Redemptoris Missio



"Redemptoris Missio" - Città del Vaticano (Roma)

Titolo: Enciclica circa la permanente validità del mandato missionario

Venerati fratelli, carissimi figli e figlie, Salute e apostolica benedizione!

Introduzione

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1. La missione di Cristo Redentore, affidata alla Chiesa, è ancora ben lontana dal suo compimento. Al termine del secondo millennio dalla sua venuta uno sguardo d'insieme all'umanità dimostra che tale missione è ancora agli inizi e che dobbiamo impegnarci con tutte le forze al suo servizio. E' lo Spirito che spinge ad annunziare le grandi opere di Dio: "Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il Vangelo!" (
1Co 9,16).

A nome di tutta la Chiesa, sento imperioso il dovere di ripetere questo grido di san Paolo. Già dall'inizio del mio pontificato ho scelto di viaggiare fino agli estremi confini della terra per manifestare la sollecitudine missionaria, e proprio il contatto diretto con i popoli che ignorano Cristo mi ha ancor più convinto dell'urgenza di tale attività, a cui dedico la presente enciclica.

Il Concilio Vaticano II ha inteso rinnovare la vita e l'attività della Chiesa secondo le necessità del mondo contemporaneo: ne ha sottolineato la "missionarietà", fondandola dinamicamente sulla stessa missione trinitaria.

L'impulso missionario, quindi, appartiene all'intima natura della vita cristiana e ispira anche l'ecumenismo: "Che tutti siano una cosa sola..., perché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Jn 17,21).

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2. Molti sono già stati i frutti missionari del Concilio: si sono moltiplicate le Chiese locali fornite di propri vescovi, clero e personale apostolico; si verifica un più profondo inserimento delle Comunità cristiane nella vita dei popoli; la comunione fra le Chiese porta a un vivace scambio di beni spirituali e di doni; l'impegno evangelizzatore dei laici sta cambiando la vita ecclesiale; le Chiese particolari si aprono all'incontro, al dialogo e alla collaborazione con i membri di altre Chiese cristiane e religioni. Soprattutto si sta affermando una coscienza nuova: cioè che la missione riguarda tutti i cristiani, tutte le diocesi e parrocchie, le istituzioni e associazioni ecclesiali.

Tuttavia, in questa "nuova primavera" del cristianesimo non si può nascondere una tendenza negativa, che questo documento vuol contribuire a superare: la missione specifica "ad gentes" sembra in fase di rallentamento, non certo in linea con le indicazioni del Concilio e del magistero successivo.

Difficoltà interne ed esterne hanno indebolito lo slancio missionario della Chiesa verso i non cristiani, ed è un fatto, questo, che deve preoccupare tutti i credenti in Cristo. Nella storia della Chiesa, infatti, la spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità, come la sua diminuzione è segno di una crisi di fede (cfr. Paolo VI, "Messaggio per la Giornata mondiale delle missioni 1972": "Quante tensioni interne che debilitano e lacerano alcune Chiese e istituzioni locali, scomparirebbero di fronte alla ferma convinzione che la salvezza delle comunità locali si conquista con la cooperazione all'opera missionaria, perché questa sia estesa fino ai confini della terra!").

A 25 anni dalla conclusione del Concilio e dalla pubblicazione del decreto sull'attività missionaria "Ad Gentes", a 15 anni dall'esortazione apostolica "Evangelii Nuntiandi" del Pontefice Paolo VI di v.m., desidero invitare la Chiesa a un rinnovato impegno missionario, continuando il magistero dei miei predecessori a tale riguardo. Il presente documento ha una finalità interna: il rinnovamento della fede e della vita cristiana. La missione, infatti, rinnova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l'identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola! La nuova evangelizzazione dei popoli cristiani troverà ispirazione e sostegno nell'impegno per la missione universale.

Ma ciò che ancor più mi spinge a proclamare l'urgenza dell'evangelizzazione missionaria è che essa costituisce il primo servizio che la Chiesa può rendere a ciascun uomo e all'intera umanità nel mondo odierno, il quale conosce stupende conquiste, ma sembra avere smarrito il senso delle realtà ultime e della stessa esistenza. "Cristo Redentore - ho scritto nella prima enciclica - rivela pienamente l'uomo a se stesso... L'uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo... deve avvicinarsi a Cristo... La redenzione, avvenuta per mezzo della croce, ha ridato definitivamente all'uomo la dignità e il senso della sua esistenza nel mondo" (
RH 10).

