri santi, sono vivi. Di questi stessi dice il Signore: "Son tutti vivi; Dio è Signore dei vivi, non dei morti" (Lc 20,38). E Paolo dice di se stesso: "Cristo è la mia vita, e il morire è un guadagno: vorrei morire e stare con Cristo" (Ph 1,21). E anche: "Nel tempo che stiamo nel corpo, camminiamo lontani dal Signore. Ci guida la fede, non vediamo direttamente" (2Co 5,6).

       Questa è la nostra fede, fratelli. D’altra parte, "se riponiamo la nostra speranza in questo mondo, siamo più infelici di tutti gli uomini" (1Co 15,19). La vita del mondo, come vedete da voi, o è come quella delle pecore, delle fiere, degli uccelli, o anche più corta. È invece proprio dell’uomo ciò che Cristo gli ha dato, attraverso il suo Spirito, cioè, la vita eterna; ma se non si pecca più. Perché come la morte la si acquista col delitto, la si evita con la virtù; così la vita la si perde col delitto, la si conserva con la virtù. "Mercede del peccato è la morte; dono di Dio è la vita eterna per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore" (Rm 6,23). Prima di tutto ritenetevi, o figli, gente data un giorno in potere delle tenebre, ma ora liberata per la potenza di Gesù Cristo. È lui che ci redime "perdonando tutti i peccati e distruggendo la sentenza pronunziata contro di noi per la nostra disobbedienza; l’affisse alla croce; morendo ha trascinato le potenze avverse nel suo trionfo" (Col 2,13-15). Sciolse i prigionieri e spezzò le nostre catene, come dice David: "Il Signore innalza gli sconfitti, scioglie i prigionieri, illumina i ciechi" (Ps 145,7). E anche: "Hai spezzato le mie catene, ti benedirò" (Ps 115,16). Liberati dunque dalle catene, per il Battesimo, rinunziamo al diavolo, al quale avevamo servito; perché, una volta liberati dal sangue di Cristo, non serviamo più al diavolo. Che se qualcuno, dimenticando la sua redenzione, tornasse al servizio del diavolo e alle debolezze del mondo, sarà di nuovo legato con le antiche catene e le sue condizioni saranno peggiori di prima (Lc 11,26) perché il diavolo lo legherà più strettamente... Dunque, carissimi, una volta sola ci laviamo, una volta sola siamo liberati, una volta sola entriamo nel regno immortale; una volta sola "son felici coloro i cui peccati furono perdonati" (Ps 31,1). Stringete forte ciò che avete avuto, conservatelo bene, non peccate più. Conservatevi puri dal peccato e immacolati per il giorno del Signore. Son grandi e immensi i premi preparati per chi è fedele; premi che "né occhio mai vide, né orecchio udì, né mai alcuno ha immaginato" (1Co 2,9). Aspirate a questi premi con azioni di giustizia e con desideri spirituali. Amen.

       Paciano di Barcellona, Sermo de Baptismo, 6 s.


2. La nostra fede nella risurrezione dei morti

       Al pari di queste cose dette, ammettete almeno la nostra testimonianza, più di loro credenti, in Dio, noi che attendiamo di rivestire i nostri corpi, anche se abbandonati senza vita alla terra, dal momento che nulla è impossibile a Dio.

       E a ben pensarci, cosa potrebbe apparirci più credibile - se noi non possedessimo un corpo - del sentirci dire che da una piccola stilla dell’umano sperma possano derivare ossa e nervi e carni formate all’immagine che vediamo? Se, in via di ipotesi, voi non esisteste così fatti né così generati, e uno vi assicurasse categoricamente, mostrandovi da una parte il seme umano e dall’altra una immagine dipinta, che questa essere prodotta da quello, se non vedeste in atto la cosa, la credereste? No; nessuno ardirebbe contestarlo!

       Orbene, è per la stessa ragione che, per non averlo ancora visto, non credete al risorgere dei morti. Senonché, come inizialmente non avreste creduto possibile che da una piccola stilla originassero creature siffatte - eppure le vedete prodotte -, così dovete ammettere la non impossibilità che i corpi umani andati in dissoluzione e scompostisi a guisa di semi sulla terra, a tempo debito, per ordine di Dio, risorgano e si vestano dell’incorruttibilità (1Co 15,53).

       Quale potenza di Dio è in grado di concepire chi afferma il ritorno degli esseri allo stato da cui sorsero e la contemporanea impotenza di Dio a trascendere questa legge, è difficile poterlo stabilire; una cosa però va rilevata, che costui non avrebbe creduto mai il potersi generare esseri - e da quali elementi! - simili a se stesso e al mondo quale egli lo vede. Meglio credere perciò in cose impossibili agli uomini e alla natura, anziché non credervi al pari degli altri, ricordando l’insegnamento del nostro Maestro Gesù Cristo: "Ciò che è impossibile presso gli uomini è possibile presso Dio" (Mt 19,26 Mc 10,27 Lc 18,27). Disse pure: "Non temete quelli che uccidono il corpo e poi non possono fare altro; temete piuttosto colui che dopo avere ucciso il corpo ha il potere di gettarvi, anima e corpo, nella Geenna" (Lc 12,45 2Co 5,4). La Geenna è il luogo dove andrà punito chi vive nell’iniquità e non crede alla realizzazione di quanto Dio ha insegnato per mezzo di Cristo.

       Giustino, I Apol., 18-19


3. La coscienza della risurrezione

       Se la risurrezione dei morti per te non esiste, perché condanni i violatori dei sepolcri? Se il corpo si dissolve e la risurrezione è senza speranza, perché chi viola il sepolcro incorre in una pena? Vedi che anche se tu neghi con le labbra, rimane piena in te la coscienza della risurrezione.

       Un albero abbattuto rifiorisce e l’uomo abbattuto non rifiorisce? Ciò che è stato seminato e mietuto rimane sull’aia e l’uomo reciso da questo mondo non rimane sull’aia? I tralci della vite e i rami degli alberi completamente tagliati, trapiantati ricevono la vita e portano frutto, l’uomo, poi, per il quale le piante esistono, una volta sotterrato non risorgerà? Al confronto delle fatiche, quale è più grande, plasmare una statua che da principio non c’era, o rifare di nuovo con la stessa forma una che si era rotta? Dio che ci fece dal nulla, non potrà di nuovo far risorgere quelli che c’erano e sono morti?

       Ma tu non credi a quanto è scritto sulla risurrezione perché sei greco. Contempla dalla natura questo e rifletti sulle cose che sino ad oggi si vedono. Si semina il frumento, se piace, o qualsiasi genere di semi. Appena cade, come se morisse, va in putrefazione ed è inutile al nutrimento. Ma quello putrefatto risorge verdeggiante e caduto piccolo risorge bellissimo. Il frumento è fatto per noi. Per il nostro uso il frumento e i semi sono fatti, non per se stessi. Quelle cose che per noi sono state create, morte rivivono, e noi, motivo per i quali esse vivono, morti non risorgeremo?

       È tempo d’inverno, come vedi. Gli alberi sono come morti. Dove ora le foglie del fico? Dove i grappoli della vite? Nell’inverno questi sono morti e nella primavera verdeggianti e quando viene il tempo, allora, come dalla morte, rinasce la forza della vita. Dio guardando la tua infedeltà in queste cose fenomeniche opera ogni anno la risurrezione perché, vedendo ciò nell’inanimato, lo ritieni anche sull’animato.

       Cirillo di Gerusalemme, Catech., 18, 5-7


4. Attendiamo il giorno della risurrezione

       Come è simile il morto a colui che si è addormentato, la morte al sonno, la risurrezione al mattino!
       Un giorno splenderà in noi la verità come luce nei nostri occhi, guarderemo la morte come immagine del sonno che desta inquietudine.
       Folle chi vede che il sonno finisce la mattina, e crede che la morte sia un sonno che dovrà durare in eterno!
       Se la speranza ravviva i nostri occhi, vedremo ciò che è nascosto: il sonno della morte finirà un mattino.
       Svanirà il meraviglioso profumo del tesoro della vita nel corpo, nella dimora dell’anima, donde era uscito.
       Bellissimo sarà il corpo, diletto tempio dello Spirito, rinnovato si muterà nella casa della beata pace.
       Allora squillerà la tromba sulle sorde arpe: «Svegliatevi, cantate gloria davanti allo Sposo! «.
       Si sentirà un’eco di voci quando si apriranno i sepolcri, tutti prenderanno le arpe per suonare il canto di lode.
       Sia ringraziato il Signore che ha esaltato Adamo, anche se poi il superbo l’ha umiliato nel baratro!
       Gloria a lui quando umilia, gloria a lui quando risuscita. Anche la cetra suoni a Dio nel giorno della risurrezione!

