Lezionario "I Padri vivi" 224

SOLENNITÀ DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA B.V.M.

224 (8 dicembre)

       Nei conventi della Palestina, all’inizio del secolo VIII, troviamo la festa della Concezione di Maria celebrata il 9 dicembre, festa che gradualmente viene accolta in tutto l’Oriente e passa poi all’Italia meridionale.

       Si festeggia la miracolosa concezione di Maria da parte di sua madre Anna, fatto raccontato nell’apocrifo «Protovangelo di Giacomo». Dall’Italia meridionale, la festa passa nel secolo IX all’Irlanda e all’Inghilterra. In Inghilterra, viene trasferita all’8 dicembre; essa si diffonde dopo le decisioni del Sinodo di Londra (1127-1129), subendo nello stesso tempo un cambiamento nel contenuto teologico. Ora, si sottolinea la santificazione di Maria nel momento della concezione, la preservazione di Maria dalla macchia del peccato fin dal primo momento della sua esistenza.

       Dall’Inghilterra, la festa passa al continente. Per prime, la celebrano le diocesi di Normandia, nell’anno 1140 circa, viene introdotta a Lione, si propaga in numerose chiese e conventi tedeschi, giunge anche all’Italia.

       Non tutti i teologi erano d’accordo nell’introdurre questa nuova festa nella liturgia. San Bernardo ritiene che questa sia una novità contrastante con la tradizione; san Tommaso constata che Roma non conosce questa festa ma permette soltanto di celebrarla ad alcune chiese, il capitolo generale dei francescani, invece, nel 1263 introduce la festa dell’Immacolata Concezione in tutto l’Ordine, contribuendo alla sua diffusione in tutto il mondo.

       La discussione tra i diversi teologi di quel tempo sull’Immacolata Concezione di Maria, l’atteggiamento dei francescani e degli altri grandi Ordini modificano l’orientamento della Santa Sede.

       Verso il 1330, la Curia Romana, con sede allora in Avignone, celebra solennemente l’Immacolata Concezione. Il Papa Sisto IV, nel 1476, approva la festa, ordina di celebrarla a Roma, prescrive testi liturgici propri. Pio IX, in occasione della promulgazione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria, annuncia che l’8 dicembre è festa di precetto.

       L’Immacolata Concezione di Maria significa la sua preservazione da qualunque macchia di peccato originale. Questo grande privilegio è stato concesso a Maria in vista dei futuri meriti di Cristo. Lei è il primo essere umano redento da Cristo e nel modo più sublime: grandi cose ha fatto in lei l’Onnipotente. Maria, preservata dalla macchia del peccato, appare come la Nuova Eva, che darà al mondo l’atteso Salvatore e starà a fianco del Nuovo Adamo. Come prima redenta degli uomini, e redenta in modo eccezionale, avrà un ruolo particolare nell’opera della salvezza. Maria, libera dal peccato, vive in una totale donazione a Dio, sta in profonda unione con lui. È perciò l’archetipo e nello stesso tempo l’inizio della Chiesa, la Sposa di Cristo. Per i credenti, poi, Maria rimane per sempre il modello della santità.

       Lei, benedetta fra le donne, diventerà per il popolo di Dio la protettrice di grazia e l’appoggio nella trasformazione spirituale. È per questo che a Maria Immacolata viene rivolta l’incessante preghiera: che ci ottenga la purezza del cuore, ci soccorra nella lotta contro il peccato, ci aiuti a guarire le ferite inflitteci dal male. Lei, Vergine fedele, ci impetrerà anche la fedeltà a Dio in tutte le situazioni di vita.

       Dio onnipotente ed eterno,

       che hai donato a Maria la grazia di essere l’unica,

       tra i figli di Adamo, preservata da ogni macchia,

       lavaci dalle nostre colpe

       e fa’ che possiamo offrirti una vita immacolata.

       Messale Ambrosiano, Milano 1976: Immacolata Concezione della B.M.V., Orazione a conclus. liturg. parola


1. La gloria di Maria, madre di Gesù

       O mia cetra inventa nuovi motivi in lode di Maria Vergine, innalza la tua voce e canta la maternità tutta meravigliosa di questa vergine, figlia di David, che portò la vita al mondo.

       Chi l’ama l’ammira e il curioso si tinge di vergogna e tace e non osa indagare su una madre che partorì, conservando la sua verginità. La cosa è difficilissima da spiegare. I contestatori non osino far inchieste su suo Figlio.

       Il suo bimbo schiacciò il maledetto serpente e ne fracassò il capo, e risanò Eva dal veleno, che il dragone omicida aveva gettato contro di lei e l’aveva, col suo inganno, spinta nella morte.

       Come il Monte Sinai, ti ho accolto e non sono stata bruciata dal tuo formidabile fuoco, perché tu hai fatto in modo che il tuo fuoco non mi nuocesse; non mi ha bruciata quella tua fiamma, che i Serafini non possono guardare.

       Fu chiamato nuovo Adamo, colui che è l’eterno, perché abitò nella figlia di David e in lei, senza seme e senza dolori, si fece uomo. Benedetto il suo nome!

       L’albero della vita, ch’era cresciuto in mezzo al paradiso non diede all’uomo un frutto che lo vivificasse; ma l’albero nato dal seno di Maria, diede se stesso all’uomo e gli donò la vita.

       Il Verbo del Signore lasciò il suo trono, scese in una fanciulla e abitò in lei; essa lo concepì e lo diede alla luce. È grande il mistero della Vergine purissima e supera ogni lingua.

       Eva nell’Eden diventò rea; il malvagio serpente scrisse, firmò e sigillò la sentenza per cui i posteri, nascendo, venivano colpiti dalla morte.

       L’antico drago vide, per il suo inganno, moltiplicato il peccato d’Eva; fu una donna che amò l’inganno del suo seduttore obbedì al demonio e precipitò l’uomo dalla sua dignità.

       Eva divenne rea del peccato e a Maria fu passato il debito, perché la figlia pagasse i debiti della madre e lacerasse la sentenza che aveva trasmesso i suoi gemiti a tutte le generazioni.

       Maria portava il fuoco nelle mani e stringeva la fiamma tra le braccia: dava le sue mammelle alla fiamma e dava il latte a colui che nutre tutte le cose. Chi può parlare di lei?

       Gli uomini terreni moltiplicarono le maledizioni e le spine che soffocavano la terra, e vi introdussero la morte; il Figlio di Maria riempì tutto il mondo di vita e di pace.

       Gli uomini terreni introdussero nel mondo malattie e dolori e aprirono la porta alla morte, perché vi entrasse e vi passeggiasse; il Figlio di Maria prese sulla sua persona i dolori del mondo, per salvarlo.

       Maria è sorgente limpidissima, senza nessun influsso di connubio: essa accolse nel suo seno il fiume della vita, che con le sue acque irrigò il mondo e vivificò tutti i morti.

       Santuario immacolato, in cui dimorò Iddio, gigante dei secoli, nel quale con un grande prodigio si operò il mistero per cui Dio si fece uomo, e un uomo dal Padre fu chiamato figlio.

       Maria è la vite della benedetta stirpe di David; i suoi tralci produssero il grappolo d’uva pieno di sangue vivifico; bevve Adamo di quel vino e, risuscitato, tornò nell’Eden.

       Due madri son comparse che generarono figli diversi: una generò un uomo che la maledisse, e Maria generò Dio, che riempie il mondo di benedizione.

       Benedetta tu, Maria, figlia di David, e benedetto il frutto che ci hai dato. Benedetto il Padre che ci mandò il Figlio suo per la nostra salvezza, e benedetto lo Spirito Paraclito, che ci manifestò il suo mistero. Sia benedetto il suo nome.

