Verbum Domini IT 40

Il rapporto tra Antico e Nuovo Testamento


40 Nella prospettiva dell’unità delle Scritture in Cristo, è necessario sia per i teologi che per i Pastori essere consapevoli delle relazioni tra l’Antico e il Nuovo Testamento. Innanzitutto è evidente che il Nuovo Testamento stesso riconosce l’Antico Testamento come Parola di Dio e pertanto accoglie l’autorità delle sacre Scritture del popolo ebraico.[131] Le riconosce implicitamente adoperando lo stesso linguaggio e accennando spesso a brani di queste Scritture. Le riconosce esplicitamente, perché ne cita molte parti e se ne serve per argomentare. Un’argomentazione basata sui testi dell’Antico Testamento costituisce così, nel Nuovo Testamento, un valore decisivo, superiore a quello di ragionamenti semplicemente umani. Nel quarto Vangelo Gesù dichiara in proposito che «la Scrittura non può essere annullata» (Jn 10,35) e san Paolo precisa in particolare che la rivelazione dell’Antico Testamento continua a valere per noi cristiani (cfr Rm 15,4 1Co 10,11).[132] Inoltre affermiamo che «Gesù di Nazareth è stato un ebreo e la Terra Santa è terra madre della Chiesa»;[133] la radice del Cristianesimo si trova nell’Antico Testamento e il Cristianesimo si nutre sempre a questa radice. Pertanto, la sana dottrina cristiana ha sempre rifiutato ogni forma di marcionismo ricorrente, che tende, in modi diversi, a contrapporre l’Antico e il Nuovo Testamento.[134]

Inoltre, il Nuovo Testamento stesso si afferma conforme all’Antico e proclama che nel mistero della vita, morte e risurrezione di Cristo le sacre Scritture del popolo ebraico hanno trovato il loro perfetto adempimento. Bisogna però osservare che il concetto di adempimento delle Scritture è complesso, perché comporta una triplice dimensione: un aspetto fondamentale di continuità con la rivelazione dell’Antico Testamento, un aspetto di rottura e un aspetto di compimento e superamento. Il mistero di Cristo sta in continuità d’intenzione con il culto sacrificale dell’Antico Testamento; si è attuato però in modo molto differente, che corrisponde a parecchi oracoli dei profeti, e ha raggiunto così una perfezione mai ottenuta prima. L’Antico Testamento, infatti, è pieno di tensioni tra i suoi aspetti istituzionali e i suoi aspetti profetici. Il mistero pasquale di Cristo è pienamente conforme – in un modo però che era imprevedibile – alle profezie e all’aspetto prefigurativo delle Scritture; tuttavia, presenta evidenti aspetti di discontinuità rispetto alle istituzioni dell’Antico Testamento.

[131] Cfr Propositio 10; Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana (24 maggio 2001), 3-5: Ench. Vat. 20, n. 748-755.
[132] Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, CEC 121-122.
[133] Propositio 52.
[134] Cfr Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana (24 maggio 2001), 19: Ench. Vat. 20, n. 799-801; Origene, Omelia sui Numeri 9, 4: SC415, pp. 238-242.

41 Queste considerazioni mostrano così l’importanza insostituibile dell’Antico Testamento per i cristiani, ma nello stesso tempo evidenziano l’originalità della lettura cristologica. Fin dai tempi apostolici e poi nella Tradizione viva, la Chiesa ha messo in luce l’unità del piano divino nei due Testamenti grazie alla tipologia, che non ha carattere arbitrario ma è intrinseca agli eventi narrati dal testo sacro e pertanto riguarda tutta la Scrittura. La tipologia «nelle opere di Dio dell’Antico Testamento ravvisa delle prefigurazioni di ciò che Dio, nella pienezza dei tempi, ha compiuto nella Persona del suo Figlio incarnato».[135] I cristiani, quindi, leggono l’Antico Testamento alla luce di Cristo morto e risorto. Se la lettura tipologica rivela l’inesauribile contenuto dell’Antico Testamento in relazione al Nuovo, non deve tuttavia indurre a dimenticare che esso stesso conserva il valore suo proprio di Rivelazione che lo stesso nostro Signore ha riaffermato (cfr Mc 12,29-31). Pertanto, «anche il Nuovo Testamento esige d’essere letto alla luce dell’Antico. La primitiva catechesi cristiana vi farà costantemente ricorso (cfr 1Co 5,6-8 1Co 10,1-11)».[136] Per questo motivo i Padri sinodali hanno affermato che «la comprensione ebraica della Bibbia può aiutare l’intelligenza e lo studio delle Scritture da parte dei cristiani».[137]

