Lezionario "I Padri vivi" 205

PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

205 (2 febbraio)

       La commemorazione liturgica della Presentazione di Cristo al tempio compare nella Chiesa di Gerusalemme e, come riferisce la spagnola Egeria nel racconto del pellegrinaggio in Terra Santa effettuato negli anni 381-383, veniva celebrata in modo molto solenne. Da Gerusalemme, la solennità chiamata «Hypapante» [ = solenne incontro], si diffonde nella Chiesa d’Oriente Viene celebrata inizialmente il 14 febbraio (quaranta giorni dopo il Natale che l’Oriente festeggiava allora il 6 gennaio), poi è trasferita al 2 febbraio dopo che le Chiese d’Oriente hanno accolto il costume di festeggiare il Natale il 25 dicembre. Nell’anno 542, l’imperatore Giustiniano introduce la festa del 2 febbraio in tutto l’Impero d’Oriente.

       Verso la metà del secolo VII, la festa viene introdotta in Occidente dove si usa chiamarla «il giorno di san Simeone». Nel sacramentario Gelasiano essa porta il titolo della «Purificazione di Maria», benché tutte le preghiere si riferiscano alla Presentazione di Gesù al tempio. A Roma, in questo giorno, aveva luogo la più vecchia processione mariana i cui partecipanti portavano le candele accese. Sembra che, più che altro, proprio questa processione verso il più grande santuario della Madre di Dio nell’Urbe - la basilica di Santa Maria Maggiore - abbia imposto alla festa del Signore il carattere mariano, che pian piano cominciò a dominare. Malgrado tutta la ricchezza dell’apparato, la processione aveva il carattere penitenziale (il papa e gli assistenti erano vestiti in nero), come riparazione per i peccati commessi durante la coincidente festa pagana «amburbalia». La solenne benedizione delle candele compare dopo; la troviamo nei libri liturgici del X secolo.

       Maria e Giuseppe portano Gesù al tempio: ecco la venuta del Signore Potente, che illumina il suo popolo. Cristo viene riconosciuto da chi con fede attendeva la sua venuta. Il Figlio di Dio, nato prima dei secoli, viene proclamato dallo Spirito Santo gloria d’Israele e luce di tutte le genti. Il popolo della Nuova Alleanza, adunato dallo Spirito Santo nel tempio di Dio con le candele, che simbolizzano il Cristo, luce del mondo. Le candele accese le portiamo, nella processione, come segno che insieme con Cristo camminiamo nella vita verso la casa del Padre. Ripetiamo le parole di Simeone: i miei occhi hanno visto la tua salvezza e crediamo che un giorno ci troveremo al cospetto di Dio, come Cristo oggi nel tempio di Gerusalemme. Colui, che al vecchio Simeone diede la gioia di tenere Cristo tra le braccia, a noi che camminiamo per incontrarlo concederà la gioia della vita eterna.

       La Presentazione di Cristo al tempio contiene in sé qualcosa dei misteri dolorosi. Maria «offre» Gesù a Dio e ogni offerta è una rinuncia. Inizia il mistero della sua sofferenza, che sarà compiuta sotto la croce. La Croce diventerà la spada che trafiggerà la sua anima.

       Signore, che secondo la legge hai voluto essere presentato

       al Padre nel tempio di Gerusalemme,

       insegna a noi a offrirci con te nel sacrificio della tua Chiesa.

       Cristo Gesù, nostra gioia e salvezza, cercato e trovato nella

       casa del Padre tuo da Simeone, uomo giusto,

       fa’ che ti riconosciamo e ti incontriamo anche

       noi nelle membra sofferenti della tua Chiesa.

      

       Atteso dalle genti, la profetessa Anna parlava di te a tutti

       coloro che aspettavano la redenzione di Israele,

       insegnaci ad annunziare degnamente il tuo Vangelo.

       Pietra angolare del regno di Dio, posta come segno di

       contraddizione,

       fa’ che gli uomini, vivendo nella fede e nella

       carità, trovino in te la risurrezione e la vita.

       Liturgia Horarum, III: In Praesentat. Domini. Laudes, Preces


1. Cristo luce delle genti

       Lo [Il Signore] portano a Gerusalemme per offrirlo al Signore. Oh, grande ed ammirabile disposizione del decreto divino!

       Oh, profondità delle ricchezze, della sapienza e scienza di Dio! (
Rm 11,33).

       Chi [è] nel seno del Padre, chi siede insieme con Lui, chi [è] il coeterno Figlio, per mezzo del quale tutte le cose sono state divinamente create, si assoggetta alla condizione umana, e offre il sacrificio colui che è venerato con la adorazione di tutti, ed è glorificato insieme a suo Padre.

       Ma che cosa offrì come primogenito uomo? Un paio di tortore, due piccole colombe, secondo la prescrizione della legge (Lv 12,3-6).

       Ma d’altra parte, ciò che voglia significare la tortora per sé, che cosa altro voglia indicare la colomba, lo contempleremo [in futuro].

       Esse tra i volatili della campagna sono molto garrule, sono miti e tranquille.

       Così, d’altra parte, si mostra il Signore, Salvatore di tutti, verso di noi, con una dolcezza infinita, e a guisa delle colombe, che addolciscono la terra, e con la soavità della parola, riempiendo la vite, cioè, noi che crediamo in Lui.

       Perché, si trova scritto nel Cantico dei Cantici: si è udita sulla nostra terra la voce della tortora (Ct 2,12).

       A noi, infatti, è rivolto l’annuncio divino ed evangelico della salvezza.

       Le tortore e le colombe sono state offerte, mentre offrivano se stessi al Signore, e nel medesimo tempo era lecito vedere la verità insieme alle immagini.

       Cristo offrì se stesso in odore di soavità (Ep 5,2), affinché offrisse noi a Dio Padre per mezzo di se stesso ed in se stesso, e ci comunicò l’inimicizia che fu la nostra sorte a causa di quella ribellione di Adamo e del peccato che su noi tutti pesava col suo comando.

       A lui stesso, infatti, una volta gridavamo: Rivolgi il tuo sguardo su di me ed abbi pietà di me (Ps 24,16).

       Che cosa, d’altronde, si può paragonare a quella gioia, che qualcuno possiede quando conosca che Dio ha conservato tutto il mondo, mediante il suo Figlio per il fatto che egli si è fatto simile a noi?

       È scritto, infatti, che Dio è unico ed unico il mediatore di Dio e degli uomini, Gesù Cristo, che offrì se stesso come riscatto per noi (1Tm 2,5-6).

       Spontaneamente, infatti, venne incontro alla nostra miseria, per renderci ricchi, qualora faremo di lui un guadagno (2Co 8,9).

       Osservala bene, quindi, l’unica cosa di noi che venga offerta al Padre, e segua le ombre della legge, ed inoltre sacrifica secondo il costume, benché queste provengano dalla madre.

       Forse che, dunque, fu nascosto a tutti gli abitanti di Gerusalemme, né a nessuno di essi, che ivi risiedevano, fu conosciuto?