       Efrem, Carmen 18, 1


2. La stirpe di Maria

       Dopo ciò, aggiunsi: Tale è quindi l’intero Salmo; e per mostrarvi che esso si riferisce a Cristo, ne riprendo l’esposizione. Il suo inizio: Dio, Dio mio, rivolgimi la tua attenzione. Perché mi hai abbandonato? (
Ps 21,2), annuncia fin dai tempi antichi ciò che doveva essere detto da Cristo. Infatti, sulla croce, egli dice: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Mt 27,47 Mc 15,34). Poi continua:

       Lontano dalla mia salvezza sono le parole

       dei miei falli;

       Dio mio, durante il giorno verso te io grido,

       ma tu non mi ascolti; e così durante la notte,

       e non vi era ignoranza da parte mi (Ps 21,2-3).

       Queste parole esprimono ciò che egli doveva fare. Infatti, il giorno in cui doveva essere crocifisso, egli prese tre dei suoi discepoli per avviarsi al monte degli Ulivi, posto immediatamente di fronte al tempio di Gerusalemme, e pregò dicendo: Padre, se possibile, passi da me questo calice (Mt 26,39). Poi, proseguendo la preghiera, dice: Non però la mia, ma la tua volontà sia fatta (), dimostrando in tutto ciò che si era fatto uomo soffrendo davvero. E perché non si potesse dire: «Ignorava quindi di dover soffrire!», il Salmo subito prosegue: e non vi era ignoranza da parte mia. E come non fu ignoranza da parte di Dio chiedere ad Adamo dove fosse, e a Caino dove fosse Abele, bensì per far provare vergogna a ciascuno di loro per quello che erano, anche perché arrivasse a noi per iscritto la conoscenza di ogni cosa, così del pari Gesù ha voluto significare con ciò non la sua ignoranza, bensì quella di coloro che pensavano che egli non fosse il Cristo e ritenevano che sarebbe morto e rimasto negli inferi come un uomo qualsiasi.

       Ciò che viene dopo: Ma tu, tu abiti nel luogo santo, o lode, o Israele (Ps 21,4), significava che egli doveva compiere cose degne di lode e di ammirazione; che, dopo la sua crocifissione, doveva risuscitare il terzo giorno, la qual cosa gli proviene dal Padre. Che si chiami Giacobbe e Israele, invero, l’ho già dimostrato; e non solo ho provato, nella benedizione di Giuseppe e di Giuda, che gli eventi della sua vita sono proclamati nel mistero, ma ancora nel Vangelo (Mt 11,27) sta scritto che egli ha detto: Tutto mi è stato dato dal Padre mio, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio, né il Figlio se non il Padre e coloro ai quali il Figlio vorrà rivelarlo (Lc 10,22 Mt 11,27). Egli ci ha dunque svelato tutto ciò che per sua grazia noi comprendiamo delle Scritture; sappiamo che egli è il primogenito di Dio, anteriore ad ogni creatura (Col 1,15), figlio dei patriarchi in quanto divenuto carne da una vergine della loro razza; ha sopportato di farsi carne, uomo senza bellezza, senza gloria e sofferente (cf. Is 53,2ss).

       Di modo che lui stesso diceva nei suoi discorsi (Mt 16,21), quando accennava alle sue future sofferenze che era necessario che il Figlio dell’uomo soffrisse molto, che venisse ricusato dai farisei e dagli scribi, che venisse infine crocifisso e risuscitasse il terzo giorno (Mt 16,21). Si definiva dunque Figlio dell’uomo, vuoi a causa della nascita da una vergine che, come ho già detto, era della stirpe di David, di Giacobbe, di Isacco e di Abramo, vuoi perché Adamo stesso era padre di quelli che sono stati enumerati e da cui discende Maria attraverso la sua stirpe; sappiamo infatti che coloro che hanno generato delle femmine sono padri anche dei figli che sono nate da queste.

       Ad uno dei discepoli che, per rivelazione del Padre, lo aveva riconosciuto come Figlio di Dio, come Cristo, e che si chiamava allora Simone, egli dette il soprannome di Pietro. Lo vediamo ancora chiamato Figlio di Dio nelle Memorie degli apostoli; quando lo diciamo suo Figlio, noi comprendiamo che lo è e che è uscito dal Padre prima di tutte le opere, per la Potenza e la Volontà di quest’ultimo. È pure detto Sapienza giorno, aurora, spada, pietra, bastone di Giacobbe, Israele e in altre maniere ancora nelle parole dei profeti. Noi comprendiamo, infine, che egli si è fatto uomo da una vergine, di modo che è per la via stessa in cui era iniziata che fu messa fine alla disobbedienza venuta dal serpente. Eva era vergine, senza corruzione: concependo la parola del serpente, ella partorì la disobbedienza e la morte. La vergine Maria concepì invece fede e gioia quando l’angelo Gabriele le annunciò la buona novella che lo Spirito del Signore sarebbe sceso su di lei, e che la Potenza dell’Altissimo l’avrebbe ricoperta della sua ombra, e che a causa di ciò l’Essere santo che sarebbe nato da lei sarebbe stato Figlio di Dio; e lei rispose: Avvenga di me secondo la tua parola (Lc 1,38). Fu dunque partorito da lei colui di cui, come abbiamo dimostrato, parlano tanto le Scritture, colui per mezzo del quale Dio distrugge il serpente con gli angeli e gli uomini che gli somigliano, e libera dalla morte coloro che fanno penitenza delle loro cattive azioni e credono in lui.

       Ed ecco appunto il seguito del Salmo che dice:

       Cristo tutto riconduce al Padre suo.

       In te hanno sperato i nostri padri,

       in te hanno sperato e tu li hai liberati;

       verso di te hanno gridato e tu li hai salvati;

       in te hanno sperato,

       e non sono rimasti confusi.

       Quanto a me, io sono un verme, non un uomo,

       obbrobrio degli uomini e rifiuto del popolo (Ps 21,5-7).

       Qui, manifestamente, egli proclama che i suoi padri hanno sperato in Dio, sono stati salvati da lui; quei padri erano anche padri della Vergine dalla quale egli fu generato e divenne uomo.

       Giustino, Dialog., 99, 1-101


3. Gesù Cristo, come Dio e come uomo, nasce da una concezione verginale

       Vediamo ora da quale fonte nasca il nostro nuovo Sole. La sua origine è divina, nasce da Dio. È Figlio, dunque, della Divinità; della Divinità, dico, incorrotta, integra, illibata. Capisco bene il mistero: in tanto poté essere feconda la nascita da Maria immacolata, in quanto la prima nascita, da Dio, era stata illibata; non poteva essere ingiuriosa la seconda nascita di colui, che ne aveva avuta già una prima gloriosa. Cioè, come Dio lo generò in purezza verginale, così Maria lo generò in verginità.

       Massimo di Torino, Sermo 4, n. 844


4. Da Maria, colui che è salvezza degli erranti

       Vieni, dunque, e cerca la tua pecora, non per mezzo di servi e mercenari ma da te stesso. Accoglimi con quella carne che cadde in Adamo. Accoglimi non da Sara, ma da Maria; che sia vergine illibata, vergine illibata per grazia da ogni macchia di peccato. Portami su quella croce, che è salvezza degli erranti sulla quale soltanto trovano riposo gli affaticati, per la quale soltanto vivranno coloro che muoiono.

       Ambrogio, In psal. 118, 22. 30


5. In Gesù e Maria la vera bellezza

       Veramente tu e tua Madre siete i soli belli in ogni parte. In te, infatti, Signore, non c’è macchia, e nessuna macchia è nella madre tua.

       Efrem, Carmina Nisibena, 27, 8


6. Maria rifugio di salvezza

       Benedetta Madre di Dio, aprici la porta della tua benevolenza. Non resti delusa la nostra fiducia, che spera in te; liberaci dalle nostre avversità. Sei tu la salvezza del genere umano.

