Redemptoris Missio 17

Il regno in rapporto a Cristo e alla Chiesa

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17. Oggi si parla molto del regno, ma non sempre in consonanza col sentire ecclesiale. Ci sono, infatti, concezioni della salvezza e della missione che si possono chiamare "antropocentriche" nel senso riduttivo del termine, in quanto sono incentrate sui bisogni terreni dell'uomo. In questa visione il regno tende a diventare una realtà del tutto umana e secolarizzata, in cui ciò che conta sono i programmi e le lotte per la liberazione socio-economica, politica e anche culturale, ma in un orizzonte chiuso al trascendente. Senza negare che anche a questo livello ci siano valori da promuovere, tuttavia tale concezione rimane nei confini di un regno dell'uomo decurtato delle sue autentiche e profonde dimensioni, e si traduce facilmente in una delle ideologie di progresso puramente terreno. Il regno di Dio, invece, "non è di questo mondo..., non è di quaggiù" (
Jn 18,36).

Ci sono, poi, concezioni che di proposito pongono l'accento sul regno e si qualificano come "regno-centriche", le quali danno risalto all'immagine di una Chiesa che non pensa a se stessa, ma è tutta occupata a testimoniare e a servire il regno. E' una "Chiesa per gli altri", si dice, come Cristo è l'"uomo per gli altri". Si descrive il compito della Chiesa come se debba procedere in una duplice direzione: da un lato, promuovere i cosiddetti "valori del regno", quali la pace, la giustizia, la libertà, la fraternità; dall'altro, favorire il dialogo fra i popoli, le culture, le religioni, affinché in un vicendevole arricchimento aiutino il mondo a rinnovarsi e a camminare sempre più verso il regno.

Accanto ad aspetti positivi, queste concezioni ne rivelano spesso di negativi. Anzitutto, passano sotto silenzio Cristo: il regno, di cui parlano, si fonda su un "teocentrismo", perché - dicono - Cristo non può essere compreso da chi non ha la fede cristiana, mentre popoli, culture e religioni diverse si possono ritrovare nell'unica realtà divina, quale che sia il suo nome. Per lo stesso motivo esse privilegiano il mistero della creazione, che si riflette nella diversità delle culture e credenze, ma tacciono sul mistero della redenzione.

Inoltre, il regno, quale essi lo intendono, finisce con l'emarginare o sottovalutare la Chiesa, per reazione ad un supposto "ecclesiocentrismo" del passato e perché considerano la Chiesa stessa solo un segno, non privo peraltro di ambiguità.

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18. Ora, non è questo il regno di Dio, quale conosciamo dalla rivelazione: esso non può essere disgiunto né da Cristo né dalla Chiesa.

Come si è detto, Cristo non soltanto ha annunziato il regno, ma in lui il regno stesso si è fatto presente e si è compiuto. E non solo mediante le sue parole e le sue opere: "Innanzitutto, il regno si manifesta nella stessa persona di Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo, il quale è venuto "a servire e a dare la sua vita in riscatto per molti" (
Mc 10,45)". Il regno di Dio non è un concetto, una dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione, ma è innanzitutto una persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazaret, immagine del Dio invisibile.

Se si distacca il regno da Gesù, non si ha più il regno di Dio da lui rivelato, e si finisce per distorcere sia il senso del regno, che rischia di trasformarsi in un obiettivo puramente umano o ideologico, sia l'identità di Cristo, che non appare più il Signore, a cui tutto deve esser sottomesso (cfr. 1Co 15,27).

Parimenti, non si può disgiungere il regno dalla Chiesa. Certo, questa non è fine a se stessa, essendo ordinata al regno di Dio, di cui è germe, segno e strumento. Ma, mentre si distingue dal Cristo e dal regno, la Chiesa è indissolubilmente unita a entrambi. Cristo ha dotato la Chiesa, suo corpo, della pienezza dei beni e dei mezzi di salvezza; lo Spirito Santo dimora in essa, la vivifica con i suoi doni e carismi, la santifica, guida e rinnova continuamente (cfr. LG 4). Ne deriva una relazione singolare e unica, che, pur non escludendo l'opera di Cristo e dello Spirito fuori dei confini visibili della Chiesa, conferisce ad essa un ruolo specifico e necessario. Di qui anche lo speciale legame della Chiesa col regno di Dio e di Cristo, che essa ha "la missione di annunziare e di instaurare in tutte le genti" (LG 5).

