Pastores gregis IT 41

La promozione della santità per tutti i fedeli


41 La santità del Popolo di Dio, cui è ordinato il ministero di santificazione del Vescovo, è dono della grazia divina e manifestazione del primato di Dio nella vita della Chiesa. Per questo, nel suo ministero, egli deve promuovere instancabilmente una vera e propria pastorale e pedagogia della santità, sì da realizzare il programma proposto dal capitolo quinto della Costituzione Lumen gentiumcirca la vocazione universale alla santità.

Questo programma io stesso ho voluto proporre a tutta la Chiesa, all'inizio del terzo millennio, come priorità pastorale e come frutto del grande Giubileo dell'Incarnazione.159 La santità, infatti, è ancora oggi un segno dei tempi, una prova della verità del cristianesimo che rifulge nei suoi esponenti migliori, sia in quelli elevati in grande numero agli onori degli altari, sia in quelli ancora più numerosi che nascostamente hanno fecondato e fecondano la storia degli uomini con l'umile e gioiosa santità del quotidiano. Anche nel nostro tempo, infatti, non mancano preziose testimonianze di forme di santità, personale e comunitaria, che sono per tutti, anche per le nuove generazioni, un segno di speranza.

Per fare, dunque, emergere la testimonianza della santità, esorto i miei Fratelli Vescovi a volere cogliere e a mettere in luce i segni della santità e delle virtù eroiche, che ancora oggi si manifestano, specialmente quando riguardano i fedeli laici delle loro diocesi, soprattutto i coniugi cristiani. Dove ciò, poi, risulti davvero opportuno, li incoraggio a promuovere i relativi processi di canonizzazione.160Ciò potrà essere per tutti un segno di speranza e, per il cammino del Popolo di Dio, un motivo d'incoraggiamento nella sua testimonianza, di fronte al mondo, della permanente presenza della grazia nel tessuto delle umane vicende.

CAPITOLO QUINTO


IL GOVERNO PASTORALE


DEL VESCOVO


« Vi ho dato l'esempio » (Jn 13,15)


42 Trattando del dovere di governare la famiglia di Dio e di assumere la cura abituale e quotidiana del gregge del Signore Gesù, il Concilio Vaticano II spiega che i Vescovi nell'esercizio del loro ministero di padri e pastori in mezzo ai loro fedeli debbono comportarsi come « coloro che servono », avendo sempre sotto gli occhi l'esempio del Buon Pastore, che è venuto non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per le pecore (cfr Mt Mt 20,28 Mc Mc 10,45 Lc 22,26-27 Gv Jn 10,11).161

Quest'immagine di Gesù, modello supremo del Vescovo, ha una sua eloquente espressione nel gesto della lavanda dei piedi, narrato nel Vangelo secondo Giovanni: « Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Mentre cenavano [...] si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto [...]. Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro [...] Vi ho dato l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi » (13, 1-15).

Contempliamo, allora, Gesù mentre compie questo gesto che sembra offrirci la chiave per la comprensione del suo stesso essere e della sua missione, della sua vita e della sua morte. Contempliamo pure l'amore di Gesù, che si traduce in azione, in gesti concreti. Contempliamo Gesù che assume sino in fondo, con radicalità assoluta, la forma di servo (cfr Fil Ph 2,7). Lui, il Maestro e Signore, che ha ricevuto tutto nelle sue mani dal Padre, ci ha amati fino alla fine, fino a mettersi totalmente nelle mani degli uomini, accettando da loro tutto ciò che essi avrebbero poi fatto di Lui. Quello di Gesù è un gesto d'amore compiuto nel contesto dell'istituzione dell'Eucaristia e nella chiara prospettiva della passione e della morte. È un gesto rivelatore del senso dell'Incarnazione, ma, ancora di più, dell'essenza stessa di Dio. Dio è amore, e per questo ha assunto la condizione di servo: Dio si è posto a servizio dell'uomo per portare l'uomo alla piena comunione con Lui.

