Redemptoris Mater 16


16 Sempre lungo questa via dell'"obbedienza della fede" Maria ode poco più tardi altre parole: quelle pronunciate da Simeone al tempio di Gerusalemme. Si era già al quarantesimo giorno dopo la nascita di Gesù, quando, secondo la prescrizione della legge di Mosè, Maria e Giuseppe "portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore" (Lc 2,22). La nascita era avvenuta in condizioni di estrema povertà. Sappiamo, infatti, da Luca che, quando in occasione del censimento della popolazione, ordinato dalle autorità romane, Maria si reco con Giuseppe a Betlemme, non avendo trovato "posto nell'albergo", diede alla luce il suo Figlio in una stalla e "lo depose in una mangiatoia" (cfr. Lc 2,7).

Un uomo giusto e timorato di Dio, di nome Simeone, appare in quell'inizio dell'"itinerario" della fede di Maria. Le sue parole, suggerite dallo Spirito santo (cfr. Lc 2,25-27), confermano la verità dell'annunciazione.

Leggiamo, infatti, che egli "prese tra le braccia" il bambino, al quale - secondo il comando dell'angelo - era stato messo nome Gesù (cfr. Lc 2,21). Il discorso di Simeone è conforme al significato di questo nome, che vuol dire Salvatore: "Dio è la salvezza". Rivolto al Signore, egli dice così: "I miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele" (Lc 2,30-32). Contemporaneamente, pero, Simeone si rivolge a Maria con le seguenti parole: "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori"; ed aggiunge con diretto riferimento a Maria: "E anche a te una spada trafiggerà l'anima" (Lc 2,34-35). Le parole di Simeone mettono in una luce nuova l'annuncio che Maria ha udito dall'angelo: Gesù è il Salvatore, è "luce per illuminare" gli uomini. Non è quel che si è manifestato, in certo modo, nella notte del natale, quando sono venuti nella stalla i pastori? (cfr. Lc 2,8-20). Non è quel che doveva manifestarsi ancor più nella venuta dei Magi dall'oriente? (cfr. Mt 2,1-12). Nello stesso tempo, pero, già all'inizio della sua vita, il Figlio di Maria, e con lui sua madre, sperimenteranno in se stessi la verità delle altre parole di Simeone: "Segno di contraddizione" (Lc 2,34). Quello di Simeone appare come un secondo annuncio a Maria, poiché le indica la concreta dimensione storica nella quale il Figlio compirà la sua missione, cioè nell'incomprensione e nel dolore. Se un tale annuncio, da una parte, conferma la sua fede nell'adempimento delle divine promesse della salvezza, dall'altra le rivela anche che dovrà vivere la sua obbedienza di fede nella sofferenza a fianco del Salvatore sofferente, e che la sua maternità sarà oscura e dolorosa. Ecco, infatti, dopo la visita dei Magi, dopo il loro omaggio ("prostratisi lo adorarono"), dopo l'offerta dei doni (cfr. Mt 2,11), Maria, insieme al bambino, deve fuggire in Egitto sotto la premurosa protezione di Giuseppe, perché "Erode stava cercando il bambino per ucciderlo" (cfr. Mt 2,13). E fino alla morte di Erode dovranno rimanere in Egitto (cfr. Mt 2,15).


17 Dopo la morte di Erode, quando la sacra famiglia fa ritorno a Nazaret, inizia il lungo periodo della vita nascosta. Colei che "ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore" (Lc 1,45) vive ogni giorno il contenuto di queste parole.

Quotidianamente accanto a lei è il Figlio, a cui ha dato nome Gesù; dunque, certamente nel contatto con lui ella usa questo nome, che del resto non poteva destare meraviglia in nessuno, essendo in uso da molto tempo in Israele. Tuttavia, Maria sa che colui che porta il nome Gesù è stato chiamato dall'angelo "Figlio dell'Altissimo" (cfr. Lc 1,32). Maria sa di averlo concepito e dato alla luce "non conoscendo uomo", per opera dello Spirito santo, con la potenza dell'Altissimo che ha steso la sua ombra su di lei (cfr. Lc 1,35), così come ai tempi di Mosè e dei padri la nube velava la presenza di Dio (cfr. Ex 24,16 Ex 40,34-35 1R 8,10-12).