       Efrem, Carmen Nisib., 70



XXXIII DOMENICA

203 Letture:
    
Ml 4,1-2a
     2Th 3,7-12
     Lc 21,5-19

1. Abuso dei beni. Dio aiuta i perseguitati. La pazienza

       Riduciamo a strumento di colpa tutto ciò che abbiamo ricevuto quale mezzo di vita; ma ciò che riduciamo a strumento di peccato, ci sarà cambiato in strumento di pena. Riduciamo la tranquillità della pace a strumento di vana sicurezza, il viaggio terreno lo prendiamo come domicilio in patria, la salute del corpo ci serve per fomentare i vizi; l’abbondanza dei mezzi non l’usiamo per le necessità del corpo ma per la perversione dei piaceri; perfino la serena dolcezza dell’aria l’abbiamo forzata a servire ai piaceri terreni. È giusto, dunque, che tutte le cose ci puniscano, poiché le abbiamo asservite tutte ai nostri vizi, in modo che quanti sono stati i piaceri di cui abbiamo goduto in questa vita, tanti saranno poi i tormenti cui saremo sottoposti nell’altra vita...

       Al sentir tante cose terrificanti, si sarebbero turbati gli animi deboli, perciò il Signore dice subito: "Mettetevi bene in mente di non preoccuparvi di come rispondere. Vi darò sapienza e bocca cui non potrà resistere nessuno dei vostri avversari" (Lc 21,14). Come se volesse dire: Non vi spaventate, non temete; voi scenderete in campo, ma sarò io a combattere; voi muoverete la lingua, ma sarò io a parlare. E aggiunge: "Sarete traditi dai genitori, fratelli, parenti, amici, e sarete uccisi" (Lc 21,16). I mali inflitti da estranei recano minor dolore. Ci fanno più male le pene che vengono da quelli che credevamo ci volessero bene, perché al male del corpo si aggiunge il dolore dell’amicizia perduta...

       Ma perché è duro ciò che dice dell’afflizione, della morte, il Signore soggiunge subito l’idea della risurrezione, dicendo: "Eppure neppure un capello del vostro capo andrà perduto" (Lc 21,18). Sappiamo, fratelli, che un taglio nella carne fa male, il taglio del capello non fa male. E il Signore dice ai suoi martiri: "Non cadrà neppure un capello dal vostro capo", volendo significare: Perché temete di perdere un membro che fa male, se lo tagliate, quando c’è una promessa che neanche ciò che al taglio non duole sarà perduto? Continua: "Se saprete resistere, vi salverete" (Lc 21,19). La salvezza dell’anima è riposta nella virtù della pazienza, perché la fonte e la protezione di tutte le virtù è la pazienza. Attraverso la pazienza diventiamo padroni della nostra vita, perché quando impariamo a dominar noi stessi, allora davvero cominciamo ad essere padroni di ciò che siamo. Ma la pazienza è non solo tollerare i mali che ci vengono dagli altri, ma anche non sentirsi mordere contro colui che è causa del male. Perché se uno sopporta solo in silenzio il male ricevuto, ma desidera che si faccia giustizia, questi non ha pazienza, la mostra soltanto. È scritto, infatti: "La carità è paziente, è benigna" (1Co 13,4). È paziente, perché sopporta i mali che vengono dagli altri, ed è benigna, perché ama coloro che sopporta. Perciò la Verità dice: "Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano" (Mt 5,44). Per gli uomini è virtù tollerare i nemici, per Dio è virtù amarli; Dio accetta solo questo sacrificio, cui dà fuoco innanzi ai suoi occhi, sull’altare delle buone opere, la fiamma della carità.

       Bisogna poi sapere che a volte sembriamo pazienti solo perché siamo incapaci di rifarci. Ma chi non si vendica, perché non vi riesce, certo non è paziente; perché la pazienza non sta nell’apparenza, ma nel cuore. Il vizio dell’impazienza poi sciupa perfino la dottrina, che è la radice delle virtù. Sta scritto, infatti: "La dottrina dell’uomo forte la si vede nella pazienza" (Pr 19,11). Tanto meno, dunque, uno si rivela dotto, quanto meno si dimostra paziente. Non può, infatti, dar veramente dei beni, colui che non sa sopportare il male. E quale sia il valore della pazienza, lo dice la parola di Salomone: "Il paziente val più dell’uomo forte, e chi domina il suo animo, vale più di un conquistatore di città" (Pr 16,32). È minor vittoria espugnare una città, perché i nemici vinti qui son fuori. La vittoria della pazienza è più grande, perché qui è l’animo che supera se stesso, quando lo abbatte nell’umiltà della tolleranza.

       Bisogna sapere anche un’altra cosa, che accade spesso ai pazienti. Ed è che, nel momento che sopportano un’avversità o sentono un’ingiuria, non soffrono nessun dolore, e così hanno pazienza e nutrono anche buoni sentimenti. Ma poi, quando ripensano a ciò che gli è stato fatto si sentono stimolati da un fuoco fortissimo, cercano motivi di vendetta e perdono, nel ripensamento, tutta la mansuetudine che ebbero prima. È che il nostro astuto avversario combatte contro due: uno lo eccita, perché faccia l’insulto; l’altro, l’offeso, lo provoca alla vendetta. Ma una volta ottenuta la vittoria contro quello che ha fatto l’ingiuria, si muove con tutte le sue forze contro l’altro che non poté spingere a restituire l’offesa. E poiché non riuscì ad eccitarlo nel momento in cui egli fu ingiuriato, si ritira per il momento dal campo e cerca il modo d’ingannarlo nel segreto del pensiero; vinto sul campo di battaglia, mette tutto il suo impegno a costruire occulte insidie. In un momento di pace torna nell’animo del vincitore e richiama alla sua memoria o il danno subito o le frecciate delle ingiurie; esagera tutto, fa vedere tutto intollerabile e turba l’animo con tanto furore, che quell’uomo, generalmente paziente, si vergogna d’aver lasciato passar la cosa impunemente, si duole di non aver restituito l’ingiuria e cerca l’occasione di farla pagare più cara. A chi posso assimilare costoro, se non a quelli che, dopo aver vinto con la loro forza sul campo, si fanno poi vincere in casa per negligenza? A chi li paragonerò, se non a dei tali che non si fecero uccidere da una grave malattia, e poi morirono per una febbricciola insistente? È dunque veramente paziente colui che in un primo tempo sopporta senza dolore i mali che riceve, ma sa poi anche, quando ci ripensa, gioire di quanto ha sopportato.

       Gregorio Magno, Hom., 35, 1.3-6


2. Annuncio degli ultimi tempi

       "Non rimarrà pietra su pietra che non sia distrutta" (Lc 21,6).

       Seguiva l’argomento relativo alla vedova; ma siccome ne abbiamo già parlato nel libro che abbiamo scritto sulle vedove (Lc 21,1-4), tralasciamo il commento di questo passo.

       Quanto alle parole che dice ora, esse rispondevano a verità per il tempio costruito da Salomone, e che per primo doveva essere distrutto dal nemico all’epoca del giudizio: non c’è infatti opera umana che la vetustà non corrompa, o che la violenza non distrugga, o che il fuoco non consumi. Ma c’è anche un altro tempio, costruito di belle pietre e ornato di doni, di cui il Signore sembra indicare la distruzione: la sinagoga dei Giudei, il cui invecchiato edificio va in rovina al sorgere della Chiesa. E c’è anche un tempio in ciascuno di noi, che crolla se viene a mancare la fede; soprattutto quando si ostenta il nome di Cristo per impadronirsi dei sentimenti interiori.

       Può darsi che questa interpretazione sia la più utile per me. Che mi gioverebbe, infatti, conoscere il giorno del giudizio? A che mi serve, avendo io coscienza di tutti i miei peccati, che il Signore venga, se non viene nella mia anima, se non torna nel mio spirito, se Cristo non vive in me e non parla in me? È a me che Cristo deve venire, è per me che deve realizzarsi il suo avvento. Orbene, il secondo avvento del Signore ha luogo alla fine del mondo, allorché noi possiamo dire: "Per me il mondo è crocifisso, e io per il mondo" (Ga 6,14).