Se questo, dunque, è il Maestro e Signore, il senso del ministero e dell'essere stesso di chi è chiamato, come i Dodici, ad entrare nella più grande intimità con Gesù, non può consistere che nella totale e incondizionata disponibilità verso gli altri, sia verso coloro che già fanno parte dell'ovile, sia verso quelli che ancora non vi appartengono (cfr Gv Jn 10,16).

L'autorità di servizio pastorale del Vescovo


43 Il Vescovo è inviato in nome di Cristo come pastore per la cura di una determinata porzione del Popolo di Dio. Per mezzo del Vangelo e dell'Eucaristia, egli deve farla crescere quale realtà di comunione nello Spirito Santo.162 Da questo deriva per il Vescovo la rappresentanza e il governo della Chiesa affidatagli, con la potestà necessaria per esercitare il ministero pastorale sacramentalmente ricevuto (munus pastorale), come partecipazione alla stessa consacrazione e missione di Cristo.163 In forza di ciò, « i Vescovi reggono le Chiese particolari a loro affidate, come vicari e delegati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra potestà, della quale però non si servono se non per edificare il proprio gregge nella verità e nella santità, ricordandosi che chi è il più grande si deve fare come il più piccolo, e colui che governa, come colui che serve (cfr Lc Lc 22,26-27) ».164

Questo brano conciliare è una mirabile sintesi della dottrina cattolica riguardo al governo pastorale del Vescovo ed è ripreso nel rito dell'Ordinazione del Vescovo: « Episcopato è il nome di un servizio, non di un onore, poiché al Vescovo compete più il servire che il dominare, secondo il comandamento del Maestro ».165 C'è qui il principio fondamentale per cui nella Chiesa, secondo quanto afferma san Paolo, l'autorità ha come scopo l'edificazione del Popolo di Dio, non la sua rovina (cfr 2Co 10,8). L'edificazione del gregge di Cristo nella verità e nella santità richiede da parte del Vescovo, come più volte è stato detto nell'aula sinodale, alcune caratteristiche, fra cui l'esemplarità della vita, la capacità di relazione autentica e costruttiva con le persone, l'attitudine a stimolare e sviluppare la cooperazione, la bontà d'animo e la pazienza, la comprensione e la compassione per le miserie dell'anima e del corpo, l'indulgenza e il perdono. Si tratta, infatti, di esprimere nel miglior modo possibile il supremo modello, che è Gesù Buon Pastore.

Quella del Vescovo è una vera potestà, ma una potestà illuminata dalla luce del Buon Pastore e informata dal suo modello. Esercitata in nome di Cristo, essa è « propria, ordinaria e immediata, quantunque il suo esercizio sia in definitiva regolato dalla suprema autorità della Chiesa e, entro certi limiti, in vista dell'utilità della Chiesa o dei fedeli, possa essere circoscritto. In virtù di questo potere, i Vescovi hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di dare leggi ai loro sudditi, di giudicare e di regolare tutto quanto appartiene al culto e all'apostolato ».166 Il Vescovo, dunque, è investito, in virtù dell'ufficio che ha ricevuto, di una potestà giuridica oggettiva, destinata ad esprimersi in atti potestativi mediante i quali attuare il ministero di governo (munus pastorale) ricevuto nel Sacramento.

Il governo del Vescovo, tuttavia, sarà pastoralmente efficace – occorre ricordarlo anche in questo caso – se poggerà su un'autorevolezza morale, data dalla sua santità di vita. Sarà questa a disporre gli animi ad accogliere il Vangelo da lui annunciato nella sua Chiesa, come anche le norme da lui fissate per il bene del Popolo di Dio. Ammoniva, perciò, sant'Ambrogio: « Nei sacerdoti non si ricerca nulla di volgare, nulla di comune con le aspirazioni, le abitudini, i costumi della moltitudine grossolana. La dignità sacerdotale rivendica per sé una gravità che si tiene lontana dai tumulti, una vita austera e una singolare autorevolezza ».167

L'esercizio dell'autorità nella Chiesa non può essere concepito come qualcosa d'impersonale e di burocratico, proprio perché si tratta di un'autorità che nasce dalla testimonianza. In tutto ciò che viene detto e fatto dal Vescovo deve essere rivelata l'autorità della parola e dell'agire di Cristo. Se mancasse l'autorevolezza della santità di vita del Vescovo, cioè la sua testimonianza di fede, speranza e carità, il suo governo difficilmente potrebbe essere recepito dal Popolo di Dio come manifestazione della presenza operante di Cristo nella sua Chiesa.

