Pastores gregis IT 10

CAPITOLO SECONDO


LA VITA SPIRITUALE DEL VESCOVO


« Ne costituì Dodici che stessero con lui » (Mc 3,14)


11 Con il medesimo atto d'amore con il quale liberamente li costituisce Apostoli, Gesù chiama i Dodici a condividere la sua stessa vita. Anche questa condivisione, che è comunione di animi e d'intenti con Lui, è pertanto un'esigenza iscritta nella loro partecipazione alla sua stessa missione. Non si devono ridurre le funzioni del Vescovo ad un compito meramente organizzativo. Proprio per evitare questo rischio, sia i documenti preparatori del Sinodo sia molti interventi in Aula dei Padri sinodali hanno insistito su ciò che comporta, nella vita personale del Vescovo e nell'esercizio del ministero a lui affidato, la realtà dell'episcopato come pienezza del sacramento dell'Ordine, nei suoi fondamenti teologici, cristologici e pneumatologici.

Alla santificazione oggettiva, che per opera di Cristo si ha nel Sacramento con la comunicazione dello Spirito, deve corrispondere la santità soggettiva, nella quale il Vescovo, con il sostegno della grazia, sempre più deve progredire attraverso l'esercizio del ministero. La trasformazione ontologica operata dalla consacrazione, come conformazione a Cristo, richiede uno stile di vita che manifesti lo « stare con lui ». Varie volte, di conseguenza, nell'Aula del Sinodo si è insistito sulla carità pastorale, come frutto sia del carattere impresso dal Sacramento sia della grazia ad esso propria. La carità, si è detto, è come l'anima del ministero del Vescovo, che viene coinvolto in un dinamismo di pro-existentiapastorale, da cui è spinto a vivere, come Cristo Buon Pastore, per il Padre e per gli altri, nel dono quotidiano di sé.

È soprattutto nell'esercizio del proprio ministero, ispirato all'imitazione della carità del Buon Pastore, che il Vescovo è chiamato a santificarsi e a santificare, avendo come principio unificante la contemplazione del volto di Cristo e l'annunzio del vangelo della salvezza.48 La sua spiritualità, pertanto, oltre che dal sacramento del Battesimo e della Confermazione, attinge orientamenti e stimoli dalla stessa Ordinazione episcopale che lo impegna a vivere nella fede, nella speranza e nella carità il proprio ministero di evangelizzatore, di liturgo e di guida nella comunità. Quella del Vescovo sarà allora anche una spiritualità ecclesiale, perché tutto nella sua vita è orientato all'edificazione amorosa della Santa Chiesa.

Ciò esige nel Vescovo un atteggiamento di servizio improntato a forza d'animo, coraggio apostolico e fiducioso abbandono all'azione interiore dello Spirito. Egli pertanto si impegnerà ad assumere uno stile di vita che imiti la kénosis di Cristo servo, povero e umile, in modo che l'esercizio del ministero pastorale sia in lui un riflesso coerente di Gesù, Servo di Dio, e lo induca ad essere come Lui vicino a tutti, dal più grande al più piccolo. Insomma, ancora una volta con una sorta di reciprocità, l'esercizio fedele e amorevole del ministero santifica il Vescovo e lo rende sul piano soggettivo sempre più conforme alla ricchezza ontologica di santità che in lui ha posto il Sacramento.

La santità personale del Vescovo, tuttavia, non si ferma mai ad un livello solo soggettivo perché, nella sua efficacia, ridonda sempre a beneficio dei fedeli, affidati alla sua cura pastorale. Nella pratica della carità, come contenuto del ministero pastorale ricevuto, il Vescovo diventa segno di Cristo e acquista quell'autorevolezza morale di cui l'esercizio dell'autorità giuridica ha bisogno per poter efficacemente incidere sull'ambiente. Se, infatti, l'ufficio episcopale non poggia sulla testimonianza della santità manifestata nella carità pastorale, nell'umiltà e nella semplicità di vita, finisce per ridursi ad un ruolo quasi soltanto funzionale e perde fatalmente di credibilità presso il Clero ed i fedeli.