«Il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico e l’Antico è manifesto nel Nuovo»,[138] così si esprimeva con acuta saggezza sant’Agostino su questo tema. È importante, dunque, che sia nella pastorale che nell’ambito accademico venga messa bene in evidenza la relazione intima tra i due Testamenti, ricordando con san Gregorio Magno che quanto «l’Antico Testamento ha promesso, il Nuovo Testamento l’ha fatto vedere; ciò che quello annunzia in maniera occulta, questo proclama apertamente come presente. Perciò l’Antico Testamento è profezia del Nuovo Testamento; e il miglior commento dell’Antico Testamento è il Nuovo Testamento».[139]

[135] Catechismo della Chiesa Cattolica, CEC 128.
[136] Ibidem, CEC 129.
[137] Propositio 52.
[138] Quaestiones in Heptateuchum, 2, 73: PL 34, 623.
[139] Homiliae in Ezechielem, I, VI, 15: PL 76, 836 B.

Le pagine «oscure» della Bibbia


42 Nel contesto della relazione tra Antico e Nuovo Testamento, il Sinodo ha affrontato anche il tema delle pagine della Bibbia, che risultano oscure e difficili per la violenza e le immoralità in esse talvolta contenute. In relazione a ciò si deve tenere presente innanzitutto che la rivelazione biblica è profondamente radicata nella storia. Il disegno di Dio vi si manifesta progressivamente e si attua lentamente attraverso tappe successive, malgrado la resistenza degli uomini. Dio sceglie un popolo e ne opera pazientemente l’educazione. La rivelazione si adatta al livello culturale e morale di epoche lontane e riferisce quindi fatti e usanze, ad esempio manovre fraudolente, interventi violenti, sterminio di popolazioni, senza denunciarne esplicitamente l’immoralità; il che si spiega dal contesto storico, ma può sorprendere il lettore moderno, soprattutto quando si dimenticano i tanti comportamenti «oscuri» che gli uomini hanno avuto sempre lungo i secoli, anche ai nostri giorni. Nell’Antico Testamento, la predicazione dei profeti si erge vigorosamente contro ogni tipo d’ingiustizia e di violenza, collettiva o individuale, ed è così lo strumento dell’educazione data da Dio al suo popolo in preparazione al Vangelo. Pertanto, sarebbe sbagliato non considerare quei brani della Scrittura che ci appaiono problematici. Piuttosto, si deve essere consapevoli che la lettura di queste pagine richiede l’acquisizione di un’adeguata competenza, mediante una formazione che legga i testi nel loro contesto storico-letterario e nella prospettiva cristiana, che ha come chiave ermeneutica ultima «il Vangelo e il comandamento nuovo di Gesù Cristo compiuto nel mistero pasquale».[140] Perciò esorto gli studiosi e i Pastori ad aiutare tutti i fedeli ad accostarsi anche a queste pagine mediante una lettura che faccia scoprire il loro significato alla luce del mistero di Cristo.

[140] Propositio 29.

Cristiani ed ebrei in riferimento alle sacre Scritture


43 Considerando le strette relazioni che legano il Nuovo Testamento all’Antico, viene spontaneo volgere ora l’attenzione al legame peculiare che ne deriva tra cristiani ed ebrei, un legame che non dovrebbe mai essere dimenticato. Agli ebrei, il Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato: siete i «nostri “fratelli prediletti” nella fede di Abramo, nostro patriarca».[141] Certo, queste affermazioni non significano misconoscimento delle rotture affermate nel Nuovo Testamento nei confronti delle istituzioni dell’Antico Testamento e meno ancora dell’adempimento delle Scritture nel mistero di Gesù Cristo, riconosciuto Messia e Figlio di Dio. Tuttavia, questa differenza profonda e radicale non implica affatto ostilità reciproca. L’esempio di san Paolo (cfr. Rm Rm 9-11) dimostra, al contrario, che «un atteggiamento di rispetto, di stima e di amore per il popolo ebraico è il solo atteggiamento veramente cristiano in questa situazione che fa misteriosamente parte del disegno, totalmente positivo, di Dio».[142] San Paolo, infatti, afferma che gli Ebrei «quanto alla scelta di Dio, essi sono amati, a causa dei padri, infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!» (Rm 11,28-29).