Dunque, Maria sa che il Figlio, da lei dato alla luce verginalmente, è proprio quel "santo", "il Figlio di Dio", di cui le ha parlato l'angelo.

Durante gli anni della vita nascosta di Gesù nella casa di Nazaret, anche la vita di Maria è "nascosta con Cristo in Dio" (cfr. Col 3,3) mediante la fede. La fede, infatti, è un contatto col mistero di Dio. Maria costantemente, quotidianamente è in contatto con l'ineffabile mistero di Dio che si è fatto uomo, mistero che supera tutto ciò che è stato rivelato nell'antica alleanza. Sin dal momento dell'annunciazione, la mente della Vergine-Madre è stata introdotta nella radicale "novità" dell'autorivelazione di Dio e resa consapevole del mistero. Ella è la prima di quei "piccoli", dei quali Gesù dirà un giorno: "Padre, ... hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli" (Mt 11,25). Infatti, "nessuno conosce il Figlio se non il Padre" (Mt 11,27). Come può dunque "conoscere il Figlio" Maria? Certamente, non lo conosce come il Padre; eppure, è la prima tra coloro ai quali il Padre "l'ha voluto rivelare" (cfr. Mt 11,26-27 1Co 2,11). Se pero sin dal momento dell'annunciazione le è stato rivelato il Figlio, che solo il Padre conosce completamente, come colui che lo genera nell'eterno "oggi" (cfr. Ps 2,7), Maria, la Madre, è in contatto con la verità del suo Figlio solo nella fede e mediante la fede! E' dunque beata, perché "ha creduto", e crede ogni giorno tra tutte le prove e contrarietà del periodo dell'infanzia di Gesù e poi durante gli anni della vita nascosta a Nazaret, dove egli "stava loro sottomesso" (Lc 2,51): sottomesso a Maria e anche a Giuseppe, perché questi faceva le veci del padre davanti agli uomini; onde lo stesso figlio di Maria era ritenuto dalla gente "il figlio del carpentiere" (Mt 13,55).

La madre di quel Figlio, dunque, memore di quanto le è stato detto nell'annunciazione e negli avvenimenti successivi, porta in sè la radicale "novità" della fede: l'inizio della nuova alleanza. E' questo l'inizio del Vangelo, ossia della buona, lieta novella. Non è difficile, pero, notare in questo inizio una particolare fatica del cuore, unita a una sorta di "notte della fede" - per usare le parole di san Giovanni della Croce -, quasi un "velo" attraverso il quale bisogna accostarsi all'Invisibile e vivere nell'intimità col mistero. E' infatti in questo modo che Maria, per molti anni, rimase nell'intimità col mistero del suo Figlio, e avanzava nel suo itinerario di fede, man mano che Gesù "cresceva in sapienza ... e grazia davanti a Dio e agli uomini" (Lc 2,52). Sempre di più si manifestava agli occhi degli uomini la predilezione che Dio aveva per lui. La prima tra queste creature umane ammesse alla scoperta del Cristo era Maria, che con Giuseppe viveva nella stessa casa a Nazaret.

Tuttavia, quando, dopo il ritrovamento nel tempio, alla domanda della madre: "Perché ci hai fatto così?", il dodicenne Gesù rispose: "Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio?", l'evangelista aggiunge: "Ma essi (Giuseppe e Maria) non compresero le sue parole" (Lc 2,48-50). Dunque, Gesù aveva la consapevolezza che "solo il Padre conosce il Figlio" (cfr. Mt 11,27), tanto che persino colei, alla quale era stato rivelato più a fondo il mistero della filiazione divina, la madre, viveva nell'intimità con questo mistero solo mediante la fede! Trovandosi a fianco del Figlio, sotto lo stesso tetto e "serbando fedelmente la sua unione col Figlio", ella "avanzava nella peregrinazione della fede", come sottolinea il concilio. E così fu anche durante la vita pubblica di Cristo (cfr. Mc 3,21-35), onde di giorno in giorno si adempiva in lei la benedizione pronunciata da Elisabetta nella visitazione: "Beata colei che ha creduto".