Vocazione alla santità nella Chiesa del nostro tempo


12 Un'immagine biblica sembra particolarmente adatta per illuminare la figura del Vescovo quale amico di Dio, pastore e guida del popolo. È la figura di Mosè. Guardando a lui, il Vescovo può trarre ispirazione nel suo essere ed agire di pastore, scelto e inviato dal Signore, coraggioso nel precedere il suo popolo verso la terra promessa, fedele interprete della parola e della legge del Dio vivente, mediatore dell'Alleanza, ardente e fiducioso nella preghiera in favore della sua gente. Come Mosè, che dopo il colloquio con il Signore sulla santa montagna tornò in mezzo al suo popolo con il volto raggiante (cfr Es Ex 34,29-30), anche il Vescovo potrà portare tra i suoi fratelli i segni del suo essere padre, fratello ed amico soltanto se sarà entrato nella nube oscura e luminosa del mistero del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Illuminato dalla luce della Trinità, egli sarà segno della bontà misericordiosa del Padre, viva immagine della carità del Figlio, trasparente uomo dello Spirito, consacrato e inviato per guidare il Popolo di Dio sui sentieri del tempo nel pellegrinaggio verso l'eternità.

I Padri sinodali hanno messo in luce l'importanza dell'impegno spirituale nella vita, nel ministero e nel cammino del Vescovo. Io stesso ho indicato questa priorità in sintonia con le esigenze della vita della Chiesa e l'appello dello Spirito Santo, che in questi anni ha richiamato a tutti il primato della grazia, la diffusa esigenza di spiritualità, l'urgenza di testimoniare la santità.

Il richiamo alla spiritualità scaturisce dal riferimento all'azione dello Spirito Santo nella storia della salvezza. La sua è una presenza attiva e dinamica, profetica e missionaria. Il dono della pienezza dello Spirito Santo, che il Vescovo riceve nell'Ordinazione episcopale, è un prezioso e urgente richiamo ad assecondarne l'azione nella comunione ecclesiale e nella missione universale.

Celebrata dopo il Grande Giubileo del 2000, l'Assemblea sinodale ha sin dal principio fatto proprio il progetto di una vita santa, che io stesso ho indicato alla Chiesa intera: « La prospettiva entro cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quello della santità... Finito il Giubileo, ricomincia il cammino ordinario, ma additare la santità resta più che mai un'urgenza della pastorale ».49 L'accoglienza entusiastica e generosa del mio appello a mettere al primo posto la vocazione alla santità, è stata l'atmosfera nella quale si sono svolti i lavori sinodali e il clima che, in qualche maniera, ha unificato gli interventi e le riflessioni dei Padri. Essi sentivano echeggiare nei loro cuori il monito di san Gregorio Nazianzeno: « Prima purificarsi e poi purificare, prima lasciarsi istruire dalla sapienza e poi istruire, prima diventare luce e poi illuminare, prima avvicinarsi a Dio e poi condurvi gli altri, prima essere santi e poi santificare ».50

Per questa ragione, dall'Assemblea sinodale si è più volte levato l'invito a individuare con chiarezza la specificità « episcopale » del cammino di santità di un Vescovo. Sarà sempre una santità vissuta con il popolo e per il popolo, in una comunione che diventa stimolo e reciproca edificazione nella carità. Né si tratta d'istanze secondarie, o marginali. È proprio la vita spirituale del Vescovo, infatti, che favorisce la fecondità della sua opera pastorale. Non sta forse nella meditazione assidua del mistero di Cristo, nella contemplazione appassionata del suo volto, nell'imitazione generosa della vita del Buon Pastore il fondamento di ogni pastorale efficace? Se è vero che il nostro è tempo di continuo movimento e spesso anche di agitazione col facile rischio del « fare per fare », allora il Vescovo per primo deve mostrare, con l'esempio della propria vita, che occorre ristabilire il primato dell'« essere » sul « fare » e, ancora di più, il primato della grazia, che nella visione cristiana della vita è pure principio essenziale per una « programmazione » del ministero pastorale.51

