Veritatis splendor



Lettera Enciclica "Veritatis Splendor"

Titolo: Circa alcune questioni fondamentali dell'insegnamento morale della Chiesa

Lettera enciclica del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II a tutti i Vescovi della Chiesa Cattolica circa alcune questioni fondamentali dell'insegnamento morale della Chiesa Venerati Fratelli nell'Episcopato, salute e Apostolica Benedizione! Lo splendore della verità rifulge in tutte le opere del Creatore e, in modo particolare, nell'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio (Cfr. Gn 1,26): la verità illumina l'intelligenza e informa la libertà dell'uomo, che in tal modo viene guidato a conoscere e ad amare il Signore. Per questo il salmista prega: "Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto" (Ps 4,7).

INTRODUZIONE Gesù Cristo, luce vera che illumina ogni uomo

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1. Chiamati alla salvezza mediante la fede in Gesù Cristo, "luce vera che illumina ogni uomo" (
Jn 1,9), gli uomini diventano "luce nel Signore" e "figli della luce" (Ep 5,8) e si santificano con "l'obbedienza alla verità" (1P 1,22).

Questa obbedienza non è sempre facile. In seguito a quel misterioso peccato d'origine, commesso per istigazione di Satana, che è "menzognero e padre della menzogna" (Jn 8,44), l'uomo è permanentemente tentato di distogliere il suo sguardo dal Dio vivo e vero per volgerlo agli idoli (Cfr. 1Th 1,9), cambiando "la verità di Dio con la menzogna" (Rm 1,25); viene allora offuscata anche la sua capacità di conoscere la verità e indebolita la sua volontà di sottomettersi ad essa. E così, abbandonandosi al relativismo e allo scetticismo (Jn 18,38), egli va alla ricerca di una illusoria libertà al di fuori della stessa verità.

Ma nessuna tenebra di errore e di peccato può eliminare totalmente nell'uomo la luce di Dio Creatore. Nella profondità del suo cuore permane sempre la nostalgia della verità assoluta e la sete di giungere alla pienezza della sua conoscenza. Ne è prova eloquente l'inesausta ricerca dell'uomo in ogni campo e in ogni settore. Lo prova ancor più la sua ricerca sul senso della vita. Lo sviluppo della scienza e della tecnica, splendida testimonianza delle capacità dell'intelligenza e della tenacia degli uomini, non dispensa dagli interrogativi religiosi ultimi l'umanità, ma piuttosto la stimola ad affrontare le lotte più dolorose e decisive, quelle del cuore e della coscienza morale.

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2. Ogni uomo non può sfuggire alle domande fondamentali: Che cosa devo fare? Come discernere il bene dal male? La risposta è possibile solo grazie allo splendore della verità che rifulge nell'intimo dello spirito umano, come attesta il salmista: "Molti dicono: "Chi ci farà vedere il bene?". Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto" (
Ps 4,7).

La luce del volto di Dio splende in tutta la sua bellezza sul volto di Gesù Cristo, "immagine del Dio invisibile" (Col 1,15), "irradiazione della sua gloria" (He 1,3), "pieno di grazia e di verità" (Jn 1,14): Egli è "la via, la verità e la vita" (Jn 14,6). Per questo la risposta decisiva ad ogni interrogativo dell'uomo, in particolare ai suoi interrogativi religiosi e morali, è data da Gesù Cristo, anzi è Gesù Cristo stesso, come ricorda il Concilio Vaticano II: "In realtà, solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro, e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione".

Gesù Cristo, "la luce delle genti", illumina il volto della sua Chiesa, che Egli manda in tutto il mondo ad annunciare il Vangelo ad ogni creatura (Cfr. Mc 16,15) (LG 1). così la Chiesa, Popolo di Dio in mezzo alle nazioni, mentre è attenta alle nuove sfide della storia e agli sforzi che gli uomini compiono nella ricerca del senso della vita, offre a tutti la risposta che viene dalla verità di Gesù Cristo e del suo Vangelo. E' sempre viva nella Chiesa la coscienza del suo "dovere permanente di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in un modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto".