18 Tale benedizione raggiunge la pienezza del suo significato, quando Maria sta sotto la croce di suo Figlio (cfr. Jn 19,25). Il concilio afferma che ciò avvenne "non senza un disegno divino": "Soffrendo profondamente col suo unigenito e associandosi con animo materno al sacrificio di lui, amorosamente consenziente all'immolazione della vittima da lei generata", in questo modo Maria "serbo fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce": l'unione mediante la fede, la stessa fede con la quale aveva accolto la rivelazione dell'angelo al momento dell'annunciazione. Allora si era anche sentita dire: "Sarà grande ..., il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre ..., regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine" (Lc 1,32-33).

Ed ecco, stando ai piedi della croce, Maria è testimone, umanamente parlando, della completa smentita di queste parole. Il suo Figlio agonizza su quel legno come un condannato. "Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori ...; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima": quasi distrutto (cfr. Is 53,3-5). Quanto grande, quanto eroica è allora l'obbedienza della fede dimostrata da Maria di fronte agli "imperscrutabili giudizi" di Dio (cfr. Rm 11,33)! Come "si abbandona a Dio" senza riserve, "prestando il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà" a colui, le cui "vie sono inaccessibili" (cfr. Rm 11,35)! Ed insieme quanto potente è l'azione della grazia nella sua anima, come penetrante è l'influsso dello Spirito santo, della sua luce e della sua virtù! Mediante questa fede Maria è perfettamente unita a Cristo nella sua spoliazione. Infatti, "Gesù Cristo, ... pur essendo di natura divina, non considero un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spoglio se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini": proprio sul Golgota "umilio se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (cfr. Ph 2,6-8). Ai piedi della croce Maria partecipa mediante la fede allo sconvolgente mistero di questa spoliazione. E' questa forse la più profonda "kenosi" della fede nella storia dell'umanità. Mediante la fede la madre partecipa alla morte del Figlio, alla sua morte redentrice; ma, a differenza di quella dei discepoli che fuggivano, era una fede ben più illuminata. Sul Golgota Gesù mediante la croce ha confermato definitivamente di essere il "segno di contraddizione", predetto da Simeone. Nello stesso tempo, là si sono adempiute le parole da lui rivolte a Maria: "E anche a te una spada trafiggerà l'anima" (Lc 2,35).


19 Si, veramente "beata colei che ha creduto"! Queste parole, pronunciate da Elisabetta dopo l'annunciazione, qui, ai piedi della croce, sembrano echeggiare con suprema eloquenza, e la potenza in esse racchiusa diventa penetrante. Dalla croce, come a dire dal cuore stesso del mistero della redenzione, si estende il raggio e si dilata la prospettiva di quella benedizione di fede. Essa risale "fino all'inizio" e, come partecipazione al sacrificio di Cristo, nuovo Adamo, diventa, in certo senso, il contrappeso della disobbedienza e dell'incredulità, presenti nel peccato dei progenitori. così insegnano i padri della chiesa e specialmente sant'Ireneo, citato dalla costituzione Lumen gentium: "Il nodo della disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione con l'obbedienza di Maria; ciò che la vergine Eva lego con la sua incredulità, la vergine Maria sciolse con la fede". Alla luce di questo paragone con Eva, i padri - come ricorda ancora il concilio - chiamano Maria "madre dei viventi" e affermano spesso: "La morte per mezzo di Eva, la vita per mezzo di Maria".

A ragione, dunque, nell'espressione "Beata colei che ha creduto" possiamo trovare quasi una chiave che ci schiude l'intima realtà di Maria: di colei che l'angelo ha salutato come "piena di grazia". Se come "piena di grazia" ella è stata eternamente presente nel mistero di Cristo, mediante la fede ne divenne partecipe in tutta l'estensione del suo itinerario terreno: "avanzo nella peregrinazione della fede", ed al tempo stesso, in modo discreto ma diretto ed efficace, rendeva presente agli uomini il mistero di Cristo. E ancora continua a farlo. E mediante il mistero di Cristo anch'ella è presente tra gli uomini. così mediante il mistero del Figlio si chiarisce anche il mistero della Madre.