       Ma in che modo ciò sia vero?

       Dio, infatti, il Padre, predisse attraverso i profeti che il Figlio sarebbe apparso, per salvare quelli che erano perduti, ed illuminare quelli che erano nelle tenebre.

       Pertanto, attraverso un solo profeta disse: Si avvicina presto la mia giustizia, e la mia misericordia, affinché sia rivelata (Is 56,1).

       E la mia salvezza risplenderà come una lampada (Is 62,1).

       Cristo, d’altra parte, è giustizia e pace.

       Noi, infatti, abbiamo conseguito per lui la misericordia, e siamo stati giudicati, dopo di essere stati purificati dalle nostre iniquità, in grazia, cioè, della fede in Lui.

       Colui, infatti, che è la luce per quanti si trovano nelle tenebre e nella notte, anche nella caligine e nelle tenebre dello spirito, Cristo si è fatto per essi luce divina.

       E parimenti i beati profeti supplicavano di diventare partecipi di questa grazia, dicendo: Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza (Ps 84,8).

       Dunque, portato il Cristo nel tempio, pur non parlando ancora, così com’era, piccolo e lattante: ma Simeone, beato, riempito di grazia profetica, lo accolse nelle sue braccia, e colmo di somma gioia, benedisse Dio dicendo: Ora, Signore, puoi lasciare pure il tuo popolo andare in pace, secondo la tua parola [promessa]. Poiché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, che tu hai preparato davanti a tutti i popoli, luce per la rivelazione a tutte le genti e gloria per il tuo popolo Israele (Lc 2,29-32).

       Fu preparato, in effetti, il mistero del Cristo, anche prima della stessa creazione del mondo, ma si manifestò ai tempi ultimi del mondo, e fu fatta la luce mentre al di fuori si ispessivano le tenebre, e ingannati e soggetti al potere del demonio.

       Questi, al contrario, era al servizio della creatura piuttosto che del Creatore (Rm 1,25), ed adoravano il dragone, come adoratore del male, e attribuivano la gloria di Dio all’infida moltitudine dei demoni, ma sono stati chiamati da Dio Padre, per la conoscenza del Figlio, che è la luce vera.

       Disse, dunque, per bocca di Isaia: Indicherò loro e li accoglierò, perché li redimerò e diventeranno numerosi, come erano moltissimi i delusi, ma per mezzo del Cristo sono stati chiamati.

       Molti, però, sono di nuovo come antecedentemente, accolti e redenti, dopo ricevuto da Dio Padre il segno della pace, e cioè l’amicizia e la grazia per mezzo della fede nel Cristo.

       I discepoli del Divin Maestro si sono diffusi poi tra i popoli.

       E allora che cosa (procede) di qui? Quelli che erano lontani da Dio, divennero discepoli quasi per affetto; e a questi anche il beato Paolo scrive, dicendo: Ma ora voi, che un tempo eravate lontani [dalla fede] siete diventati quasi consanguinei del Cristo (Ep 2,13). Quelli che, da altra parte, lo divennero, quasi fanno di Cristo la propria gloria.

       Disse, infatti, di essi di nuovo Dio Padre: E li conforterò nel Signore loro Dio, e nel suo nome saranno glorificati, dice il Signore (Za 10,12).

       Anche il beato Salmista insegna lo stesso parlando quasi al Salvatore di tutti: Signore, cammineranno nella luce del tuo volto, e nel tuo nome gioiranno tutto il giorno, ed esulteranno nella tua giustizia, poiché tu sei la gloria della loro virtù (Ps 88,16-18).

       Troviamo, inoltre, il profeta Geremia che grida a Dio: Signore, mia fortezza e mio aiuto e rifugio nel giorno delle mie sventure. A te verranno tutti i popoli dagli estremi confini della terra, e diranno: Poiché i nostri padri si sono fabbricati falsi idoli e non trovano in essi utilità (Jr 16,19).

       Cristo è, quindi, diventato luce per la rivelazione delle genti, ma anche per la gloria di Israele (Lc 2,32).

       Sebbene, infatti, ci furono tra quei popoli numerosi ingiusti ostinati e insensati, tuttavia il resto è stato salvato e glorificato per mezzo del Cristo.

       Le primizie, invece, furono i discepoli del Signore, la cui gloria illumina tutto il mondo.

       La gloria, parimenti, è di Israele, poiché da loro nacque secondo la carne, quantunque Dio sia costituito al di sopra di tutti, e benedetto nei secoli. Amen.

       Simeone benedice, in seguito, la santa Vergine, giacché, si comportò secondo la divina volontà, e fu ministro del parto, né ella fu soggetta alle leggi dell’umanità.

       La Vergine, in effetti, diede alla luce, non secondo le leggi umane, ma a causa della discesa dello Spirito Santo in essa.

       Che cosa, invero, disse il profeta Simeone sul Cristo? Ecco che questi sarà causa di rovina e di risurrezione per molti in Israele, e sarà oggetto di contraddizione (Lc 2,34).

       L’Emmanuele, infatti, è posto da Dio Padre, come fondamento di Sion, essendo egli la pietra scelta, preziosa e fondamentale: ma quelli che credettero in lui, non sono stati confusi; ma quanti non credettero in lui, e lo hanno ignorato, e quelli che non poterono vedere i suoi misteri, cadendo sono andati in rovina.

       Disse, infatti, altrove di nuovo Dio Padre: Ecco, io pongo in Sion la pietra d’inciampo, e la pietra di scandalo, e colui che crede in essa non sarà deluso; ma chi cadrà su di essa, sarà stritolato (Is 8,14-15 Rm 9,33).

       Ma il profeta rassicurerà gli Israeliti dicendo: Santificatelo, ed egli sarà la vostra luce, e se avrai fiducia in lui, egli ti santificherà e non cadrete sulla pietra di scandalo, né sulla pietra di rovina (Is 8,13-14).

       Poiché Israele, dunque, non santificò l’Emmanuele, Dio, essendo Signore e né in seguito volle credere in lui, urtò contro la pietra a causa dell’incredulità, fu schiacciato e cadde: ma molti si risollevarono, cioè quelli che accolsero la fede in lui. Furono trasferiti dal culto legale a quello spirituale, e dallo spirito di schiavitù, che avevano in sé, ottengono lo spirito di libertà, che è santo, veramente, e divengono partecipi della natura divina (2P 1,4), sono insigniti dall’adozione dei figli di Dio ed hanno la speranza di impadronirsi della città celeste, cioè del regno di Dio.

       Ma il segno di contraddizione, richiama la croce preziosa come anche scrive il sapientissimo Paolo: Per i Giudei essa è uno scandalo e per i gentili una follia (1Co 1,23). E di nuovo: Per quelli che si dannano la parola della croce è stoltezza, ma per quelli che si salveranno, cioè, per noi, è virtù di Dio, per la salvezza (1Co 1,24).