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19. E' in questa visione d'insieme che si comprende la realtà del regno. Certo, esso esige la promozione dei beni umani e dei valori che si possono ben dire "evangelici", perché sono intimamente legati alla "buona novella". Ma questa promozione, che pure sta a cuore alla Chiesa, non deve essere distaccata né contrapposta agli altri suoi compiti fondamentali, come l'annunzio del Cristo e del suo Vangelo, la fondazione e lo sviluppo di comunità che attuano tra gli uomini l'immagine viva del regno. Non si tema di cadere con ciò in una forma di "ecclesiocentrismo". Paolo VI, che ha affermato l'esistenza di "un legame profondo tra il Cristo, la Chiesa e l'evangelizzazione" (EN 15), ha pure detto che la Chiesa "non è fine a se stessa, ma fervidamente sollecita di essere tutta di Cristo, in Cristo e per Cristo, e tutta degli uomini, fra gli uomini e per gli uomini".


La Chiesa a servizio del regno

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20. La Chiesa è effettivamente e concretamente a servizio del regno. Lo è, anzitutto, con l'annunzio che chiama alla conversione: è, questo, il primo e fondamentale servizio alla venuta del regno nelle singole persone e nella società umana. La salvezza escatologica inizia già ora nella novità di vita in Cristo: "A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome" (
Jn 1,12).

La Chiesa, poi, serve il regno fondando comunità e istituendo Chiese particolari e portandole alla maturazione della fede e della carità nell'apertura verso gli altri, nel servizio alla persona e alla società, nella comprensione e stima delle istituzioni umane.

La Chiesa, inoltre, serve il regno diffondendo nel mondo i "valori evangelici", che del regno sono espressione e aiutano gli uomini ad accogliere il disegno di Dio. E' vero, dunque, che la realtà incipiente del regno può trovarsi anche al di là dei confini della Chiesa nell'umanità intera, in quanto questa viva i "valori evangelici" e si apra all'azione dello Spirito che spira dove e come vuole; ma bisogna subito aggiungere che tale dimensione temporale del regno è incompleta, se non è coordinata col regno di Cristo, presente nella Chiesa e proteso alla pienezza escatologica (EN 34).

Le molteplici prospettive del regno di Dio non indeboliscono i fondamenti e le finalità dell'attività missionaria, ma piuttosto li fortificano e allargano. La Chiesa è sacramento di salvezza per tutta l'umanità, e la sua azione non si restringe a coloro che ne accettano il messaggio. Essa è forza dinamica nel cammino dell'umanità verso il regno escatologico, è segno e promotrice dei valori evangelici tra gli uomini (cfr. GS 39). A questo itinerario di conversione al progetto di Dio la Chiesa contribuisce con la sua testimonianza e con le sue attività, quali il dialogo, la promozione umana, l'impegno per la giustizia e la pace, l'educazione e la cura degli infermi, l'assistenza ai poveri e ai piccoli, tenendo sempre ferma la priorità delle realtà trascendenti e spirituali, premesse della salvezza escatologica.

La Chiesa, infine, serve il regno anche con la sua intercessione, essendo esso per sua natura dono e opera di Dio, come ricordano le parabole evangeliche e la preghiera stessa insegnataci da Gesù (Mt 6,10). Noi dobbiamo chiederlo, accoglierlo, farlo crescere in noi; ma dobbiamo anche cooperare perché sia accolto e cresca tra gli uomini, fino a quando Cristo "consegnerà il regno a Dio Padre" e "Dio sarà tutto in tutti" (1Co 15,24 1Co 15,28).

Capitolo III - Lo Spirito Santo protagonista della missione

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21. "Al culmine della missione messianica di Gesù, lo Spirito Santo diventa presente nel mistero pasquale in tutta la sua soggettività divina, come colui che deve ora continuare l'opera salvifica, radicata nel sacrificio della croce. Senza dubbio questa opera viene affidata da Gesù a uomini: agli apostoli, alla Chiesa.