3 - Ecco la tua madre

20 Il Vangelo di Luca registra il momento in cui "una donna alzo la voce di mezzo alla folla e disse", rivolgendosi a Gesù: "Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!" (Lc 11,27). Queste parole costituivano una lode per Maria come Madre di Gesù secondo la carne. La Madre di Gesù non era forse conosciuta personalmente da questa donna; infatti, quando Gesù inizio la sua attività messianica, Maria non lo accompagnava e continuava a rimanere a Nazaret.

Si direbbe che le parole di quella donna sconosciuta l'abbiano fatta in qualche modo uscire dal suo nascondimento.

Attraverso quelle parole è balenato in mezzo alla folla, almeno per un attimo, il vangelo dell'infanzia di Gesù. E' il vangelo in cui Maria è presente come la madre che concepisce Gesù nel suo grembo, lo dà alla luce e lo allatta maternamente: la madre-nutrice, a cui allude quella donna del popolo. Grazie a questa maternità, Gesù - figlio dell'Altissimo (cfr. Lc 1,32) - è un vero figlio dell'uomo. E' "carne", come ogni uomo: è "il Verbo (che) si fece carne" (cfr. Jn 1,14). E' carne e sangue di Maria! Ma alla benedizione, proclamata da quella donna nei confronti della sua genitrice secondo la carne, Gesù risponde in modo significativo: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano" (Lc 11,28). Egli vuole distogliere l'attenzione dalla maternità intesa solo come un legame della carne, per orientarla verso quei misteriosi legami dello spirito, che si formano nell'ascolto e nell'osservanza della parola di Dio.

Lo stesso trasferimento nella sfera dei valori spirituali si delinea ancor più chiaramente in un'altra risposta di Gesù, riportata da tutti i sinottici. Quando viene annunciato a Gesù che "sua madre e i suoi fratelli sono fuori e desiderano vederlo", egli risponde: "Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica" (cfr. Lc 8,20-21).

Questo disse "girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno", come leggiamo in Marco (Mc 3,32-34) o, secondo Matteo (Mt 12,47-49), "stendendo la mano verso i suoi discepoli".

Queste espressioni sembrano collocarsi sulla scia di quel che Gesù dodicenne rispose a Maria e a Giuseppe, quando fu ritrovato dopo tre giorni nel tempio di Gerusalemme. Ora, quando Gesù parti da Nazaret e diede inizio alla sua vita pubblica in tutta la Palestina, era ormai completamente ed esclusivamente "occupato nelle cose del Padre" (cfr. Lc 2,49). Egli annunciava il Regno: "regno di Dio" e "cose del Padre", che danno anche una nuova dimensione e un nuovo senso a tutto ciò che è umano e, quindi, ad ogni legame umano, in relazione ai fini e ai compiti assegnati a ogni uomo. In questa nuova dimensione anche un legame, come quello della "fratellanza", significa qualcosa di diverso dalla "fratellanza secondo la carne", derivante dalla comune origine dagli stessi genitori. E persino la "maternità", nella dimensione del regno di Dio, nel raggio della paternità di Dio stesso, acquista un altro senso. Con le parole riportate da Luca Gesù insegna proprio questo nuovo senso della maternità.