       Cirillo di Alessandria, Hom. 12


2. Maria si purifica e Gesù si offre

       Diresti: Non poteva Maria risentirsi e dire: Che bisogno ho io di purificazione? perché non dovrei entrar nel tempio, se il mio seno verginale è stato fatto tempio dello Spirito Santo? Non potrei entrar nel tempio io, che ho dato alla luce il padrone del tempio? In questa concezione non c’è stato niente d’impuro, niente d’illecito, niente da purificare; anzi, questo mio figlio è fonte di purezza ed è venuto a liberare dal delitto. Che cosa può purificare una osservanza legale in me, che son diventata purissima proprio col parto immacolato? Veramente, o beata Vergine, non c’è motivo, non hai bisogno di purificazione. Ma aveva bisogno tuo figlio d’esser circonciso? Sii tra le donne come una di loro; anche tuo figlio sta così tra il numero dei bambini. Volle essere circonciso e non vorrà tanto più essere offerto? Offri tuo figlio, Vergine consacrata e presenta al Signore il frutto benedetto del tuo seno. Offri per la riconciliazione di noi tutti l’ostia santa, che piace a Dio. Dio Padre accetterà certamente l’offerta nuova e preziosissima ostia, di cui egli stesso dice: Questi è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto (Mt 3,17). Ma questa offerta, fratelli, sembra abbastanza delicata: è presentata al Signore, è pagata con uccelli, ed è subito riportata a casa. Verrà il giorno, che non sarà offerta nel tempio, né tra le braccia di Simeone, ma fuori le mura e sulle braccia della croce. Verrà il giorno, che non sarà riscattato da sangue altrui, ma riscatterà gli altri col suo sangue, perché Dio padre lo mandò come riscatto del suo popolo. Quello sarà il sacrificio vespertino, questo è il mattutino. Questo è più giocondo, ma quello è più pieno. Questo è dell’infanzia, quello della pienezza dell’età. Dell’uno e dell’altro puoi sentire ciò che il profeta predisse: Fu offerto, perché lo volle lui (Is 53,7). Anche ora, infatti, non è stato offerto, perché ce n’era bisogno, non perché egli fosse soggetto alla legge, ma perché lo volle lui. E in croce ci fu innalzato non perché l’aveva meritato, non perché il Giudeo riuscì a crocifiggerlo, ma perché lo volle lui. Ti farò sacrifici volentieri, o Signore, perché tu ti sei offerto volentieri per me, non per tuo bisogno.

       Ma che cosa offriamo noi, fratelli, o che cosa gli diamo per tutto quanto lui ci ha dato? Per noi lui ha offerto la più preziosa ostia che aveva, anzi, così preziosa che non ci poteva essere niente di meglio; anche noi, dunque, facciamo quanto possiamo, offrendo a lui il nostro meglio, offriamo ciò che noi siamo. Lui diede se stesso; tu chi sei, che indugi a offrirti? Chi mi aiuterà a far in modo che la tua maestà accolga la mia offerta? Ho due spiccioli, Signore, il mio corpo e la mia anima. Magari potessi offrirteli degnamente in sacrificio di lode! Sarebbe, infatti, tanto bene per me e tanto più glorioso essere offerto a te, che essere abbandonato a me stesso.

       Poiché l’anima mia, lasciata a me, si turba, in te invece il mio spirito esulterà, se ti viene offerto sinceramente. Fratelli, al Signore che doveva morire, il Giudeo offriva vittime morte, ma ora: Io vivo, dice il Signore; non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva (Ez 33,11). Il Signore non vuol la mia morte; e non gli darò volentieri la mia vita? Questa è, infatti, l’ostia che placa, l’ostia che piace a Dio, l’ostia viva. Ma in quell’offerta del Signore leggiamo che c’erano tre persone, nella nostra offerta son richieste tre cose. Nell’offerta del Signore c’era Giuseppe, sposo della madre del Signore, del quale Gesù era ritenuto figlio; c’era la stessa Vergine madre e il bambino Gesù, che veniva offerto. Ci sia dunque anche nella nostra offerta la costanza virile, ci sia la continenza della carne, ci sia l’umile coscienza. Ci sia, dico, nel proposito l’animo virile di perseverare, ci sia castità verginale nella continenza, ci sia la semplicità e l’umiltà del bambino nella coscienza. Amen.

       Bernardo di Chiarav., De purificat. B.M., Sermo III, 2-3


3. La luce interiore

       Con gli occhi risanati, che potremo avere di più prezioso, fratelli? Quelli che vedono questa luce che fu fatta, che risplende dal Cielo, oppure che viene offerta dalla lucerna, provano gioia.

       E come non vengono guardati come miseri quelli che non possono vedere tale cosa?

       E io perché poi parlo, perché dico queste cose, se non per esortare tutti voi a gridare quando passa Gesù?

       Io lodo la luce della vostra santità, che si deve amare e che voi, per caso, non osservate. Credete, finché ancora non vedete; e gridate, affinché vediate.

       Così grande è considerata l’infelicità degli uomini, che non vedono questa luce del corpo? Qualcuno è abbagliato: di continuo si ripete: «Considerò Dio adirato, e commise qualche male».

       Questo diceva la moglie di Tobia al marito.

       E gli gridava a causa del capretto, affinché non si trattasse di furto; non voleva ascoltare in casa propria la parola «furto»: essa, difendendo il suo operato, rimproverava il marito di vergogna: e rispondendo egli: Restituite, se si trattava di furto; ella rispondeva, insultandolo: Dove la tua giustizia? (Tb 2,21-22).

       Ma quella che difendeva il furto, era cieca: e quale luce vedeva, colei che comandava che il furto fosse restituito!

       Ella era fuori alla luce del sole: egli era dentro alla luce della giustizia.

       Chi di loro si trovava nella luce migliore?

       O fratelli, esortiamo ad amare questa luce! che debba amarsi questo vostro affetto: affinché gridiate con le opere, quando il Signore passa: risuonerà la voce della fede; affinché standoci Gesù, cioè la Sapienza, immutabile di Dio, anche la rnaestà del Verbo di Dio per il quale tutte le cose sono state fatte, apra i vostri occhi.

       Lo stesso Tobia, ammonendo suo figlio, lo avvertiva affinché gridasse: lo avvisava, cioè, per le opere buone.

       Lo consigliava a distribuire ai poveri, gli comandava di fare elemosine ai bisognosi, e gli insegnava a dire: Figlio, le elemosine non permettono di andare nelle tenebre (Tb 4,11).

       Il cieco dava consiglio di prendere e di ottenere la luce.

       Le elemosine, disse, non permettono di entrare nelle tenebre.

       Se, suo figlio, meravigliato, gli avesse risposto: «Perché tu, padre, non predicasti le elemosine, di cui, or ora, tu cieco parli?».

       Non sei tu, ora, nelle tenebre, tu che mi dici: «Le elemosine non permettono di penetrare nelle tenebre?».

       Egli conosceva con quale luce ammaestrava il figlio, conosceva nell’intimo dell’uomo ciò che vedeva. Il figlio porgeva al Padre la mano, affinché camminasse per il mondo; e il padre al figlio affinché abitasse nel Cielo.