       Se la fine del mondo trova quest’uomo sul tetto della sua casa (Mt 24,17), e tale che la sua vita sia nei cieli (Ph 3,20), allora sarà distrutto il tempio corporale e visibile, la legge corporale, la pasqua corporale, la pasqua visibile, gli azzimi corporali e visibili; e oso dire anche il Cristo temporale, quale egli era per Paolo prima che l’Apostolo credesse (Ga 6,14): Cristo infatti è eterno per colui che è morto al mondo; per costui il tempio, la legge, la pasqua sono spirituali, poiché Cristo muore una sola volta (Rm 7,14); costui mangia gli azzimi (1Co 5,8), non provenienti dai frutti della terra, ma da quelli della giustizia. Per lui si realizza la presenza della sapienza, la presenza della virtù e della giustizia, la presenza della redenzione: infatti "Cristo è morto una sola volta per i peccati" (1P 3,18) del popolo, ma allo scopo di riscattare ogni giorno il popolo dai suoi peccati.

       Ambrogio, In Luc., 10, 6-8


3. Distaccatevi dal mondo, per non essere coinvolti nella sua rovina

       Sentiamo che cosa venga ordinato ai predicatori, che il Signore mandò: "Camminando, annunziate che il regno dei cieli è vicino" (Mt 10,7). Questa vicinanza del regno dei cieli, fratelli carissimi, anche se il Vangelo non ne parlasse, la proclama il mondo. Le rovine sono le voci che la proclamano. Questo mondo, infatti, caduto dalla sua gloria, stritolato da colpi, ci mostra quasi un altro mondo che sta per venire. Esso è già divenuto amaro a quelli che lo amano. Le sue rovine gridano ch’esso non deve essere amato. Se, infatti, una casa minacciasse rovina, tutti quelli che vi abitano scapperebbero; e colui che pur l’aveva amata, mentre stava in piedi, si affretterebbe ad allontanarsene con la più grande fretta, se la vedesse cadere. Se, dunque, il mondo cade e noi lo abbracciamo con amore, più che abitare in esso noi vogliamo esserne oppressi, perché non ci sarà nulla che potrà distinguerci dalla sua rovina, se c’è un amore che ci lega alle sue passioni. Sarebbe facile, invece, ora che vediamo tutto distrutto, distaccare il nostro animo dal suo amore.

       Gregorio Magno, Hom., 4, 2




XXXIV DOMENICA: SOLENNITÀ DI CRISTO RE

204 Letture:
    
2S 5,1-3
     Col 1,12-20
     Lc 23,35-43


1. Il paradiso aperto a un ladro

       Vuoi vedere un’altra sua opera meravigliosa? Oggi ci ha aperto il paradiso, ch’era chiuso da più di cinquemila anni. In un giorno e in un’ora come questa, vi portò un ladro e così fece due cose insieme: aprì il paradiso e v’introdusse un ladro. In questo giorno ci ha ridato la nostra vera patria e l’ha fatta casa di tutto il genere umano, poiché dice: "Oggi sarai con me in paradiso" (Lc 23,43). Che cosa dici? Sei crocifisso, hai le mani inchiodate e prometti il paradiso? Certo, dice, perché tu possa capire chi sono, anche sulla croce. Perché tu non ti fermassi a guardare la croce e potessi capire chi era il Crocifisso, fece queste meraviglie sulla croce. Non mentre risuscita un morto, o quando comanda ai venti e al mare, o quando scaccia i demoni, ma mentre è in croce, inchiodato, coperto di sputi e d’insulti, riesce a cambiar l’animo d’un ladro, perché tu possa scoprire la sua potenza. Ha spezzato le pietre e ha attirato l’anima d’un ladro, più dura della pietra e l’ha onorata, perché dice: "Oggi sarai con me in paradiso". Sì, c’eran dei Cherubini a custodia del paradiso; ma qui c’è il Signore dei Cherubini. Sì, c’era una spada fiammeggiante, ma questi è il padrone della vita e della morte. Sì, nessun re condurrebbe mai con sé in città un ladro o un servo. L’ha fatto Cristo, tornando nella sua patria, v’introduce un ladro, ma senza offesa del paradiso, senza deturparlo con i piedi d’un ladro, accrescendone anzi l’onore; è onore, infatti, del paradiso avere un tale padrone, che possa fare anche un ladro degno della gioia del paradiso. Quando infatti egli introduceva pubblicani e meretrici nel regno dei cieli, ciò non era a disonore, ma a grande onore, perché dimostrava che il padrone del paradiso era un così gran Signore, che poteva far di pubblicani e meretrici persone così rispettabili, da meritare l’onore del paradiso. Come, infatti, ammiriamo maggiormente un medico, quando lo vediamo guarire le più gravi e incurabili malattie, cosi è giusto ammirare Gesù Cristo, quando guarisce le piaghe e fa degni del cielo pubblicani e meritrici. Che cosa mai fece questo ladro, dirai, da meritar dopo la croce il paradiso? Te lo dico subito. Mentre per terra Pietro lo rinnegava, lui in alto lo proclamava Signore. Non lo dico, per carità, per accusare Pietro; ma voglio rilevare la magnanimità del ladro. Il discepolo non seppe sostenere la minaccia d’una servetta; il ladro tra tutto un popolo che lo circondava e gridava e imprecava, non ne tenne conto, non si fermò alla vile apparenza d’un crocifisso, superò tutto con gli occhi della fede, riconobbe il Re del cielo e con l’animo proteso innanzi a lui disse: "Signore, ricordati di me, quando sarai nel tuo regno" (Lc 23,42). Per favore, non sottovalutiamo questo ladro e non abbiamo vergogna di prendere per maestro colui che il Signore non ebbe vergogna di introdurre, prima di tutti, in paradiso; non abbiamo vergogna di prender per maestro colui che innanzi a tutto il creato fu ritenuto degno di quella conversazione che è nei cieli; ma riflettiamo attentamente su tutto, perché possiamo penetrare la potenza della croce. A lui Cristo non disse, come a Pietro: "Vieni e ti farò pescatore d’uomini" (Mt 4,19), non gli disse, come ai Dodici: "Sederete sopra dodici troni per giudicare le dodici tribù d’Israele" (Mt 19,28). Anzi neanche lo degnò d’una parola, non gli mostrò un miracolo; lui non vide un morto risuscitato, non demoni espulsi, non il mare domato; eppure lui innanzi a tutti lo proclamò Signore e proprio mentre l’altro ladro lo insultava...

       Hai visto la fiducia del ladro? La sua fiducia sulla croce? La sua filosofia nel supplizio e la pietà nei tormenti? Chi non si meraviglierebbe che, trafitto dai chiodi, non fosse uscito di mente? Invece non solo conservò il suo senno, ma abbandonate tutte le cose sue, pensò agli altri e, fattosi maestro, rimproverò il suo compagno: "Neanche tu temi Dio?" (Lc 23,40). Non pensare, gli dice, a questo tribunale terreno; c’è un altro giudice invisibile e un tribunale incorruttibile. Non t’affannare d’essere stato condannato quaggiù; lassù non è la stessa cosa. In questo tribunale i giusti a volte son condannati e i malvagi sfuggono la pena; i rei vengono prosciolti e gl’innocenti vengono giustiziati. Infatti i giudici, volenti o nolenti, spesso sbagliano; poiché per ignoranza o inganno o per corruzione possono tradire la verità. Lassù è un’altra cosa. Dio è giudice giusto e il suo giudizio verrà fuori come la luce, senza tenebre e senza ignoranza...

       Vedi che gran cosa è questa proclamazione del ladro? Proclamò Cristo Signore e aprì il paradiso; e acquistò tanta fiducia, che da un podio di ladro osò chiedere un regno. Vedi di quali beni la croce è sorgente? Chiedi un regno? Ma che cosa vedi che te lo faccia pensare? In faccia hai una croce e dei chiodi, ma la croce, egli dice, è simbolo di regno. Invoco il Re, perché vedo il Crocifisso; è proprio del re morire per i suoi sudditi. Questo stesso disse: "Il buon pastore dà la vita per le sue pecore" (Jn 10,11). Dunque, anche un buon re dà la vita per i sudditi. Poiché dunque diede la sua vita, lo chiamo Re. "Signore, ricordati di me, quando sarai nel tuo regno".

       Crisostomo Giovanni, Hom. de cruce et latrone, 2 s.


2. Inno di adorazione della Croce

Quel Legno tre volte benedetto,

Quel dono che arrecava la vita

Fu dall’Altissimo in mezzo al paradiso

Piantato perché Adamo vi trovasse,

Eterno, la vita senza morte.

Ma questi non cercò di riconoscere

La vita che in dono gli era data,

Se la lasciò sfuggire inoculato

E assaporò la morte (Gn 2,9 Gn 3,22).

Per contro, il ladro nel veder la pianta

Felicemente dall’Eden trapiantata

Sul Golgota, la vita riconobbe

Insita in essa, entro di sé dicendo:

«Questo un dì perdette l’antenato mio».