Né mancano altre motivazioni e finalità: rispondere alle molte richieste per un documento di questo genere; dissipare dubbi e ambiguità circa la missione "ad gentes", confermando nel loro impegno i benemeriti fratelli e sorelle dediti all'attività missionaria e tutti coloro che li aiutano; promuovere le vocazioni missionarie; incoraggiare i teologi ad approfondire ed esporre sistematicamente i vari aspetti della missione; rilanciare la missione in senso specifico, impegnando le Chiese particolari, specie quelle giovani, a mandare e ricevere missionari; assicurare i non cristiani e, in particolare, le autorità dei Paesi verso cui si rivolge l'attività missionaria, che questa ha un unico fine: servire l'uomo rivelandogli l'amore di Dio, che si è manifestato in Gesù Cristo.

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3. Popoli tutti, aprite le porte a Cristo! Il suo Vangelo nulla toglie alla libertà dell'uomo, al dovuto rispetto delle culture, a quanto c'è di buono in ogni religione. Accogliendo Cristo, vi aprite alla parola definitiva di Dio, a colui nel quale Dio si è fatto pienamente conoscere e ci ha indicato la via per arrivare a lui.

Il numero di coloro che ignorano Cristo e non fanno parte della Chiesa è in continuo aumento, anzi, dalla fine del Concilio è quasi raddoppiato. Per questa umanità immensa, amata dal Padre che per essa ha inviato il suo Figlio, è evidente l'urgenza della missione.

D'altra parte, in questo campo il nostro tempo offre nuove occasioni alla Chiesa: il crollo di ideologie e di sistemi politici oppressivi; l'apertura delle frontiere e il formarsi di un mondo più unito grazie all'incremento delle comunicazioni; l'affermarsi tra i popoli di quei valori evangelici che Gesù ha incarnato nella sua vita (pace, giustizia, fraternità, dedizione ai più piccoli); un tipo di sviluppo economico e tecnico senz'anima, che pur sollecita a ricercare la verità su Dio, sull'uomo, sul significato della vita.

Dio apre alla Chiesa gli orizzonti di un'umanità più preparata alla semina evangelica. Sento venuto il momento di impegnare tutte le forze ecclesiali per la nuova evangelizzazione e per la missione "ad gentes". Nessun credente in Cristo, nessuna istituzione della Chiesa può sottrarsi a questo dovere supremo: annunziare Cristo a tutti i popoli.



Capitolo I - Gesù Cristo unico Salvatore

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4. "Il compito fondamentale della Chiesa di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra - ricordavo nella prima enciclica programmatica - è di dirigere lo sguardo dell'uomo, di indirizzare la coscienza e l'esperienza di tutta l'umanità verso il mistero di Cristo" (
RH 10).

La missione universale della Chiesa nasce dalla fede in Gesù Cristo, come si dichiara nella professione della fede trinitaria: "Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli... Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo" (Simbolo niceno-costantinopolitano: DS 150). Nell'evento della redenzione è la salvezza di tutti, "perché ognuno è stato compreso nel mistero della redenzione e con ognuno Cristo si è unito, per sempre, attraverso questo mistero" (RH 13). Soltanto nella fede si comprende e si fonda la missione.

Eppure, anche a causa dei cambiamenti moderni e del diffondersi di nuove idee teologiche, alcuni si chiedono: E' ancora attuale la missione tra i non cristiani? Non è forse sostituita dal dialogo interreligioso? Non è un suo obiettivo sufficiente la promozione umana? Il rispetto della coscienza e della libertà non esclude ogni proposta di conversione? Non ci si può salvare in qualsiasi religione? Perché quindi la missione? "Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me" (Jn 14,6)

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5. Risalendo alle origini della Chiesa, troviamo chiaramente affermato che Cristo è l'unico Salvatore di tutti, colui che solo è in grado di rivelare Dio e di condurre a Dio. Alle autorità religiose giudaiche che interrogano gli apostoli in merito alla guarigione dello storpio, da lui operata, Pietro risponde: "Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi sano e salvo... In nessun altro c'è salvezza: non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale sia stabilito che possiamo essere salvati" (
Ac 4,10 Ac 4,12). Questa affermazione, rivolta al sinedrio, ha un valore universale, poiché per tutti - giudei e gentili - la salvezza non può venire che da Gesù Cristo.