Il cammino spirituale del Vescovo


13 Un Vescovo può ritenersi davvero ministro della comunione e della speranza per il Popolo santo di Dio solo quando cammina alla presenza del Signore. Non è possibile, infatti, essere al servizio degli uomini senza prima essere « servi di Dio ». E servi di Dio non si può essere se non si è « uomini di Dio ». Perciò nell'omelia dell'inizio del Sinodo ho detto: « Il Pastore deve essere uomo di Dio; la sua esistenza e il suo ministero stanno interamente sotto la sua gloria divina e traggono dal sovraeminente mistero di Dio luce e vigore ».52

La chiamata alla santità è insita, per il Vescovo, nello stesso evento sacramentale che è all'origine del suo ministero, ossia l'Ordinazione episcopale. L'antico Eucologio di Serapione formula in questi termini l'invocazione rituale della consacrazione: « Dio di verità fa' del tuo servitore un Vescovo vivente, un Vescovo santo nella successione dei santi Apostoli ».53 Poiché, tuttavia, l'Ordinazione episcopale non infonde la perfezione delle virtù, « il Vescovo è chiamato a proseguire il suo cammino di perfezione con maggiore intensità, per giungere alla statura di Cristo, Uomo perfetto ».54

La stessa indole cristologica e trinitaria del suo mistero e ministero esige per il Vescovo un cammino di santità, che consiste nell'avanzamento progressivo verso una sempre più profonda maturità spirituale ed apostolica, segnata dal primato della carità pastorale. Un cammino evidentemente vissuto insieme con il suo popolo, in un itinerario che è al tempo stesso personale e comunitario, come la vita stessa della Chiesa. In questo cammino, però, il Vescovo diventa, in intima comunione con Cristo e attenta docilità allo Spirito, testimone, modello, promotore e animatore. Così si esprime pure la legge canonica: « Il Vescovo diocesano, consapevole di essere tenuto ad offrire un esempio di santità nella carità, nell'umiltà e nella semplicità di vita, si impegni a promuovere con ogni mezzo la santità dei fedeli, secondo la vocazione propria di ciascuno, ed essendo il principale dispensatore dei misteri di Dio, si adoperi di continuo perché i fedeli affidati alle sue cure crescano in grazia mediante la celebrazione dei Sacramenti e perché conoscano e vivano il mistero pasquale ».55

Il cammino spirituale del Vescovo, come quello d'ogni fedele cristiano, ha certamente la sua radice nella grazia sacramentale del Battesimo e della Confermazione. Questa grazia lo accomuna a tutti i fedeli, poiché, come avverte il Concilio Vaticano II, « tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado sono chiamati alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della carità ».56 Vale specialmente in questo caso la notissima affermazione di sant'Agostino, ricca di realismo e di sapienza soprannaturale: « Se mi atterrisce l'essere per voi, mi consola l'essere con voi. Perché per voi sono Vescovo, con voi sono cristiano. Quello è il nome di una carica, questo di una grazia; quello è il nome di un pericolo, questo della salvezza ».57 Tuttavia, grazie alla carità pastorale, la carica diventa servizio e il pericolo si trasforma in opportunità di crescita e di maturazione. Il ministero episcopale non è solo fonte di santità per gli altri, ma è già motivo di santificazione per colui che lascia passare attraverso il proprio cuore e la propria vita la carità di Dio.

I Padri sinodali hanno sintetizzato alcune esigenze di questo cammino. Anzitutto hanno richiamato il carattere battesimale e crismale, che sin dal principio dell'esistenza cristiana, mediante le virtù teologali, rende capaci di credere in Dio, di sperare in Lui e di amarlo. Lo Spirito Santo, per parte sua, infonde i suoi doni favorendo la crescita nel bene attraverso l'esercizio delle virtù morali, che danno concretezza anche umana alla vita spirituale.58 In forza del Battesimo che ha ricevuto, il Vescovo partecipa, come ogni cristiano, alla spiritualità che è radicata nell'incorporazione al Cristo e che si manifesta nella sua sequela secondo il Vangelo. Per questo egli condivide la vocazione di tutti i fedeli alla santità. Deve quindi coltivare una vita di preghiera e di fede profonda e riporre in Dio tutta la sua fiducia, offrendo la sua testimonianza al Vangelo in docile obbedienza ai suggerimenti dello Spirito Santo e riservando una particolare e filiale devozione alla Vergine Maria, che è perfetta maestra di vita spirituale.59