Inoltre, san Paolo usa la bella immagine dell’albero di olivo per descrivere le relazioni molto strette tra cristiani ed ebrei: la Chiesa dei Gentili è come un germoglio di olivo selvatico, innestato nell’albero di olivo buono che è il popolo dell’Alleanza (cfr Rm 11,17-24). Traiamo, quindi, il nostro nutrimento dalle medesime radici spirituali. Ci incontriamo come fratelli, fratelli che in certi momenti della loro storia hanno avuto un rapporto teso, ma che adesso sono fermamente impegnati nella costruzione di ponti di amicizia duratura.[143] Ebbe a dire ancora il Papa Giovanni Paolo II: «Abbiamo molto in comune. Insieme possiamo fare molto per la pace, per la giustizia e per un mondo più fraterno e più umano».[144]

Desidero riaffermare ancora una volta quanto prezioso sia per la Chiesa il dialogo con gli ebrei.È bene che dove se ne veda l’opportunità si creino possibilità anche pubbliche di incontro e confronto che favoriscano l’incremento della conoscenza reciproca, della stima vicendevole e della collaborazione anche nello studio stesso delle sacre Scritture.

[141] Giovanni Paolo II, Messaggio al Rabbino Capo di Roma (22 maggio 2004): Insegnamenti, XXVII, 1 (2004), 655.
[142] Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana (24 maggio 2001), 87: Ench. Vat. 20, n. 1150.
[143] Cfr Benedetto XVI, Discorso di congedo all’Aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv (15 maggio 2009): Insegnamenti V, 1 (2009), 847-849.
[144] Giovanni Paolo II, Discorso ai Rabbini Capi di Israele (23 marzo 2000): InsegnamentiXXIII, 1 (2000), 434.

L’interpretazione fondamentalista della sacra Scrittura


44 L’attenzione che abbiamo voluto dare finora al tema dell’ermeneutica biblica nei suoi diversi aspetti ci permette di affrontare l’argomento, più volte emerso nel dibattito sinodale, dell’interpretazione fondamentalista della sacra Scrittura.[145] Su questo tema la Pontificia Commissione Biblica nel documento L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa ha formulato indicazioni importanti. In questo contesto vorrei richiamare l’attenzione soprattutto su quelle letture che non rispettano il testo sacro nella sua autentica natura, promovendo interpretazioni soggettivistiche ed arbitrarie. Infatti, il «letteralismo» propugnato dalla lettura fondamentalista in realtà rappresenta un tradimento sia del senso letterale che spirituale, aprendo la strada a strumentalizzazioni di varia natura, diffondendo, ad esempio, interpretazioni antiecclesiali delle Scritture stesse. L’aspetto problematico della «lettura fondamentalista è che, rifiutando di tener conto del carattere storico della rivelazione biblica, si rende incapace di accettare pienamente la verità della stessa Incarnazione. Il fondamentalismo evita la stretta relazione del divino e dell’umano nei rapporti con Dio. … Per questa ragione, tende a trattare il testo biblico come se fosse stato dettato parola per parola dallo Spirito e non arriva a riconoscere che la Parola di Dio è stata formulata in un linguaggio e una fraseologia condizionati da una data epoca».[146] Al contrario, il cristianesimo percepisce nelleparole la Parola, il Logos stesso, che estende il suo mistero attraverso tale molteplicità e la realtà di una storia umana.[147] La vera risposta ad una lettura fondamentalista è: «la lettura credente della Sacra Scrittura». Questa lettura, «praticata fin dall’antichità nella Tradizione della Chiesa cerca la verità che salva per la vita del singolo fedele e per la Chiesa. Questa lettura riconosce il valore storico della tradizione biblica. È proprio per questo valore di testimonianza storica che essa vuole riscoprire il significato vivo delle Sacre Scritture destinate anche alla vita del credente di oggi»,[148] senza ignorare, quindi, la mediazione umana del testo ispirato e i suoi generi letterari.

[145] Cfr Propositiones 46.47.
[146] Pontificia Commissione Biblica, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), I, F: Ench. Vat. 13, n. 2974.
[147] Cfr Benedetto XVI, Discorso agli uomini di cultura al «Collège des Bernardins» di Parigi (12 settembre 2008): AAS 100 (2008), 726.
[148] Propositio 46.