L'universalità di questa salvezza in Cristo è affermata in tutto il Nuovo Testamento. San Paolo riconosce in Cristo risorto il Signore: "In realtà - scrive - anche se ci sono cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e molti signori, per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene, e noi siamo per lui; e c'è un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui" (1Co 8,5-6). L'unico Dio e l'unico Signore sono affermati in contrasto con la moltitudine di "dèi" e "signori" che il popolo ammetteva. Paolo reagisce contro il politeismo dell'ambiente religioso del suo tempo e pone in rilievo la caratteristica della fede cristiana: fede in un solo Dio e in un solo Signore, inviato da Dio.

Nel Vangelo di san Giovanni questa universalità salvifica di Cristo comprende gli aspetti della sua missione di grazia, di verità e di rivelazione: "Il Verbo è la luce vera, che illumina ogni uomo" (Jn 1,9). E ancora: "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (Jn 1,18). La rivelazione di Dio si fa definitiva e completa ad opera del suo Figlio unigenito: "Dio, che nei tempi antichi aveva già parlato molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo" (He 1,1-2). In questa Parola definitiva della sua rivelazione, Dio si è fatto conoscere nel modo più pieno: egli ha detto all'umanità chi è. E questa autorivelazione definitiva di Dio è il motivo fondamentale per cui la Chiesa è per sua natura missionaria. Essa non può non proclamare il Vangelo, cioè la pienezza della verità che Dio ci ha fatto conoscere intorno a se stesso.

Cristo è l'unico mediatore tra Dio e gli uomini: "Uno solo, infatti, è Dio, e uno solo il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l'ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo - dico la verità, non mentisco -, maestro dei pagani nella fede e nella verità" (1Tm 2,5-7). Gli uomini, quindi, non possono entrare in comunione con Dio se non per mezzo di Cristo, sotto l'azione dello Spirito. Questa sua mediazione unica e universale, lungi dall'essere di ostacolo al cammino verso Dio, è la via stabilita da Dio stesso, e di ciò Cristo ha piena coscienza. Se non sono escluse mediazioni partecipate di vario tipo e ordine, esse tuttavia attingono significato e valore unicamente da quella di Cristo e non possono essere intese come parallele e complementari.

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6. E' contrario alla fede cristiana introdurre una qualsiasi separazione tra il Verbo e Gesù Cristo. San Giovanni afferma chiaramente che il Verbo, che "era in principio presso Dio", è lo stesso che "si fece carne" (
Jn 1,2 Jn 1,14): Gesù è il Verbo incarnato, persona una e indivisibile. Non si può separare Gesù da Cristo, né parlare di un "Gesù della storia", che sarebbe diverso dal "Cristo della fede".

La Chiesa conosce e confessa Gesù come "il Cristo, il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16): Cristo non è altro che Gesù di Nazaret, e questi è il Verbo di Dio fatto uomo per la salvezza di tutti. In Cristo "abita corporalmente tutta la pienezza della divinità" (Col 2,9) e "dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto" (Jn 1,16). "Il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre" (Jn 1,18), è "il Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione. Piacque a Dio di far abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, pacificando col sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli" (Col 1,19-20). E' proprio questa singolarità unica di Cristo che a lui conferisce un significato assoluto e universale, per cui, mentre è nella storia, è il centro e il fine della stessa storia (cfr. GS 2): "Io sono l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e la fine" (Ap 22,12-13).

Se, dunque, è lecito e utile considerare i vari aspetti del mistero di Cristo, non bisogna mai perdere di vista la sua unità. Mentre andiamo scoprendo e valorizzando i doni di ogni genere, soprattutto le ricchezze spirituali, che Dio ha elargito a ogni popolo, non possiamo disgiungerli da Gesù Cristo, il quale sta al centro del piano divino di salvezza. Come "con l'incarnazione il Figlio di Dio s'è unito in un certo modo a ogni uomo", così "dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale" (GS 22). Il disegno divino è "di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra" (Ep 1,10).

La fede in Cristo è una proposta alla libertà dell'uomo

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7. L'urgenza dell'attività missionaria emerge dalla radicale novità di vita, portata da Cristo e vissuta dai suoi discepoli. Questa nuova vita è dono di Dio, e all'uomo è richiesto di accoglierlo e di svilupparlo, se vuole realizzarsi secondo la sua vocazione integrale in conformità a Cristo. Tutto il Nuovo Testamento è un inno alla vita nuova per colui che crede in Cristo e vive nella sua Chiesa. La salvezza in Cristo, testimoniata e annunziata dalla Chiesa, è autocomunicazione di Dio: "E' l'amore che non soltanto crea il bene, ma fa partecipare alla vita stessa di Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo. Infatti, colui che ama, desidera donare se stesso" (
DM 7).