       Agostino, Sermo 88, 15


4. La bellezza delle realtà corporee è pervertitrice

       O Luce, che vedeva Tobia, quando, con questi occhi chiusi, insegnava al figlio la via della vita e lo precedeva col piede della carità senza mai perdersi, che vedeva Isacco con i lumi della carne sommersi e velati dalla vecchiaia, quando meritò non già di benedire i figli riconoscendoli, ma di riconoscerli benedicendoli; che vedeva Giacobbe quando, privato anch’egli della vista dalla grande età, spinse i raggi del suo cuore illuminato sulle generazioni del popolo futuro prefigurato nei suoi figlioli, e impose sui nipoti avuti da Giuseppe le mani arcanamente incrociate, non come il loro padre cercava di correggerlo esternamente, ma come lui distingueva internamente. Questa è la Luce, l’unica Luce, e un’unica cosa coloro che la vedono ed amano.

       Viceversa questa luce corporale, di cui stavo parlando, insaporisce la vita ai ciechi amanti del secolo con una dolcezza suadente, ma pericolosa. Quando invece hanno imparato a lodarti anche per essa, Dio creatore di tutto, l’attirano nel tuo inno, anziché farsi catturare da lei nel loro sonno. Così vorrei essere. Resisto alle seduzioni degli occhi nel timore che i miei piedi, con cui procedo sulla tua via, rimangano impigliati, e sollevo verso di te i miei occhi invisibili, affinché tu strappi dal laccio dei miei piedi (Ps 24,15), come fai continuamente, poiché vi si lasciano allacciare. Tu non cessi di strapparmi di là, mentre io ad ogni passo sono fermo nelle tagliole sparse dovunque, perché tu non dormirai, né sonnecchierai, custode d’Israele (Ps 120,4).

       Agostino, Confess., 10, 34


5. Inno vespertino dei Greci

       Gesù Cristo, giocondo splendore della gloria del Padre immortale, celeste, santo, beato; giunti al tramonto del sole, vedendo la luce della sera, diamo lode al Padre, al Figlio e al Santo Spirito di Dio. Sei degno di essere benedetto a ogni ora con parole sante, Figlio di Dio, datore di vita; perciò, il mondo ti dà gloria.

       Hymn. «Phos Hilaron», EP 108




MERCOLEDÌ DELLE CENERI E TEMPO DI QUARESIMA


Verso la metà del II secolo, compare la preparazione alla Pasqua, intesa allora come ricordo della morte salvifica di Cristo (Venerdì Santo). Alcune Chiese, in Gallia, rispettano il digiuno il Venerdì Santo, le altre anche il Sabato Santo e alcune persino il Giovedì Santo o addirittura il Mercoledì Santo. I fedeli in Africa, come quelli di Roma, sono tenuti al digiuno il Venerdì Santo e il Sabato Santo. La Chiesa d’Egitto conosce il digiuno settimanale, ma anche qui c’è una certa libertà.

       La preparazione di quaranta giorni alla festa di Pasqua viene introdotta all’inizio del IV secolo e comincia con la prima domenica di Quaresima. Con il passare del tempo, nasce la convinzione che il digiuno costituisca la più importante e quasi l’unica forma di preparazione alla Pasqua. Dato che la domenica non si digiunava, era necessario spostare l’inizio della Quaresima aggiungendo i giorni che mancavano. Questo avveniva gradualmente e dal VII secolo il Mercoledì delle Ceneri segna l’inizio del periodo preparatorio alla Pasqua. L’imposizione delle ceneri compare nel secolo IX ed è collegata con la penitenza pubblica. Con la scomparsa di quest’ultima, i sacerdoti cominciano ad imporre le ceneri su tutti i fedeli.

       Le prime testimonianze della solenne benedizione delle ceneri risalgono al secolo X. La Chiesa d’Oriente ha prolungato il periodo di preparazione ad otto settimane e questo ha indotto anche la Chiesa d’Occidente a prolungare il periodo di preparazione con altre tre domeniche prima della Quaresima.

       Il periodo della Quaresima ha una ricchissima storia nella liturgia. Costituiva dapprima il tempo della definitiva preparazione dei candidati al Battesimo, amministrato nella Vigilia di Pasqua. I riti legati a questa preparazione venivano chiamati «scrutini». Dal V secolo, a Roma, erano noti tre scrutini pubblici nella terza, quarta e quinta domenica. Si trasmettevano ai candidati i quattro Vangeli, la professione di fede e la preghiera del Signore. Alla preparazione così organizzata, prendeva parte la comunità dei credenti e in questa maniera la preparazione al Battesimo degli uni diventava per gli altri l’occasione di meditare sul proprio Battesimo.

       Il periodo di preparazione di quaranta giorni è il periodo della penitenza, che col tempo fu ridotta principalmente al digiuno. Il digiuno, inizialmente facoltativo, diventa abitudinario e dal secolo IV viene definito con le prescrizioni di luogo, che nel Medioevo diventeranno obbligatorie per tutti. Completavano il digiuno, la preghiera e l’elemosina. La Chiesa di Roma ha istituito la liturgia delle stazioni, che col tempo venne accolta in molte città vescovili. Il papa, nei giorni della Quaresima, celebrava la Messa nelle diverse chiese dell’Urbe con la partecipazione del clero e di molti fedeli. In alcuni giorni, ci si radunava in una delle chiese, donde col canto delle litanie ci si recava alla chiesa della stazione per celebrare l’Eucaristia.

       Le ultime due settimane della Quaresima erano dedicate alla meditazione della Passione del Signore. La lettura del Vangelo di san Giovanni dimostra la lotta di Cristo con i farisei e preannuncia la morte del Salvatore. Nella coscienza dei fedeli, la meditazione della Passione di Cristo divenne dominante nella spiritualità di tale periodo. È noto finora il costume di velare i quadri e i crocifissi negli ultimi giorni della Quaresima.

       Le parole di san Paolo: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2Co 5,20 2Co 6,2), dimostrano che cos’è la Quaresima per la Chiesa e per ogni credente. Ecco il tempo della salvezza, perché stiamo vivendo il mistero del Figlio di Dio, che muore per noi sulla Croce. La Chiesa in questi giorni prende coscienza di partecipare alla grande opera di redenzione del mondo, intrapresa da Cristo. Il cristiano invece vive più profondamente la realtà del proprio Battesimo: in questo sacramento è morto insieme con Cristo e insieme con lui è risorto a nuova vita, ha raggiunto veramente la salvezza.