La spiritualità del Vescovo sarà, pertanto, una spiritualità di comunione, vissuta in sintonia con tutti gli altri battezzati, figli insieme con lui dell'unico Padre nel cielo e dell'unica Madre sulla terra, la Santa Chiesa. Come tutti i credenti in Cristo, egli ha bisogno di alimentare la sua vita spirituale nutrendosi della viva ed efficace parola del Vangelo e del pane di vita della santa Eucaristia, cibo di vita eterna. A causa dell'umana fragilità, anche il Vescovo è chiamato a ricorrere con frequenza e ritmi regolari al sacramento della Penitenza per ottenere il dono di quella misericordia, di cui pure è divenuto ministro. Consapevole, dunque, della propria umana debolezza e dei propri peccati, ogni Vescovo, insieme con i suoi sacerdoti, vive anzitutto per se stesso il sacramento della Riconciliazione, come una esigenza profonda e una grazia sempre nuovamente attesa, per ridare slancio al proprio impegno di santificazione nell'esercizio del ministero. In tal modo egli esprime anche visibilmente il mistero di una Chiesa in se stessa santa, ma composta anche di peccatori bisognosi di essere perdonati.

Come tutti i sacerdoti e, ovviamente, in speciale comunione con i sacerdoti del presbiterio diocesano, il Vescovo si impegnerà a percorrere uno specifico cammino di spiritualità. Egli, infatti, è chiamato alla santità pure per il nuovo titolo che deriva dall'Ordine sacro. Il Vescovo, perciò, vive di fede, speranza e carità in quanto è ministro della parola del Signore, della santificazione e del progresso spirituale del Popolo di Dio. Egli dev'essere santo perché deve servire la Chiesa come maestro, santificatore e guida. Come tale egli deve anche profondamente e intensamente amare la Chiesa. Ogni Vescovo è conformato a Cristo per amare la Chiesa con l'amore di Cristo sposo e per essere, nella Chiesa, ministro della sua unità, per fare cioè della Chiesa « un popolo adunato dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ».60

La specifica spiritualità del Vescovo, i Padri sinodali lo hanno sottolineato ripetutamente, si arricchisce ulteriormente dell'apporto di grazia insito nella pienezza del Sacerdozio, a lui conferita nel momento dell'Ordinazione. In quanto pastore del gregge e servitore del Vangelo di Gesù Cristo nella speranza, il Vescovo deve riflettere e fare come trasparire in se medesimo la persona stessa di Cristo, Pastore supremo. Nel Pontificale Romano questo impegno è esplicitamente richiamato: « Ricevi la mitra, e risplenda in te il fulgore della santità, perché quando apparirà il Principe dei pastori tu possa meritare la incorruttibile corona di gloria ».61

Per questo il Vescovo ha un costante bisogno della grazia di Dio, che rafforzi e perfezioni la sua natura umana. Egli può affermare con l'apostolo Paolo: « La nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi ministri adatti di una nuova Alleanza » (
2Co 3,5-6). Lo si deve, perciò, sottolineare: il ministero apostolico è una sorgente di spiritualità per il Vescovo, il quale deve attingere da esso le risorse spirituali che lo fanno crescere nella santità e gli permettono di scoprire l'azione dello Spirito Santo nel Popolo di Dio affidato alle sue sollecitudini pastorali.62

Il cammino spirituale del Vescovo coincide, in questa prospettiva, con la stessa carità pastorale, che a buon diritto dev'essere ritenuta come l'anima del suo apostolato, come lo è anche di quello del presbitero e del diacono. Si tratta non soltanto di una existentia, ma pure di una pro-existentia, di un vivere, cioè, che si ispira al modello supremo costituito da Cristo Signore, e che si spende perciò totalmente nell'adorazione del Padre e nel servizio dei fratelli. Giustamente, al riguardo, il Concilio Vaticano II afferma che i Pastori, a immagine di Cristo, devono con santità e slancio, con umiltà e fortezza compiere il proprio ministero, « il quale, così adempiuto, sarà anche per loro un eccellente mezzo di santificazione ».63 Nessun Vescovo può ignorare che il vertice della santità rimane Cristo Crocifisso, nella sua suprema donazione al Padre e ai fratelli nello Spirito Santo. Per questo la configurazione a Cristo e la partecipazione alle sue sofferenze (cfr 1P 4,13) diventa la via regale della santità del Vescovo in mezzo al suo popolo.