       È così grande il numero dei miei peccati, o Madre di Dio! Ricorro a te, o immacolata, in cerca di salvezza. Consola l’anima mia desolata e chiedi a tuo Figlio, nostro Dio, che mi conceda il perdono dei miei peccati, o sola immacolata, sola benedetta!

       Ripongo in te tutta la mia speranza, o madre della luce; accoglimi sotto la tua protezione.

       Cosma il Melode, Carmen pro magna feria quinta, n. 1899




IL NATALE E IL PERIODO NATALIZIO


Il più antico cenno della festa del Natale, celebrata a Roma nel giorno 25 dicembre, la riporta il calendario di Filocalos dell’anno 354, ma l’analisi interna del documento dimostra che la festa veniva celebrata già prima dell’anno 336. Fu scelto il giorno 25 dicembre visto che in quel giorno si celebrava una festa pagana in onore del «Sole Invincibile». I cristiani hanno sostituito le cerimonie pagane con la solennità della nascita di Cristo, il Sole di Giustizia. Già nel secolo IV troviamo la nuova festa in Africa, ad Antiochia, a Costantinopoli e in Egitto, ma solamente nel VI/VII secolo sarà ammessa in Palestina.

       Secondo una tradizione romana del secolo VI, ogni sacerdote può celebrare nel giorno di Natale tre Messe. L’origine di questo costume è abbastanza semplice. La prima e l’unica Messa veniva celebrata solennemente dal papa nel secolo IV alla solita ora nella basilica di San Pietro (attualmente la Messa «nel giorno»). Nel secolo V, si comincia a celebrare la Messa notturna nella basilica di Santa Maria Maggiore. Il papa Sisto III (+ 446), dopo la proclamazione del dogma della Maternità di Maria ha ampliato e abbellito la basilica erigendo in essa la cappella che imitava la grotta della Natività di Betlemme. In questa cappella, la notte di Natale, il papa celebrava la Messa solenne (attualmente la «Messa della Notte»). Verso la metà del secolo VI, inizia l’usanza di celebrare la terza Messa da parte del papa. Vicino al palazzo dei governanti bizantini (Colle Palatino) si trovava la chiesa in cui si conservavano le reliquie di santa Anastasia martire, venerata particolarmente a Costantinopoli, la cui memoria cadeva proprio il 25 dicembre. Per rispetto al potere secolare, i papi - fermandosi per strada dal Laterano alla basilica di San Pietro - celebravano qui la Messa in onore della santa (attualmente la «Messa dell’Aurora»). I libri liturgici romani contenevano i formulari di queste tre Messe papali e perciò tutta la Chiesa prese l’usanza di celebrare l’Eucaristia tre volte in questo giorno.

       Prendendo spunto dalla festa di Natale, sono sorte diverse consuetudini come ad esempio il presepio. L’uso dell’albero di Natale viene consolidato dalle popolazioni germaniche nel secolo XIX. In Polonia, i commensali della cena della Vigilia si dividono il pane azzimo in segno di pace e di unione.

       La festa del Natale ha la sua ottava, viene celebrata cioè per tutta la settimana. Già i più vecchi calendari collegano le commemorazioni di alcuni santi con la solennità del Natale e il Medioevo vede in essi una schiera illustre che accompagna il Bambino Gesù. Ecco questi santi nella liturgia romana: il Protomartire Stefano, san Giovanni Evangelista e i Bambini Innocenti uccisi a Betlemme. Il periodo del Natale va oltre l’ottava, fino alla domenica dopo l’Epifania, che viene celebrata come festa del Battesimo del Signore.

       Nel giorno di Natale, la Chiesa commemora tutto ciò che è avvenuto a Betlemme, ma non si limita al lato esteriore degli avvenimenti. Contempla il mistero del Figlio di Dio, che «nato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero», per «noi uomini e per la nostra salvezza» discese dal cielo. Dio, che in modo meraviglioso ha creato l’uomo, in modo ancora più meraviglioso inizia l’opera della sua salvezza. Cristo diventa l’uomo simile a noi in tutto eccetto il peccato. Si giunge ad un «meraviglioso scambio»: Cristo accolse la nostra natura umana, debole e limitata, per farci partecipare alla sua natura divina.

       Che cos’è la venuta di Cristo per l’uomo? L’uomo ha visto Dio in forma visibile, Cristo ha portato agli uomini la nuova vita, li ripristina nella dignità di figli di Dio, introduce l’uomo mortale nella vita eterna, libera l’umanità dalla vecchia schiavitù del peccato e le dona la libertà.

       Il Natale, così concepito, si collega inseparabilmente con il mistero della Morte e della Risurrezione di Cristo. Benché allora per molti cristiani il Natale è un gioioso ricordo della venuta di Cristo che porta la pace e la fraternità, la Chiesa vede questa festa in stretta relazione con la sua futura morte; Gesù deposto nella mangiatoia viene chiamato nelle preghiere il Redentore. Celebrare il Natale significa esprimere nella vita la nuova realtà dell’uomo, rendersi simile al Figlio di Dio, aprirsi all’azione della grazia, cercare le cose di lassù, crescere nell’amore fraterno. Lodiamo Dio perché in questi ultimi tempi ha parlato a noi per mezzo del Figlio, assumendo la fatica della nuova vita.

      

       Esaudisci, Signore, questa famiglia a te devota

       e adunata in seno a questa chiesa nella odierna

       festività del tuo Natale per cantare le tue lodi.

       Dona ai prigionieri la liberazione,

       la vista ai ciechi,

       la remissione ai peccatori,

       poiché è per offrire loro la salvezza

       che tu sei venuto.

       Riguarda dal tuo santo Cielo, o Salvatore del mondo,

       il tuo popolo e donagli la tua luce,

       il loro animo si rivolge a te in devota fiducia.

       Missale Gothicum, ed. L.C. Mohlberg, Roma 1961, n. 12


1. La venuta di Dio tra gli uomini

       Cristo nasce, cantate gloria, Cristo scende dal cielo, andategli incontro; Cristo è in terra, alzatevi. Cantate al Signore da tutta la terra (Ps 95,1). E per riassumere queste due cose in una sola: Gioiscano i cieli, esulti la terra (Ps 11), poiché colui che è del cielo è ora in terra. Cristo si è fatto carne, tremate e gioite; tremate per il peccato; gioite per la speranza. Cristo nasce dalla Vergine; donne, abbiate cura della verginità perché possiate essere madri di Cristo. Chi non adora colui che è il principio? Chi non loda e non glorifica colui che è la fine?

       Di nuovo si dissipano le tenebre, di nuovo viene creata la luce, di nuovo l’Egitto è tormentato dalle tenebre (cf. Ex 10,21), di nuovo Israele è illuminato per mezzo della colonna (cf. Ex 13,21). Il popolo che è nelle tenebre dell’ignoranza veda la grande luce della conoscenza (Is 9,1). Le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove (2Co 5,17). La lettera cede, lo spirito vince, le ombre passano, entra la verità. Melchisedech si ricapitola: chi era senza madre, è generato senza padre; prima senza madre e poi senza padre. Le leggi della natura sono rovesciate... Applaudite, popoli tutti (Ps 46,1), poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità (con la croce infatti viene innalzato) ed è chiamato Consigliere ammirabile, cioè del Padre, l’Angelo (Is 9,5). Gridi Giovanni: Preparate la via del Signore (Mt 3,3). Anch’io proclamerò la forza e la potenza di questo giorno; colui che non è stato generato dalla carne si incarna; il Verbo prende consistenza; l’invisibile diventa visibile; l’intangibile si può toccare; colui che è senza tempo comincia ad esistere nel tempo; il Figlio di Dio diventa Figlio dell’uomo, Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre! (He 13,8)...