Si allontana per questo da colei che è stata la sua genitrice secondo la carne? Vuole forse lasciarla nell'ombra del nascondimento, che ella stessa ha scelto? Se così può sembrare in base al suono di quelle parole, si deve pero rilevare che la nuova e diversa maternità, di cui parla Gesù ai suoi discepoli, concerne proprio Maria in modo specialissimo. Non è forse Maria la prima tra "coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica"? E dunque non riguarda soprattutto lei quella benedizione pronunciata da Gesù in risposta alle parole della donna anonima? Senza dubbio, Maria è degna di benedizione per il fatto che è divenuta madre di Gesù secondo la carne( "Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte"), ma anche e soprattutto perché già al momento dell'annunciazione ha accolto la parola di Dio, perché vi ha creduto, perché fu obbediente a Dio, perché "serbava" la parola e "la meditava nel suo cuore" (cfr. Lc 1,38 Lc 1,45 Lc 2,19 Lc 2,51) e con tutta la sua vita l'adempiva. Possiamo dunque affermare che la beatitudine proclamata da Gesù non si contrappone, nonostante le apparenze, a quella formulata dalla donna sconosciuta, ma con essa viene a coincidere nella persona di questa Madre-Vergine, che si è chiamata solo "serva del Signore" (Lc 1,38). Se è vero che "tutte le generazioni la chiameranno beata" (cfr. Lc 1,48), si può dire che quell'anonima donna sia stata la prima a confermare inconsapevolmente quel versetto profetico del Magnificat di Maria e a dare inizio al Magnificat dei secoli.

Se mediante la fede Maria è divenuta la genitrice del Figlio datole dal Padre nella potenza dello Spirito santo, conservando integra la sua verginità, nella stessa fede ella ha scoperto e accolto l'altra dimensione della maternità, rivelata da Gesù durante la sua missione messianica. Si può dire che questa dimensione della maternità apparteneva a Maria sin dall'inizio, cioè dal momento del concepimento e della nascita del Figlio. Fin da allora era "colei che ha creduto". Ma a mano a mano che si chiariva ai suoi occhi e nel suo spirito la missione del Figlio, ella stessa come madre si apriva sempre più a quella "novità" della maternità, che doveva costituire la sua "parte" accanto al Figlio. Non aveva dichiarato fin dall'inizio: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38)? Mediante la fede Maria continuava a udire e a meditare quella parola, nella quale si faceva sempre più trasparente, in un modo "che sorpassa ogni conoscenza" (Ep 3,19), l'autorivelazione del Dio vivo. Maria madre diventava così, in un certo senso, la prima "discepola" di suo figlio, la prima alla quale egli sembrava dire: "Seguimi", ancor prima di rivolgere questa chiamata agli apostoli o a chiunque altro (cfr. Jn 1,43).


21 Da questo punto di vista, è particolarmente eloquente il testo del Vangelo di Giovanni, che ci presenta Maria alle nozze di Cana. Maria vi appare come madre di Gesù all'inizio della sua vita pubblica:" Ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la Madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli" (Jn 2,1-2). Dal testo risulterebbe che Gesù e i suoi discepoli vennero invitati insieme a Maria, quasi a motivo della presenza di lei a quella festa: il Figlio sembra invitato a motivo della madre. E' noto il seguito degli eventi legati a quell'invito, quell'"inizio dei segni" compiuti da Gesù - l'acqua mutata in vino - che fa dire all'evangelista: Gesù "manifesto la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui" (Jn 2,11).

Maria è presente a Cana di Galilea come madre di Gesù, e in modo significativo contribuisce a quell'"inizio dei segni", che rivelano la potenza messianica del suo Figlio. Ecco: "Venuto a mancare il vino, la Madre di Gesù gli disse: -Non hanno più vino-. E Gesù rispose: -Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora-" (Jn 2,3-4). Nel Vangelo di Giovanni quell'"ora" significa il momento fissato dal Padre, nel quale il Figlio compie la sua opera e deve essere glorificato (cfr. Jn 7,30 Jn 8,20 Jn 12,23 Jn 12,27 Jn 13,1 Jn 17,1 Jn 19,27). Anche se la risposta di Gesù a sua madre sembra suonare come un rifiuto (soprattutto se si guarda, più che all'interrogativo, a quella recisa affermazione: "Non è ancora giunta la mia ora"), ciononostante Maria si rivolge ai servi e dice loro: "Fate quello che egli vi dirà" (Jn 2,5). Allora Gesù ordina ai servi di riempire di acqua le giare, e l'acqua diventa vino, migliore di quello che prima è stato servito agli ospiti del banchetto nuziale.