       In questo periodo di salvezza, la Chiesa fin dai primi tempi si nutre abbondantemente della Parola di Dio, del pane che viene dalla bocca di Dio, per rafforzare la sua fede, come unico mezzo capace di introdurci nella realtà divina. «Convertitevi, e credete al Vangelo». «Lasciatevi riconciliare con Dio!». La Chiesa rivolge queste parole a tutti i credenti. La salvezza di Dio è accessibile a ciascun uomo, la potenza della redenzione di Cristo può abbracciare ciascuno, occorre però l’apertura del cuore, la disponibilità ad accogliere il dono del cielo, la risposta decisa. Il peccato costituisce un ostacolo. Di fronte alla grandezza dei doni di Dio, ci rendiamo conto in questi giorni del male commesso, della nostra debolezza, fragilità e peccaminosità. Questa presa di coscienza avviene sia nella Chiesa, quale comunità, sia nelle sue membra. Il tempo della Quaresima è il momento della conversione, dello staccamento dal peccato, il momento del cambiamento del cuore e del modo di pensare. La conversione così concepita esige il sacrificio, il rinnegamento di se stesso, la lotta contro se stesso. Il tempo del pentimento e della conversione è, comunque, anzitutto il tempo del perdono da parte di Dio e il tempo della misericordia di Dio. Dio chiama alla conversione e perdona a chi glielo chiede, è molto paziente verso i peccatori. Da qui sorge la preghiera assidua, piena di fiducia e di speranza. Il tempo della Quaresima, così inteso, è un tempo di intensa vita spirituale, di lotta contro se stessi e contro le forze del male; è il tempo dell’avvicinamento a Cristo.

       Concedi, ti preghiamo o Signore,

       a questo tuo servo degni frutti di penitenza,

       perché sia restituito innocente

       alla tua santa Chiesa, dalla cui integrità ha deviato peccando,

       conseguendo la remissione delle colpe.

       Sacramentarium Gelasianum, ed. L.C. Mohlberg, Roma 1968, n. 357


1. Antica preghiera del pio armeno per tutte le età e le condizioni

       I - Con fede ti confesso e ti adoro, Padre, Figlio e Spirito Santo; essenza increata e immortale, creatore degli angeli, degli uomini e di tutti gli esseri. Abbi pietà delle tue creature e di me così Peccatore.

       II - Con fede io ti confesso e ti adoro, luce indivisibile, consostanziale santa Trinità e una sola Divinità, Creatore della luce e dissipatore delle tenebre, sciogli dalla mia anima le tenebre del peccato e dell’ignoranza e illumina in quest’ora la mia mente per formulare una preghiera che piaccia a te e ottenga da te quanto domando, ed abbi pietà delle tue creature e di me così peccatore.

       III - Padre celeste, vero Dio, tu che hai mandato il tuo amato Figlio a cercare la pecora smarrita, ho peccato contro il cielo e alla tua presenza. Accoglimi come il figlio prodigo e restituiscimi la prima veste della quale mi sono spogliato per i peccati ed abbi pietà delle tue creature e di me così peccatore.

       IV - Figlio di Dio, vero Dio che sei sceso dal seno dell’Eterno Padre e prendesti corpo dalla santa Vergine Maria per la nostra redenzione; tu sei stato crocifisso e sepolto, sei risuscitato dalla morte e sei salito gloriosamente al Padre. Ho peccato contro il cielo e alla tua presenza. Ricordati di me come del ladrone quando verrai con il tuo regno, ed abbi pietà delle tue creature e di me così Peccatore.

       V - Spirito di Dio, vero Dio, che sei sceso al Giordano e al Cenacolo e mi hai illuminato attraverso il battesimo della santa Fonte, ho peccato contro il cielo e alla tua presenza; purificami nuovamente con il tuo fuoco divino come hai fatto ai santi Apostoli con lingue di fuoco ed abbi pietà delle tue creature e di me così peccatore.

       VI - Essenza increata, ho peccato contro di te con la mia mente, la mia anima e il corpo; non ricordarti dei miei peccati passati, per il tuo santo nome ed abbi pietà delle tue creature e di me così peccatore.

       VII - Tu che tutto vedi, ho peccato contro di te con pensieri, parole e opere; cancella il libro delle mie colpe e scrivi il mio nome in quello della vita ed abbi pietà di me così peccatore.

       VIII - Perscrutatore dei segreti, ho peccato contro di te volontariamente e involontariamente, cosciente e per ignoranza, concedi il perdono a me peccatore perché, dalla mia nascita battesimale ad oggi, ho peccato alla presenza della tua divinità, con i miei sensi e con tutte le membra del mio corpo, ed abbi pietà delle tue creature e di me così peccatore.

       IX - Tu che tutto prevedi, metti il tuo santo timore a vegliare sui miei occhi affinché non guardi ciò che è impuro, sui miei orecchi affinché non mi piaccia di ascoltare parole stupide, alla mia bocca affinché non proferisca menzogne, al mio cuore affinché non trami perversità, alle mie mani affinché non commetta ingiustizia, ai miei piedi affinché non segua la strada dell’iniquità; però dirigi tutti i movimenti perché siano sempre secondo i tuoi comandamenti ed abbi pietà delle tue creature e di me così peccatore.

       X - Tu, o Cristo, fuoco vivo, accendi nella mia anima la fiamma di quell’amore che hai sparso sulla terra, perché essa bruci l’impurità della mia anima, purifichi la mia coscienza, tolga i peccati del mio corpo. Accendi nel mio cuore la luce della tua scienza ed abbi pietà delle tue creature e di me così peccatore.

       XI - Tu, o Cristo, Sapienza del Padre, dammi la sapienza di pensare, parlare e praticare il bene alla tua presenza e a tutte le ore; liberami dai cattivi pensieri, parole e opere, ed abbi pietà delle tue creature e di me così peccatore.

       XII - Tu che ami il bene ed hai per noi una risposta, non lasciarmi camminare secondo i miei desideri, ma orientami perché io faccia sempre la tua benevola volontà ed abbi pietà delle tue creature e di me così peccatore.

       XIII - Re celeste, dammi il tuo regno che hai promesso ai tuoi amati, fortifica il mio cuore perché abbia in odio il peccato ed ami solo te e faccia la tua volontà ed abbi pietà delle tue creature e di me così peccatore.

       XIV - Provvidenza delle creature, per il segno della tua Croce, preserva la mia anima e il mio corpo dalle illusioni del peccato, dalle tentazioni dei demoni, dagli uomini ingiusti e da tutti i pericoli dell’anima e del corpo ed abbi pietà delle tue creature e di me così peccatore.

       XV - Cristo, protettore di tutti, la tua destra sia protezione a me di giorno e di notte, al riparo della casa o camminando per le strade, dormendo o vegliando, perché mai rimanga scosso ed abbi pietà delle tue creature e di me così peccatore.

       XVI - Mio Dio, tu che distendi la tua mano e riempi tutte le creature con la tua misericordia, io mi dono tutto a te; provvedi alle necessità della mia anima e del mio corpo, da adesso all’eternità, ed abbi pietà delle tue creature e di me così peccatore.      

       XVII - Tu che riconduci gli erranti, sviami dalle mie cattive abitudini affinché segua le buone e incidi nella mia anima il terribile giorno della morte, il timore dell’inferno e l’amore del paradiso, affinché mi penta dei peccati e pratichi la giustizia ed abbi pietà delle tue creature e di me così Peccatore.