       La festa che noi oggi celebriamo è la venuta di Dio tra gli uomini, perché noi possiamo accedere a Dio o (per meglio dire) ritornare a Dio, affinché, abbandonato l’uomo vecchio, ci rivestiamo del nuovo; e come siamo morti nel vecchio Adamo, così viviamo in Cristo; infatti con Cristo nasciamo, siamo messi in croce, veniamo sepolti e risorgiamo...

       Perciò celebriamola in modo divino e non come si suol fare nelle feste pubbliche; non con spirito mondano ma oltremondano; celebriamo non ciò che è nostro, ma di lui che è nostro o, per meglio dire, di lui che è il Signore; celebriamo non ciò che arreca infermità, ma ciò che cura; non ciò che riguarda la creazione, ma la rigenerazione.

       Gregorio Nazianzeno, Oratio 38, 1 s. 4


2. Natale

       Poiché oggi, per grazia di Dio, diremo tre Messe, non possiamo dilungarci nel commento del Vangelo. Ma il Natale del Redentore ci obbliga a dire qualche cosa, sia pur brevemente. Che cosa vuol dire questo censimento del mondo alla nascita del Signore, se non che sta nascendo nella carne colui che avrebbe iscritto i suoi eletti nell’eternità? Al contrario il Profeta dice dei reprobi: Siano cancellati dal libro della vita e non siano annoverati tra i giusti (Ps 68,29). E giustamente il Signore nasce a Betlemme: poiché Betlemme vuol dire casa del pane. Egli è infatti colui che dice: Io sono il pane vivo che viene dal cielo (Jn 6,41). Il luogo dunque dove nasce il Signore, già prima ch’egli nascesse fu chiamato casa del pane, perché doveva manifestarvisi nella carne colui che avrebbe saziato gli eletti di cibo spirituale. Ed egli nacque non in casa sua, ma per la via, per far capire ch’egli, assumendo la natura umana, nasceva in una veste che non era la sua. Non era sua, s’intende, perché, essendo Dio, la sua propria natura è la divina. La natura umana gli apparteneva, perché Dio è padrone di tutto, e perciò sta scritto: Venne a casa sua (Jn 1,11). Nella sua natura divina ci stava, prima dei tempi, nella nostra ci venne in un’epoca della nostra storia. Perciò, se colui che è eterno, si fa nostro compagno nel tempo, possiamo dire che viene in un campo che gli è estraneo. E poiché il Profeta dice: Ogni uomo è fieno (Is 40,6), il Signore, fattosi uomo, cambiò il nostro fieno in grano, poiché egli dice di se stesso: Se il chicco di frumento non cade in terra e muore, rimane solo (Jn 12,24). Perciò anche, appena nato, è messo nella mangiatoia, perché nutrisse tutti i fedeli, rappresentati dagli animali, col frumento della sua carne. E che cosa vuol dire l’apparizione dell’angelo ai pastori che vegliavano e la luce che li avvolse, se non che coloro i quali guardano con amore il gregge dei fedeli hanno, più degli altri, il privilegio di vedere le cose celesti? Mentre essi piamente vegliano il gregge, la grazia divina più largamente splende su di loro.

       L’angelo annunzia che è nato il Re e cori di angeli gli fanno eco e cantano: Gloria nei cieli a Dio e pace in terra agli uomini di buona volontà. Prima che il nostro Redentore nascesse nella carne, non c’era armonia tra noi e gli angeli, ci separava dalla loro luce e purezza la macchia della nostra colpa originale, ci allontanavano da loro le nostre colpe quotidiane. Poiché, per il peccato, eravamo estranei a Dio, gli angeli, cittadini di Dio, ci ritenevano estranei alla loro società. Ma quando riconoscemmo il nostro Re, gli angeli ci riconobbero per loro concittadini. Poiché il Re ha preso in sé la terra della nostra carne, gli angeli non disprezzano più la nostra debolezza. Gli angeli tornano a far pace con noi, non guardano più i motivi della discordia e accolgono come soci coloro che avevano già disprezzati come abietti. Perciò Lot (Gn 19,1) e Giosuè (Jos 5,15) adorano gli angeli e non sono respinti. Giovanni però, nell’Apocalisse, si prostrò in adorazione dinanzi a un angelo e questi lo respinse dicendo: Non lo fare, sono un servo, come te e i tuoi fratelli (Ap 22,9). E che cosa vuol dire che gli angeli prima della venuta del Redentore si lasciano adorare, ma dopo la sua venuta non lo permettono più, se non che hanno paura di mettersi al di sopra della nostra natura, dopo che l’hanno vista portata dal Signore al di sopra di loro? E non osano più deprezzare come inferma quella natura che vedono nel Re del cielo. Né disdegnano d’aver come socio l’uomo essi che adorano un uomo Dio. Guardiamo allora, fratelli, che non ci sporchi una qualche immondizia, poiché nell’eterna prescienza siamo cittadini di Dio e uguali ai suoi angeli. Riportiamo nei costumi la nostra dignità, nessuna lussuria ci macchi, nessun pensiero turpe ci accusi, la malizia non morda la nostra mente la ruggine dell’invidia non ci roda, non ci gonfi l’orgoglio, non ci dilanii la concupiscenza dei piaceri terreni, non c’infiammi l’ira. Gli uomini sono stati chiamati dèi. Difendi, dunque, o uomo, l’onore di Dio, poiché per te s’è fatto uomo quel Dio, che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

       Gregorio Magno, Hom., 1, 8


3. Osservazioni sulla nascita del Signore

       Celebrando la nascita del Signore nostro Gesù Cristo, vediamo, fratelli, il senso del brano evangelico che or ora abbiamo letto. Il santo evangelista dice che Augusto ordinò di fare il censimento in tutto il mondo e che per questo Giuseppe, da Nazareth in Galilea, si recò a Betlemme in Giudea, città di David, per registrarsi. Ci fu per dodici anni, quando apparve nella carne il Figlio di Dio, tanta pace che tutti, secondo l’oracolo d’Isaia, mutavano le loro spade in aratri e le lance in falci.Il Figlio di Dio, autore della pace, nasce in tempo di pace, per insegnare ai suoi discepoli l’amore della pace. Infatti come Cesare Augusto mandò Cirino a riscuotere il censo, così Dio, vero Augusto, mandò i suoi predicatori nel mondo a riscuotere il censo della fede. Diamo allora, fratelli, il censo della fede e delle buone azioni. Non resti nessuno a casa, usciamo tutti dalla Galilea, cioè dalla volubilità del mondo, e andiamo nella Giudea della retta fede, per meritare di essere Betlemme, la casa del pane di colui che dice: Io sono il pane vivo venuto dal cielo.

       Il Vangelo narra che la beata sempre vergine Maria, dato alla luce Cristo, lo avvolse in panni e lo adagiò nella mangiatoia. Giustamente nasce in una via, colui ch’era venuto a mostrarci la via. Volle essere posto in una piccola mangiatoia, colui ch’era venuto a preparar per noi l’ampiezza del regno dei cieli. Non in panni di seta e dorati, ma poveri, volle essere avvolto, colui ch’era venuto a restituirci la veste dell’immortalità. Permise di essere costretto in una culla, colui che si era affrettato a scioglierci mani e piedi, perché facessimo opere buone. Che dobbiamo dire, fratelli? Diciamo col salmista: Che cosa darò in cambio al Signore per tutto ciò che mi ha dato? Egli trovò un calice per retribuzione, noi diamo ciò che possiamo: elemosine, vigilie, lagrime, pace. Perdoniamo a chi ha peccato contro di noi, perché Dio perdoni i nostri peccati.