Dio offre all'uomo questa novità di vita. "Si può rifiutare Cristo e tutto ciò che egli ha portato nella storia dell'uomo? Certamente si può. L'uomo è libero. L'uomo può dire a Dio: no. L'uomo può dire a Cristo: no. Ma rimane la domanda fondamentale: E' lecito farlo? e in nome di che cosa è lecito?" (Omelia a Cracovia, 10 giugno 1979, n. 2).

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8. Nel mondo moderno c'è la tendenza a ridurre l'uomo alla sola dimensione orizzontale. Ma che cosa diventa l'uomo senza apertura verso l'Assoluto? La risposta sta nell'esperienza di ogni uomo, ma è anche inscritta nella storia dell'umanità col sangue versato in nome di ideologie e da regimi politici, che hanno voluto costruire un'"umanità nuova" senza Dio (
MM 4).

Del resto, a quanti sono preoccupati di salvare la libertà di coscienza, risponde il Concilio Vaticano II: "La persona umana ha il diritto alla libertà religiosa... Tutti gli uomini devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la coscienza, né sia impedito, entro certi limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata" (DH 2).

L'annunzio e la testimonianza di Cristo, quando sono fatti in modo rispettoso delle coscienze, non violano la libertà. La fede esige la libera adesione dell'uomo, ma deve essere proposta, poiché "le moltitudini hanno il diritto di conoscere la ricchezza del mistero di Cristo, nel quale crediamo che tutta l'umanità può trovare, in una pienezza insospettabile, tutto ciò che essa cerca a tentoni su Dio, sull'uomo e sul suo destino, sulla vita e sulla morte, sulla verità... Per questo la Chiesa mantiene il suo slancio missionario e vuole, altresi, intensificarlo nel nostro momento storico" (EN 53).

Bisogna pero dire anche, sempre col Concilio, che "a motivo della loro dignità tutti gli esseri umani, in quanto sono persone, dotati cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di personale responsabilità, sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. Essi sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e ad ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze" (DH 2).

La Chiesa segno e strumento di salvezza

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9. Prima beneficiaria della salvezza è la Chiesa: il Cristo se l'è acquistata col suo sangue e l'ha fatta sua collaboratrice nell'opera della salvezza universale.

Infatti Cristo vive in essa; è il suo sposo; opera la sua crescita; compie la sua missione per mezzo di essa.

Il Concilio ha ampiamente richiamato il ruolo della Chiesa per la salvezza dell'umanità. Mentre riconosce che Dio ama tutti gli uomini e accorda loro la possibilità della salvezza (cfr.
1Tm 2,4) (cfr. LG 14-17 AGD 3), la Chiesa professa che Dio ha costituito Cristo come unico mediatore e che essa stessa è posta come sacramento universale di salvezza (cfr. LG 48 GS 43 AGD 7 AGD 21): "Tutti gli uomini, quindi, sono chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio..., e ad essa in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia tutti gli uomini universalmente chiamati a salvezza dalla grazia di Dio" (LG 13). E' necessario tener congiunte queste due verità, cioè la reale possibilità della salvezza in Cristo per tutti gli uomini e la necessità della Chiesa in ordine a tale salvezza. Ambedue favoriscono la comprensione dell'unico mistero salvifico, si da poter sperimentare la misericordia di Dio e la nostra responsabilità. La salvezza, che è sempre dono dello Spirito, esige la collaborazione dell'uomo per salvare sia se stesso che gli altri. così ha voluto Dio, e per questo ha stabilito e coinvolto la Chiesa nel piano della salvezza: "Questo popolo messianico - dice il Concilio - costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui assunto quale strumento della redenzione di tutti e, come luce del mondo e sale della terra, è inviato a tutto il mondo" (LG 9).