Maria, Madre della speranza e maestra di vita spirituale


14 Sostegno della vita spirituale sarà anche per il Vescovo la presenza materna della Vergine Maria,Mater spei et spes nostra, come l'invoca la Chiesa. Per Maria, dunque, il Vescovo nutrirà una devozione autentica e filiale, sentendosi chiamato a fare proprio il suo fiat, a rivivere e attualizzare ogni giorno l'affidamento che Gesù fece di Maria, in piedi presso la Croce, al Discepolo e del Discepolo amato a Maria (cfr Gv Jn 19,26-27). Ugualmente il Vescovo è chiamato a rispecchiarsi nella preghiera unanime e perseverante dei discepoli ed apostoli del Figlio con la Madre sua, in preparazione alla Pentecoste. In questa icona della Chiesa nascente si esprime il legame indissolubile fra Maria e i successori degli Apostoli (cfr At Ac 1,14).

La santa Madre di Dio sarà quindi per il Vescovo maestra nell'ascolto e nella pronta esecuzione della Parola di Dio, nel discepolato fedele verso l'unico Maestro, nella stabilità della fede, nella fiduciosa speranza e nell'ardente carità. Come Maria, « memoria » dell'Incarnazione del Verbo nella prima comunità cristiana, il Vescovo sarà custode e tramite della Tradizione vivente della Chiesa, nella comunione con tutti gli altri Vescovi, in unione e sotto l'autorità del Successore di Pietro.

La solida devozione mariana del Vescovo farà costante riferimento alla Liturgia, dove la Vergine ha una particolare presenza nella celebrazione dei misteri della salvezza ed è per tutta la Chiesa modello esemplare di ascolto e di preghiera, di offerta e di maternità spirituale. Sarà, anzi, compito del Vescovo fare sì che la Liturgia appaia sempre « quale “forma esemplare”, fonte di ispirazione, costante punto di riferimento e meta ultima » per la pietà mariana del Popolo di Dio.64 Fermo restando questo principio, anche il Vescovo nutrirà la sua pietà mariana personale e comunitaria con i pii esercizi approvati e raccomandati dalla Chiesa, specialmente con la recita di quel compendio del Vangelo che è il Santo Rosario. Esperto di questa preghiera, tutta incentrata sulla contemplazione degli eventi salvifici della vita di Cristo, cui fu strettamente associata la sua santa Madre, ogni Vescovo è invitato a esserne anche solerte promotore.65

Affidarsi alla Parola


15 L'Assemblea del Sinodo dei Vescovi ha indicato alcuni mezzi necessari per nutrire e fare progredire la propria vita spirituale.66 Tra questi c'è, al primo posto, la lettura e la meditazione della Parola di Dio. Ogni Vescovo dovrà sempre affidarsi e sentirsi affidato « al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l'eredità con tutti i santificati » (Ac 20,32). Prima, perciò, d'essere trasmettitore della Parola, il Vescovo, insieme con i suoi sacerdoti e come ogni fedele, anzi come la stessa Chiesa,67 deve essere ascoltatore della Parola. Egli dev'essere come « dentro » la Parola, per lasciarsene custodire e nutrire come da un grembo materno. Insieme con sant'Ignazio d'Antiochia, anche il Vescovo ripete: « Mi affido al Vangelo come alla carne di Cristo ».68 Ogni Vescovo, pertanto, avrà sempre presente per se stesso quella nota ammonizione di san Girolamo, ripresa pure dal Concilio Vaticano II: « L'ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo ».69 Non c'è, difatti, primato della santità senza ascolto della Parola di Dio, che della santità è guida e nutrimento.