Tuttavia, in questi uomini e per mezzo di essi, lo Spirito Santo rimane il trascendente soggetto protagonista della realizzazione di tale opera nello spirito dell'uomo e nella storia del mondo" (
DEV 42).

Lo Spirito Santo invero è il protagonista di tutta la missione ecclesiale: la sua opera rifulge eminentemente nella missione "ad gentes", come appare nella Chiesa primitiva per la conversione di Cornelio, per le decisioni circa i problemi emergenti, per la scelta dei territori e dei popoli (Ac 10 Ac 15-16ss). Lo Spirito opera per mezzo degli apostoli, ma nello stesso tempo opera anche negli uditori: "Mediante la sua azione, la buona novella prende corpo nelle coscienze e nei cuori umani e si espande nella storia. In tutto ciò è lo Spirito Santo che dà la vita" (DEV 64).

L'invio "fino agli estremi confini della terra"

(Ac 1,8)
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22. Tutti gli evangelisti, quando narrano l'incontro del Risorto con gli apostoli, concludono col mandato missionario: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni... Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (
Mt 28,18-20e parr.).

Questo invio è invio nello Spirito, come appare chiaramente nel testo di san Giovanni: Cristo manda i suoi nel mondo, come il Padre ha mandato lui, e per questo dona loro lo Spirito. A sua volta, Luca collega strettamente la testimonianza che gli apostoli dovranno rendere a Cristo con l'azione dello Spirito, che li metterà in grado di attuare il mandato ricevuto.

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23. Le varie forme del "mandato missionario" contengono punti in comune e accenti caratteristici; due elementi, pero, si ritrovano in tutte le versioni. Anzitutto, la dimensione universale del compito affidato agli apostoli: "Tutte le nazioni" (
Mt 28,19); "in tutto il mondo, ad ogni creatura" (Mc 16,15); "tutte le genti" (Lc 24,47); "fino agli estremi confini della terra" (Ac 1,8). In secondo luogo, l'assicurazione data loro dal Signore che in questo compito non rimarranno soli, ma riceveranno la forza e i mezzi per svolgere la loro missione. E' in ciò la presenza e la potenza dello Spirito e l'assistenza di Gesù: "Essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro" (Mc 16,20).

Quanto alle differenze di accento nel mandato, Marco (Mc 16,15) presenta la missione come proclamazione, o kérygma: "Proclamate il Vangelo". Scopo dell'evangelista è di condurre i lettori a ripetere la confessione di Pietro: "Tu sei il Cristo" (Mc 8,29) e a dire, come il centurione romano dinanzi a Gesù morto in croce: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio" (Mc 15,39). In Matteo (Mt 28,19-20 Mt 16,18) l'accento missionario è posto sulla fondazione della Chiesa e sul suo insegnamento; in lui, dunque, il mandato evidenzia che la proclamazione del Vangelo dev'essere completata da una specifica catechesi di ordine ecclesiale e sacramentale. In Luca la missione è presentata come testimonianza, che verte soprattutto sulla risurrezione (Lc 24,48 Ac 1,8 Ac 1,22). Il missionario è invitato a credere alla potenza trasformatrice del Vangelo e ad annunziare ciò che Luca illustra bene, cioè la conversione all'amore e alla misericordia di Dio, l'esperienza di una liberazione integrale fino alla radice di ogni male, il peccato.

Giovanni è il solo a parlare esplicitamente di "mandato" - parola che equivale a "missione" - collegando direttamente la missione che Gesù affida ai suoi discepoli con quella che egli stesso ha ricevuto dal Padre: "Come il Padre ha mandato me, così io mando voi". Gesù dice rivolto al Padre: "Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo". Tutto il senso missionario del Vangelo di Giovanni si trova espresso nella "preghiera sacerdotale": la vita eterna è che "conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo". Scopo ultimo della missione è di far partecipare della comunione che esiste tra il Padre e il Figlio: i discepoli devono vivere l'unità tra loro, rimanendo nel Padre e nel Figlio, perché il mondo conosca e creda. E', questo, un significativo testo missionario, il quale fa capire che si è missionari prima di tutto per ciò che si è, come Chiesa che vive profondamente l'unità nell'amore, prima di esserlo per ciò che si dice o si fa (Jn 20,21 Jn 17,18 Jn 17,3).