       I pastori, che alla nascita del Figlio di Dio vegliano sul gregge e vedono gli angeli, sono i santi predicatori, che quanto più s’impegnano a custodire le anime, tanto più spesso meritano il sollievo del colloquio angelico. Ma all’apparizione dell’angelo i pastori si turbano, perché è proprio della natura umana temere alla vista degli angeli ed è proprio dei buoni angeli portar consolazione a quelli che temono. Perciò l’angelo dice subito ai pastori: Non temete; e aggiunge: Ecco, vi do una grande gioia, per voi e per tutto il popolo. Dice giusto: Per tutto il popolo, perché da tutto il popolo ci fu gente che si volse alla fede.

       Mentre un solo angelo parlava ai pastori, subito una moltitudine di angeli si manifestò e disse: Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà. E questo c’insegna che quando anche un solo fratello parla, insegna o fa un’opera buona, una moltitudine di fedeli dovrebbe prorompere nella lode di Dio e muoversi all’imitazione del bene che vede. All’apparire poi del Figlio di Dio nella carne si canta gloria a Dio e si augura pace sulla terra agli uomini di buona volontà. Siamo, dunque, anche noi, fratelli, uomini di buona volontà, perché possiamo vivere in pace.

       Per essere liberati da codesta persecuzione e dalla dannazione eterna, in questo giorno della nascita del Figlio di Dio, corregga ciascuno ciò che trova da riprendere in se stesso: chi è stato adultero, s’impegni alla castità; chi avaro, prometta generosità; chi ubriacone, sobrietà; chi superbo, umiltà; chi denigratore, carità. Prometta e mantenga la promessa, secondo il verso del Salmo: Promettete e mantenete le promesse fatte al Signore vostro Dio. Promettiamo lealmente, ci darà lui la forza di mantenere. Sarebbe molto ingiusto, fratelli, che oggi qualcuno non desse niente al Signore. Facciamo doni ai re e agli amici, e non daremo nulla al Creatore che viene da noi? Ed egli chiede soprattutto noi stessi. Offriamogli, dunque, noi stessi, perché liberati, per sua misericordia, dalle pene eterne, possiamo godere per sempre nella felicità del regno celeste.

       Anonimo IX sec., Hom., 2, 1-4


4. Egli si è fatto uomo per farci diventare Dio

       Qui, infatti, colui che tu ora disprezzi, una volta esisteva, ed era superiore a te: colui che ora è uomo, era privo di composizione.

       Ciò che egli era, rimase, ciò che non aveva, lo assunse.

       Al principio era senza causa.

       Quale causa, infatti, di Dio si potrebbe apportare? Ma anche dopo, nacque da una causa certa.

       Era quella, di fare acquistare la salvezza a te, insolente e ostinato, che disprezzi, perciò, la divinità, poiché egli ricevette la tua ignoranza, unito alla carne con una intenzione frapposta, e questo uomo Dio, resosi inferiore, dopo che crebbe insieme con Dio, superando la parte più nobile, divenne uno, affinché io stesso tanto diventi anche Dio, quanto egli uomo.

       Egli invero nacque, ma anche era stato generato: da una donna, invero, ma anche vergine. Quello fu un modo umano, questo divino. Qui fu privo di Padre, lì di madre.

       L’uno e l’altro di questi due fatti è proprio della divinità.

       Fu portato proprio nel seno materno, e fu riconosciuto veramente dal Profeta (Lc 1,41) e mentre ancora esisteva nel seno [materno] esultava davanti al Verbo, a causa del quale era stato procreato.

       Fu avvolto con pannolini, e tornato vivo rigettò le fasce della sepoltura.

       Fu adagiato, è vero, nella mangiatoia, ma poi fu celebrato dagli angeli (Lc 2,7) ed indicato dalla stella e adorato dai Magi (Mt 2,2).

       Perché ti meravigli di quello che è visto cogli occhi, mentre non osservi quello che è percepito con la mente e col cuore?

       Fu spinto a fuggire in Egitto; ma volse in fuga l’andare errando degli Egiziani.

       Non aveva né aspetto, né decoro umano (Is 53,2) presso i Giudei: ma secondo David era bello di volto al di sopra dei figli degli uomini (Ps 44,3) e anche sul monte, a guisa di folgore, risplende e diventa più luminoso del sole (Mt 17,2), adombrando, in tal modo, lo splendore futuro.

       Fu battezzato (Mt 3,16), è vero, come uomo: ma assunse su di sé i peccati come Dio; non perché avesse bisogno di purificazione, ma affinché dalle acque stesse arrecasse la santità.

       Fu tentato come uomo: conseguì la vittoria come Dio; ci comanda, invero, di aver fiducia in lui come in colui che ha vinto il mondo.

       Soffrì la fame (Mt 4,1-2): ma sfamò molte migliaia di persone (Mt 14,21) ed egli stesso si è reso pane che dà la vita e il Cielo (Jn 5,41). Patì la sete (Jn 19,28) ma esclamò: Se qualcuno ha sete, venga a me e beva (Jn 7,37): ed anche promise di fare scaturire, per quelli che hanno fede, fonti di acqua viva.

       Provò la fatica (Jn 4,6): ma diventa riposo di quelli che sono affaticati ed oppressi (Mt 11,28).

       Fu sfinito dal sonno (Mt 8,24): ma leggero cammina sul mare, rimprovera i venti e salva Pietro che già era sommerso [dalle acque] (Mt 14,25).

       Paga le imposte, ma dal pesce (Mt 17,23): ma è il Re degli esattori [di tasse]. È chiamato Samaritano e posseduto dal demonio (Jn 8,48): ma a colui che scendendo da Gerusalemme (Lc 10,5) era incappato nei ladroni, porta la salvezza, ed è riconosciuto dai demoni (Mc 1,24 Lc 4,34), e scaccia i demoni, e spinge a precipitare in mare legioni di spiriti (Mc 5,7) e vede il principe dei demoni, quasi come una folgore, precipitare dal cielo (Lc 8,18).

       È assalito con pietre, ma non è preso (Jn 8,59).

       Prega, ma esaudisce gli altri che pregano. Piange, ma asciuga le lacrime; domanda dove è stato sepolto Lazzaro: era infatti uomo; ma risuscita dalla morte alla vita Lazzaro: era infatti Dio.

       È venduto, e, invero, a poco prezzo, cioè a trenta sicli d’argento (Mt 26,15), ma nel frattempo redimeva il mondo a grande prezzo, cioè col suo sangue (1P 1,19 1Co 6,20). È condotto alla morte come una pecora (Is 53,7); ma egli pasce Israele, ed ora anche l’intero mondo.

       Come un agnello è muto (Ps 77,71), ma egli è lo stesso Verbo, annunziato nel deserto dalla voce di colui che gridava (Jn 1,23). Fu affranto e ferito dall’angoscia (Is 53,4-5), ma respinge ogni malattia e angoscia (Mt 9,35).

       È tolto sul legno e vi è appeso, ma restituì noi alla vita, col legno, e dona la salvezza anche al ladrone (pendente dal legno), ed oscura tutto ciò che si scorge.

       È abbeverato con aceto e nutrito di fiele (Lc 23,33 Mt 27,34): ma chi?

       Colui, cioè, che cambiò l’acqua in vino (Jn 2,7), e assaporò quel gusto amarognolo, egli che era la stessa dolcezza ed ogni desiderio (Ct 5,16).

       Affida la sua anima: ma conserva la facoltà di riprenderla di nuovo (Jn 10,18), ma il velo si scinde (e le potenze superiori si manifestano); ma le pietre si spezzano, ma i morti risorgono (Mt 27,51).

       Egli muore, ma ridà la vita, e sconfigge la morte, con la sua morte.

       È onorato con la sepoltura, ma risorge [dalla tomba].