Ministri per volontà del Signore dell'apostolicità della Chiesa e rivestiti della potenza dello Spirito del Padre, che regge e guida (Spiritus principalis), i Vescovi sono successori degli Apostoli non solo nell'autorità e nella sacra potestà, ma pure nella forma di vita apostolica, nelle sofferenze apostoliche per l'annuncio e la diffusione del Vangelo, nella cura tenera e misericordiosa dei fedeli loro affidati, nella difesa dei deboli, nella costante attenzione per il Popolo di Dio.

Nell'aula sinodale è stato ricordato che, dopo il Concilio Vaticano II, l'esercizio dell'autorità nella Chiesa s'è rivelato spesso faticoso. Tale situazione, anche se alcune delle difficoltà più acute sembrano superate, permane tuttora. Si pone perciò il problema di come il necessario servizio dell'autorità possa essere meglio compreso, accettato e adempiuto. Al riguardo, una prima risposta scaturisce dalla natura stessa dell'autorità ecclesiale: essa è – e come tale deve mostrarsi il più chiaramente possibile – partecipazione alla missione di Cristo, da viversi ed esercitarsi nell'umiltà, nella dedizione e nel servizio.

La valorizzazione dell'autorità del Vescovo non s'esprime nelle esteriorità, ma nell'approfondimento del significato teologico, spirituale e morale del suo ministero, fondato nel carisma dell'apostolicità. Quanto è stato detto in aula sinodale circa l'icona della lavanda dei piedi, e il collegamento che, in tale contesto, è stato stabilito tra la figura del servo e quella del pastore, fa capire che l'episcopato è veramente un onore quando è servizio. Ogni Vescovo, perciò, deve applicare a se stesso la parola di Gesù: « Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti » (Mc 10,42-45). Memore di queste parole del Signore, il Vescovo governa col cuore del servo umile e del pastore affettuoso, che guida il suo gregge, cercando la gloria di Dio e la salvezza delle anime (cfr Lc Lc 22,26-27). Vissuta così, quella del Vescovo è davvero una forma di governo unica al mondo.

È già stato ricordato il testo della Lumen gentium, dove si afferma che i Vescovi reggono le Chiese particolari loro affidate come vicari e legati di Cristo, « col consiglio, la persuasione, l'esempio ».168Non c'è in questo contraddizione con le parole che seguono, quando il Concilio Vaticano II aggiunge che i Vescovi governano, sì, « col consiglio, la persuasione, l'esempio, ma anche con l'autorità e la sacra potestà ».169 Si tratta infatti di una « sacra potestà » che affonda le radici nell'autorevolezza morale di cui il Vescovo è insignito in virtù della sua santità di vita. Proprio questa agevola la ricezione di tutta la sua azione di governo e la rende efficace.

Stile pastorale di governo e comunione diocesana


44 La comunione ecclesiale vissuta porterà il Vescovo ad uno stile pastorale sempre più aperto alla collaborazione di tutti. Vi è una sorta di circolarità tra quanto il Vescovo è chiamato a decidere con responsabilità personale per il bene della Chiesa affidata alla sua cura e l'apporto che i fedeli gli possono offrire attraverso gli organi consultivi, quali il sinodo diocesano, il consiglio presbiterale, il consiglio episcopale, il consiglio pastorale.170

I Padri sinodali non hanno omesso di fare riferimento a queste modalità di esercizio del governo episcopale, mediante le quali si organizza l'azione pastorale nella diocesi.171 La Chiesa particolare, infatti, non dice riferimento soltanto al triplice ministero episcopale (munus episcopale), ma anche alla triplice funzione profetica, sacerdotale e regale dell'intero Popolo di Dio. Tutti i fedeli, in virtù del Battesimo, partecipano, nel modo ad essi proprio, al triplice munus di Cristo. La loro reale uguaglianza nella dignità e nell'agire fa sì che tutti siano chiamati a cooperare all'edificazione del Corpo di Cristo, quindi ad attuare la missione che Dio ha affidato alla Chiesa nel mondo, ciascuno secondo la propria condizione e i propri compiti.172

Ogni tipo di differenziazione tra i fedeli, in base ai diversi carismi, funzioni, ministeri è ordinata al servizio delle altre membra del Popolo di Dio. La differenziazione ontologico-funzionale, che pone il Vescovo « di fronte » agli altri fedeli sulla base della pienezza del sacramento dell'Ordine che ha ricevuto, è un essere per gli altri fedeli, che non lo sradica dal suo essere con essi.