I quattro Vangeli, dunque, nell'unità fondamentale della stessa missione, attestano un certo pluralismo, che riflette esperienze e situazioni diverse nelle prime comunità cristiane. Esso è anche frutto della spinta dinamica dello stesso Spirito; invita ad essere attenti ai diversi carismi missionari e alle diverse condizioni ambientali e umane. Tutti gli evangelisti, pero, sottolineano che la missione dei discepoli è collaborazione con quella di Cristo: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt 28,20). La missione, pertanto, non si fonda sulle capacità umane, ma sulla potenza del Risorto.

Lo Spirito guida la missione

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24. La missione della Chiesa, come quella di Gesù, è opera di Dio o - come spesso dice Luca - opera dello Spirito. Dopo la risurrezione e l'ascensione di Gesù gli apostoli vivono un'esperienza forte che li trasforma: la Pentecoste. La venuta dello Spirito Santo fa di essi dei testimoni e dei profeti, infondendo in loro una tranquilla audacia che li spinge a trasmettere agli altri la loro esperienza di Gesù e la speranza che li anima. Lo Spirito dà loro la capacità di testimoniare Gesù con "franchezza" (
Ac 2,29).

Quando gli evangelizzatori escono da Gerusalemme, lo Spirito assume ancor di più la funzione di "guida" nella scelta sia delle persone, sia delle vie della missione. La sua azione si manifesta specialmente nell'impulso dato alla missione che di fatto, secondo le parole di Cristo, si allarga da Gerusalemme a tutta la Giudea e Samaria e fino agli estremi confini della terra.

Gli Atti riportano sei sintesi dei "discorsi missionari" che sono rivolti ai Giudei agli inizi della Chiesa (cfr. Ac 2,22-39 Ac 3,12-26 Ac 4,9-12 Ac 5,29-32; Ac 10,34-43 Ac 13,16-41). Questi discorsi-modello, pronunciati da Pietro e da Paolo, annunziano Gesù, invitano a "convertirsi", cioè ad accogliere Gesù nella fede e a lasciarsi trasformare in lui dallo Spirito.

Paolo e Barnaba sono spinti dallo Spirito verso i pagani, il che non avviene senza tensioni e problemi. Come devono vivere la loro fede in Gesù i pagani convertiti? Sono essi vincolati alla tradizione del giudaismo e alla legge della circoncisione? Nel primo Concilio, che riunisce a Gerusalemme intorno agli apostoli i membri di diverse Chiese, viene presa una decisione riconosciuta come derivante dallo Spirito: non è necessario che il gentile si sottometta alla legge giudaica per diventare cristiano. Da quel momento la Chiesa apre le sue porte e diventa la casa in cui tutti possono entrare e sentirsi a proprio agio, conservando la propria cultura e le proprie tradizioni, purché non siano in contrasto col Vangelo.

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25. I missionari hanno proceduto lungo questa linea, tenendo ben presenti le attese e speranze, le angosce e sofferenze, la cultura della gente per annunziarle la salvezza in Cristo. I discorsi di Listra e di Atene sono riconosciuti come modelli per l'evangelizzazione dei pagani: in essi Paolo "entra in dialogo" con i valori culturali e religiosi dei diversi popoli. Agli abitanti della Licaonia, che praticavano una religione cosmica, egli ricorda esperienze religiose che si riferiscono al cosmo; con i Greci discute di filosofia e cita i loro poeti. Il Dio che vuol rivelare è già presente nella loro vita: è lui, infatti, che li ha creati e dirige misteriosamente i popoli e la storia; tuttavia, per riconoscere il vero Dio, bisogna che abbandonino i falsi dèi che essi stessi hanno fabbricato e si aprano a colui che Dio ha inviato per colmare la loro ignoranza e soddisfare l'attesa del loro cuore. Sono discorsi che offrono un esempio di inculturazione del Vangelo.