La salvezza è offerta a tutti gli uomini

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10. L'universalità della salvezza non significa che essa è accordata solo a coloro che, in modo esplicito, credono in Cristo e sono entrati nella Chiesa. Se è destinata a tutti, la salvezza deve essere messa in concreto a disposizione di tutti. Ma è evidente che, oggi come in passato, molti uomini non hanno la possibilità di conoscere o di accettare la rivelazione del Vangelo, di entrare nella Chiesa. Essi vivono in condizioni socio-culturali che non lo permettono, e spesso sono stati educati in altre tradizioni religiose. Per essi la salvezza di Cristo è accessibile in virtù di una grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la Chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale. Questa grazia proviene da Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito Santo: essa permette a ciascuno di giungere alla salvezza con la sua libera collaborazione.

Per questo il Concilio, dopo aver affermato la centralità del Mistero pasquale, afferma: "E ciò non vale solo per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore opera invisibilmente la grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti, e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, col Mistero pasquale" (
GS 22).

"Noi non possiamo tacere"

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11. Che dire allora delle obiezioni, già ricordate, in merito alla missione "ad gentes"? Nel rispetto di tutte le credenze e di tutte le sensibilità, dobbiamo anzitutto affermare con semplicità la nostra fede in Cristo, unico salvatore dell'uomo, fede che abbiamo ricevuto come dono dall'Alto senza nostro merito. Noi diciamo con Paolo: "Io non mi vergogno del Vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede" (Rm 1,16). I martiri cristiani di tutti i tempi - anche del nostro - hanno dato e continuano a dare la vita per testimoniare agli uomini questa fede, convinti che ogni uomo ha bisogno di Gesù Cristo, il quale ha sconfitto il peccato e la morte e ha riconciliato gli uomini con Dio.

Cristo si è proclamato Figlio di Dio, intimamente unito al Padre e, come tale, è stato riconosciuto dai discepoli, confermando le sue parole con i miracoli e la risurrezione da morte. La Chiesa offre agli uomini il Vangelo, documento profetico, rispondente alle esigenze e aspirazioni del cuore umano: esso è sempre "buona novella". La Chiesa non può fare a meno di proclamare che Gesù è venuto a rivelare il volto di Dio e a meritare, con la croce e la risurrezione, la salvezza per tutti gli uomini.

All'interrogativo: perché la missione? noi rispondiamo con la fede e con l'esperienza della Chiesa che aprirsi all'amore di Cristo è la vera liberazione.

In lui, soltanto in lui siamo liberati da ogni alienazione e smarrimento, dalla schiavitù al potere del peccato e della morte. Cristo è veramente "la nostra pace" (Ep 2,14), e "l'amore di Cristo ci spinge" (2Co 5,14), dando senso e gioia alla nostra vita. La missione è un problema di fede, è l'indice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi.

La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una "graduale secolarizzazione della salvezza", per cui ci si batte, si, per l'uomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale. Noi, invece, sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale, che investe tutto l'uomo e tutti gli uomini, aprendoli ai mirabili orizzonti della filiazione divina.

Perché la missione? Perché a noi, come a san Paolo, "è stata concessa la grazia di annunziare ai pagani le imperscrutabili ricchezze di Cristo" (Ep 3,8).

La novità di vita in lui è la "buona novella" per l'uomo di tutti i tempi: ad essa tutti gli uomini sono chiamati e destinati. Tutti di fatto la cercano, anche se a volte in modo confuso, e hanno il diritto di conoscere il valore di tale dono e di accedervi. La Chiesa e, in essa, ogni cristiano non può nascondere né conservare per sé questa novità e ricchezza, ricevuta dalla bontà divina per esser comunicata a tutti gli uomini.

Ecco perché la missione, oltre che dal mandato formale del Signore, deriva dall'esigenza profonda della vita di Dio in noi. Coloro che sono incorporati nella Chiesa cattolica devono sentirsi dei privilegiati, e per ciò stesso maggiormente impegnati a testimoniare la fede e la vita cristiana come servizio ai fratelli e doverosa risposta a Dio, memori che "la loro eccellente condizione non è da ascrivere ai loro meriti, ma a una speciale grazia di Cristo; per cui, se non vi corrispondono col pensiero, con le parole e con le opere, lungi dal salvarsi, saranno più severamente giudicati" (LG 14).