       XVIII - Fonte di immortalità, fai traboccare dal mio cuore lacrime di pentimento, così come l’adultera, affinché io lavi i miei peccati prima di partire da questo mondo ed abbi pietà delle tue creature e di me così peccatore.

       XIX - Donatore di misericordia, concedimi di tornare da te; ho bisogno di fede forte, di opere buone e della comunione del tuo santo Corpo e Sangue, ed abbi pietà delle tue creature e di me così peccatore.

       XX - Signore benefattore, confidami al buon angelo affinché io gli consegni in pace la mia anima ed egli mi faccia passare senza turbamento attraverso la malignità dei demoni, ed abbi pietà delle tue creature e di me così peccator.

       XXI - Cristo, luce vera, rendi la mia anima degna di vedere con gioia nel giorno della mia morte la luce della tua gloria e possa riposare nella speranza dei buoni, nella dimora dei giusti, fino al giorno della tua maestosa venuta ed abbi pietà delle tue creature e di me così peccatore.

       XXII - Giudice giusto, quando verrai nella gloria del Padre tuo per giudicare i vivi e i morti, non entrare in giudizio con il tuo servo, ma liberami dal fuoco eterno e fammi degno di sentire il dolce invito dei giusti, e mi trovi nel tuo regno dei cieli, ed abbi pietà delle tue creature e di me così peccatore.

       XXIII - Signore tutto misericordia, abbi pietà di tutti coloro che credono in te, dei miei familiari e degli estranei, dei conoscenti e degli sconosciuti, dei vivi e dei morti. Concedi anche ai miei nemici e a coloro che mi odiano il perdono dei delitti commessi contro di me e convertili dalla cattiveria che hanno contro di me perché siano degni della tua misericordia, ed abbi pietà delle tue creature e di me così peccatore.

       XXIV - Signore glorioso, ricevi le preghiere del tuo servo ed accogli benignamente le mie suppliche per intercessione della santa Madre di Dio, e di san Giovanni Battista, del protomartire santo Stefano, di san Gregorio nostro Illuminatore, dei santi Apostoli, Profeti, Dottori, Martiri, Patriarchi, Eremiti, Vergini e di tutti i tuoi Santi del Cielo e della terra; e a Te, indivisibile santa Trinità, gloria e adorazione per tutti i secoli dei secoli. Amen.

       Nerses Snorhali, Antica preghiera, «Terra Santa», n. 11. anno 54 (1978), pp. 318-321


2. La creazione di Dio e l’opera dell’uomo

       Chi riconosce i propri peccati e li condanna, è già d’accordo con Dio. Dio condanna i tuoi peccati; e se anche tu li condanni, ti unisci a Dio. L’uomo e il peccatore sono due cose distinte: l’uomo è opera di Dio, il peccatore è opera tua, o uomo. Distruggi ciò che tu hai fatto, affinché Dio salvi ciò che egli ha fatto. È necessario che tu detesti in te l’opera tua e ami in te l’opera di Dio. Quando comincia a dispiacerti ciò che hai fatto, allora cominciano le tue opere buone, perché condanni le tue opere cattive.

       Le opere buone cominciano col riconoscimento delle opere cattive. Operi la verità, e così vieni alla luce. Cosa intendo dire dicendo: operi la verità? Intendo dire che non inganni te stesso, non ti blandisci, non ti lusinghi; non dici che sei giusto mentre sei colpevole. Allora cominci a operare la verità, allora vieni alla luce, affinché sia manifesto che le tue opere sono state fatte in Dio. E infatti il tuo peccato, che ti è dispiaciuto, non ti sarebbe dispiaciuto se Dio non ti avesse illuminato e se la sua verità non te l’avesse manifestato. Ma chi, dopo essere stato redarguito, continua ad amare i suoi peccati, odia la luce che lo redarguisce, e la fugge, affinché non gli vengano rinfacciate le sue opere cattive che egli ama. Chi, invece, opera la verità, condanna in se stesso le sue azioni cattive; non si risparmia, non si perdona affinché Dio gli perdoni. Egli stesso riconosce ciò che vuole gli sia da Dio perdonato, e in tal modo viene alla luce, e la ringrazia d’avergli mostrato ciò che in se stesso doveva odiare. Dice a Dio: Distogli la tua faccia dai miei peccati. Ma con quale faccia direbbe così, se non aggiungesse: poiché io riconosco la mia colpa e il mio peccato è sempre davanti a me (Ps 50,5)? Sia davanti a te il tuo peccato, se vuoi che non sia davanti a Dio. Se invece ti getterai il tuo peccato dietro le spalle, Dio te lo rimetterà davanti agli occhi; e te lo rimetterà davanti agli occhi quando il pentimento non potrà più dare alcun frutto.

       Correte, o miei fratelli, affinché non vi sorprendano le tenebre (Jn 12,35); siate vigilanti in ordine alla vostra salvezza, siate vigilanti finché siete in tempo. Nessuno arrivi in ritardo al tempio di Dio, nessuno sia pigro nel servizio divino. Siate tutti perseveranti nell’orazione, fedeli nella costante devozione Siate vigilanti finché è giorno; il giorno risplende; Cristo è il giorno. Egli è pronto a perdonare coloro che riconoscono la loro colpa ma anche a punire quelli che si difendono ritenendosi giusti, quelli che credono di essere qualcosa mentre sono niente. Chi cammina nel suo amore e nella sua misericordia, non si accontenta di liberarsi dai peccati gravi e mortali, quali sono il delitto, l’omicidio, il furto, l’adulterio; ma opera la verità riconoscendo anche i peccati che si considerano meno gravi, come i peccati di lingua, di pensiero o d’intemperanza nelle cose lecite, e viene alla luce compiendo opere degne. Anche i peccati meno gravi, se trascurati, proliferano e producono la morte.

       Sono piccole le gocce che riempiono i fiumi; sono piccoli i granelli di sabbia, ma se sono numerosi, pesano e schiacciano. Una piccola falla trascurata, che nella stiva della nave lascia entrare l’acqua a poco a poco, produce lo stesso effetto di un’ondata irrompente: continuando ad entrare poco alla volta, senza mai essere eliminata, affonda la nave. E che significa eliminare, se non fare in modo con opere buone - gemendo, digiunando, facendo elemosine, perdonando - di non essere sommersi dai peccati?

       Il cammino di questa vita è duro e irto di prove: quando le cose vanno bene non bisogna esaltarsi, quando vanno male non bisogna abbattersi. La felicità che il Signore ti concede in questa vita, è per consolarti, non per corromperti. E se in questa vita ti colpisce, lo fa per correggerti, non per perderti. Accetta il padre che ti corregge, se non vuoi provare il giudice che punisce. Son cose che vi diciamo tutti i giorni, e vanno ripetute spesso perché sono buone e fanno bene.

       Agostino, In Io. evang., 12, 13 s.