Sotto la spinta dello Spirito, la fede cristiana si apre decisamente alle "genti", e la testimonianza del Cristo si allarga ai centri più importanti del Mediterraneo orientale per arrivare poi a Roma e all'estremo occidente. E' lo Spirito che spinge ad andare sempre oltre, non solo in senso geografico, ma anche al di là delle barriere etniche e religiose, per una missione veramente universale.


Lo Spirito rende missionaria tutta la Chiesa

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26. Lo Spirito spinge il gruppo dei credenti a "fare comunità", ad essere Chiesa.

Dopo il primo annunzio di Pietro il giorno di Pentecoste e le conversioni che ne seguirono, si forma la prima comunità.

Uno degli scopi centrali della missione, infatti, è di riunire il popolo nell'ascolto del Vangelo, nella comunione fraterna, nella preghiera e nell'eucaristia. Vivere la "comunione fraterna" ("koinonia) significa avere "un cuor solo e un'anima sola" (
Ac 4,32), instaurando una comunione sotto tutti gli aspetti: umano, spirituale e materiale. Difatti, la vera comunità cristiana è impegnata anche a distribuire i beni terreni, affinché non ci siano indigenti e tutti possano avere accesso a quei beni "secondo le necessità" (Ac 2,45 Ac 4,35). Le prime comunità, in cui regnavano "la letizia e la semplicità di cuore", erano dinamicamente aperte e missionarie: "Godevano la stima di tutto il popolo" (Ac 2,46 Ac 2,47). Prima ancora di essere azione, la missione è testimonianza e irradiazione.

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27. Gli Atti indicano che la missione, indirizzata prima a Israele e poi alle genti, si sviluppa a molteplici livelli. C'è, innanzitutto, il gruppo dei Dodici che, come un unico corpo guidato da Pietro, proclama la buona novella. C'è, poi, la comunità dei credenti, che, col suo modo di vivere e di operare, rende testimonianza al Signore e converte i pagani. Ci sono, ancora, gli inviati speciali, destinati ad annunziare il Vangelo. così la comunità cristiana di Antiochia invia i suoi membri in missione: dopo aver digiunato, pregato e celebrato l'eucaristia, essa avverte che lo Spirito ha scelto Paolo e Barnaba per essere inviati. Alle sue origini, dunque, la missione è vista come un impegno comunitario e una responsabilità della Chiesa locale, che ha bisogno appunto di "missionari" per spingersi verso nuove frontiere. Accanto a quelli inviati ce ne erano altri, che testimoniavano spontaneamente la novità che aveva trasformato la loro vita e collegavano poi le comunità in formazione alla Chiesa apostolica.

La lettura degli Atti ci fa capire che all'inizio della Chiesa la missione "ad gentes", pur avendo anche missionari "a vita" che vi si dedicavano per una speciale vocazione, era di fatto considerata come il frutto normale della vita cristiana, l'impegno per ogni credente mediante la testimonianza personale e l'annunzio esplicito, quando possibile.


Lo Spirito è presente e operante in ogni tempo e luogo

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28. Lo Spirito si manifesta in maniera particolare nella Chiesa e nei suoi membri; tuttavia, la sua presenza e azione sono universali, senza limiti né di spazio né di tempo. Il Concilio Vaticano II ricorda l'opera dello Spirito nel cuore di ogni uomo mediante i "semi del Verbo", nelle iniziative anche religiose, negli sforzi dell'attività umana tesi alla verità, al bene, a Dio.

Lo Spirito offre all'uomo "luce e forza per rispondere alla suprema sua vocazione"; mediante lo Spirito "l'uomo può arrivare nella fede a contemplare e gustare il mistero del piano divino"; anzi, "dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, col Mistero pasquale" (
GS 10 GS 15 GS 22). In ogni caso la Chiesa sa che l'uomo, "sollecitato incessantemente dallo Spirito di Dio, non potrà mai essere del tutto indifferente al problema della religione", e "avrà sempre desiderio di sapere, almeno confusamente, quale sia il significato della sua vita, della sua attività e della sua morte" (GS 41). Lo Spirito, dunque, è all'origine stessa della domanda esistenziale e religiosa dell'uomo, la quale nasce non soltanto da situazioni contingenti, ma dalla struttura stessa del suo essere.