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3. I Pastori della Chiesa, in comunione col Successore di Pietro, sono vicini ai fedeli in questo sforzo, li accompagnano e li guidano con il loro magistero, trovando accenti sempre nuovi di amore e di misericordia per rivolgersi non solo ai credenti, ma a tutti gli uomini di buona volontà. Il Concilio Vaticano II rimane una testimonianza straordinaria di questo atteggiamento della Chiesa che, "esperta in umanità", si pone al servizio di ogni uomo e di tutto il mondo.

La Chiesa sa che l'istanza morale raggiunge in profondità ogni uomo, coinvolge tutti, anche coloro che non conoscono Cristo e il suo Vangelo e neppure Dio. Sa che proprio sulla strada della vita morale è aperta a tutti la via della salvezza, come ha chiaramente ricordato il Concilio Vaticano II, che così scrive: "Quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e tuttavia cercano sinceramente Dio, e sotto l'influsso della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di Dio, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna". Ed aggiunge: "Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che senza colpa da parte loro non sono ancora arrivati a una conoscenza esplicita di Dio, e si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta. Poiché tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro, è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione al Vangelo, e come dato da Colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita".

L'oggetto della presente Enciclica

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4. Sempre, ma soprattutto nel corso degli ultimi due secoli, i Sommi Pontefici sia personalmente che insieme al Collegio episcopale hanno sviluppato e proposto un insegnamento morale relativo ai molteplici e differenti ambiti della vita umana.

In nome e con l'autorità di Gesù Cristo, essi hanno esortato, denunciato, spiegato; in fedeltà alla loro missione, nelle lotte in favore dell'uomo, hanno confermato, sostenuto, consolato; con la garanzia dell'assistenza dello Spirito di verità hanno contribuito ad una migliore comprensione delle esigenze morali negli ambiti della sessualità umana, della famiglia, della vita sociale, economica e politica. Il loro insegnamento costituisce, all'interno della tradizione della Chiesa e della storia dell'umanità, un continuo approfondimento della conoscenza morale.

Oggi, pero, sembra necessario riflettere sull'insieme dell'insegnamento morale della Chiesa, con lo scopo preciso di richiamare alcune verità fondamentali della dottrina cattolica che nell'attuale contesto rischiano di essere deformate o negate. Si è determinata, infatti, una nuova situazione entro la stessa comunità cristiana, che ha conosciuto il diffondersi di molteplici dubbi ed obiezioni, di ordine umano e psicologico, sociale e culturale, religioso ed anche propriamente teologico, in merito agli insegnamenti morali della Chiesa. Non si tratta più di contestazioni parziali e occasionali, ma di una messa in discussione globale e sistematica del patrimonio morale, basata su determinate concezioni antropologiche ed etiche. Alla loro radice sta l'influsso più o meno nascosto di correnti di pensiero che finiscono per sradicare la libertà umana dal suo essenziale e costitutivo rapporto con la verità. così si respinge la dottrina tradizionale sulla legge naturale, sull'universalità e sulla permanente validità dei suoi precetti; si considerano semplicemente inaccettabili alcuni insegnamenti morali della Chiesa; si ritiene che lo stesso Magistero possa intervenire in materia morale solo per "esortare le coscienze" e per "proporre i valori", ai quali ciascuno ispirerà poi autonomamente le decisioni e le scelte della vita.

E' da rilevare, in special modo, la dissonanza tra la risposta tradizionale della Chiesa e alcune posizioni teologiche, diffuse anche in Seminari e Facoltà teologiche, circa questioni della massima importanza per la Chiesa e la vita di fede dei cristiani, nonché per la stessa convivenza umana. In particolare ci si chiede: i comandamenti di Dio, che sono scritti nel cuore dell'uomo e fanno parte dell'Alleanza, hanno davvero la capacità di illuminare le scelte quotidiane delle singole persone e delle società intere? E' possibile obbedire a Dio e quindi amare Dio e il prossimo, senza rispettare in tutte le circostanze questi comandamenti? E' anche diffusa l'opinione che mette in dubbio il nesso intrinseco e inscindibile che unisce tra loro la fede e la morale, quasi che solo in rapporto alla fede si debbano decidere l'appartenenza alla Chiesa e la sua unità interna, mentre si potrebbe tollerare nell'ambito morale un pluralismo di opinioni e di comportamenti, lasciati al giudizio della coscienza soggettiva individuale o alla diversità dei contesti sociali e culturali.