La Chiesa è una comunione organica, che si realizza nel coordinamento dei diversi carismi, ministeri e servizi, in ordine al conseguimento del fine comune che è la salvezza. Il Vescovo è responsabile della realizzazione di questa unità nella diversità, favorendo, come è stato detto nell'Assemblea sinodale, la sinergia di diversi operatori, così che sia possibile percorrere insieme il comune cammino di fede e di missione.173

Ciò detto, però, è necessario aggiungere che il ministero del Vescovo non si può affatto ridurre al compito di un semplice moderatore. Per natura sua il munus episcopale implica un chiaro e inequivocabile diritto-dovere di governo, in cui è inclusa anche la componente giurisdizionale. I Pastori sono testimoni pubblici e la loro potestas testandi fidem giunge alla sua pienezza nellapotestas iudicandi: il Vescovo non è solo chiamato a testimoniare la fede, ma anche a valutarne e a disciplinarne le manifestazioni da parte dei credenti affidati alle sue cure pastorali. Nell'adempiere a questo suo compito egli farà tutto il possibile per suscitare il consenso dei suoi fedeli, ma alla fine dovrà sapersi assumere la responsabilità delle decisioni che appariranno necessarie alla sua coscienza di pastore, preoccupato soprattutto del futuro giudizio di Dio.

La comunione ecclesiale nella sua organicità chiama in causa la responsabilità personale del Vescovo, ma suppone anche la partecipazione di tutte le categorie di fedeli, in quanto corresponsabili del bene della Chiesa particolare che essi stessi formano. Ciò che garantisce l'autenticità di tale comunione organica è l'azione dello Spirito, il quale opera sia nella responsabilità personale del Vescovo, sia nella partecipazione ad essa dei fedeli. È lo Spirito infatti che, fondando l'uguaglianza battesimale di tutti i fedeli come anche la diversità carismatica e ministeriale di ciascuno, è in grado di attuare efficacemente la comunione. Sulla base di questi principi si reggono i Sinodi diocesani, il cui profilo canonico, stabilito nei canoni 460-468 del Codice di Diritto Canonico, è stato precisato dall'Istruzione interdicasteriale del 19 marzo 1997.174 Alla sostanza di tali norme dovranno attenersi anche le altre assemblee diocesane, che il Vescovo presiederà non abdicando mai alla sua specifica responsabilità.

Se nel Battesimo ogni cristiano riceve l'amore di Dio tramite l'effusione dello Spirito Santo, il Vescovo – ha ricordato opportunamente l'Assemblea sinodale – mediante il sacramento dell'Ordine riceve nel suo cuore la carità pastorale di Cristo. Questa carità pastorale è finalizzata a creare la comunione.175Prima di tradurre quest'amore-comunione in linee di azione, il Vescovo deve impegnarsi a renderlo presente nel proprio cuore e nel cuore della Chiesa attraverso una vita autenticamente spirituale.

Se la comunione esprime l'essenza della Chiesa, è normale che la spiritualità di comunione tenda a manifestarsi nell'ambito sia personale che comunitario suscitando forme sempre nuove di partecipazione e di corresponsabilità nelle varie categorie di fedeli. Il Vescovo si sforzerà, pertanto, di suscitare nella sua Chiesa particolare strutture di comunione e di partecipazione, che consentano di ascoltare lo Spirito che vive e parla nei fedeli, per poi orientarli a porre in atto quanto lo stesso Spirito suggerisce in ordine al vero bene della Chiesa.