Quale intesa profonda c'è stata tra Gesù e sua madre? Come esplorare il mistero della loro intima unione spirituale? Ma il fatto è eloquente. E' certo che in quell'evento si delinea già abbastanza chiaramente la nuova dimensione, il nuovo senso della maternità di Maria. Essa ha un significato che non è racchiuso esclusivamente nelle parole di Gesù e nei vari episodi, riportati dai Sinottici ( Lc 8,19-21; Mt 12,46-50 Mc 3,31-35). In questi testi Gesù intende soprattutto contrapporre la maternità, risultante dal fatto stesso della nascita, a ciò che questa "maternità" (come la "fratellanza") deve essere nella dimensione del regno di Dio, nel raggio salvifico della paternità di Dio. Nel testo giovanneo, invece, dalla descrizione dell'evento di Cana si delinea ciò che concretamente si manifesta come nuova maternità secondo lo spirito e non solo secondo la carne, ossia la sollecitudine di Maria per gli uomini, il suo andare incontro ad essi nella vasta gamma dei loro bisogni e necessità. A Cana di Galilea viene mostrato solo un aspetto concreto dell'indigenza umana, apparentemente piccolo e di poca importanza ("Non hanno più vino"). Ma esso ha un valore simbolico: quell'andare incontro ai bisogni dell'uomo significa, al tempo stesso, introdurli nel raggio della missione messianica e della potenza salvifica di Cristo. Si ha dunque una mediazione: Maria si pone tra suo figlio e gli uomini nella realtà delle loro privazioni, indigenze e sofferenze. Si pone "in mezzo", cioè fa da mediatrice non come un'estranea, ma nella sua posizione di madre, consapevole che come tale può - anzi "ha il diritto" - di far presente al figlio i bisogni degli uomini. La sua mediazione, dunque, ha un carattere di intercessione: Maria "intercede" per gli uomini. Non solo: come madre desidera anche che si manifesti la potenza messianica del figlio, ossia la sua potenza salvifica volta a soccorrere la sventura umana, a liberare l'uomo dal male che in diversa forma e misura grava sulla sua vita. Proprio come aveva predetto del Messia il profeta Isaia nel famoso testo, a cui Gesù si è richiamato davanti ai suoi compaesani di Nazaret: "Per annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista..." (cfr. Lc 4,18).

Altro elemento essenziale di questo compito materno di Maria si coglie nelle parole rivolte ai servitori: "Fate quello che egli vi dirà". La Madre di Cristo si presenta davanti agli uomini come portavoce della volontà del Figlio, indicatrice di quelle esigenze che devono essere soddisfatte, affinché la potenza salvifica del Messia possa manifestarsi. A Cana, grazie all'intercessione di Maria e all'ubbidienza dei servitori, Gesù dà inizio alla "sua ora". A Cana Maria appare come credente in Gesù: la sua fede ne provoca il primo "segno" e contribuisce a suscitare la fede dei discepoli.


22 Possiamo dire, pertanto, che in questa pagina del Vangelo di Giovanni troviamo quasi un primo apparire della verità circa la materna sollecitudine di Maria.

Questa verità ha trovato espressione anche nel magistero del recente concilio, ed è importante notare come la funzione materna di Maria sia da esso illustrata nel suo rapporto con la mediazione di Cristo. Infatti, vi leggiamo: "La funzione materna di Maria verso gli uomini in nessun modo oscura o diminuisce l'unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l'efficacia", perché "uno solo è il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù" (
1Tm 2,5). Questa funzione sgorga, secondo il beneplacito di Dio, "dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo, si fonda sulla mediazione di lui, da essa assolutamente dipende e attinge tutta la sua efficacia". Proprio in questo senso l'evento di Cana di Galilea ci offre quasi un preannuncio della mediazione di Maria, tutta orientata verso il Cristo e protesa alla rivelazione della sua potenza salvifica.