Dialogo tra Pastori, teologi ed esegeti


45 L’autentica ermeneutica della fede porta con sé alcune conseguenze importanti nell’ambito dell’attività pastorale della Chiesa. Proprio i Padri sinodali a questo proposito hanno raccomandato, ad esempio, un rapporto più assiduo tra Pastori, esegeti e teologi. È bene che le Conferenze Episcopali favoriscano questi incontri allo «scopo di promuovere una maggiore comunione nel servizio alla Parola di Dio».[149] Una tale cooperazione aiuterà tutti a svolgere meglio il proprio lavoro a beneficio di tutta la Chiesa. Infatti, porsi nell’orizzonte del lavoro pastorale vuol dire, anche per gli studiosi, stare di fronte al testo sacro nella sua natura di comunicazione che il Signore fa agli uomini per la salvezza. Pertanto, come ha affermato la Costituzione dogmatica Dei Verbum, si raccomanda che «gli esegeti cattolici poi, e gli altri cultori di Sacra Teologia, collaborando insieme con zelo, si adoperino affinché, sotto la vigilanza del Sacro Magistero, studino e spieghino con gli opportuni sussidi le divine Lettere, in modo che il più gran numero possibile di ministri della divina parola siano in grado di offrire con frutto al popolo di Dio l’alimento delle Scritture, che illumina la mente, corrobora le volontà e accende i cuori degli uomini all’amore di Dio».[150]

[149] Propositio 28.
[150] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum,
DV 23.

Bibbia ed ecumenismo


46 Nella consapevolezza che la Chiesa ha il suo fondamento in Cristo, Verbo di Dio fatto carne, il Sinodo ha voluto sottolineare la centralità degli studi biblici nel dialogo ecumenico in vista della piena espressione dell’unità di tutti i credenti in Cristo.[151] Nella Scrittura stessa, infatti, troviamo la preghiera vibrante di Gesù al Padre che i suoi discepoli siano una sola cosa affinché il mondo creda (cfr Jn 17,21). Tutto questo ci rafforza nel convincimento che ascoltare e meditare insieme le Scritture ci fa vivere una comunione reale, anche se non ancora piena;[152] «l’ascolto comune delle Scritture spinge perciò al dialogo della carità e fa crescere quello della verità».[153] Infatti, ascoltare insieme la Parola di Dio, praticare la lectio divina della Bibbia, lasciarsi sorprendere dalla novità, che mai invecchia e mai si esaurisce, della Parola di Dio, superare la nostra sordità per quelle parole che non si accordano con le nostre opinioni o pregiudizi, ascoltare e studiare nella comunione dei credenti di tutti i tempi: tutto ciò costituisce un cammino da percorrere per raggiungere l’unità della fede, come risposta all’ascolto della Parola.[154] Erano davvero illuminanti le parole del Concilio Vaticano II: «La sacra Scrittura nello stesso dialogo [ecumenico] costituisce l’eccellente strumento nella potente mano di Dio per il raggiungimento di quella unità, che il Salvatore offre a tutti gli uomini».[155]Pertanto è bene incrementare lo studio, il confronto e le celebrazioni ecumeniche della Parola di Dio, nel rispetto delle regole vigenti e delle diverse tradizioni.[156] Queste celebrazioni giovano alla causa ecumenica e, quando vengono vissute nel loro vero significato, costituiscono momenti intensi di autentica preghiera in cui chiedere a Dio di affrettare il giorno sospirato in cui potremo tutti accostarci alla stessa mensa e bere all’unico calice. Nella giusta e lodevole promozione di questi momenti, tuttavia, si faccia in modo che essi non vengano proposti ai fedeli in sostituzione della partecipazione alla Santa Messa per il precetto festivo.

In questo lavoro di studio e di preghiera riconosciamo con serenità anche quegli aspetti che chiedono di essere approfonditi e che ci vedono ancora distanti, come ad esempio la comprensione del soggetto autorevole dell’interpretazione nella Chiesa ed il ruolo decisivo del Magistero.[157]

Vorrei sottolineare, inoltre, quanto detto dai Padri sinodali circa l’importanza, in questo lavoro ecumenico, delle traduzioni della Bibbia nelle diverse lingue.Sappiamo infatti che tradurre un testo non è mero lavoro meccanico, ma è in un certo senso parte del lavoro interpretativo. A questo proposito, il Venerabile Giovanni Paolo II ha affermato: «Chi ricorda quanto abbiano influito sulle divisioni, specie in Occidente, i dibattiti attorno alla Scrittura, può comprendere quale notevole passo avanti rappresentino tali traduzioni comuni».[158] Perciò la promozione delle traduzioni comuni della Bibbia è parte del lavoro ecumenico. Desidero qui ringraziare tutti coloro che sono impegnati in questo importante compito e incoraggiarli a proseguire nella loro opera.