L'affidarsi alla Parola di Dio e il custodirla, come la Vergine Maria che fu Virgo audiens,70 comporta il mettere in pratica alcuni aiuti, che la tradizione e l'esperienza spirituale della Chiesa non hanno mai mancato di suggerire. Si tratta, anzitutto, della frequente lettura personale e dello studio attento e assiduo della Sacra Scrittura. Un Vescovo sarebbe vano predicatore della Parola all'esterno, se prima non l'ascoltasse dall'interno.71 Senza il contatto frequente con la Sacra Scrittura, un Vescovo sarebbe pure ministro poco credibile della speranza, se è vero, come ricorda san Paolo che « in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza » (Rm 15,4). È, dunque, sempre valido ciò che scriveva Origene: « Sono queste le due attività del Pontefice: o imparare da Dio, leggendo le Scritture divine e meditandole più volte, o ammaestrare il popolo. Però, insegni le cose che egli stesso ha imparato da Dio ».72

Il Sinodo ha richiamato l'importanza della lectio e della meditatio della Parola di Dio nella vita dei Pastori e nel loro stesso ministero a servizio della comunità. Come ho scritto nella Lettera apostolicaNovo millennio ineunte, « è necessario che l'ascolto della Parola diventi un incontro vitale, nell'antica e sempre valida tradizione della lectio divina, che fa cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta, plasma l'esistenza ».73 Negli spazi della meditazione e della lectio, il cuore che ha già accolto la Parola si apre alla contemplazione dell'agire di Dio e, di conseguenza, alla conversione a Lui dei pensieri e della vita, accompagnata dalla richiesta supplice del suo perdono e della sua grazia.

Nutrirsi dell'Eucaristia


16 Come, poi, il mistero pasquale sta al centro della vita e della missione del Buon Pastore, così anche l'Eucaristia è al centro della vita e della missione del Vescovo, come di ogni sacerdote.

Con la celebrazione quotidiana della Santa Messa, egli offre se stesso insieme con Cristo. Quando, poi, questa celebrazione avviene nella Cattedrale, o nelle altre chiese, specialmente parrocchiali, con il concorso e la partecipazione attiva dei fedeli, il Vescovo appare sotto gli occhi di tutti qual è, ossia come il Sacerdos et Pontifex, poiché agisce nella persona di Cristo e nella potenza del suo Spirito, e come lo hiereus, il sacerdote santo, occupato nell'operare i sacri misteri dell'altare, che annuncia e spiega con la predicazione.74

L'amore del Vescovo verso la Santa Eucaristia si esprime pure quando, nel corso della giornata, dedica parte anche abbastanza prolungata del proprio tempo all'adorazione davanti al Tabernacolo. Qui il Vescovo apre al Signore il suo animo, perché sia tutto pervaso e informato dalla carità effusa sulla Croce dal Pastore grande delle pecore, che per loro ha sparso il suo sangue e ha dato la propria vita. A Lui pure innalza la sua preghiera, continuando a intercedere per le pecore che gli sono state affidate.

La preghiera e la Liturgia delle Ore


17 Un secondo mezzo indicato dai Padri sinodali è la preghiera, in modo speciale quella elevata al Signore con la celebrazione della Liturgia delle Ore, che è specificamente e sempre preghiera della comunità cristiana nel nome di Cristo e sotto la guida dello Spirito.

La preghiera è in se stessa un particolare dovere per un Vescovo e per quanti hanno « avuto il dono della vocazione ad una vita di speciale consacrazione: questa li rende, per sua natura, più disponibili all'esperienza contemplativa ».75 Il Vescovo stesso non può dimenticare di essere successore di quegli Apostoli che furono costituiti da Cristo anzitutto perché « stessero con lui » (
Mc 3,14) e che, all'inizio della loro missione, fecero una solenne dichiarazione, che è un programma di vita: « Noi ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola » (Ac 6,4). Il Vescovo, pertanto, riuscirà ad essere per i fedeli un maestro di preghiera solo se potrà contare sulla propria esperienza personale di dialogo con Dio. Egli deve potersi rivolgere a Dio in ogni momento con le parole del Salmista: « Io spero sulla tua parola » (Ps 119 [118], 114). Sarà proprio dalla preghiera che egli potrà attingere quella speranza con la quale deve come contagiare i fedeli. La preghiera, infatti, è il luogo privilegiato dove si esprime e si nutre la speranza poiché essa, secondo un'espressione di san Tommaso d'Aquino, è la « interprete della speranza ».76