Le articolazioni della Chiesa particolare


45 Molti interventi dei Padri sinodali hanno fatto riferimento a vari aspetti e momenti della vita della Diocesi. Così, una debita attenzione è stata dedicata alla Curia diocesana, quale struttura di cui il Vescovo si serve per esprimere la propria carità pastorale nei suoi vari aspetti.176 È stata richiamata, in particolare, l'opportunità che l'amministrazione economica della Diocesi sia affidata a persone competenti oltre che oneste, in modo che la si possa proporre come esempio di trasparenza per tutte le altre analoghe istituzioni ecclesiastiche. Se nella Diocesi si vive una spiritualità di comunione, non si potrà non prestare un'attenzione privilegiata alle parrocchie e comunità più povere, facendo inoltre il possibile per riservare una parte delle disponibilità economiche alle Chiese più indigenti, specialmente nelle terre di missione e di migrazione.177

È sulla parrocchia, tuttavia, che i Padri sinodali hanno ritenuto conveniente fermare la loro attenzione, ricordando che di questa comunità, eminente fra tutte quelle presenti in una Diocesi, il Vescovo è il primo responsabile: ad essa pertanto egli deve riservare soprattutto la sua cura.178 La parrocchia infatti – come è stato affermato a più voci – rimane ancora il nucleo fondamentale nella vita quotidiana della Diocesi.

La visita pastorale


46 È proprio in questa prospettiva che emerge l'importanza della Visita pastorale, autentico tempo di grazia e momento speciale, anzi unico, in ordine all'incontro e al dialogo del Vescovo con i fedeli.179Il Vescovo Bartolomeu dos Martires, che io stesso ho beatificato pochi giorni dopo la conclusione del Sinodo, nella sua classica opera Stimulus Pastorum, molto apprezzata dallo stesso san Carlo Borromeo, definisce la Visita pastorale quasi anima episcopalis regiminis ed efficacemente la descrive come un'espansione della presenza spirituale del Vescovo tra i suoi fedeli.180

Nella sua Visita pastorale alla parrocchia, lasciato ad altri delegati l'esame delle questioni di carattere amministrativo, il Vescovo privilegi l'incontro con le persone, a cominciare dal parroco e dagli altri sacerdoti. È questo il momento in cui egli esercita più da vicino per il suo popolo il ministero della parola, della santificazione e della guida pastorale, entrando a più diretto contatto con le ansie e le preoccupazioni, le gioie e le attese della gente e potendo rivolgere a tutti un invito alla speranza. Qui, soprattutto, il Vescovo ha il diretto contatto con le persone più povere, con gli anziani e con gli ammalati. Realizzata così, la Visita pastorale si mostra qual è, un segno della presenza del Signore che visita il suo popolo nella pace.

Il Vescovo con il suo presbiterio


47 Non è senza ragione che il decreto conciliare Christus Dominus, offrendo la descrizione della Chiesa particolare, la indica come comunità di fedeli affidata alla cura pastorale del Vescovo « cum cooperatione presbyterii ».181 Esiste, infatti, tra il Vescovo e i presbiteri una communio sacramentalis in virtù del sacerdozio ministeriale o gerarchico, che è partecipazione all'unico sacerdozio di Cristo e pertanto, anche se in grado diverso, in virtù dell'unico ministero ecclesiale ordinato e dell'unica missione apostolica.

I presbiteri e, tra di loro specialmente i parroci, sono, dunque i collaboratori più stretti del ministero del Vescovo. I Padri sinodali hanno rinnovato le raccomandazioni e gli inviti, già presenti nei documenti conciliari e ripresi più recentemente nell'Esortazione apostolica Pastores dabo vobis,182alla speciale qualità delle relazioni fra il Vescovo e i suoi presbiteri. Il Vescovo cercherà sempre di agire coi suoi sacerdoti come padre e fratello che li ama, li ascolta, li accoglie, li corregge, li conforta, ne ricerca la collaborazione e, per quanto possibile, si adopera per il loro benessere umano, spirituale, ministeriale e economico.183

L'affetto privilegiato del Vescovo per i suoi sacerdoti si manifesta come accompagnamento paterno e fraterno nelle tappe fondamentali della loro vita ministeriale, a partire dai primi passi nel ministero pastorale. Fondamentale resta la formazione permanente dei presbiteri, che costituisce per tutti come una « vocazione nella vocazione » perché, nelle sue differenti e complementari dimensioni, tende ad aiutare il prete ad essere e a fare il prete secondo lo stile di Gesù.