Infatti, quand’egli sul Legno fu innalzato,

Giustificato dalla confessione della fede

Allor si apriva l’occhio del suo cuore (Gn 3,7);

E le delizie contemplò dell’Eden.

Al centro vide splender la figura

Che della Croce gli parea sembiante.

Per lui io sono di lassù disceso,

Nell’amor mio per l’uomo;

Per misericordia volli riscattar suo seme.

Per lui maledizione mi son fatto,

Dalla Maledizion traendo Adamo e i suoi.

Dal legno la trasgression s’impose

All’antenato e per sua cagion dall’Eden

Da malfattore venne un dì scacciato;

Or vi rientra grazie al Legno della vita.

Pur tu, primo, rientravi con lui.

Quando erede nel Regno tuo sarai,

Chiama i mortali e accoglivi i fedeli:

Oggi, infatti, con me tu v’entrerai,

Con me nel paradiso in grande gioia

Oggi entrerai...

Il ladro a tali ordini obbedendo,

Come il tutto Misericordia aveva detto,

L’emblema della grazia sulle spalle pose;

Nel proceder il dono della Croce celebrava

E cantava ininterrotto un canto nuovo (Ps 32,3):

«Tu dell’anime infeconde sei l’innesto,

Tu sei l’aratro, util strumento che purifica il pensiero,

Sana radice della vita mia risorta,

Di castigo la verga che colpisce Adamo

Nemico, e riapri la porta di delizie

D’Adamo un tempo dalla colpa chiusa,

Colpa da lui commessa in paradiso.

Vita totale in grazia ci hai donato,

O Legno per tre volte benedetto,

A me e all’uman specie che il possesso

Han di tua grazia. Il vincastro tu sei

Che conduce alla vita i peccatori

Pronti ad accoglierti in intima dimora;

Come ventilator sei rivelato

Che la paglia, abile, sull’aia disperde

E sul fuoco Si getta mentre il grano

In granai capienti si raccoglie.

Tu degli Ebrei sei il giogo

Domatore che quei selvaggi frena.

Tu per la barca della santa Chiesa,

Che in Cristo siede, sei il divino remo

Che dritto al paradiso l’alme mena,

Giuste e fedeli...».

       Romano il Melode, Hymm., 39, 1-4.6 s.


3. Vexilla Regis prodeunt

Del Re s’avanza il vessillo,

brilla il mistero della Croce

su cui la Vita soffrì la morte,

e con la morte diede la vita.

Egli, ferito

da crudel punta di lancia,

per lavarci dalle macchie dei peccati,

fece sgorgare acqua e sangue.

Compiuto è quello che profetò

David con fedele carme

dicendo alle nazioni:

Dio regnò dal legno.

Albero leggiadro e splendido,

ornato della porpora del Re,

scelto come degno sostegno

a toccare membra sì sante.

O te beata, dalle cui braccia

pendé il prezzo del mondo,

divenuta bilancia del corpo,

che strappò la preda all’inferno.

O Croce, unica speranza, salve!

In questo tempo di passione

accresci la grazia ai giusti,

togli i peccati ai rei.

Te, o Trinità, fonte di salute,

lodi ogni spirito;

a coloro ai quali doni la vittoria della Croce,

aggiungi il premio. Così sia.

       Venanzio Fortunato, Vexilla Regis prodeunt


4. Crux fidelis

O Croce sempre fedele,

sei l’unico albero glorioso.

Nessuna selva ne produce uguali,

per fronde, fiori e ceppo.

Amato legno, che regge

i dolci chiodi e il dolce Peso.

Ogni lingua canti la corona di vittoria

di una lotta gloriosa,

e proclami del trofeo della Croce

il famoso trionfo:

poiché il Redentore del mondo,

benché immolato, ha vinto.

Del primo uomo ingannato,

quando assaggiò il frutto proibito

e precipitò nella morte,

ha avuto pietà il Creatore:

e fin da allora ha stabilito che un albero

riparasse il danno dell’altro albero.

Il disegno della nostra salvezza

comportava questa impresa:

che la sapienza divina superasse la scienza

del traditore sempre operante;

e così traesse la salute

da dove il nemico aveva recato il danno.

E quando si compì il tempo

prestabilito da Dio,

fu inviato dal seno del Padre

il Figlio, creatore del mondo:

ed egli venne tra noi incarnato

dal seno della Vergine.

Fa udire la sua voce il Bambino

dato ana luce nella misera stalla;

la vergine Madre avvolge e ricopre

con panni le piccole membra,

e così con strette fasce

a Dio cinge le mani e i piedi.

Compiuti ormai i trenta anni,

terminata la vita mortale,

liberamente alla passione

si offre il Redentore:

l’Agnello sul tronco della Croce

viene innalzato per il sacrificio.

Abbeverato di fiele, cade in agonia:

spine, chiodi e lancia

hanno trafitto l’amabile corpo

e ne sgorgano acqua e sangue:

è un torrente che deterge

terra, mare, cielo e mondo.

Piega i rami, albero svettante,

allenta le tue fibre tese;

quella rigidità si fletta

che la natura ti ha dato:

e tendi con morbido tronco

le membra del Re celeste.

O albero, tu solo sei stato degno

di essere altare alla vittima per il mondo,

e di essere l’arca porto di salvezza

per il mondo in naufragio:

tu, cosparso del sangue prezioso

versato dal corpo dell’Agnello.

Alla Trinità beata

sia gloria sempiterna,

uguale al Padre e al Figlio:

e allo Spirito sia pari onore;

all’Uno in tre Persone

dia lode l’universo. Amen.

       Venanzio Fortunato, Crux Fidelis




IL TEMPO DI AVVENTO


L’Avvento, come tempo di preparazione alla solennità del Natale, appare per la prima volta alla fine del secolo IV in Spagna e in Gallia. Dura tre settimane e precede la festa dell’Epifania, il giorno in cui, secondo il costume orientale, si amministrava il Battesimo. Dal secolo V, l’Avvento si conforma al modello della Quaresima assumendo espressamente il carattere penitenziale.

       A Roma, l’Avvento compare nella seconda metà del secolo VI e dai tempi di papa Gregorio Magno (+ 604) dura quattro settimane. Esso costituisce una preparazione liturgica dei fedeli alla venuta del Signore pur senza particolari pratiche ascetiche e penitenziali.

       Nei secoli seguenti, la liturgia romana viene introdotta in Gallia e qui si delinea la forma dell’Avvento: liturgicamente romano ma asceticamente gallico. Circa l’anno 1000, la nuova forma dell’Avvento giunge a Roma e da qui si diffonde in tutta la Chiesa.

       Fino ad oggi, l’Avvento ha conservato quel carattere penitenziale di origine gallica: nella liturgia si usa il colore violaceo, nella Messa non figura il gioioso inno «Gloria a Dio nell’alto dei cieli», sono ridotti l’addobbo e la musica nella chiesa.

       Il tempo di Avvento dura quattro settimane l’ultima delle quali prepara i fedeli direttamente alla solennità del Natale. Le letture del Vangelo di questi giorni compongono il quadro degli avvenimenti precedenti la nascita di Gesù. La genealogia di Cristo indica quanto il Salvatore fu legato al suo popolo e alla storia umana.

       L’angelo Gabriele preannunzia la nascita di Giovanni il Battista e poi viene mandato a Nazareth. Maria si reca da Elisabetta e canta l’inno di gratitudine: «Magnificat»: «L’anima mia magnifica il Signore».

       Celebriamo la nascita di Giovanni il Battista e insieme con Zaccaria glorifichiamo Dio, perché «ha visitato il suo popolo», ha dato il bambino, che andrà «innanzi al Signore a preparargli le strade». Nei Vespri, preghiera serale della Chiesa, l’attesa della venuta del Signore viene espressa nelle bellissime antifone al «Magnificat», dette antifone «O» dato che tutte iniziano con quella vocale. Risuona in esse la nostalgia del popolo dell’Antica Alleanza, sono un’invocazione di tutta l’umanità perché venga il Salvatore.

       La Chiesa ogni anno festeggia il ricordo della venuta al mondo del Figlio di Dio nel corpo umano, e attraverso la lettura dei profeti dispone i fedeli per questo giorno. Non lo fa soltanto per ricordare la realtà passata, il fatto storico, la lunga attesa del popolo eletto per la venuta del Messia. Cristo è venuto sulla terra, ha annunziato la buona novella della salvezza, ha compiuto la redenzione dell’uomo, ha riempito della nuova vita coloro che credono in lui, li ha fatti partecipare all’amore del Padre e ha dato loro la caparra della gloria futura. L’umanità ha visto la salvezza, è stata predetta dai profeti «la pienezza dei tempi».