[151] Si ricorda, comunque, che, per quanto riguarda i cosiddetti Libri Deuterocanonici dell’Antico Testamento e la loro ispirazione, Cattolici e Ortodossi non hanno esattamente lo stesso canone biblico di Anglicani e Protestanti.
[152] Cfr Relatio post disceptationem, 36.
[153] Propositio 36.
[154] Cfr Benedetto XVI, Discorso all’XI Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi (25 gennaio 2007): AAS 99 (2007), 85-86.
[155] Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull’Ecumenismo Unitatis redintegratio, UR 21.
[156] Cfr Propositio 36.
[157] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, DV 10.
[158] Lett. enc. Ut unum sint (25 maggio 1995), UUS 44: AAS 87 (1995), 947.

Conseguenze sull’impostazione degli studi teologici


47 Un’altra conseguenza derivante da un’adeguata ermeneutica della fede riguarda la necessità di mostrarne le implicazioni circa la formazione esegetica e teologica, in particolare per coloro che sono candidati al sacerdozio. Si deve fare in modo che lo studio della sacra Scrittura sia davvero l’anima della teologia in quanto in essa si riconosce la Parola di Dio, che si rivolge oggi al mondo, alla Chiesa e a ciascuno personalmente. È importante che i criteri indicati dal numero 12 della Costituzione dogmatica Dei Verbum siano effettivamente presi in considerazione e fatti oggetto di approfondimento. Si eviti di coltivare un concetto di ricerca scientifica che si ritenga neutrale nei confronti della Scrittura. Perciò insieme allo studio delle lingue proprie in cui è stata scritta la Bibbia e dei metodi interpretativi adeguati, è necessario che gli studenti abbiano una profonda vita spirituale, così da capire che si può comprendere la Scrittura solo se la si vive.

In questa prospettiva raccomando che lo studio della Parola di Dio, trasmessa e scritta, avvenga sempre in profondo spirito ecclesiale, tenendo in debito conto, nella formazione accademica, gli interventi su queste tematiche da parte del Magistero, il quale «non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola».[159] Pertanto, si abbia cura che gli studi si svolgano nel riconoscimento che «la sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che nessuna di queste realtà sussiste senza le altre».[160]Auspico, pertanto, che, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II, lo studio della Sacra Scrittura, letta nella comunione della Chiesa universale, sia realmente come l’anima dello studio teologico.[161]

[159] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum,
DV 10.
[160] Ibidem. DV 10
[161] Cfr ibidem, DV 24.

I Santi e l’interpretazione della Scrittura


48 L’interpretazione della sacra Scrittura rimarrebbe incompiuta se non si mettesse in ascolto anche di chi ha vissuto veramente la Parola di Dio, ossia i Santi.[162] Infatti, «viva lectio est vita bonorum».[163] L’interpretazione più profonda della Scrittura in effetti viene proprio da coloro che si sono lasciati plasmare dalla Parola di Dio, attraverso l’ascolto, la lettura e la meditazione assidua.