Dal testo giovanneo appare che si tratta di una mediazione materna. Come proclama il concilio: Maria "fu per noi madre nell'ordine della grazia". Questa maternità nell'ordine della grazia è emersa dalla stessa sua maternità divina: perché essendo, per disposizione della divina provvidenza, madre-nutrice del Redentore, è diventata una "compagna generosa in modo del tutto singolare e umile ancella del Signore", che "coopero ... all'opera del Salvatore con l'obbedienza, la fede, la speranza e l'ardente carità per restaurare la vita soprannaturale delle anime". "E questa maternità di Maria nell'economia della grazia perdura senza soste... fino al perpetuo coronamento di tutti gli eletti".


23 Se il passo del Vangelo di Giovanni sull'evento di Cana presenta la maternità premurosa di Maria all'inizio dell'attività messianica di Cristo, un altro passo dello stesso Vangelo conferma questa maternità nell'economia salvifica della grazia nel suo momento culminante, cioè quando si compie il sacrificio della croce di Cristo, il suo mistero pasquale. La descrizione di Giovanni è concisa: "Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e li accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: -Donna, ecco il tuo figlio!-. Poi disse al discepolo: -Ecco la tua madre!-. E da quel momento il discepolo la prese con sè" (Jn 19,25-27).

Senza dubbio, in questo fatto si ravvisa un'espressione della singolare premura del figlio per la madre, che egli lasciava in così grande dolore.

Tuttavia, sul senso di questa premura il "testamento della croce" di Cristo dice di più. Gesù mette in rilievo un nuovo legame tra madre e figlio, del quale conferma solennemente tutta la verità e realtà. Si può dire che, se già in precedenza la maternità di Maria nei riguardi degli uomini era stata delineata, ora viene chiaramente precisata e stabilita: essa emerge dalla definitiva maturazione del mistero pasquale del Redentore. La madre di Cristo, trovandosi nel raggio diretto di questo mistero che comprende l'uomo - ciascuno e tutti - viene data all'uomo - a ciascuno e a tutti - come madre. Quest'uomo ai piedi della croce è Giovanni, "il discepolo che egli amava". Tuttavia, non è lui solo. Seguendo la tradizione, il concilio non esita a chiamare Maria "Madre di Cristo e madre degli uomini": infatti, ella è "congiunta nella stirpe di Adamo con tutti gli uomini..., anzi è veramente madre delle membra (di Cristo)..., perché coopero con la carità alla nascita dei fedeli nella chiesa".

Dunque, questa "nuova maternità di Maria", generata dalla fede, è frutto del "nuovo" amore, che maturo in lei definitivamente ai piedi della croce, mediante la sua partecipazione all'amore redentivo del Figlio.


24 Ci troviamo così al centro stesso dell'adempimento della promessa, contenuta nel protoevangelo: "La stirpe della donna schiaccerà la testa del serpente" (cfr. Gn 3,15). Gesù Cristo, infatti, con la sua morte redentrice vince il male del peccato e della morte alle sue stesse radici. E' significativo che, rivolgendosi alla madre dall'alto della croce, la chiami "donna" e le dica: "Donna, ecco il tuo figlio". Con lo stesso termine, del resto, si era rivolto a lei anche a Cana (cfr. Jn 2,4). Come dubitare che specialmente ora, sul Golgota, questa frase attinga in profondità il mistero di Maria, raggiungendo il singolare posto che ella ha in tutta l'economia della salvezza? Come insegna il concilio, con Maria "eccelsa figlia di Sion, dopo la lunga attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura una nuova economia, quando il Figlio di Dio assunse da lei la natura umana, per liberare con i misteri della sua carne l'uomo dal peccato".

Le parole che Gesù pronuncia dall'alto della croce significano che la maternità della sua genitrice trova una "nuova" continuazione nella chiesa e mediante la chiesa, simboleggiata e rappresentata da Giovanni. In questo modo, colei che, come "la piena di grazia", è stata introdotta nel mistero di Cristo per essere sua madre, cioè la santa genitrice di Dio, per il tramite della chiesa permane in quel mistero come la "donna" indicata dal libro della Genesi (3,15) all'inizio e dall'Apocalisse (12,1) al termine della storia della salvezza.

Secondo l'eterno disegno della provvidenza la maternità divina di Maria deve effondersi sulla chiesa, come indicano affermazioni della tradizione, per le quali la maternità di Maria verso la chiesa è il riflesso e il prolungamento della sua maternità verso il Figlio di Dio.