La presenza e l'attività dello Spirito non toccano solo gli individui, ma la società e la storia, i popoli, le culture, le religioni. Lo Spirito, infatti, sta all'origine dei nobili ideali e delle iniziative di bene dell'umanità in cammino: "Con mirabile provvidenza egli dirige il corso dei tempi e rinnova la faccia della terra". Il Cristo risorto "opera nel cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito, non solo suscitando il desiderio del mondo futuro, ma per ciò stesso anche ispirando, purificando e fortificando quei generosi propositi, con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine tutta la terra" (GS 26 GS 38). E' ancora lo Spirito che sparge i "semi del Verbo", presenti nei riti e nelle culture, e li prepara a maturare in Cristo.

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29. così lo Spirito, che "soffia dove vuole" (
Jn 3,8) e "operava nel mondo prima ancora che Cristo fosse glorificato" (AGD 4), che "riempie l'universo abbracciando ogni cosa e conosce ogni voce" (Sg 1,7), ci induce ad allargare lo sguardo per considerare la sua azione presente in ogni tempo e in ogni luogo. E' un richiamo che io stesso ho fatto ripetutamente e che mi ha guidato negli incontri con i popoli più diversi. Il rapporto della Chiesa con le altre religioni è dettato da un duplice rispetto: "Rispetto per l'uomo nella sua ricerca di risposte alle domande più profonde della vita, e rispetto per l'azione dello Spirito nell'uomo" L'incontro interreligioso di Assisi, esclusa ogni equivoca interpretazione, ha voluto ribadire la mia convinzione che "ogni autentica preghiera è suscitata dallo Spirito Santo, il quale è misteriosamente presente nel cuore di ogni uomo".

Questo Spirito è lo stesso che ha operato nell'incarnazione, nella vita, morte e risurrezione di Gesù e opera nella Chiesa. Non è, dunque, alternativo a Cristo, né riempie una specie di vuoto, come talvolta si ipotizza esserci tra Cristo e il Logos. Quanto lo Spirito opera nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e religioni, assume un ruolo di preparazione evangelica e non può non avere riferimento a Cristo, Verbo fatto carne per l'azione dello Spirito, "per operare lui, l'Uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale" (GS 45).

L'azione universale dello Spirito non va poi separata dall'azione peculiare, che egli svolge nel corpo di Cristo ch'è la Chiesa. Infatti, è sempre lo Spirito che agisce sia quando vivifica la Chiesa e la spinge ad annunziare il Cristo, sia quando semina e sviluppa i suoi doni in tutti gli uomini e i popoli, guidando la Chiesa a scoprirli, promuoverli e recepirli mediante il dialogo.

Qualsiasi presenza dello Spirito va accolta con stima e gratitudine, ma il discernerla spetta alla Chiesa, alla quale Cristo ha dato il suo Spirito per guidarla alla verità tutta intera.

L'attività missionaria è solo agli inizi

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30. Il nostro tempo, con l'umanità in movimento e in ricerca, esige un rinnovato impulso nell'attività missionaria della Chiesa. Gli orizzonti e le possibilità della missione si allargano, e noi cristiani siamo sollecitati al coraggio apostolico, fondato sulla fiducia nello Spirito. E' lui il protagonista della missione! Sono numerose nella storia dell'umanità le svolte epocali che stimolano il dinamismo missionario, e la Chiesa, guidata dallo Spirito, vi ha sempre risposto con generosità e lungimiranza. Né i frutti sono mancati. Da poco è stato celebrato il millennio dell'evangelizzazione della Rus' e dei popoli slavi, mentre si sta per celebrare il 500° anniversario dell'evangelizzazione delle Americhe.