Non è certamente un caso che le grandi spiritualità che hanno segnato la storia della Chiesa siano sorte da un esplicito riferimento alla Scrittura. Penso ad esempio a sant’Antonio Abate, mosso dall’ascolto delle parole di Cristo: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!» (
Mt 19,21).[164] Non meno suggestivo è san Basilio Magno che nell’opera Moralia si domanda: «Che cosa è proprio della fede? Piena e indubbia certezza della verità delle parole ispirate da Dio ... che cosa è proprio del fedele? Il conformarsi con tale piena certezza al significato delle parole della Scrittura, e non osare togliere o aggiungere alcunché».[165] San Benedetto, nella sua Regola, rimanda alla Scrittura quale «norma rettissima per la vita dell’uomo».[166] San Francesco d’Assisi – scrive Tommaso da Celano – «udendo che i discepoli di Cristo non devono possedere né oro, né argento, né denaro, né portare bisaccia, né pane, né bastone per via, né avere calzari, né due tuniche … subito, esultante di Spirito Santo, esclamò: Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore!».[167] Santa Chiara d’Assisi ricalca appieno l’esperienza di san Francesco: «La forma di vita dell’Ordine delle Sorelle povere… è questo: osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo».[168] San Domenico di Guzman, poi, «dovunque si manifestava come un uomo evangelico, nelle parole come nelle opere»[169] e tali voleva che fossero anche i suoi frati predicatori, «uomini evangelici».[170] Santa Teresa di Gesù, carmelitana, che nei suoi scritti continuamente ricorre ad immagini bibliche per spiegare la sua esperienza mistica, ricorda che Gesù stesso le rivela che «tutto il male del mondo deriva dal non conoscere chiaramente le verità della sacra Scrittura».[171] Santa Teresa di Gesù Bambino trova l’Amore come sua vocazione personale nello scrutare le Scritture, in particolare i capitoli 12 e 13 della Prima Lettera ai Corinti;[172] è la stessa Santa a descrivere il fascino delle Scritture: «Appena getto lo sguardo sul Vangelo, subito respiro i profumi della vita di Gesù e so da che parte correre».[173] Ogni santo costituisce come un raggio di luce che scaturisce dalla Parola di Dio: così pensiamo inoltre a san Ignazio di Loyola nella sua ricerca della verità e nel discernimento spirituale; san Giovanni Bosco nella sua passione per l’educazione dei giovani; san Giovanni Maria Vianney nella sua coscienza della grandezza del sacerdozio come dono e compito; san Pio da Pietrelcina nel suo essere strumento della misericordia divina; san Josemaría Escrivá nella sua predicazione sulla chiamata universale alla santità; la beata Teresa di Calcutta, missionaria della Carità di Dio per gli ultimi; fino ai martiri del nazismo e del comunismo, rappresentati, da una parte, da santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein), monaca carmelitana, e, dall’altra, dal beato Luigi Stepinac, cardinale arcivescovo di Zagabria.

[162] Cfr Propositio 22.
[163] S. Gregorio Magno, Moralia in Job XXIV, VIII, 16: PL 76, 295.
[164] Cfr S. Atanasio, Vita Antonii, II: PL 73, 127.
[165] Moralia, Regula LXXX, XXII: PG 31, 867.
[166] Regola, 73, 3: SC 182, p. 672.
[167] Tommaso da Celano, La vita prima di S. Francesco, IX, 22: FF 356.
[168] Regola, I, 1-2: FF 2750.
[169] B. Giordano da Sassonia, Libellus de principiis Ordinis Praedicatorum, 104: Monumenta Fratrum Praedicatorum Historica, Roma 1935, 16, p. 75.
[170] Ordine dei Frati Predicatori, Prime Costituzioni o Consuetudines, II, XXXI.
[171] Vita 40, 1.
[172] Cfr Storia di una anima, MSB 3r°.
[173] Ibidem, MSC 35v°.

49 La santità in rapporto alla Parola di Dio si iscrive così, in un certo modo, nella tradizione profetica, in cui la Parola di Dio prende a servizio la vita stessa del profeta. In questo senso la santità nella Chiesa rappresenta un’ermeneutica della Scrittura dalla quale nessuno può prescindere. Lo Spirito Santo che ha ispirato gli autori sacri è lo stesso che anima i Santi a dare la vita per il Vangelo. Mettersi alla loro scuola costituisce una via sicura per intraprendere un’ermeneutica viva ed efficace della Parola di Dio.

Di questo legame tra Parola di Dio e santità abbiamo avuto testimonianza diretta durante la XII Assemblea del Sinodo, quando il 12 ottobre in piazza san Pietro si è svolta la canonizzazione di quattro nuovi Santi: il sacerdote Gaetano Errico, fondatore della Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria; Madre Maria Bernarda Bütler, nata in Svizzera e missionaria in Ecuador e in Colombia; suor Alfonsa dell’Immacolata Concezione, prima santa canonizzata nata in India; la giovane laica ecuadoriana Narcisa di Gesù Martillo Morán. Con la loro vita essi hanno dato testimonianza al mondo e alla Chiesa della perenne fecondità del Vangelo di Cristo. Chiediamo al Signore che per l’intercessione di questi Santi, canonizzati proprio nei giorni dell’Assemblea sinodale sulla Parola di Dio, la nostra vita sia quel «terreno buono» in cui il divino Seminatore possa seminare la Parola perché porti in noi frutti di santità, «il trenta, il sessanta, il cento per uno» (
Mc 4,20).