Ogni Vescovo diocesano ha tra i suoi primi doveri la cura spirituale del suo presbiterio: « Il gesto del sacerdote che pone le proprie mani nelle mani del Vescovo, nel giorno dell'ordinazione presbiterale, professandogli “filiale rispetto e obbedienza”, a prima vista può sembrare un gesto a senso unico. Il gesto in realtà impegna entrambi: il sacerdote e il Vescovo. Il giovane presbitero sceglie di affidarsi al Vescovo e, da parte sua, il Vescovo si impegna a custodire queste mani ».184

In due altri momenti, vorrei aggiungere, il presbitero può giustamente attendersi la manifestazione di una speciale vicinanza da parte del proprio Vescovo. Il primo è quando gli viene affidata una missione pastorale, sia che ciò accada per la prima volta, come nel caso del sacerdote da poco ordinato, sia che avvenga per un avvicendamento ministeriale, o per il conferimento di un nuovo mandato pastorale. Il conferimento di una missione pastorale è, per lo stesso Vescovo, un momento significativo di paterna responsabilità nei riguardi di un suo presbitero. San Girolamo ha parole che ben si possono applicare a questa circostanza: « Lo stesso rapporto che passava tra Aronne e i suoi figli noi sappiamo che passa tra il Vescovo e i suoi sacerdoti. Uno solo è il Signore, uno il tempio: ci sia pure unità nel ministero [...] La gloria di un padre non è il figlio saggio? Il Vescovo si congratuli con se stesso d'avere avuto buon fiuto nella scelta di simili sacerdoti per Cristo ».185

L'altro momento è quello in cui un sacerdote, a motivo dell'età avanzata, lascia l'effettiva guida pastorale di una comunità, oppure gli incarichi di diretta responsabilità. In queste e in analoghe circostanze, il Vescovo ha il dovere di far sì che il sacerdote avverta sia la gratitudine della Chiesa particolare per le fatiche apostoliche fino ad allora svolte, sia la specificità della sua nuova collocazione all'interno del presbiterio diocesano: egli infatti conserva, ed anzi vede accresciuta, la possibilità di contribuire all'edificazione della Chiesa mediante la testimonianza esemplare di una preghiera più assidua e la generosa messa a disposizione, a vantaggio dei confratelli più giovani, dell'esperienza acquisita. Ai sacerdoti, poi, che si trovano nella medesima situazione a motivo di una malattia grave, o per un'altra forma di persistente debilitazione, il Vescovo farà sentire la propria vicinanza fraterna, aiutandoli a conservare viva la convinzione di « essere membri attivi nell'edificazione della Chiesa anche e specialmente in forza della loro unione a Gesù Cristo sofferente e a tanti altri fratelli e sorelle che nella Chiesa prendono parte alla Passione del Signore ».186

Il Vescovo seguirà, pure, con la preghiera e con una fattiva compassione i sacerdoti che, per una qualsivoglia ragione, hanno messo in questione la loro vocazione e la loro fedeltà alla chiamata del Signore e sono in qualche modo venuti meno ai loro doveri.187

Egli non mancherà, infine, di esaminare i segni di virtù eroiche che si fossero eventualmente manifestati tra i sacerdoti diocesani e, quando lo ritenesse opportuno, procederà al loro pubblico riconoscimento, muovendo i passi necessari per introdurre la causa di canonizzazione.188

La formazione dei candidati al presbiterato


48 Approfondendo il tema del ministero dei presbiteri, l'attenzione dei Padri sinodali si è rivolta in particolare alla formazione dei candidati al sacerdozio, che si svolge nel Seminario.189 Con ciò che comporta di preghiera, di dedizione, di fatica, la formazione dei presbiteri costituisce per il Vescovo una preoccupazione di primaria importanza. Al riguardo, i Padri sinodali, ben sapendo che il Seminario è per la Diocesi un bene tra i più preziosi, si sono soffermati a trattarne con attenzione, ed hanno ribadito la necessità indiscutibile del Seminario Maggiore, senza tuttavia trascurare la rilevanza che anche il Minore riveste per la trasmissione dei valori cristiani in ordine alla sequela di Cristo.190