Quella personale del Vescovo sarà in modo tutto speciale una preghiera tipicamente « apostolica », cioè presentata al Padre come intercessione per ogni necessità del popolo, che gli è stato affidato. Nel Pontificale Romano è questo l'ultimo impegno dell'eletto all'episcopato, prima che si proceda all'imposizione delle mani: « Vuoi pregare, senza mai stancarti, Dio onnipotente, per il suo Popolo santo ed esercitare in modo irreprensibile il ministero del sommo sacerdozio? ».77 In modo tutto particolare il Vescovo prega per la santità dei suoi sacerdoti, per le vocazioni al ministero ordinato e alla vita consacrata, perché nella Chiesa sempre più arda l'impegno missionario e apostolico.

Riguardo, poi, alla Liturgia delle Ore, destinata a consacrare e orientare il corso intero della giornata per mezzo della lode di Dio, come non ricordare le magnifiche espressioni del Concilio Vaticano II? « Quando a celebrare debitamente quel mirabile canto di lode sono i sacerdoti e altri a ciò deputati da un precetto della Chiesa, o i fedeli che pregano insieme col sacerdote nella forma approvata, allora è veramente la voce della sposa stessa che parla allo sposo, anzi è la preghiera di Cristo che, in unione al suo Corpo, eleva al Padre. Tutti coloro pertanto che compiono questo, adempiono l'obbligo della Chiesa e partecipano al sommo onore della sposa di Cristo perché, rendendo lode a Dio, stanno davanti al trono di Dio in nome della Madre Chiesa ».78 Scrivendo sulla preghiera del Divino Ufficio, il mio predecessore di v. m. Paolo VI, affermava che essa è « preghiera della Chiesa locale », nella quale si esprime « la vera natura della Chiesa orante ».79 Nella consecratio temporische la Liturgia delle Ore realizza, si attua quella laus perennis che è anticipo e prefigurazione della Liturgia celeste, vincolo di unione con gli angeli e i santi che in eterno glorificano il nome di Dio. Tanto, dunque, un Vescovo si mostra e si realizza quale uomo di speranza, quanto s'inserisce nel dinamismo escatologico della preghiera del Salterio. Nei Salmi risuona la Vox sponsae che invoca lo Sposo.

Ogni Vescovo, quindi, prega con il suo popolo e prega per il suo popolo. Egli, però, è pure edificato ed aiutato dalla preghiera dei suoi fedeli, sacerdoti, diaconi, persone di vita consacrata e laici di tutte le età. In mezzo a loro il Vescovo è educatore e promotore della preghiera. Non soltanto trasmette le cose contemplate, ma apre ai cristiani la via stessa della contemplazione. Il noto motto delcontemplata aliis tradere diviene, in tal modo, un contemplationem aliis tradere.

La via dei consigli evangelici e delle beatitudini


18 Per tutti i suoi discepoli, in modo speciale per coloro che già durante la loro vita terrena vogliono seguirlo più da vicino alla maniera degli Apostoli, il Signore propone la via dei consigli evangelici. Oltre che un dono della Trinità alla Chiesa, i consigli sono nel credente un riflesso della vita trinitaria.80 Lo sono in special modo nel Vescovo che, come successore degli Apostoli, è chiamato a seguire Cristo sulla strada della perfezione della carità. Per questo egli è consacrato come è consacrato Gesù. La sua vita è dipendenza radicale da Lui e totale trasparenza di Lui dinanzi alla Chiesa e al mondo. Nella vita del Vescovo deve risplendere la vita di Gesù e quindi la sua obbedienza al Padre fino alla morte e alla morte di croce (cfr Ph 2,8), il suo amore casto e verginale, la sua povertà che è libertà assoluta dinanzi ai beni terreni.