3. Molte sono le vie di accesso alla misericordia del Salvatore

       La definizione piena e perfetta di penitenza comporta che noi non accettiamo mai più i peccati di cui facciam penitenza o di cui la coscienza ci rimorde. È poi indizio che abbiam raggiunto l’indulgenza e la soddisfazione se siam riusciti a cacciare dal nostro cuore ogni legame interiore verso di essi. Sappia ognuno, infatti, che non è ancora sciolto dai suoi peccati se, pur applicandosi al pianto e alla soddisfazione per essi gli si presenta agli occhi l’immagine delle colpe compiute o di altre simili, e non dirò il diletto, ma solamente il ricordo di quelli infesta l’intimo della sua mente. Perciò, chi si è tutto dedicato alla soddisfazione sappia che sarà assolto dai suoi delitti ed avrà ottenuto perdono dalle colpe passate quando sentirà che il suo cuore è perfettamente libero dall’attrattiva di quei vizi e dalla loro stessa immaginazione. Nella nostra coscienza stessa, dunque, vi è quasi un giudice esattissimo della nostra penitenza e del perdono ottenuto: sentenzia l’assoluzione dei nostri reati prima del giorno del giudizio, a noi, viventi ancora in questa carne, e ci annuncia la grazia della remissione e della perfetta soddisfazione. E per esprimere con più efficacia ciò che è stato detto: allora solo dobbiamo ritenere che il contagio dei nostri vizi passati è finalmente svanito, quando dal nostro cuore saran state scacciate le brame delle presenti voluttà, insieme con le nostre passioni...

       Oltre alla grande, universale grazia del battesimo e oltre al dono preziosissimo del martirio che cancella le colpe con l’abluzione del sangue, molti sono ancora i frutti di penitenza per i quali si perviene all’espiazione dei peccati. La salvezza eterna infatti non vien solo promessa alla penitenza per la quale si perviene all’espiazione dei peccati. La salvezza eterna infatti non vien solo promessa alla penitenza propriamente detta, di cui dice il beato apostolo Pietro: Fate penitenza, convertitevi: così i vostri peccati saranno cancellati! (Ac 3,19), e Giovanni Battista, anzi lo stesso Salvatore: Fate penitenza perché il regno dei cieli è vicino! (Mt 4,17); ma anche l’amore atterra un cumulo di peccati: La carità infatti copre la moltitudine dei peccati (1P 4,8).

       Parimenti, anche l’elemosina porge rimedio alle nostre ferite, perché come l’acqua spegne il fuoco, così l’elemosina estingue il peccato (Si 3,29). Così le lacrime sparse ottengono l’astersione dei peccati; infatti: Vo bagnando tutte le notti il mio letto, irrigo di lacrime il mio giaciglio (Ps 6,7); e subito poi si aggiunge, per mostrare che esse non furono sparse inutilmente: Allontanatevi da me, voi tutti o malfattori, perché il Signore ha udito il grido del mio pianto (Ps 6,9). Anche con la confessione delle colpe ne vien concessa la purificazione; dice infatti la Scrittura: Ho detto: Proclamerò contro di me la mia ingiustizia al Signore; e tu hai perdonato l’empietà del mio peccato (Ps 31,5), e ancora: Esponi tu per primo le tue iniquità, per esserne giustificato (Is 43,26).

       Così anche con l’afflizione del cuore e del corpo si ottiene la remissione dei delitti commessi; dice infatti: Vedi la mia bassezza e la mia sofferenza, e perdona tutti i miei peccati (Ps 24,18); ma soprattutto con il mutamento della propria condotta. Togliete dai miei occhi la cattiveria dei vostri pensieri. Smettete di agire perversamente, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, aiutate l’oppresso, fate giustizia all’orfano, difendete la vedova, e poi venite ed esponete a me i vostri lamenti, dice il Signore. Anche se i vostri peccati fossero rossi come lo scarlatto, biancheggeranno come la neve; se fossero del colore della porpora, diventeranno bianchi come candida lana (Is 1,16s.).

       Talvolta si impetra indulgenza per i propri delitti anche per l’intercessione dei santi. Infatti: Chi sa che suo fratello commette un peccato che non conduce a morte, preghi, e Dio darà la vita a chi ha commesso un peccato che non conduce a morte (1Jn 5,16); e ancora: Se qualcuno di voi è infermo, faccia venire gli anziani della Chiesa; essi pregheranno su di lui ungendolo con olio nel nome del Signore, e la preghiera della fede salverà l’infermo; e il Signore lo allevierà, e se fosse in peccato gli sarà perdonato (Jc 5,14s.).

       Vi è anche il caso in cui si purga la macchia dei peccati per merito della fede e della misericordia, secondo il detto: Per la misericordia e la fede vengon cancellati i peccati (Pr 15,27); spesso poi anche per la conversione e la salvezza di coloro che sono salvati dalla nostra predicazione e dai nostri ammonimenti: Infatti chi farà convertire un peccatore dall’errore della sua via, salva l’anima di quello dalla morte e copre una moltitudine di peccati (Jc 5,20). Infine otteniamo indulgenza per le nostre scelleratezze con la nostra indulgenza e magnanimità: Se infatti perdonerete agli uomini i loro peccati, anche a voi il Padre vostro celeste perdonerà i vostri delitti (Mt 6,14).

       Vedete dunque quante sono le vie di accesso alla misericordia che la demenza del nostro Salvatore ci ha aperto: perciò nessuno che desidera la salvezza si lasci fiaccare dalla disperazione, vedendo con quanti mezzi è invitato alla vita. Se ti lamenti che per la debolezza della tua carne non puoi cancellare i tuoi peccati con la sofferenza del digiuno, riscattali con la larghezza nelle elemosine. E se non hai cosa dare ai poveri (per quanto la necessità o la povertà non escluda nessuno da questa santa opera, dato che le due sole monetine di bronzo di quella vedova furono più stimate delle larghe offerte dei ricchi e per quanto il Signore prometta la ricompensa anche per un bicchiere di acqua fresca), anche senza di ciò, li puoi cancellare cambiando la tua vita.

       Inoltre, se non ti senti di raggiungere la perfezione della virtù estinguendo tutti i vizi, dedicati con pia sollecitudine all’utilità e alla salvezza altri. Ma se obietti di non sentirti idoneo a questo ministero, puoi coprire i tuoi peccati con l’intimo amore. E se anche a questo l’ignavia del tuo spirito ti rende debole, in umiltà e fervore implora almeno con l’orazione e l’intercessione dei santi il rimedio alle tue ferite. Chi è che non possa dire in tono supplichevole: Ho palesato a te il mio peccato e non ho nascosto la mia ingiustizia? E per questa confessione si merita di soggiungere con confidenza: E tu hai perdonato l’empietà del mio cuore (Ps 32,5).

       Se poi la vergogna ti impedisce, ti fa arrossire di rivelarli davanti agli uomini, non cessare di confessarli con suppliche continue a colui cui non sono celati, dicendo: Conosco la mia iniquità e il mio peccato mi sta sempre dinanzi; contro te solo ho peccato e ho agito male al tuo cospetto (Ps 50,5). Egli è solito perdonare le colpe anche senza la vergogna della pubblicità.