SECONDA PARTE


VERBUM IN ECCLESIA


«\IA quanti però lo hanno accolto ha dato il potere

di diventare figli di Dio» (@JN 1,12@)


La Parola di Dio e la Chiesa


La Chiesa accoglie la Parola


50 Il Signore pronuncia la sua Parola perché venga accolta da coloro che sono stati creati proprio «per mezzo» dello stesso Verbo. «Venne tra i suoi» (Jn 1,11): la Parola non ci è originariamente estranea e la creazione è stata voluta in un rapporto di familiarità con la vita divina. Il Prologo del quarto Vangelo ci pone di fronte anche al rifiuto nei confronti della divina Parola da parte dei «suoi» che «non l’hanno accolto» (Jn 1,11). Non accoglierlo vuol dire non ascoltare la sua voce, non conformarsi al Logos. Invece, là dove l’uomo, pur fragile e peccatore, si apre sinceramente all’incontro con Cristo, inizia una trasformazione radicale: «a quanti però lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio» (Jn 1,12). Accogliere il Verbo vuol dire lasciarsi plasmare da Lui, così da essere, per la potenza dello Spirito Santo, resi conformi a Cristo, al «Figlio unigenito che viene dal Padre» (Jn 1,14). È l’inizio di una nuova creazione, nasce la creatura nuova, un popolo nuovo. Quelli che credono, ossia coloro che vivono l’obbedienza della fede, «da Dio sono stati generati» (Jn 1,13), vengono resi partecipi della vita divina: figli nel Figlio (cfr Ga 4,5-6 Rm 8,14-17). Dice suggestivamente sant’Agostino commentando questo passo nel Vangelo di Giovanni: «per mezzo del Verbo sei stato fatto, ma è necessario che per mezzo del Verbo tu venga rifatto».[174] Qui vediamo delinearsi il volto della Chiesa, come realtà definita dall’accoglienza del Verbo di Dio che facendosi carne è venuto a porre la sua tenda tra noi (cfr Jn 1,14). Questa dimora di Dio tra gli uomini, questa shekinah (cfr Ex 26,1), prefigurata nell’Antico Testamento, si compie ora nella presenza definitiva di Dio con gli uomini in Cristo.

[174] In Iohannis Evangelium Tractatus, I,12: PL 35, 1385.

Contemporaneità di Cristo nella vita della Chiesa


51 Il rapporto tra Cristo, Parola del Padre, e la Chiesa non può essere compreso nei termini di un evento semplicemente passato, ma si tratta di una relazione vitale in cui ciascun fedele è chiamato ad entrare personalmente. Parliamo infatti della presenza della Parola di Dio a noi oggi: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Come ha affermato il Papa Giovanni Paolo II: «La contemporaneità di Cristo all’uomo di ogni tempo si realizza nel suo corpo, che è la Chiesa.Per questo il Signore promise ai suoi discepoli lo Spirito Santo, che avrebbe loro “ricordato” e fatto comprendere i suoi comandamenti (cfr Jn 14,26) e sarebbe stato il principio sorgivo di una vita nuova nel mondo (cfr Jn 3,5-8 Rm 8,1-13)».[175] La Costituzione dogmatica Dei Verbumesprime questo mistero nei termini biblici di un dialogo nuziale: «Dio, il quale ha parlato in passato, non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce dell’Evangelo risuona nella Chiesa e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti alla verità intera e in essi fa risiedere la parola di Cristo in tutta la sua ricchezza (cfr Col 3,16)».[176]

La Sposa di Cristo, maestra di ascolto, anche oggi ripete con fede: «Parla, o Signore, che la tua Chiesa ti ascolta».[177] Per questo la Costituzione dogmatica Dei Verbum inizia dicendo: «In religioso ascolto della parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia, il santo Concilio…».[178] Si tratta in effetti di una definizione dinamica della vita della Chiesa: «Sono parole con le quali il Concilio indica un aspetto qualificante della Chiesa: essa è una comunità che ascolta ed annuncia la Parola di Dio. La Chiesa non vive di se stessa ma del Vangelo e dal Vangelo sempre e nuovamente trae orientamento per il suo cammino. È una annotazione che ogni cristiano deve raccogliere ed applicare a se stesso: solo chi si pone innanzitutto in ascolto della Parola può poi diventarne annunciatore».[179] Nella Parola di Dio proclamata ed ascoltata e nei Sacramenti, Gesù dice oggi, qui e adesso, a ciascuno: «Io sono tuo, mi dono a te»; perché l’uomo possa accogliere e rispondere, e dire a sua volta: «Io sono tuo».[180] La Chiesa appare così l’ambito nel quale per grazia possiamo fare esperienza di ciò che narra il Prologo di Giovanni: «a quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio» (Jn 1,12).