In questo modo i Vescovi possono con il loro esempio guidare non solo quelli che nella Chiesa sono stati chiamati alla sequela di Cristo nella vita consacrata, ma anche i presbiteri, ai quali pure è proposto il radicalismo della santità secondo lo spirito dei consigli evangelici. Tale radicalismo, del resto, chiama in causa tutti i fedeli, anche i laici, giacché esso « è un'esigenza fondamentale e irrinunciabile, che scaturisce dall'appello di Cristo a seguirlo e imitarlo, in forza dell'intima comunione di vita con Lui operata dallo Spirito ».81

Sul volto del Vescovo, insomma, i fedeli devono potere contemplare le qualità che sono dono della grazia e che nelle Beatitudini costituiscono quasi l'autoritratto di Cristo: il volto della povertà, della mitezza e della passione per la giustizia; il volto misericordioso del Padre e dell'uomo pacifico e pacificatore; il volto della purezza di chi guarda costantemente ed unicamente a Dio. I fedeli devono poter vedere nel loro Vescovo anche il volto di colui che rivive la compassione di Gesù verso gli afflitti e talvolta, come è avvenuto nella storia e ancora oggi avviene, il volto pieno di fortezza e di gioia interiore di chi è perseguitato a causa della verità del Vangelo.

La virtù dell'obbedienza


19 Portando su di sé questi tratti umanissimi di Gesù, il Vescovo diventa pure modello e promotore di una spiritualità di comunione, tesa con vigile attenzione a costruire la Chiesa, in modo che tutto, parole e opere, sia compiuto nel segno della sottomissione filiale in Cristo e nello Spirito all'amorevole disegno del Padre. In quanto maestro di santità e ministro della santificazione del suo popolo, il Vescovo è chiamato infatti ad adempiere fedelmente la volontà del Padre. L'obbedienza del Vescovo deve essere vissuta avendo come modello – né potrebbe essere diversamente – l'obbedienza stessa di Cristo, il quale ha affermato più volte di essere disceso dal cielo non per fare la sua volontà, ma la volontà di Colui che lo ha mandato (cfr Gv Jn 6,38 Jn 8,29 Fil Ph 2,7-8).

Camminando sulle orme di Cristo, il Vescovo è obbediente al Vangelo e alla Tradizione della Chiesa, sa leggere i segni dei tempi e riconoscere la voce dello Spirito Santo nel ministero petrino e nella collegialità episcopale. Nell'Esortazione apostolica Pastores dabo vobis ho messo in luce il carattere apostolico, comunitario e pastorale dell'obbedienza presbiterale.82 Tali caratteristiche si ritrovano, com'è ovvio, in modo anche più marcato nell'obbedienza del Vescovo. La pienezza del sacramento dell'Ordine che egli ha ricevuto lo pone infatti in una speciale relazione col Successore di Pietro, con i membri del Collegio episcopale e con la stessa sua Chiesa particolare. Egli deve sentirsi impegnato a vivere intensamente questi rapporti con il Papa e con i confratelli Vescovi in uno stretto vincolo di unità e di collaborazione, rispondendo in tal modo al disegno divino che ha voluto unire inseparabilmente gli Apostoli intorno a Pietro. Questa comunione gerarchica del Vescovo con il Sommo Pontefice rafforza la sua capacità di rendere presente, in virtù dell'Ordine ricevuto, Cristo Gesù, Capo invisibile di tutta la Chiesa.

All'aspetto apostolico dell'obbedienza non può non aggiungersi anche l'aspetto comunitario, in quanto l'episcopato è per sua natura « uno e indiviso ».83 In forza di questa comunitarietà, il Vescovo è chiamato a vivere la sua obbedienza vincendo ogni tentazione individualistica e facendosi carico, nell'insieme della missione del Collegio episcopale, della sollecitudine per il bene di tutta la Chiesa.

Quale modello di ascolto, il Vescovo sarà altresì attento a cogliere, nella preghiera e nel discernimento, la volontà di Dio attraverso quanto lo Spirito dice alla Chiesa. Esercitando evangelicamente la sua autorità, egli saprà mettersi in dialogo con i collaboratori ed i fedeli per far crescere efficacemente la reciproca intesa.84 Ciò gli consentirà di valorizzare pastoralmente la dignità e responsabilità di ogni membro del Popolo di Dio, favorendo con equilibrio e serenità lo spirito di iniziativa di ciascuno. I fedeli devono infatti essere aiutati a crescere verso un'obbedienza responsabile che li renda attivi sul piano pastorale.85 Al riguardo, è sempre attuale l'esortazione che sant'Ignazio di Antiochia rivolgeva a Policarpo: « Nulla si faccia senza il tuo consenso, ma tu non fare nulla senza il consenso di Dio ».86


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