       Il tempo di preparazione al Natale deve servirci da introduzione per capire il mistero della presenza di Cristo in mezzo a noi. Il Signore è venuto, il Signore è presente, ma bisogna sentire il bisogno della salvezza che proviene dal Signore, comprendere l’inconcepibile amore di Dio, accogliere i doni del cielo.

       La Chiesa, nei giorni dell’Avvento, si rende conto del «già» della salvezza, ma attende il «non ancora» che deve venire. Cristo è venuto, ma la Chiesa pellegrinante nel tempo attende il ritorno del Signore. Aspettare il ritorno di Cristo come i servi che aspettano il ritorno del padrone, vegliare per aprirgli appena sarà venuto e avrà bussato, andargli incontro con le lampade accese, ecco l’atteggiamento dell’Avvento.

       Is e Giovanni il Battista, queste le due grandi figure dell’Avvento. La voce dei profeti e la voce del grande Precursore del Signore continuano a risuonare nella Chiesa, perché bisogna continuamente preparare la via al Signore e bisogna continuamente gridare: Convertitevi! Coraggio, non abbiate paura! Il Signore ha vinto il male, ma l’uomo rimane ancora nella sua schiavitù. La luce è venuta nel mondo, ma l’uomo può ancora amare le tenebre. Cristo ci ha fatti nuove creature, ma noi possiamo continuare a vivere secondo i desideri dell’uomo vecchio.

       Cristo si fece uomo nel seno della Vergine Maria: Lei, Immacolata Vergine, coll’annuncio dell’angelo accoglie il Verbo Eterno, viene riempita dallo Spirito Santo e diventa il tempio di Dio. Il Verbo prese carne da Maria Vergine ed abitò in mezzo a noi. Le parole di Maria: «Avvenga di me secondo la tua parola», dovrebbero farsi preghiera dell’Avvento nel discepolo di Cristo, poiché vivere pienamente l’Avvento significa accogliere Cristo come Maria.

      

       Ascolta, Signore, le preghiere del tuo popolo

       in attesa del tuo Figlio

       che viene nell’umiltà della condizione umana:

       la nostra gioia si compia alla fine dei tempi

       quando egli verrà nella gloria.

      

       Missale Romanum, 21-XII, Coll.


1. Perché questo tempo si chiama Avvento

       Non è senza motivo, fratelli carissimi in Cristo, che questo tempo viene chiamato Avvento del Signore. Se i santi Padri, infatti, intrapresero la celebrazione della venuta del Signore e indirizzarono al popolo delle omelie in tale periodo, è per far sì che ogni fedele si prepari e si emendi, in modo da poter celebrare degnamente la nascita del suo Dio e Signore.

       Immaginate che uno di voi debba ricevere in casa il proprio padrone, vedrete che farà sparire da essa tutte le sporcizie e tutte le cose sconvenienti, preparando poi secondo le proprie possibilità ciò che si conviene ed è necessario. Ora, se si comporta così un semplice mortale per accogliere un altro mortale, quanto più non e d’uopo che la creatura si purifichi per non dispiacere al suo Creatore, quando si manifesta nella carne?

       Egli, Giusto, è venuto a noi peccatori, perché noi, da peccatori divenissimo giusti; Santo, è sceso tra noi empi per farci santi; umile, è venuto verso i superbi, perché quei superbi divenissero umili. E che altro? Egli, la cui natura è bontà, è venuto tra gli uomini che erano ripieni di vizi.

       Ecco perché vi esortiamo a fare in questi giorni elemosine più abbondanti; a frequentare di più la chiesa; a fare in tutta sincerità la confessione delle vostre colpe; ad astenervi con la maggiore cura non solo da ogni impurità, ma anche dagli stessi rapporti coniugali; a scacciare via ogni odio, collera o risentimento; falsi giuramenti e bestemmie; orgoglio e vanteria, al pari di ogni gioia carnale, in modo che quando arriverà il giorno della Natività del Signore, possiate celebrarlo per la vostra salvezza.

       E siccome molti sono preoccupati dei beni carnali o degli abiti di gran pregio, per passare in quel giorno per persone degne di maggior rispetto degli altri, voi, da parte vostra, siate preoccupati più delle ricchezze e dei vestiti spirituali, perché come l’anima è migliore della carne, così i piaceri spirituali sono superiori a quelli carnali. Ed è assai meglio ornare l’anima di virtù che vestire il corpo di abiti preziosi.

       Questa esortazione, fratelli, vi viene rivolta affinché per suo merito coloro che sono buoni diventino migliori; quelli che si riconoscono cattivi si convertano risolutamente, e tutti ottengano di gioire spiritualmente nel giorno della nascita del Signore. Ve ne faccia dono egli, che vive e regna con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.

       Anonimo IX sec., Sermo I in Adv. Domini


2. Il battesimo di Giovanni e il Battesimo di Cristo

       Parliamo d’un battesimo di Giovanni e d’un Battesimo di Cristo. Ma è un equivoco, perché la definizione dei due battesimi non è la stessa. Il battesimo di Giovanni, infatti, è quello del servo; il Battesimo di Cristo è il Battesimo del Padrone. Il battesimo di Giovanni è nell’acqua, quello di Cristo è nell’acqua e nello Spirito Santo. Il battesimo di Giovanni è per suscitare lo spirito di penitenza, quello di Cristo è per la remissione dei peccati. Col battesimo di Giovanni Cristo fu manifestato; col Battesimo di Cristo, cioè con la sua passione, Cristo è stato glorificato. Giovanni dice del suo battesimo: Io non lo conoscevo; ma venni a battezzare in acqua, perché egli fosse manifestato in Israele. Cristo, invece, già battezzato col battesimo di Giovanni, dice del suo proprio battesimo: Io devo essere battezzato; e non vedo l’ora che avvenga. Col battesimo di Giovanni il popolo veniva disposto al Battesimo di Cristo; col Battesimo di Cristo il popolo diventa idoneo al regno di Dio.

       Certamente coloro che furono battezzati nel battesimo di Giovanni che li esortava a credere in colui che stava per venire e morirono prima della passione di Cristo, quando Cristo fu battezzato nel suo sangue, furono assolti dai loro peccati, per quanto grandi, ed entrarono con lui in paradiso e con lui videro il regno di Dio. Ma coloro che disprezzarono il piano di Dio e morirono prima della passione di Cristo senza il battesimo di Giovanni, a loro non giovò il rimedio della circoncisione e non gli giovò la passione di Cristo, e neanche furono strappati dall’inferno, perché non erano del numero di quelli dei quali Cristo diceva: E per essi io mi santifico (Jn 17,9).

       Ma bisogna anche sapere che quelli che furono battezzati nel battesimo di Giovanni, se, dopo la glorificazione e l’annunzio del Vangelo di Gesù, non lo accolsero (Jn 1,11), non credettero necessario essere battezzati nel suo battesimo, l’essere stati battezzati nel battesimo di Giovanni non gli valse a niente. Sapendo ciò, Paolo, quando incontrò alcuni discepoli e chiese loro se avessero ricevuto lo Spirito Santo e in nome di chi fossero stati battezzati, sentito che neanche sapevano dell’esistenza dello Spirito Santo e che erano stati battezzati col battesimo di Giovanni, disse: Giovanni battezzò con acqua, raccomandando di credere in Gesù che sarebbe venuto dopo di lui. Sentito questo furono battezzati nel nome di Gesù, e avendo Paolo imposto le mani su di loro, scese su di essi lo Spirito Santo (Ac 19,1-6).

       Quanto era di gran lunga inferiore quel battesimo del servo - nel quale neanche s’era sentito che ci fosse lo Spirito Santo - di fronte a questo Battesimo del Signore, che è dato ugualmente nel nome dello Spirito Santo, come del Padre e del Figlio, e lo Spirito Santo è dato per la remissione dei peccati.