       Ma oltre a questi mezzi di salvezza facili e sicuri la divina degnazione ce n’ha concesso un altro più facile, rimettendo al nostro arbitrio il nostro rimedio, perché al nostro sentimento stesso è dato acquistare l’indulgenza delle nostre colpe, quando diciamo a lui: Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori (Mt 6,12).

       Chiunque perciò desidera pervenire all’indulgenza per le sue colpe, curi di dedicarsi a questi mezzi; la pervicacia di un cuore indurito non allontani da lui, dalla sua salvezza, la fonte di tanta bontà; infatti anche se faremo tutto ciò, nulla sarà sufficiente ad espiare le nostre colpe, se non sarà la bontà e la clemenza del Signore a cancellarle.

       Cassiano Giovanni, Conf., 20, 5.8


4. I miracoli del Signore sono segni

       Se non che tutti temono la morte del corpo, pochi quella dell’anima. Tutti si preoccupano per la morte del corpo, che prima o poi dovrà venire, e fanno di tutto per scongiurarla. L’uomo destinato a morire si dà tanto da fare per evitare la morte, mentre non altrettanto si sforza di evitare il peccato l’uomo che pure è chiamato a vivere in eterno. Eppure quanto fa per non morire, lo fa inutilmente: al più ottiene di ritardare la morte, non di evitarla. Se invece si impegna a non peccare, non si affaticherà, e vivrà in eterno. Oh, se riuscissimo a spingere gli uomini, e noi stessi insieme con loro, ad amare la vita che dura in eterno almeno nella misura che gli uomini amano la vita che fugge! Che cosa non fa uno di fronte al pericolo della morte? Quanti, sotto la minaccia che pendeva sul loro capo, hanno preferito perdere tutto pur di salvare la vita! Chi infatti non lo farebbe per non essere colpito? E magari, dopo aver perduto tutto, qualcuno ci ha rimesso anche la vita.

       Chi pur di continuare a vivere, non sarebbe pronto a perdere il necessario per vivere preferendo una vita mendicante ad una morte anticipata? Se si dice a uno: se non vuoi morire devi navigare, si lascerà forse prendere dalla pigrizia? Dio ci comanda cose meno pesanti per farci vivere in eterno, e noi siamo negligenti nell’obbedire. Dio non ti dice: getta via tutto ciò che possiedi per vivere poco tempo tirando avanti stentatamente; ti dice: dona i tuoi beni ai poveri se vuoi vivere eternamente nella sicurezza e nella pace. Coloro che amano la vita terrena, che essi non possiedono né quando vogliono né finché vogliono, sono un continuo rimprovero per noi; e noi non ci rimproveriamo a vicenda per essere tanto pigri, tanto tiepidi nel procurarci la vita eterna, che avremo se vorremo e che non perderemo quando l’avremo. Invece questa morte che temiamo, anche se non vogliamo, ci colpirà.

       Agostino, In Io. evang., 49, 2


5. Aiuto e consolazione della penitenza

       La condizione della nostra fragile natura non ammette che qualcuno sia senza macchia. Perciò l’ultimo nostro rimedio è rifugiarci nella penitenza, che ha un posto non piccolo fra le virtù, essendo miglioramento di noi stessi: così, se cadiamo o per le parole o per le opere, subito ci ravvediamo, confessiamo di aver peccato e chiediamo perdono a Dio, il quale, nella sua misericordia, non lo nega se non a chi persevera nell’errore. È grande l’aiuto della penitenza, è grande la sua consolazione. Essa è la guarigione delle ferite del peccato, la speranza, il porto di salvezza: chi la nega, toglie a se stesso la vita della sua vita, perché nessuno può essere tanto giusto che la penitenza non gli sia talvolta necessaria. Ma noi, anche se non abbiamo peccato, dobbiamo tuttavia aprire la nostra anima a Dio e scongiurarlo ugualmente per le nostre colpe, ringraziandolo anche nelle avversità. Porgiamo sempre a Dio questo ossequio; l’umiltà infatti è grata, è cara a lui: egli che accetta il peccatore convertito più volentieri del giusto superbo, quanto più accetterà il giusto che confessa i propri torti e lo renderà sublime nei regni dei cieli, a misura della sua umiltà!

       Questo deve presentare a Dio chi veramente lo venera: queste sono le vittime, questo è il sacrificio placatore; ecco dunque il vero culto: quando l’uomo offre all’altare di Dio i pegni del suo spirito. La sua somma maestà si allieta di chi così lo venera; lo accoglie come figlio e gli elargisce il dono dell’immortalità.

       Lattanzio, Divinae instit. epit., 67


6. Tradimento e conversione di Pietro

       Pietro si rattristò e pianse perché sbagliò come tutti gli uomini. Non trovo che cos’abbia detto, trovo che ha pianto. Leggo le sue lacrime, non leggo ciò che ha dato in compenso: ma ciò che non può essere scagionato, può ben essere deterso. Lavino le lacrime la trasgressione, che è vergogna confessare con la voce. I pianti sono propizi sia al perdono che alla vergogna. Le lacrime parlano della colpa senza far inorridire, le lacrime riconoscono il peccato senza offendere il rossore, le lacrime non chiedono il perdono ma lo meritano. Ho scoperto perché Pietro ha taciuto: perché, chiedendo tanto presto il perdono, non si rendesse ancora più colpevole. Prima bisogna piangere, poi bisogna pregare.

       Lacrime eccellenti, perché lavano la colpa. Del resto, coloro che Gesù guarda si mettono a piangere (cf. Lc 22,61s). Pietro negò una prima volta, ma non pianse, perché non lo aveva guardato il Signore; negò una seconda volta: non pianse, perché ancora non lo aveva guardato il Signore. Negò anche una terza: Gesù lo guardò ed egli pianse amarissimamente. Guardaci, Signore Gesù, affinché sappiamo piangere sul nostro peccato. Quindi è utile per noi anche la caduta dei santi. Non mi è stato di nessun danno il fatto che Pietro abbia negato, ma mi è stato di giovamento il fatto che si sia emendato. Ho imparato a tenermi lontano dal parlare con gli increduli. Pietro negò in mezzo ai Giudei, Salomone traviò perché tratto in errore da una stretta familiarità con le Genti (cf. 1R 11,4-8).

       Dunque Pietro pianse, e per di più amarissimamente, pianse per poter lavare con le lacrime il suo peccato. Anche tu, se vuoi meritare il perdono, sciogli nelle lacrime la tua colpa; in quello stesso istante, in quello stesso tempo Cristo ti guarda. Se per caso cadi in qualche errore, Egli, poiché ti è accanto come testimone delle tue azioni segrete, ti guarda affinché te ne ricordi, e confessi il tuo errore. Imita Pietro quando per la terza volta dice in un altro passo: Signore, tu sai che ti voglio bene (Jn 21,17).

       Ambrogio, Exp. Ev. sec. Lucam, 10, 88-90





Lezionario "I Padri vivi" 205