Capitolo II - Il regno di Dio

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12. "Dio, ricco di misericordia, è colui che Gesù Cristo ci ha rivelato come Padre: proprio il suo Figlio, in se stesso, ce l'ha manifestato e fatto conoscere". Questo scrivevo all'inizio dell'enciclica "Dives in Misericordia", mostrando come il Cristo è la rivelazione e l'incarnazione della misericordia del Padre. La salvezza consiste nel credere e accogliere il mistero del Padre e del suo amore, che si manifesta e si dona in Gesù mediante lo Spirito. così si compie il regno di Dio, preparato già dall'antica alleanza, attuato da Cristo e in Cristo, annunciato a tutte le genti dalla Chiesa, che opera e prega affinché si realizzi in modo perfetto e definitivo.

L'Antico Testamento attesta che Dio si è scelto e formato un popolo, per rivelare e attuare il suo disegno d'amore. Ma, nello stesso tempo, Dio è creatore e padre di tutti gli uomini, di tutti si prende cura, a tutti estende la sua benedizione e con tutti ha stretto un'alleanza (cfr.
Gn 12,3 Gn 9,1-17). Israele fa l'esperienza di un Dio personale e salvatore (cfr. Dt 4,37 Dt 6,8 Is 43,1-7), del quale diventa il testimone e il portavoce in mezzo alle nazioni. Nel corso della sua storia Israele prende coscienza che la sua elezione ha un significato universale.

Cristo rende presente il regno

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13. Gesù di Nazaret porta a compimento il disegno di Dio. Dopo aver ricevuto lo Spirito Santo nel battesimo, egli manifesta la sua vocazione messianica: percorre la Galilea "predicando il Vangelo di Dio e dicendo: "Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo"" (
Mc 1,14-15 cfr. Mt 4,17 Lc 4,43). La proclamazione e l'instaurazione del regno di Dio sono l'oggetto della sua missione: "E' per questo che sono stato inviato" (Lc 4,43). Ma c'è di più: Gesù è lui stesso la "buona novella", come afferma già all'inizio della missione nella sinagoga del suo paese, applicando a sé le parole di Isaia sull'Unto, inviato dallo Spirito del Signore (cfr. Lc 4,14-21). Essendo la "buona novella", in Cristo c'è identità tra messaggio e messaggero, tra il dire, l'agire e l'essere. La sua forza, il segreto dell'efficacia della sua azione sta nella totale identificazione col messaggio che annunzia: egli proclama la "buona novella" non solo con quello che dice o fa, ma con quello che è.

Il ministero di Gesù è descritto nel contesto dei viaggi nella sua terra. L'orizzonte della missione prima della pasqua è centrato su Israele; tuttavia Gesù offre un elemento nuovo di importanza capitale. La realtà escatologica non è rinviata a una fine remota del mondo, ma si fa vicina e comincia ad attuarsi. Il regno di Dio si avvicina (cfr. Mc 1,15), si prega perché venga (cfr. Mt 6,10), la fede lo scorge già operante nei segni, quali i miracoli, gli esorcismi, la scelta dei Dodici, l'annunzio della "buona novella" ai poveri.

Negli incontri di Gesù con i pagani è chiaro che l'accesso al regno avviene mediante la fede e la conversione (cfr. Mc 1,15), e non per semplice appartenenza etnica.

Il regno che Gesù inaugura è il regno di Dio: Gesù stesso rivela chi è questo Dio, che chiama col termine familiare di "abbà", Padre (Mc 14,36). Il Dio, rivelato soprattutto nelle parabole (Lc 15,3-32 Mt 20,1-16), è sensibile alle necessità e alle sofferenze di ogni uomo: è un Padre amoroso e pieno di compassione, che perdona e dà gratuitamente le grazie richieste.

San Giovanni ci dice che "Dio è amore" (cfr. 1Jn 4,8 1Jn 4,16). Ogni uomo, perciò, è invitato a "convertirsi" e a "credere" all'amore misericordioso di Dio per lui: il regno crescerà nella misura in cui ogni uomo imparerà a rivolgersi a Dio nell'intimità della preghiera come a un Padre (cfr. Lc 11,2 Mt 23,9) e si sforzerà di compiere la sua volontà (cfr. Mt 7,21).

Caratteristiche ed esigenze del regno

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14. Gesù rivela progressivamente le caratteristiche e le esigenze del regno mediante le sue parole, le sue opere e la sua persona.