       Ruperto Di Deutz, De op. Spir. Sancti, 3, 2


3.Nostra attesa è il Salvatore nostro Gesù Cristo

       Noi aspettiamo il Salvatore (Ph 3,20). In verità, l’attesa dei giusti è letizia, dal momento che essi aspettano la beata speranza e l’avvento della gloria del nostro grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo (Tt 2,13). Ed ora qual è la mia attesa, dice il giusto, se non il Signore? (Ps 38,8). Poi, rivolto al Signore: «Io so - dice - che non sarò confuso nella mia attesa (Ps 118,116). Infatti, è già presso di te la mia sostanza (Ps 38,8), poiché la nostra natura, assunta da te e offerta per noi, è già stata glorificata nella tua persona. Questo ci dà la speranza che ogni carne verrà a te (Ps 64,3), e che le membra seguiranno il loro capo affinché nulla manchi all’olocausto». E perciò con fiducia ancora più totale - perché con coscienza più tranquilla - che si può aspettare il Signore quando si è avuta la grazia di poter dire: «Il poco di sostanza che possedevo, Signore, è presso di te, poiché donandoti i miei beni o disprezzandoli per te, io ho accumulato un tesoro nei cieli. Ai tuoi piedi, ho deposto ogni mio bene, perché ti so capace non solo di custodire (2Tm 1,12) il mio deposito, ma altresì di restituirmelo centuplicato e di aggiungervi la vita eterna». Poveri di spirito, siate felici di esservi accumulati, secondo il consiglio del Consigliere mirabile, dei tesori in cielo (Mt 6,20), per paura che se i vostri tesori restassero sulla terra, i vostri cuori non avessero a conoscere, al pari di loro, la corruzione! Dice infatti il Signore: Là dove è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore (Mt 6,21). I vostri cuori seguano, dunque, i loro tesori! Fissate in alto il vostro pensiero, e la vostra attesa sia sospesa a Dio, perché possiate dire come dice l’Apostolo: La nostra conversazione è nei cieli, ed è di là che noi aspettiamo il Salvatore (Ph 3,20).

       O attesa delle genti! Non saranno delusi tutti coloro che ti aspettano (Ps 24,3). Ti hanno atteso i nostri padri; tutti i giusti, dall’origine del mondo, hanno sperato in te e non sono stati confusi (Ps 21,6). Già, allorché fu ricevuta la tua misericordia nel cuore del tuo tempio (Ps 47,1), cori gioiosi fecero sentire le loro lodi e cantarono: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore! (Ps 117,26 Mt 21,9). Io ho atteso senza stancarmi il Signore, ed egli ha rivolto verso me il suo sguardo» (Ps 39,2). Poi, riconoscendo nell’umiltà della carne la maestà divina, dissero: «Ecco, è il nostro Dio! Noi l’abbiamo atteso; egli ci salverà! È lui il Signore; noi l’abbiamo atteso con pazienza, esulteremo e ci rallegreremo nella sua salvezza!» (Is 25,9).

       Ma la Chiesa, che negli antichi giusti attese il primo avvento, attende del pari il secondo nei giusti della Nuova Alleanza. E come era certa di veder saldato con il primo il prezzo della redenzione, così è sicura che il secondo le apporterà il frutto della remunerazione. Sospesa da questa attesa e da questa speranza al di sopra delle cose della terra, essa aspira con gioia pari all’ardore ai beni eterni. Mentre altri si affannano a cercare quaggiù la loro felicità e, senza attendere che si adempia il disegno del Signore, si precipitano per accaparrare il bottino che loro offre il mondo, l’uomo beato che ha posto la sua speranza nel Signore e che non ha fissato il suo sguardo sulle vanità e sulle ingannevoli follie (Ps 39,5) si tiene alla larga dalle loro strade, così come si evitano le immondizie (Sg 2,16), poiché egli sa che è meglio essere umiliato con il mite piuttosto che condividere le spoglie con i superbi (Pr 16,19). E parlando a se stesso, si consola con queste parole: «Mia eredità è il Signore, ha detto la mia anima; ecco perché io l’aspetterò. Il Signore è buono verso coloro che sperano in lui, per l’anima che lo cerca. È bene aspettare nel silenzio la salvezza di Dio (Lm 3,24-26). Signore, l’anima mia, in verità, viene meno nell’attesa della tua salvezza, ma io sovrabbondo di speranza nella tua parola (Ps 118,80)».

       Certamente, come sta scritto, una speranza differita affligge l’anima (Pr 13,12). Però, benché stanca di veder ritardato il compiersi del suo desiderio, essa resta in piena fiducia, a causa della promessa. Sperando in Dio e persino sovrabbondando di speranza, aggiungerò speranza a speranza, così come si aggiunge senza posa tribolazione a tribolazione, periodo a periodo. Sono certo infatti che egli alla fine apparirà e non ci ingannerà. Ecco perché, anche se si fa aspettare, io l’aspetterò, poiché verrà senza alcun dubbio e non tarderà (Ab 2,3) oltre un tempo determinato e opportuno. Ma qual è il tempo opportuno? Quello in cui sarà completo il numero dei nostri fratelli (Ap 6,11) ; quello in cui sarà esaurito il tempo della misericordia concesso per la penitenza.

       Ilario di Poitiers, Sermo I in Adv., 1s.


4. La pedagogia divina

       Perché mai nel tempo antico la sua predicazione non fu come è ora, universale e destinata a tutti gli uomini e a tutte le genti? Eccone una chiara risposta. Gli antichi erano incapaci di comprendere la dottrina di Cristo, culmine di saggezza e virtù.

       Il primo uomo, subito da principio, dopo il periodo di felicità primordiale, violò il divino comando e precipitò in questa esistenza mortale e caduca, mentre mutava le celesti delizie di prima con l’abitazione su questa terra maledetta. E i suoi discendenti, così, tutta la popolarono, e, fatte poche eccezioni, si dimostrarono ancora peggiori del capostipite, abbandonandosi a costumi bestiali e a vita disordinata...

       È allora che la Sapienza, primogenita figlia, opera primogenita di Dio, il Verbo stesso [a tutto] preesistente, in un impeto di incontenibile amore per l’umanità, si manifesta a quegli esseri inferiori: talvolta servendosi d’apparizioni angeliche, talaltra apparendo di persona quale Potenza di Dio salvatrice, e mostrandosi all’uno o all’altro degli uomini dell’antichità, amici di Dio, sotto forma umana: altra forma non sarebbe stata adatta allo scopo.

       Questi privilegi gettarono la semente della [vera] religione nella massa degli uomini. Di essa, tutta la nazione discesa dagli antichi Ebrei, divenne sulla terra l’ereditiera devota; ma il popolo era ancora sviato dagli antichi costumi, e Iddio, mediante il profeta Mosè, gli diede le figure, i simboli d’un sabato misterioso, l’istituzione della circoncisione e di altri precetti spirituali, ma non l’intelligenza chiara di tali misteri.

       La legge giudaica ebbe risonanza; la sua notizia si diffuse nell’umanità come profumo di soave odore, e ne derivò che la maggior parte delle genti, per opera dei legislatori e dei filosofi, mansuefatta la loro barbarie selvaggia e feroce, addolcirono i propri costumi; e ne nacque una pace profonda, un’amicizia piena di mutue relazioni. È il momento: e a tutti gli altri uomini, a tutti i popoli della terra già preparati e disposti a ricevere la cognizione del Padre, ecco che il Maestro delle virtù, il Ministro del Padre nella distribuzione d’ogni bene, il Verbo divino e celeste, al principio dell’impero di Roma, apparve per mezzo di un uomo per nulla diverso dalla nostra natura quanto all’essenza del corpo; e fece e patì quello che avevano vaticinato i Profeti. Essi avevano predetto che sarebbe venuto in terra un Uomo-Dio facitore di azioni mirabili e che sarebbe stato per i popoli il Maestro della religione del Padre; avevano preannunziato il prodigio della sua nascita, la novità della sua dottrina, la meraviglia delle opere sue, eppoi la morte che avrebbe subita e la sua risurrezione e il suo divino ritorno ne’ cieli.

       Il profeta Daniele, illuminato dallo Spirito Santo, vide il regno finale di lui, e, adattandosi alla capacità del nostro umano intelletto, ne descrisse la divina visione: Io guardai fino a quando furono alzati dei troni, e l’Antico dei giorni vi si assise; le sue vesti erano come neve e i capelli della sua testa come lana lavata; il trono di lui fiamme di fuoco: le sue ruote erano vivo fuoco: scorreva davanti a lui fiume di fuoco. I suoi ministri erano migliaia di migliaia e i suoi assistenti diecimila miliardi. Si stabilì il giudizio e i libri furono aperti (Da 7,9-10).

       E più in là: Io stavo dunque guardando, quand’ecco, con le nubi del cielo, venire come figlio dell’uomo; ed ei si avanzò sino all’Antico dei giorni e si presentò al cospetto di lui: a lui fu data potestà, onore e regno, e tutti i popoli, tribù e lingue lo serviranno: la potestà di lui è potestà eterna che non gli sarà tolta, e il regno di lui sarà incorruttibile (Da 7,13-14).

       È chiaro che tutto ciò non si può riferire se non al nostro Salvatore, al Dio Verbo ch’era in principio presso Dio (Jn 1,1), e che, per l’Incarnazione avvenuta nei tempi novissimi, si dice anche Figlio dell’uomo.