       Discende agli Inferi, ma accompagna le anime in alto, e sale al cielo, e verrà a giudicare i vivi e i morti e ad esaminare tali suoi discorsi.

       Ché se quelle... ti apportarono l’occasione dell’errore, queste scuoteranno il tuo errore.

       Gregorio Nazianzeno, Oratio, 29, 19-20


5. Simile a noi nella morte, perché simile a noi nella nascita

       La condizione del nascere rende, certo, necessaria la morte. Conveniva, infatti, che colui che, una volta sola, aveva stabilito di essere partecipe dell’umanità, avesse tutte le proprietà della natura.

       Dal momento che la natura umana fu partecipata con duplice fine, se fosse stato solo con uno (di essi) e non avesse conseguito l’altro, l’intenzione sarebbe rimasta imperfetta, come chi non avesse raggiunto l’altra proprietà della nostra natura umana.

       Forse, invece, qualcuno, avendo appreso il mistero con cura ed esattezza, con maggior consenso avrebbe detto che la morte non sarebbe venuta per il fatto che egli era nato, ma, al contrario, la causa della morte era stata l’aver egli accettato la condizione di nascere.

       Egli, eterno, non andò incontro ad una generazione pertanto corporea, poiché aveva bisogno della vita, ma ci richiamò dalla morte alla vita.

       Poiché, dunque, occorreva che avvenisse la risurrezione di tutta la nostra natura dai morti; come porgendo la mano a colui che giaceva (privo di vita), e per questo guardando il nostro cadavere, si avvicinò tanto alla morte, quanto ne aveva preso la mortalità, e aveva dato alla natura l’inizio della risurrezione col suo corpo, affinché con la sua virtù e potenza risuscitasse insieme l’uomo nella sua interezza.

       Poiché, infatti, la sua carne non diversamente che dalla nostra natura proveniva, la quale aveva ricevuto Dio, e, senza dubbio, a causa della risurrezione fu risuscitata insieme con la divinità come nel nostro corpo l’operato procede dai mezzi dei sensi di uno, unito alla parte per l’intero consenso, così anche se ci fosse qualche essere vivente in tutta la natura, la risurrezione di una parte passa all’intero universo, e a causa della continuità e salvezza della natura tutto concorre in parte.

       Che cosa, infatti, impariamo di lontano dalla probabilità e verosimiglianza, nel mistero, se qualcuno sta diritto, si china, e colui che cade, oppure che giace per rialzarlo?

       Gregorio di Nissa, Oratio catech., 32, passim


6. Il mistero di Gesù fanciullo

       Il Signore nostro Dio è un solo Dio. Non può variare, non può cambiare, come dice David: Tu sei sempre uguale e i tuoi anni non vengono mai meno. Dunque questo Dio nostro eterno, fuori del tempo, immutabile, s’è fatto nella nostra natura mutabile e temporale, per aprire alle cose mutabili una via alla sua eternità e stabilità, e questa via è proprio la mutabilità ch’egli ha preso per noi, in modo che in un solo e medesimo Salvatore noi troviamo la via per cui salire, la via cui giungere e la verità da possedere, poiché egli disse: Io sono la via, la verità e la vita.

       Perciò il nostro grande Signore, rimanendo nella sua natura, nacque bambino secondo la carne, crebbe in determinati tempi e si sviluppò secondo la carne, perché noi piccoli nello spirito, o quasi niente, nascessimo spiritualmente e crescessimo secondo la successione e il progresso delle età spirituali. Così il suo progresso corporale è il nostro progresso spirituale; e tutte le cose, ch’egli ha fatto in diverse età (coloro che sono avanti nella perfezione lo capiscono), si realizzano in noi attraverso i singoli gradi del progresso. La sua nascita corporale, dunque, sia il modello della nostra nascita spirituale, cioè della santa conversione; la persecuzione, ch’egli subì da parte di Erode, è un simbolo delle tentazioni che subiamo dal diavolo al principio della nostra conversione; la sua crescita a Nazareth rappresenti il nostro progresso nella virtù.

       Aelredo di Rievaulx, De Iesu duodec., 2


7. Il mistero di povertà del Natale

       Oh, se potessi vedere quella mangiatoia in cui giacque il Signore! Ora, noi cristiani, come per tributo d’onore, abbiamo tolto quella di fango e collocato una d’argento: ma per me è più preziosa quella che è stata portata via. L’argento e l’oro si addicono al mondo pagano: alla fede cristiana si addice la mangiatoia fatta di fango. Colui che è nato in questa mangiatoia disprezza l’oro e l’argento. Non disapprovo coloro che lo fecero per rendergli onore (né in verità coloro che fecero vasi d’oro per il tempio): mi meraviglio invece che il Signore, creatore del mondo, nasca non in mezzo all’oro e all’argento, ma nel fango.

       Girolamo, Homilia de Nativitate Domini, 31-40


8. Betlemme ha riaperto l’Eden

       Betlemme ha riaperto l’Eden, vedremo come. Abbiamo trovato le delizie in un luogo nascosto, nella grotta riprenderemo i beni del Paradiso. Là, è apparsa la radice da nessuno innaffiata da cui è fiorito il perdono. Là, si è rinvenuto il pozzo da nessuno scavato, dove un tempo David ebbe desiderio di bere. Là, una vergine, con il suo parto, ha subito estinto la sete di Adamo e la sete di David. Affrettiamoci dunque verso quel luogo dove è nato, piccolo bambino, il Dio che è prima dei secoli.

       Il padre della madre è, per sua libera scelta, divenuto suo figlio; il salvatore dei neonati è un neonato egli stesso, coricato in una mangiatoia. Sua madre lo contempla e gli dice: «Dimmi, figlio mio, come sei stato seminato in me, come sei stato formato? Io ti vedo, o carne mia, con stupore, poiché il mio seno è pieno di latte e non ho avuto uno sposo; ti vedo avvolto in panni, ed ecco che il sigillo della mia verginità è sempre intatto: sei tu infatti che l’hai custodito quando ti sei degnato di venire al mondo, bambino mio, Dio [che sei] prima dei secoli».

       Romano il Melode, Carmen X, Proimion, 1, 2




FESTA DI SANTO STEFANO PROTOMARTIRE


(26 dicembre)

       Incontriamo la commemorazione di santo Stefano in Oriente, verso il IV secolo; viene celebrata a Costantinopoli il 27 dicembre, in Siria e a Gerusalemme il 26 dicembre. In Occidente, il culto del santo martire compare agli inizi del secolo V e si diffonde dopo che nell’anno 415 furono ritrovate a Gerusalemme le sue reliquie. Sorgono molte chiese e cappelle dedicate al santo. A Roma, nel secolo V esistevano già due basiliche sotto il titolo di santo Stefano. La dedicazione di una di esse diede inizio alla seconda già durante l’anno della commemorazione di santo Stefano, il giorno 3 agosto, che attualmente non esiste più.

       Ieri, la Chiesa festeggiava la nascita di Cristo, oggi celebra il «giorno della nascita» di santo Stefano, poiché così sin dai primi tempi viene chiamato il giorno in cui un santo entra nella gloria celeste, cioè il giorno della sua morte. Santo Stefano, fedele testimone fino al versamento del sangue, confessa che Cristo è il Salvatore atteso dagli uomini. La congiunzione di queste due feste porta ad una riflessione: Cristo nacque sulla terra, affinché Stefano possa nascere al cielo; Cristo è venuto nel mondo, affinché Stefano possa entrare nella gloria. Stefano, morendo, segue il suo Maestro: prega per coloro che lo lapidano, prega per Saulo ai piedi del quale sono deposte le sue vesti. Il martirio è un segno della presenza di Cristo nella Chiesa, della potenza della grazia di Dio e del potere che Dio concede ai suoi confessori. Il martirio ha la forza di trasformare Saulo in Paolo. Per seguire Cristo, bisogna saper perdere per lui la propria vita. Solo colui che ha la fede viva nel Signore dona quotidianamente la sua vita per lui, ed è pronto persino alla effusione del sangue.