Già il momento stesso della nascita della chiesa e della sua piena manifestazione al mondo, secondo il concilio, lascia intravedere questa continuità della maternità di Maria: "Essendo piaciuto a Dio di non manifestare solennemente il mistero della salvezza umana prima di aver effuso lo Spirito promesso da Cristo, vediamo gli apostoli prima del giorno della pentecoste -assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù, e con i fratelli di lui- (Ac 1,14), e anche Maria implorante con le sue preghiere il dono dello Spirito, che già l'aveva adombrata nell'annunciazione".

Dunque, nell'economia della grazia, attuata sotto l'azione dello Spirito santo, c'è una singolare corrispondenza tra il momento dell'incarnazione del Verbo e quello della nascita della chiesa. La persona che unisce questi due momenti è Maria: Maria a Nazaret e Maria nel cenacolo di Gerusalemme. In entrambi i casi la sua presenza discreta, ma essenziale, indica la via della "nascita dello Spirito".

Così colei che è presente nel mistero di Cristo come madre, diventa - per volontà del Figlio e per opera dello Spirito santo - presente nel mistero della chiesa.

Anche nella chiesa continua ad essere una presenza materna, come indicano le parole pronunciate sulla croce: "Donna, ecco il tuo figlio"; "Ecco la tua madre".


II. LA MADRE DI DIO AL CENTRO DELLA CHIESA IN CAMMINO


1 - La chiesa, popolo di Dio radicato in tutte le nazioni della terra

25 "La chiesa - prosegue il suo pellegrinaggio tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio -, annunciando la passione e la morte del Signore fino a che egli venga (cfr. 1Co 11,26)". "Come già Israele secondo la carne, pellegrinante nel deserto, viene chiamato chiesa di Dio (cfr. Ne 13,1 Nb 20,4 Dt 23,1ss), così il nuovo Israele... si chiama pure chiesa di Cristo (cfr. Mt 16,18), avendola egli acquistata col suo sangue (cfr. Ac 20,28), riempita del suo Spirito e fornita dei mezzi adatti per l'unione visibile e sociale. Dio ha convocato tutti coloro che guardano con fede a Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di pace, e ne ha costituito la chiesa, perché sia per tutti e per i singoli sacramento visibile di questa unità salvifica".

Il Concilio Vaticano II parla della chiesa in cammino, stabilendo un'analogia con l'Israele dell'antica alleanza in cammino attraverso il deserto.

Il cammino riveste un carattere anche esterno, visibile nel tempo e nello spazio, in cui esso storicamente si svolge. La chiesa, infatti, "dovendosi estendere a tutta la terra, entra nella storia degli uomini, ma insieme trascende i tempi ed i confini dei popoli". Tuttavia, il carattere essenziale del suo pellegrinaggio è interiore: si tratta di un pellegrinaggio mediante la fede, "per virtù del Signore risuscitato", di un pellegrinaggio nello Spirito santo, dato alla chiesa come visibile consolatore (paràkletos) (cfr. Jn 14,26 Jn 15,26 Jn 16,7). "Tra le tentazioni e le tribolazioni del cammino la chiesa è sostenuta dalla forza della grazia di Dio, promessa dal Signore, affinché... non cessi, con l'aiuto dello Spirito santo, di rinnovare se stessa, finché attraverso la croce giunga alla luce che non conosce tramonto".

Proprio in questo cammino-pellegrinaggio ecclesiale attraverso lo spazio e il tempo, e ancor più attraverso la storia delle anime, Maria è presente, come colei che è "beata perché ha creduto", come colei che avanza nella peregrinazione della fede, partecipando come nessun'altra creatura al mistero di Cristo. Dice ancora il concilio che "Maria... per la sua intima partecipazione alla storia della salvezza, riunisce per così dire e riverbera i massimi dati della fede". Tra tutti i credenti ella è come uno "specchio", in cui si riflettono nel modo più profondo e più limpido "le grandi opere di Dio" (Ac 2,11).


Redemptoris Mater 16