       Eusebio di Cesarea, Hist. eccles., I, 2, 17 s., 21-26


5. La preparazione dei popoli alla venuta di Cristo

       Le parole della Scrittura: In questi giorni è fiorita la giustizia, insieme con l’abbondanza della pace (Ps 71,7) presero a realizzarsi allindomani della venuta di Cristo. Iddio, frattanto, preparava le nazioni ad accogliere il suo insegnamento, sottomettendole tutte ad un unico sovrano, limperatore di Roma, ed impedendo, in tal modo, che lisolamento in cui si sarebbero trovate a causa della pluralità dei regni, non rendesse più difficile agli apostoli mandare ad effetto lordine del Cristo: Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli (Mt 28,19). È noto a tutti, infatti, che Gesù nacque sotto il regno di Augusto che aveva, per così dire, ridotto ad un’entità omogenea, grazie al suo potere accentratore, la maggior parte degli uomini della terra. L’esistenza d’una pluralità di regni sarebbe stata d’ostacolo alla divulgazione del messaggio di Gesù attraverso tutta la terra: non soltanto per il motivo già rilevato, ma a causa, altresì, della necessità imposta agli uomini d’ogni latitudine di prendere le armi e di far la guerra per difendere la propria patria. Il che, prima dell’epoca inaugurata da Augusto, si era ripetutamente verificato, come quando, ad esempio, si scatenò il conflitto fra gli abitanti del Peloponneso e quelli di Atene e, al seguito di questi, fra altri popoli contrapposti. In qual modo, perciò, quest’insegnamento di pace, che non consente di vendicarsi neppure dei nemici, avrebbe mai potuto trionfare, se la situazione della terra, alla venuta di Gesù, non fosse stata dovunque mutata in una condizione più pacifica?

       Origene, Contra Celsum, 2, 30


6. Maria Vergine e Madre

       Maria, direi, si gloria del parto, non per sé ma per colui ch’ella ha partorito. Dio, dico, perché ha partorito Dio. Volendo dare a sua Madre una gloria singolare nei cieli, la prevenne in terra di grazia tale che poté concepire intatta e partorire integra. Era giusto che Dio non nascesse che da una vergine, ed era giusto che una vergine non desse alla luce altri che Dio. Il creatore degli uomini, per farsi uomo, nascendo dall’uomo, tra tutte dovette scegliersi una madre, che gli si addicesse e gli piacesse. Volle che fosse vergine, perché nascesse da un’immacolata l’immacolato, che veniva a lavare le macchie di tutti, la volle anche umile, perché da questa nascesse il mite e umile di cuore, che avrebbe dato in sé l’esempio di queste virtù, così necessarie a tutti. Diede perciò il parto a una vergine, colui che prima le aveva ispirato il voto della verginità e le aveva dato in anticipo il premio dell’umiltà. D’altra parte, come l’angelo l’avrebbe chiamata piena di grazia, se aveva qualche cosa di poco buono, che non provenisse dalla grazia?

       Perché, dunque, colei che stava per concepire e partorire il Santo dei Santi, fosse santa nel corpo, ricevette il dono della verginità, e perché fosse santa nella mente, ricevette il dono dell’umiltà. La Vergine regale, ornata di queste gemme e illuminata dal duplice splendore del corpo e dell’anima, nota nei cieli per la sua meravigliosa bellezza, attirò su di sé lo sguardo dei celesti tanto che attrasse l’amore del Re e fece calar dal cielo il celeste messaggero. E questo ci sottolinea l’Evangelista, quando dice che un angelo fu inviato da Dio ad una vergine; cioè dall’Eccelso a una piccola, dal Signore a una serva, dal Creatore a una creatura. Quanta degnazione di Dio! Quanta sublimità della Vergine! Correte, madri; correte, figlie; correte, voi tutte che dopo Eva e da Eva siete nate e generate voi stesse nel dolore. Accostatevi alla camera della Vergine, entrate, se potete, nella pudica stanza d’una vostra sorella. Ecco Dio manda il suo messaggero a una vergine, ecco l’angelo parla a Maria. Accostate l’orecchio alla parete, cercate di sentire ciò che le dice; forse coglierete qualche parola che vi consoli.

       Rallegrati, padre Adamo, ma ancora più esulta tu, o madre Eva; voi che, come foste genitori di tutti, così siete stati uccisori di tutti; anzi, prima uccisori che genitori. Ma consolatevi ambedue, dico, per una figlia, per questa figlia; ma si consoli di più colei, dalla quale per primo è nato il male, la vergogna della quale è passata su tutte le donne. È tempo, infatti, che sia cancellata la vergogna e che l’uomo non abbia più nulla da recriminare contro la donna; esso, infatti, mentre cercava imprudentemente di scusarsi, non indugiò ad accusarla crudelmente, dicendo: La donna che tu mi hai dato, mi ha offerto il frutto dell’albero e l’ho mangiato (Gn 3,12). Perciò corri, Eva, da Maria; corri, madre, dalla figlia; risponda la figlia per la madre, porti via lei la vergogna della madre, dia lei soddisfazione al padre invece della madre; poiché se l’uomo cadde per la donna, ormai non si rialza se non per la donna. Che dicevi, Adamo? La donna che tu mi hai dato, mi ha offerto il frutto dell’albero e l’ho mangiato.

       Queste son parole di malizia, con le quali accresci più che distruggere la colpa. Ma la Sapienza ha vinto la malizia, che tentò, con quella domanda, di strapparti un’occasione di perdono, ma non vi riuscì, l’ha trovata l’occasione nel tesoro della sua inesauribile misericordia. Una donna prende il posto d’una donna, una prudente è al posto della fatua, un’umile è al posto della superba, che, invece dell’albero della morte, ti offra il gusto della vita, che, invece d’un frutto velenoso e amaro, ti procuri la dolcezza d’un frutto eterno.

       Cambia, dunque, la tua parola d’ingiusta scusa in una espressione di ringraziamento e di’: Signore, la donna che tu mi hai dato, mi ha offerto il frutto dell’albero e l’ho mangiato; ed è stato più dolce del miele nella mia bocca, perché quel cibo, mi ha dato la vita. Ecco, per questo è stato mandato l’angelo da Maria Vergine. O Vergine meravigliosa e degnissima di ogni ammirazione! O donna più che ogni altra venerabile, più d’ogni donna oggetto di meraviglia; hai riparato il guasto dei tuoi genitori, hai dato vita ai tuoi posteri!

       Bernardo di Chiarav., Hom. 2, 1-3


7. I due nomi del Verbo fatto carne: Gesù e il Cristo

       Che il Cristo, che era presso il Padre perché era il Verbo del Padre, abbia dovuto farsi carne, divenire uomo, sottomettersi alla generazione, nascere da una vergine e vivere in mezzo agli uomini, operando in tal modo il Padre di tutte le cose la sua incarnazione, è quanto Is dice nei termini seguenti: Pertanto, il Signore stesso ti darà un segno: una Vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele; egli mangerà panna e miele, finché non imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene (Is 7,14-16). Egli ha indicato che sarebbe nato da una vergine, ed ha significato che sarebbe stato autenticamente uomo dicendo che avrebbe mangiato e perché lo chiama «figlio» ed anche perché gli si impone un nome - tutto ciò infatti è consuetudine con i bambini -, e lui ha un doppio nome in lingua ebraica: Messia [cioè] Cristo [o Unto] e Gesù [cioè] Salvatore, e questi due nomi sono i nomi delle diverse azioni compiute quaggiù. Infatti egli ha ricevuto il nome Cristo perché il Padre ha unto ed ornato tutte le cose per mezzo di lui...

       Ed ha ricevuto il nome di Salvatore perché è stato causa di salvezza per coloro che, al tempo suo, furono salvati da lui da ogni sorta di malattia e dalla morte in quel momento; e perché, per coloro che in seguito avranno creduto in lui, egli è datore della salvezza futura ed eterna.

       Ecco dunque perché è chiamato Salvatore. Quanto al nome Emmanuele, esso si traduce: Dio con noi, oppure, quale espressione augurale formulata dal profeta, con l’equivalente: Dio sia con noi! Secondo questo secondo significato, esso è l’interpretazione e la rivelazione della buona novella, poiché: Ecco - dice -, la Vergine concepirà e partorirà un figlio (Is 7,14) e questi, che è Dio, è destinato ad essere con noi;... e lo stesso profeta dice ancora: Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio, ed è chiamato Consigliere mirabile, Dio potente (Is 9,5).