Il regno di Dio è destinato a tutti gli uomini, essendo tutti chiamati a esserne membri. Per sottolineare questo aspetto, Gesù si è avvicinato soprattutto a quelli che erano ai margini della società, dando ad essi la preferenza, quando annunziava la "buona novella". All'inizio del suo ministero egli proclama di essere stato mandato per annunziare ai poveri il lieto messaggio. A tutte le vittime del rifiuto e del disprezzo dichiara: "Beati voi poveri"; inoltre, a questi emarginati fa già vivere un'esperienza di liberazione stando con loro, andando a mangiare con loro, trattandoli come uguali e amici, facendoli sentire amati da Dio e rivelando così la sua immensa tenerezza verso i bisognosi e i peccatori (cfr.
Lc 4,18 Lc 6,20 Lc 5,30 Lc 15,2 Lc 7,34 Lc 15,1-32).

La liberazione e la salvezza, portate dal regno di Dio, raggiungono la persona umana nelle sue dimensioni sia fisiche che spirituali. Due gesti caratterizzano la missione di Gesù: il guarire e il perdonare. Le molteplici guarigioni dimostrano la sua grande compassione di fronte alle miserie umane; ma significano pure che nel regno non vi saranno più né malattie né sofferenze e che la sua missione mira fin dall'inizio a liberare le persone da esse. Nella prospettiva di Gesù le guarigioni sono anche segno della salvezza spirituale, cioè della liberazione dal peccato. Compiendo gesti di guarigione, Gesù invita alla fede, alla conversione, al desiderio di perdono (cfr. Lc 5,24). Ricevuta la fede, la guarigione spinge a proseguire più lontano: introduce nella salvezza (cfr. Lc 18,42-43). I gesti di liberazione dalla possessione del demonio, male supremo e simbolo del peccato e della ribellione contro Dio, sono segni che "il regno di Dio è giunto fra voi" (Mt 12,28).

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15. Il regno mira a trasformare i rapporti tra gli uomini e si attua progressivamente, man mano che essi imparano ad amarsi, a perdonarsi, a servirsi a vicenda. Gesù riprende tutta la Legge, incentrandola sul comandamento dell'amore (cfr.
Mt 22,34-40 Lc 10,25-28). Prima di lasciare i suoi, dà loro un "comandamento nuovo": "Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato" (Jn 13,34).

L'amore, con cui Gesù ha amato il mondo, trova l'espressione più alta nel dono della sua vita per gli uomini, che manifesta l'amore che il Padre ha per il mondo (cfr. Jn 15,13 Jn 3,16). perciò la natura del regno è la comunione di tutti gli esseri umani tra di loro e con Dio.

Il regno riguarda tutti: le persone, la società, il mondo intero.

Lavorare per il regno vuol dire riconoscere e favorire il dinamismo divino, che è presente nella storia umana e la trasforma. Costruire il regno vuol dire lavorare per la liberazione dal male in tutte le sue forme. In sintesi, il regno di Dio è la manifestazione e l'attuazione del suo disegno di salvezza in tutta la sua pienezza.

Nel Risorto il regno si compie ed è proclamato

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16. Risuscitando Gesù dai morti, Dio ha vinto la morte e in lui ha inaugurato definitivamente il suo regno. Durante la vita terrena Gesù è il profeta del regno e, dopo la sua passione, risurrezione e ascensione al cielo, partecipa della potenza di Dio e del suo dominio sul mondo (cfr.
Mt 28,18 Ac 2,36). La risurrezione conferisce una portata universale al messaggio di Cristo, alla sua azione e a tutta la sua missione. I discepoli avvertono che il regno è già presente nella persona di Gesù e viene a poco a poco instaurato nell'uomo e nel mondo mediante un misterioso legame con lui.

Dopo la risurrezione, infatti, essi predicavano il regno annunziando Gesù morto e risorto. Filippo in Samaria "recava la buona novella del regno di Dio e del nome di Gesù Cristo" (Ac 8,12). Paolo a Roma "annunziava il regno di Dio e insegnava le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo" (Ac 28,31). Anche i primi cristiani annunziavano "il regno di Cristo e di Dio" (Ep 5,5 cfr. Ap 11,15 Ap 12,10), oppure "il regno eterno del Signore nostro e Salvatore Gesù Cristo" (2P 1,11). E' sull'annunzio di Gesù Cristo, con cui il regno si identifica, che è incentrata la predicazione della Chiesa primitiva. Come allora, oggi bisogna unire l'annunzio del regno di Dio (il contenuto del "kérygma" di Gesù) e la proclamazione dell'evento Gesù Cristo (che è il "kérygma" degli apostoli). I due annunzi si completano e si illuminano a vicenda.


Redemptoris Missio