Parimenti, sono stati di recente commemorati i centenari delle prime missioni in diversi Paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'Oceania. Oggi la Chiesa deve affrontare altre sfide, proiettandosi verso nuove frontiere sia nella prima missione "ad gentes", sia nella nuova evangelizzazione di popoli che hanno già ricevuto l'annuncio di Cristo. Oggi a tutti i cristiani, alle Chiese particolari e alla Chiesa universale sono richiesti lo stesso coraggio che mosse i missionari del passato e la stessa disponibilità ad ascoltare la voce dello Spirito.

Capitolo IV - Gli immensi orizzonti della missione "ad gentes"

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31. Il Signore Gesù invio i suoi apostoli a tutte le persone, a tutti i popoli e a tutti i luoghi della terra. Negli apostoli la Chiesa ricevette una missione universale, che non ha confini e riguarda la salvezza nella sua integrità, secondo quella pienezza di vita che Cristo è venuto a portare: essa fu "inviata a rivelare e comunicare la carità di Dio a tutti gli uomini e a tutti i popoli della terra" (
AGD 10).

Tale missione è unica, avendo la stessa origine e finalità; ma all'interno di essa si danno compiti e attività diverse. Anzitutto, c'è l'attività missionaria, che chiamiamo missione "ad gentes" in riferimento al decreto conciliare: si tratta di un'attività primaria della Chiesa, essenziale e mai conclusa. Infatti, la Chiesa "non può sottrarsi alla missione permanente di portare il Vangelo a quanti - sono milioni e milioni di uomini e donne - ancora non conoscono Cristo, redentore dell'uomo. E' questo il compito più specificamente missionario che Gesù ha affidato e quotidianamente affida alla sua Chiesa" (CL 35).

Un quadro religioso complesso e in movimento

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32. Oggi ci si trova di fronte a una situazione religiosa assai diversificata e cangiante: i popoli sono in movimento; realtà sociali e religiose, che un tempo erano chiare e definite, oggi evolvono in situazioni complesse. Basti pensare ad alcuni fenomeni, come l'urbanesimo, le migrazioni di massa, il movimento dei profughi, la scristianizzazione di Paesi di antica cristianità, l'influsso emergente del Vangelo e dei suoi valori in Paesi a grandissima maggioranza non cristiana, il pullulare di messianismi e di sette religiose. E' un rivolgimento di situazioni religiose e sociali, che rende difficile applicare in concreto certe distinzioni e categorie ecclesiali, a cui si era abituati. Già prima del Concilio si diceva di alcune metropoli o terre cristiane che erano diventate "paesi di missione", né la situazione è certo migliorata negli anni successivi.

D'altra parte, l'opera missionaria ha prodotto abbondanti frutti in tutte le parti del mondo, per cui esistono Chiese impiantate, a volte tanto solide e mature da ben provvedere ai bisogni delle proprie comunità e inviare anche personale per l'evangelizzazione in altre Chiese e territori. Di qui il contrasto con aree di antica cristianità, che è necessario rievangelizzare. Alcuni, pertanto, si chiedono se sia ancora il caso di parlare di attività missionaria specifica o di ambiti precisi di essa, o se non si debba ammettere che esiste un'unica situazione missionaria, per cui non c'è che un'unica missione, dappertutto eguale. La difficoltà di interpretare questa realtà complessa e mutevole in ordine al mandato di evangelizzazione si manifesta già nel "vocabolario missionario": ad esempio, c'è una certa esitazione a usare i termini "missioni" e "missionari", giudicati superati e carichi di risonanze storiche negative; si preferisce usare il sostantivo "missione" al singolare e l'aggettivo "missionario" per qualificare ogni attività della Chiesa.

Questo travaglio denota un cambiamento reale, che ha aspetti positivi.

Il cosiddetto rientro o "rimpatrio" delle missioni nella missione della Chiesa, il confluire della missiologia nell'ecclesiologia e l'inserimento di entrambe nel disegno trinitario di salvezza, hanno dato un respiro nuovo alla stessa attività missionaria, concepita non già come un compito ai margini della Chiesa, ma inserito nel cuore della sua vita, quale impegno fondamentale di tutto il Popolo di Dio. Occorre, pero, guardarsi dal rischio di livellare situazioni molto diverse e di ridurre, se non far scomparire, la missione e i missionari "ad gentes". Dire che tutta la Chiesa è missionaria non esclude che esista una specifica missione "ad gentes", come dire che tutti i cattolici debbono essere missionari non esclude, anzi richiede che ci siano i missionari ad gentes" e "a vita" per vocazione specifica.