[175] Lett. enc. Veritatis splendor (6 agosto 1993), VS 25: AAS 85 (1993), 1153.
[176] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, DV 8.
[177] Relatio post disceptationem, 11.
[178] DV 1.
[179] Benedetto XVI, Discorso al Convegno internazionale «La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa» (16 settembre 2005): AAS 97 (2005), 956.
[180] Cfr Relatio post disceptationem, 10.

Liturgia, luogo privilegiato della Parola di Dio

La Parola di Dio nella sacra liturgia


52 Considerando la Chiesa come «casa della Parola»,[181] si deve innanzitutto porre attenzione alla sacra liturgia. È questo infatti l’ambito privilegiato in cui Dio parla a noi nel presente della nostra vita, parla oggi al suo popolo, che ascolta e risponde. Ogni azione liturgica è per natura sua intrisa di sacra Scrittura. Come afferma la Costituzione Sacrosanctum Concilium, «nella celebrazione liturgica la sacra Scrittura ha una importanza estrema. Da essa infatti si attingono le letture che vengono poi spiegate nell’omelia e i salmi che si cantano; del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preghiere, le orazioni e i carmi liturgici; da essa infine prendono significato le azioni e i simboli liturgici».[182] Più ancora, si deve dire che Cristo stesso «è presente nella sua parola, giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura».[183] In effetti, «la celebrazione liturgica diventa una continua, piena ed efficace proclamazione della parola di Dio. Pertanto la parola di Dio, costantemente annunziata nella liturgia, è sempre viva ed efficace per la potenza dello Spirito Santo, e manifesta quell’amore operante del Padre che giammai cessa di operare verso tutti gli uomini».[184]La Chiesa, infatti, ha sempre mostrato la consapevolezza che nell’azione liturgica la Parola di Dio si accompagna all’intima azione dello Spirito Santo che la rende operante nel cuore dei fedeli. In realtà è grazie al Paraclito che «la parola di Dio diventa fondamento dell’azione liturgica, norma e sostegno di tutta la vita. L’azione dello stesso Spirito Santo … a ciascuno suggerisce nel cuore tutto ciò che nella proclamazione della parola di Dio viene detto per l’intera assemblea dei fedeli, e mentre rinsalda l’unità di tutti, favorisce anche la diversità dei carismi e ne valorizza la molteplice azione».[185]

Pertanto, occorre comprendere e vivere il valore essenziale dell’azione liturgica per la comprensione della Parola di Dio. In un certo senso, l’ermeneutica della fede riguardo alla sacra Scrittura deve sempre avere come punto di riferimento la liturgia, dove la Parola di Dio è celebrata come parola attuale e vivente: «La Chiesa segue fedelmente nella liturgia quel modo di leggere e di interpretare le sacre Scritture, a cui ricorse Cristo stesso, che a partire dall’‘oggi’ del suo evento esorta a scrutare tutte le Scritture».[186]

Qui appare anche la sapiente pedagogia della Chiesa che proclama e ascolta la sacra Scrittura seguendo il ritmo dell’anno liturgico. Questo distendersi della Parola di Dio nel tempo avviene in particolare nella celebrazione eucaristica e nella Liturgia delle Ore. Al centro di tutto risplende il Mistero Pasquale, al quale si collegano tutti i misteri di Cristo e della storia della salvezza che si attualizzano sacramentalmente: «Ricordando in tal modo i misteri della redenzione, essa [la Chiesa] apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo Signore, le rende come presenti a tutti i tempi e permette ai fedeli di venirne a contatto e di essere ripieni della grazia della salvezza».[187] Esorto quindi i Pastori della Chiesa e gli operatori pastorali a fare in modo che tutti i fedeli siano educati a gustare il senso profondo della Parola di Dio che si dispiega nella liturgia durante l’anno, mostrando i misteri fondamentali della nostra fede. Da ciò dipende anche il giusto approccio alla sacra Scrittura.

[181] Messaggio finale, III, 6.
[182] Conc. Ecum. Vat.II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium,
SC 24.
[183] Ibidem, SC 7.
[184] Ordinamento delle letture della Messa, 4.
[185] Ibidem, 9.
[186] Ibidem, 3; cfr Lc 4,16-21 Lc 24,25-35 Lc 24,44-49.
[187] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, SC 102.


Verbum Domini IT 40