       Dio onnipotente ed eterno,

       che eleggesti il diacono Stefano per annunziare il Vangelo.

       Egli per primo versò il suo sangue

       a testimonianza del Signore

       e meritò di vedere nei cieli aperti il Salvatore risorto

       alla tua destra.

       Morendo, ripeteva le parole del Maestro sulla croce

       e le confermava col proprio sangue.

       Dal Calvario, Gesù aveva gettato il seme del perdono,

       e Stefano, suo vero discepolo, per chi lo lapidava

       innalzava la sua preghiera.

       Insieme con questo perfetto imitatore di Cristo,

       di cui oggi celebriamo la gloriosa memoria,

       esultando con gli angeli e coi santi,

       eleviamo a te, o Padre, l’inno di lode.

       Messale Ambrosiano, Milano1976: Santo Stefano primo martire, Prefazio


1. S. Stefano, festa di un soldato

       Ieri, abbiamo celebrato la nascita nel tempo del nostro eterno Re; oggi celebriamo la trionfale passione del soldato. Ieri, infatti, il nostro Re, rivestito della nostra carne e uscendo dal seno della Vergine, si è degnato di visitare il mondo; oggi il soldato, uscendo dalla tenda del corpo, è entrato trionfante nel cielo. Quegli, pur conservando la maestà dell’eterna divinità, indossando l’abito servile della carne, è sceso per combattere nel campo del mondo; questi, spogliatosi degli indumenti corruttibili del corpo, è asceso al palazzo del cielo per regnare eternamente. Quegli è sceso vestito della carne, questi è salito coronato del martirio. Questi è salito lapidato dai Giudei, poiché quegli scese tra il giubilo degli angeli. Gloria in excelsis Deo cantarono ieri i santi angeli esultanti; oggi hanno accolto Stefano nella loro schiera. Ieri il Signore è uscito dal seno della Vergine; oggi il soldato è uscito dalla prigione della carne. Ieri Cristo fu avvolto per noi in umili panni; oggi Stefano è stato da lui vestito della stola dell’immortalità. Ieri l’angustia di una mangiatoia accolse Cristo infante; oggi l’immensità del cielo ha accolto Stefano trionfatore. Il Signore scese solo per innalzare molti; il nostro Re si umiliò per esaltare i suoi soldati. Infatti colui che preparò per il proprio corpo il seno della Vergine, si degnò di aprire il cielo al suo martire. Cristo Signore non disdegnò di entrare in un angusto grembo, perché la vastità del cielo accogliesse l’anima di Stefano.

       Dunque la carità che fece scendere Cristo dal cielo in terra, innalzò Stefano dalla terra al cielo. La carità che fu prima nel Re, rifulse poi nel soldato. O potenza del Salvatore ovunque degna di ammirazione! O grazia del Redentore degna di lodi incessanti! Mostrò nella Madre il prodigio dell’eterna verginità rivelò nel martire un amore invincibile. Infatti la purezza rimase intemerata nella Vergine, la potenza dell’amore restò invitta nel martire. E come nella Madre del Signore non poté essere violata la verginità, così nell’animo del martire l’amore di Cristo non poté essere vinto dalla turba di quelli che furono tanto crudeli Stefano, dunque, per meritare la corona che il suo nome significa, aveva per arma la carità e con essa vinceva dovunque. Grazie alla carità non cedette ai Giudei che incrudelivano contro di lui per la carità verso il prossimo pregò per coloro che lo lapidavano. Con la carità rimproverava gli erranti perché si ravvedessero; con la carità pregava per i lapidatori perché non fossero puniti. Sorretto dalla potenza della carità, vinse Saulo che crudelmente infieriva su di lui e colui che ebbe in terra come persecutore, meritò di avere in cielo come compagno. La stessa santa ed instancabile carità desiderava redimere con la preghiera coloro che non poteva convertire con gli ammonimenti. E infatti, fratelli, non bisogna credere che Stefano amasse i nemici quando pregava per loro e non quando attaccava con i rimproveri la loro incredulità. Lontano questo dall’anima del martire che si affrettava verso il palazzo del cielo. In verità quel santo amore conservò ferma nella preghiera la pazienza che frenò lo sdegno che si deve dominare nel rimprovero. E quindi nella preghiera la dolcezza meritò di essere ascoltata, poiché nella riprensione non vi fu severità senza l’amore; e per questo, sia pregando, sia rimproverando, il beato Stefano mantenne la carità, perché dall’una e dall’altra parte si preoccupò della salvezza dei peccatori e con la testimonianza della santa orazione dimostrò che quei rimproveri non erano ispirati dall’odio, ma dall’amore.

       E così facendo il beato martire mostrò ai presenti la carità e lasciò ai posteri un esempio di grande utilità. Mostrò, infatti, la duplice cura dell’amministratore ecclesiastico affinché, volendo correggere l’errore di ogni peccatore, non manchi il rimprovero e si elevi a Dio una supplica per lui; perché chi fa del male, attraverso i rimproveri per le cattive azioni commesse, resti confuso e mediante la preghiera trovi aiuto in Dio; e così la carità non solo faccia risuonare con la voce la giustizia per correggere l’errante, ma anche nel cuore conservi la pazienza per pregare per il peccatore con puri sentimenti d’amore.

       Perciò spinti dall’amore di Cristo, esortiamo i buoni a perseverare nel bene e cerchiamo di allontanare dal male i cattivi. Proprio perché in questi due santi ci viene data una duplice testimonianza di salvezza, perché, se uno è buono, imiti in Stefano la perseveranza dell’amore, chi invece è cattivo, segua in Paolo l’esempio della conversione. E chi è buono, resti tale fino alla fine; chi, invece, è cattivo si allontani quanto più è possibile dalla propria perversità. E la speranza di giustizia non renda negligente l’uomo buono, né la consapevolezza dell’iniquità faccia disperare il cattivo, ma quegli si mantenga forte nel bene, questi rinunci prontamente al male. Il buono abbia timore di cadere, il cattivo si sforzi di redimersi. Pertanto chiunque è malvagio sia prostrato con Paolo nel male, affinché con lui sia innalzato nel bene; infatti anche egli cadde da malvagio per poi rialzarsi buono. Si abbatté l’iniquo e si sollevò il giusto; cadde il crudelissimo persecutore e si alzò il predicatore della verità. Cadendo l’empio perse la luce del corpo, ma poi alzandosi ricevette da uomo giusto la luce del cuore. E così si unì a Stefano, da lupo divenne agnello. Ed ecco che ora Paolo è con Stefano nel gaudio, con Stefano gode della gloria di Cristo, con Stefano esulta, con Stefano regna. Infatti dove Stefano, trucidato dalle pietre scagliate da Paolo, giunse prima, là andò poi Paolo, grazie alle preghiere di Stefano.

       Come è vera, fratelli miei, quella vita dove Paolo non si turba per l’uccisione di Stefano, ma Stefano si rallegra per la compagnia di Paolo, poiché la carità esulta in entrambi. Infatti la carità in Stefano vinse la crudeltà dei Giudei, la carità, in Paolo, coprì la moltitudine dei peccati (1P 4,8), per la carità meritarono di possedere insieme il regno dei cieli. Dunque, è la fonte e l’origine di ogni bene, il baluardo via che conduce al cielo. Chi cammina nella carità no potrà errare, né temere. Essa guida, protegge, conduce fino alla meta. Perciò, fratelli, poiché Cristo ha creato la scala della carità, per la quale ogni cristiano possa salire in cielo, conservate vigorosamente integra la carità, dimostratevela a vicenda e crescete continuamente in essa. Dedicatevi alle opere buone, per ottenere il premio eterno, aiutati dalla grazia di Cristo Signore Salvatore.