Ogni Vescovo, pertanto, esprimerà la sua premura anzitutto scegliendo con massima cura gli educatori dei futuri presbiteri e stabilendo le forme più opportune e appropriate per la necessaria loro preparazione a svolgere il ministero in un ambito tanto fondamentale per la vita della comunità cristiana. Il Vescovo non mancherà di visitare con frequenza il Seminario, anche quando circostanze particolari lo avessero condotto insieme con altri Vescovi alla scelta, in non pochi casi necessaria e addirittura da preferirsi, di un Seminario interdiocesano.191 La conoscenza personale e approfondita dei candidati al presbiterato nella propria Chiesa particolare è un elemento dal quale il Vescovo non può prescindere. Sulla base di tali contatti diretti, egli si impegnerà a far sì che nei Seminari siano formate personalità mature ed equilibrate, capaci di stabilire solide relazioni umane e pastorali, teologicamente preparate, forti nella vita spirituale, amanti della Chiesa. Ugualmente si sforzerà di promuovere e sollecitare iniziative di carattere economico per il sostegno e l'aiuto dei giovani candidati al presbiterato.

È evidente, però, che forza suscitatrice e formatrice di vocazioni è innanzitutto la preghiera. Le vocazioni hanno bisogno di una diffusa rete di intercessori presso il « Padrone della messe ». Quanto più il problema della vocazione sarà affrontato nel contesto della preghiera, tanto più la preghiera aiuterà il prescelto ad ascoltare la voce di Colui che lo chiama.

Giunto il momento di conferire gli Ordini sacri, ogni Vescovo terrà il dovuto scrutinio.192 A tale proposito, consapevole della sua grave responsabilità nel conferimento dell'Ordine presbiterale, soltanto dopo un'indagine accurata ed un'ampia consultazione, a norma del diritto, il Vescovo accoglierà nella propria Diocesi candidati che provengono da altra Diocesi, o da un Istituto religioso.193

Il Vescovo e i diaconi permanenti


49 In quanto dispensatori dei sacri Ordini, i Vescovi hanno una responsabilità diretta anche riguardo ai Diaconi permanenti, che l'Assemblea sinodale riconosce come autentici doni di Dio per annunciare il Vangelo, istruire le comunità cristiane e promuovere il servizio della carità nella Famiglia di Dio.194

Ogni Vescovo, perciò, avrà grande cura per queste vocazioni, del cui discernimento e formazione è lui il responsabile ultimo. Benché, normalmente, debba esercitare questa responsabilità mediante collaboratori di sua stretta fiducia, impegnati ad agire in maniera conforme alle disposizioni della Santa Sede,195 il Vescovo cercherà, nei limiti del possibile, di conoscere personalmente quanti si preparano al Diaconato. Dopo averli ordinati, continuerà ad essere per loro un vero padre, incoraggiandoli all'amore verso il Corpo e il Sangue di Cristo, di cui sono ministri, e verso la Santa Chiesa che hanno accettato di servire; quelli poi che sono coniugati, esorterà ad una esemplare vita familiare.

La premura del Vescovo verso le persone di vita consacrata


50 L'Esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata ha già messo in risalto l'importanza che la vita consacrata ha nel ministero del Vescovo. Richiamando quel testo durante quest'ultimo Sinodo, i Padri hanno ricordato che nella Chiesa-comunione il Vescovo deve stimare e promuovere la specifica vocazione e missione della vita consacrata, che appartiene stabilmente e fermamente alla vita e alla santità della Chiesa.196 Anche nella Chiesa particolare essa adempie il dovere di un'esemplare presenza e missione carismatica. Il Vescovo esaminerà perciò attentamente se, fra le persone consacrate vissute nella Diocesi, vi siano state testimonianze di esercizio eroico delle virtù e, ritenendolo opportuno, procederà ad avviare il processo di canonizzazione.