La missione "ad gentes" conserva il suo valore

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33. Le differenze nell'attività all'interno dell'unica missione della Chiesa nascono non da ragioni intrinseche alla missione stessa, ma dalle diverse circostanze in cui essa si svolge. Guardando al mondo d'oggi dal punto di vista dell'evangelizzazione, si possono distinguere tre situazioni.

Anzitutto, quella a cui si rivolge l'attività missionaria della Chiesa: popoli, gruppi umani, contesti socio-culturali in cui Cristo e il suo Vangelo non sono conosciuti, o in cui mancano comunità cristiane abbastanza mature da poter incarnare la fede nel proprio ambiente e annunziarla ad altri gruppi. E', questa, propriamente la missione "ad gentes".

Ci sono, poi, comunità cristiane che hanno adeguate e solide strutture ecclesiali, sono ferventi di fede e di vita, irradiano la testimonianza del Vangelo nel loro ambiente e sentono l'impegno della missione universale. In esse si svolge l'attività, o cura pastorale della Chiesa.

Esiste, infine, una situazione intermedia, specie nei Paesi di antica cristianità, ma a volte anche nelle Chiese più giovani, dove interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della fede, o addirittura non si riconoscono più come membri della Chiesa, conducendo un'esistenza lontana da Cristo e dal suo Vangelo. In questo caso c'è bisogno di una "nuova evangelizzazione", o "ri-evangelizzazione".

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34. L'attività missionaria specifica, o missione "ad gentes", ha come destinatari "i popoli e i gruppi che ancora non credono in Cristo", "coloro che sono lontani da Cristo", tra i quali la Chiesa "non ha ancora messo radici" e la cui cultura non è stata ancora influenzata dal Vangelo. Essa si distingue dalle altre attività ecclesiali, perché si rivolge a gruppi e ambienti non cristiani per l'assenza o insufficienza dell'annunzio evangelico e della presenza ecclesiale. Pertanto, si caratterizza come opera di annunzio del Cristo e del suo Vangelo, di edificazione della Chiesa locale, di promozione dei valori del regno. La peculiarità di questa missione "ad gentes" deriva dal fatto che si rivolge ai non cristiani. Occorre, perciò, evitare che tale "compito più specificamente missionario, che Gesù ha affidato e quotidianamente riaffida alla sua Chiesa", subisca un appiattimento nella missione globale di tutto il popolo di Dio e, quindi, sia trascurato o dimenticato.

D'altronde, i confini fra cura pastorale dei fedeli, nuova evangelizzazione e attività missionaria specifica non sono nettamente definibili, e non è pensabile creare tra di esse barriere o compartimenti stagni. Bisogna, tuttavia, non perdere la tensione per l'annunzio e per la fondazione di nuove Chiese presso popoli o gruppi umani, in cui ancora non esistono, poiché questo è il compito primo della Chiesa che è inviata a tutti i popoli, fino agli ultimi confini della terra. Senza la missione "ad gentes" la stessa dimensione missionaria della Chiesa sarebbe priva del suo significato fondamentale e della sua attuazione esemplare.

E' da notare, altresi, una reale e crescente interdipendenza tra le varie attività salvifiche della Chiesa: ciascuna influisce sull'altra, la stimola e l'aiuta. Il dinamismo missionario crea scambio tra le Chiese e orienta verso il mondo esterno, con influssi positivi in tutti i sensi. Le Chiese di antica cristianità, ad esempio, alle prese col drammatico compito della nuova evangelizzazione, comprendono meglio che non possono essere missionarie verso i non cristiani di altri Paesi e Continenti, se non si preoccupano seriamente dei non cristiani in casa propria: la missionarietà "ad intra" è segno credibile e stimolo per quella "ad extra", e viceversa.



Redemptoris Missio 17