       Fulgenzio di Ruspe, Oratio in S. Steph., 1, 3-6


2. Cristo, dalla cattedra della croce, insegna la misericordia

       Egli rivolse loro lo sguardo, ebbe compassione di loro, chinò il ginocchio per loro.

       Per sé stava in piedi, per loro piega il ginocchio.

       Separò il giusto dai peccatori: stando in piedi, implorava per il giusto, perché esigeva la ricompensa; per i peccatori piegò le ginocchia poiché sapeva quanto difficilmente potesse essere esaudito a favore di tali peccatori.

       Sebbene giusto, sebbene costituito sotto la stessa corona, non pretese ma piegò le ginocchia: non attendendo ciò di cui egli stesso fosse degno di ricevere con la preghiera, ma ciò di cui essi stessi fossero degni, dai quali voleva allontanare delle punizioni così terribili.

       «Signore, disse, non imputare loro questo peccato».

       Cristo sulla cattedra della croce insegna la regola della pietà. Ha, come discepolo imitatore, Stefano.

       Ciò che fu Stefano, da umile, il Cristo (lo fu) in maniera sublime: ciò che egli fece rivolto alla terra, il Cristo lo realizzò appeso alla croce.

       Infatti, ricordate che egli stesso disse:

       Padre, perdona loro, poiché non sanno quello che fanno (Lc 23,34).

       Sedeva sulla cattedra della croce e insegnava la regola della pietà.

       O Maestro buono, hai detto bene, rettamente hai insegnato. Ecco il tuo discepolo prega per i tuoi nemici, prega per i suoi uccisori.

       L’umile (discepolo) insegnò in che modo debba imitarsi il sublime (maestro); la creatura, il creatore; la vittima, il mediatore; l’uomo, il Dio-uomo! Dio, ma tuttavia uomo sulla croce; a Dio-Cristo, ma uomo sulla croce, quando diceva con voce chiara: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno...

       Egli dice a se stesso: Prego per i suoi nemici, poiché era il Cristo, era Dio, era l’Unico; io che sono, perché faccio questo? Se il tuo Signore, ha grande prestigio presso di te, ignori che Stefano è il tuo condiscepolo?

       Dio insegnò per mezzo di Stefano che non si è estinto.

       Se vedete che queste cose sono state precedute nel Vangelo, o fratelli miei, nessuno dica in cuor suo: «Chi fa quella cosa?».

       Ecco, la fa Stefano: per sé, per conto suo lo fece?

       Ma se lo ha fatto per dono di Dio; forse che entrò, e chiuse contro di te? Forse che oltrepassò il ponte e lo tagliò?

       Ha molto favore presso di te?

       Chiedilo anche tu. La fonte emana ancora, non si è esaurita.

       La mitezza verso i nemici.

       L’ira è come uno scorpione.

       L’ira nemica, al di là della quale, gli altri nemici non nocciano affatto.

       E con tutta verità lo dico alla vostra carità, o fratelli miei: esercitatevi, per quanto potete, a mostrare la mitezza anche verso i vostri nemici.

       Frenate l’ira, che vi spinge alla vendetta. L’ira, infatti, è uno scorpione.

       Se ti ucciderà con i suoi impulsi interiori, tu pensi di fare qualcosa di grande se ti vendicherai del tuo nemico; rivolgiti alla tua stessa ira: poiché essa è la tua nemica, che uccide la tua anima.

       O uomo buono: non voglio dire, o uomo cattivo; è meglio che io dica cio che voglio che tu sia, che quello che sei: o uomo buono che cosa ti sta per fare il tuo nemico? che cosa ti farà affinché possa molto; affinché Dio lo affidi a tutto ciò che desidera?

       Egli desidera versare il tuo sangue. È difficile, senza dubbio, e gli stessi nemici sono rari, che infieriscono fino alla morte. Sogliano gli stessi nemici, quando vedranno quelli che perseguitano ad essere afflitti, rivolgere l’ira alla misericordia.

       Tu trovi difficile che un nemico infierisca fino alla morte. Ma fa’, fino alla morte. Poni un tale come tuo nemico che incrudelisca fino alla morte. Che cosa farà? Ciò che i Giudei a Stefano: a sé la pena, a lui la corona.

       Il tuo nemico sta per ucciderti, quasi che tu non morrai, come se tu vivrai per sempre?

       Questo, sta per farti, il tuo nemico, (cioè) ciò che ti farà la febbre: se ti ucciderà, sarà simile alla tua febbre.

       Quindi, con l’ucciderti, ti avrà nociuto? No: anzi, se morrai bene, e lo avrai amato, ti avvierà al premio celeste.

       Ignori quanto fossero superiori questi uccisori a santo Stefano?

       Forse che sapevano che per la bontà gli era dovuta la corona e che essi, a causa della loro malizia, dovevano ricevere la condanna?

       In quante cose il diavolo è superiore?

       Egli stesso ce li fece tutti martiri. Ma forse che egli partirà di qui? Ma dai suoi benefici gli sarà imputato ciò che non voleva, ciò che egli stesso desiderava, non ciò che Dio faceva di lui. Quindi, il tuo nemico, chiunque egli sia fino alla morte, non ti nuocecerà.

       Quanto nuoccia l’ira, nostra nemica. L’ira non può essere stroncata, ma può essere repressa.

       Vedi quando muore l’ira. Riconosci la tua nemica: riconosci con chi combatte nell’intimo del tuo cuore.

       Piccola sede; ma Dio osserva: ivi doma la tua nemica.

       Vuoi vedere quanto sia vera questa tua nemica? Ora le mostro.

       Tu stai per pregare Dio: sta per venire il momento di dire: «Padre nostro, che sei nei cieli». Stai per venire a quel versetto: «Perdonaci i nostri debiti». Che cosa seguirà? «Come noi li perdoniamo ai nostri debitori» (Mt 6,9-21).

       Ivi la tua nemica sta contro di te. Ti chiude la strada della preghiera: innalza un muro, e non lascia varco per dove passare.

       Hai detto bene tutto: «Padre nostro». E subito: «Rimettici i nostri debiti». E che cosa, dopo! «Come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Ecco che la stessa avversaria ti contraddice; non davanti alla lingua, ma interiormente: nello stesso santuario del tuo cuore ti guida, e si oppone a te. Qual è la nemica, o fratelli, che contraddice?

       «Come anche noi li rimettiamo...».

       Non si permette che tu infierisca contro il tuo nemico: tu infierisci contro questa.

       «È migliore colui che vince l’ira, che colui che conquista una città» dice la Scrittura (Pr 16,32 ») ...

       Dio sarà presente in mezzo alle vostre lotte, affinché vi giovi la lotta che avete ammirato di un Martire così grande affinché come l’avete ammirato vittorioso, e deste il vostro favore a lui trionfatore, così anche voi possiate riportare vittoria nel vostro cuore.

       Agostino, Sermo 315, 7


3. I meriti di Stefano son superiori a ogni elogio

      
       Chi potrà fare in dettaglio l’elogio di Stefano? Come chiamarlo? Testimone della Luce, ministro della Vita, soldato di Cristo, lampadario del Verbo, perla dello Spirito, fiore di pazienza, fondamento della filosofia, esempio d’imbattibilità, primizia dei maestri, colonna della Chiesa, pedagogo della grazia, scudo della virtù, monumento di progresso, precursore degli Apostoli, primogenito dei martiri, guida della conoscenza?

       Esichio di Gerusalemme, In S. Stephanum, 9, 4




Lezionario "I Padri vivi" 224