Nella sua cura premurosa verso tutte le forme di vita consacrata, cura che s'esprime sia nell'incoraggiamento che nella vigilanza, il Vescovo dovrà riservare un posto speciale per la vita contemplativa. I consacrati, a loro volta, accoglieranno cordialmente le indicazioni pastorali del Vescovo, mirando ad una piena comunione con la vita e la missione della Chiesa particolare, ove dimorano. Il Vescovo, infatti, è il responsabile dell'attività apostolica nella Diocesi: con lui devono collaborare i consacrati e le consacrate in modo da arricchire, con la presenza e con il ministero, la comunione ecclesiale. A tale proposito, si deve tener presente il documento Mutuae relationes e quanto attiene il diritto vigente.

Speciale attenzione è stata raccomandata per gli Istituti di diritto diocesano, soprattutto per quelli che si dibattono in serie difficoltà: ad essi il Vescovo riserverà una speciale cura paterna. Nell'iter, infine, di approvazione di nuovi Istituti nati nella propria Diocesi, il Vescovo avrà cura di muoversi secondo quanto indicato e prescritto nell'Esortazione Vita consecrata e nelle altre istruzioni dei competenti Dicasteri della Santa Sede.197

I fedeli laici nella cura pastorale del Vescovo


51 Nei fedeli laici, che costituiscono la maggioranza del Popolo di Dio, deve evidenziarsi la forza missionaria del Battesimo. A tal fine, essi hanno bisogno del sostegno, dell'incoraggiamento e dell'aiuto dei loro Vescovi, che li guidino a sviluppare il loro apostolato secondo la loro propria indole secolare, attingendo alla grazia dei sacramenti del Battesimo e della Confermazione. Sarà per questo necessario promuovere itinerari specifici di formazione, che li abilitino ad assumere responsabilità nella Chiesa all'interno delle strutture di partecipazione diocesane e parrocchiali, oltre che nei diversi servizi di animazione della liturgia, di catechesi, di insegnamento della religione cattolica nelle scuole, ecc.

Spettano soprattutto ai laici – e in questo senso li si deve incoraggiare – l'evangelizzazione delle culture, l'inserimento della forza del Vangelo nelle realtà della famiglia, del lavoro, dei mass-media, dello sport, del tempo libero, l'animazione cristiana dell'ordine sociale e della vita pubblica, nazionale e internazionale. Per la loro collocazione nel mondo, difatti, i fedeli laici sono in grado di esercitare una grande influenza sull'ambiente circostante, allargando per tanti uomini e donne le prospettive e gli orizzonti della speranza. D'altra parte, impegnati come sono per la loro scelta di vita nelle realtà temporali, i fedeli laici sono chiamati, in modo corrispondente alla loro specifica indole secolare, a rendere conto della speranza (cfr
1P 3,15) nei rispettivi campi di lavoro, coltivando nel cuore « l'attesa di una terra nuova ».198 I Vescovi, per parte loro, siano vicini ai fedeli laici che, inseriti nel vivo dei complessi problemi del mondo, sono particolarmente esposti al turbamento e alla sofferenza e li sostengano perché siano cristiani di forte speranza, saldamente ancorati alla certezza che il Signore è sempre accanto ai suoi figli.

Dev'essere pure considerata l'importanza dell'apostolato laico associato, sia quello di più antica tradizione, sia quello costituito dai nuovi movimenti ecclesiali. Tutte queste realtà aggregative arricchiscono la Chiesa, ma hanno sempre bisogno del servizio di discernimento che è proprio del Vescovo, alla cui missione pastorale spetta di favorire la complementarità tra movimenti di ispirazione diversificata, vegliando sul loro sviluppo, sulla formazione teologica e spirituale degli animatori, sull'inserimento delle nuove realtà nella comunità diocesana e nelle parrocchie, da cui non debbono separarsi.199 Il Vescovo cercherà pure di far sì che le aggregazioni laicali sostengano la pastorale vocazionale nella Diocesi, favorendo l'accoglienza di tutte le vocazioni, specialmente di quelle al ministero ordinato, alla vita consacrata e all'impegno missionario.200


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