       Egli lo chiama Consigliere mirabile, sia del Padre, il che è significato dal fatto che è con lui che il Padre ha fatto tutte le cose, come è detto nel primo libro di Mosè che ha per titolo Genesi: E Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza (Gn 1,26); e qui, in effetti, il Padre parla del Figlio, Consigliere mirabile del Padre. Ma anche per noi egli è consigliere, ci dà dei consigli - egli parla senza costringere come Dio, pur essendo ugualmente Dio forte (Is 9,6) -, ci dà il consiglio di rinunciare all’ignoranza e di ricevere la gnosi, di distoglierci dall’errore per volgerci alla verità, di ripudiare la corruzione per possedere l’incorruttibilità.

       E poi, su quale terra e presso quali uomini egli doveva nascere e manifestarsi, anche questo è stato dichiarato in anticipo. Ed è con termini analoghi che Mosè si esprime nel seguente passo della Genesi: Non sarà tolto lo scettro da Giuda, né il bastone del comando tra i suoi piedi, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli; lava nel vino la veste e nel sangue dell’uva il manto (Gn 49,10-11). Ora Giuda, figlio di Giacobbe, è il capostipite dei Giudei, ed è da lui precisamente che essi hanno ricevuto il loro nome; e in effetti non è mancato un principe tra essi né un capo, fino alla venuta di Cristo; però dopo la sua venuta, sono state tolte le frecce dalla faretra, la terra dei Giudei è stata concessa al dominio dei Rm ed essi non avevano più principi o re provenienti dalla loro stirpe, poiché era arrivato colui al quale è riservata una regalità nei cieli e che inoltre ha lavato la sua veste nel vino e nel sangue il suo mantello; e la sua veste, come pure il suo mantello son coloro che credono in lui, che egli ha del pari purificati, salvandoci per mezzo del suo sangue, ed è il suo sangue che è detto sangue dell’uva, poiché, così come non è un uomo, chiunque egli sia, che può fare il sangue dell’uva, ma è Dio che lo forma per la gioia di coloro che lo bevono, e come del pari, la sua corporeità e il suo sangue non è un uomo che li ha fatti, bensì Dio che li ha fatti, così è il Signore stesso che ha dato il segno della Vergine, cioè l’Emmanuele nato dalla Vergine, che precisamente rende gioiosi coloro che lo bevono, cioè coloro che ricevono il suo Spirito, gioia eterna. Ecco perché egli è anche l’attesa delle genti, di coloro che sperano in lui, poiché aspettiamo da lui la ricostituzione del regno.

       Ireneo di Lione, Epideixis, 53-55.57


8. Purificarsi per accogliere il Signore

       Perciò, molti giorni prima purifichiamo i nostri cuori, la nostra coscienza, il nostro spirito e così mondi e senza macchia prepariamoci a ricevere l’immacolato Signore che viene, e come egli nacque dalla Vergine immacolata, così siano i servi immacolati a celebrare il suo natale! Infatti chiunque quel giorno è sporco e contaminato non si preoccupa del natale di Cristo, né ha desiderio di lui. Partecipi pure corporalmente alla festa del Signore, ma spiritualmente è ben lontano dal Salvatore; né possono stare insieme l’immondo e il santo, l’avaro e il misericordioso, l’uomo corrotto e l’uomo puro, se non quando reca offese mostrandosi tanto più indegno quanto meno ha conoscenza di sé. Infatti mentre vuol essere cortese, arreca ingiuria, come quegli che, come si legge nel Vangelo (Mt 22,11-13), invitato al banchetto dei santi osò venire alle nozze senza l’abito nuziale, e mentre gli altri risplendevano di giustizia, fede e castità, lui solo con la coscienza sporca veniva disprezzato da tutti gli altri per l’orrore che suscitava; e quanto più splendeva la santità dei convitati beati, tanto più si rivelava l’impudenza dei suoi peccati. Egli forse avrebbe potuto arrecare minor dispiacere, se non avesse affatto preso parte al convito dei giusti. Perciò fu legato mani e piedi e gettato fuori nelle tenebre, perché non solo era peccatore, ma perché come peccatore si arrogava il merito della santità.

       Dunque, fratelli, noi che siamo in attesa del natale del Signore, ripuliamoci da ogni residuo di colpa! Colmiamo i suoi tesori di doni diversi, perché nel giorno santo si possa accogliere i forestieri, ristorare le vedove, vestire i poveri! Infatti che cosa succederebbe, se in una stessa casa dei servi dello stesso padrone uno vestisse orgoglioso abiti di seta, un altro fosse coperto di stracci; uno fosse rimpinzato di cibo, un altro patisse fame e freddo; quegli fosse tormentato da indigestione per le gozzoviglie del giorno prima, questi invece non riuscisse a placare la fame del giorno prima? Oppure quale sarebbe il valore della nostra preghiera? Chiediamo di essere liberati dal nemico (Mt 6,13) noi che non siamo liberali verso i fratelli. Imitiamo nostro Signore! Se infatti egli vuole che i poveri siano insieme con noi partecipi della grazia celeste, perché non dovrebbero essere con noi partecipi dei beni terreni? E non siano privi di nutrimento quelli che sono fratelli nei sacramenti, se non altro per meglio difendere per mezzo loro la nostra causa davanti a Dio, così che noi li manteniamo a nostre spese ed essi rendano grazie a lui. Quanto più poi il povero benedice il Signore, tanto più gioverà a chi gli fa benedire il Signore. E come sta scritto: Guai all’uomo per il quale viene bestemmiato il nome del Signore (Jc 2,7), così sta scritto: Pace all’uomo per il quale è benedetto il nome del Signore e Salvatore. Ma qual è il merito di colui che dona? Egli fa sì che pur essendo solo ad agire nella casa, la Chiesa attraverso molti possa pregare il Signore, e anche se forse non osa chiedere alla divinità, grazie alle preghiere dei più che chiedono ripetutamente, riceve anche quello che non sperava. Per questo, ricordando il nostro aiuto, il beato apostolo dice: Affinché siano rese grazie per noi da parte di molti (2Co 1,11); e ancora: Perché la vostra divenga una oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo (Rm 15,16).

       Massimo di Torino, Sermo 60, 3-4


9. Essere degni di ricevere Cristo come ospite

       Se un re di questo mondo o un padre di famiglia ti invitasse alla festa del suo natalizio, quali abiti indosseresti se non quelli nuovi, eleganti, splendidi, di cui né la vecchiezza, né lo scarso valore, né altra cosa brutta potesse offendere la vista di colui che ti invita? Perciò con tale cura, per quanto ti è possibile, con l’aiuto di Cristo fa’ in modo che la tua anima, composta dei diversi ornamenti delle virtù, adornata dalle gemme della semplicità e dai fiori della temperanza, alla solennità dell’eterno Re, cioè al natale del Signore Salvatore, si prepari con coscienza sicura, bella per castità, splendida per carità, candida per elemosine. Infatti Cristo Signore, se vedrà che tu così ben preparato celebri il suo natale, si degnerà di venire non solo a visitare la tua anima, ma anche a riposare e ad abitarvi per sempre, così come sta scritto: Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò (2Co 6,16); e ancora: Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me (Ap 3,20). Felice quell’anima che con l’aiuto di Dio desidera guidare la propria vita, così da essere degna di ricevere Cristo come ospite e di diventare sua dimora; al contrario come è infelice quella coscienza, degna di essere compianta a calde lacrime, la quale si macchiò di cattive opere, si oscurò del buio dell’avarizia, arse di iracondia, si lordò di continua lussuria, fu distrutta dalla tirannide della superbia, così che in essa non Cristo riposerà, ma il diavolo vi stabilirà il suo dominio! Tale anima, infatti, se non ricorrerà subito al rimedio della penitenza, perderà la luce, si coprirà di tenebre; si svuoterà di dolcezza, sarà colmata di amarezza; verrà invasa dalla morte, privata della vita. Tuttavia chi è nel peccato non disperi della bontà del Signore, non si tormenti in una mortale disperazione, ma piuttosto faccia subito penitenza, e finché le ferite dei suoi peccati sono aperte e sanguinanti, le curi con medicine salutari: poiché il nostro medico è onnipotente ed è così abituato a curare le nostre piaghe che non fa rimanere traccia di cicatrici...

       Coloro che sanno di essere restii a fare elemosina, facili all’ira, pronti a darsi alla lussuria, con l’aiuto del Signore si affrettino a rigettare ciò che è male, perché possano essere degni di raggiungere ciò che è bene; e quando verrà il giorno del giudizio, non siano puniti con gli empi e i peccatori, ma siano degni di ottenere il premio eterno insieme con i giusti e i misericordiosi: con la grazia di Nostro Signore Gesù Cristo cui spettano l’onore e la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

       Cesario di Arles, Serm 187, 3.5




Lezionario "I Padri vivi" 202