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5. In un tale contesto, tuttora attuale, è maturata in me la decisione di scrivere - come già annunciai nella Lettera apostolica Spiritus Domini, pubblicata il 1 agosto 1987 in occasione del secondo centenario della morte di sant'Alfonso Maria de' Liguori - un'Enciclica destinata a trattare "più ampiamente e più profondamente le questioni riguardanti i fondamenti stessi della teologia morale", fondamenti che vengono intaccati da alcune tendenze odierne.

Mi rivolgo a voi, venerati Fratelli nell'Episcopato, che condividete con me la responsabilità di custodire la "sana dottrina" (
2Tm 4,3), con l'intenzione di precisare taluni aspetti dottrinali che risultano decisivi per far fronte a quella che è senza dubbio una vera crisi, tanto gravi sono le difficoltà che ne conseguono per la vita morale dei fedeli e per la comunione nella Chiesa, come pure per un'esistenza sociale giusta e solidale.

Se questa Enciclica, da tanto tempo attesa, viene pubblicata solo ora, lo è anche perché è apparso conveniente farla precedere dal Catechismo della Chiesa Cattolica, il quale contiene un'esposizione completa e sistematica della dottrina morale cristiana. Il Catechismo presenta la vita morale dei credenti nei suoi fondamenti e nei suoi molteplici contenuti come vita dei "figli di Dio": "Riconoscendo nella fede la loro nuova dignità, i cristiani sono chiamati a comportarsi ormai "da cittadini degni del Vangelo" (Ph 1,27). Mediante i sacramenti e la preghiera, essi ricevono la grazia di Cristo e i doni del suo Spirito, che li rendono capaci di questa vita nuova". Nel rimandare pertanto al Catechismo "come testo di riferimento sicuro ed autorevole per l'insegnamento della dottrina cattolica", l'Enciclica si limiterà ad affrontare alcune questioni fondamentali dell'insegnamento morale della Chiesa, sotto forma di un necessario discernimento su problemi controversi tra gli studiosi dell'etica e della teologia morale. E' questo l'oggetto specifico della presente Enciclica, che intende esporre, sui problemi discussi, le ragioni di un insegnamento morale fondato nella Sacra Scrittura e nella viva Tradizione apostolica mettendo in luce, nello stesso tempo, i presupposti e le conseguenze delle contestazioni di cui tale insegnamento è fatto segno.

Capitolo I "MAESTRO, CHE COSA DEVO FARE DI BUONO...?" CRISTO E LA RISPOSTA ALLA DOMANDA DI MORALE

(Mt 19,16)

"Un tale gli si avvicino..." (Mt 19,16)

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6. Il dialogo di Gesù con il giovane ricco, riferito nel capitolo 19 del Vangelo di san Matteo, può costituire un'utile traccia per riascoltare in modo vivo e incisivo il suo insegnamento morale: "Ed ecco un tale gli si avvicino e gli disse: "Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?". Egli rispose: "Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti". Ed egli chiese: "Quali?". Gesù rispose: "Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso. Il giovane gli disse: "Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?". Gli disse Gesù: "Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi"" (
Mt 19,16-21).

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7. "Ed ecco un tale...". Nel giovane, che il Vangelo di Matteo non nomina, possiamo riconoscere ogni uomo che, coscientemente o no, si avvicina a Cristo, Redentore dell'uomo, e gli pone la domanda morale. Per il giovane, prima che una domanda sulle regole da osservare, è una domanda di pienezza di significato per la vita. E, in effetti, è questa l'aspirazione che sta al cuore di ogni decisione e di ogni azione umana, la segreta ricerca e l'intimo impulso che muove la libertà.

Questa domanda è ultimamente un appello al Bene assoluto che ci attrae e ci chiama a sé, è l'eco di una vocazione di Dio, origine e fine della vita dell'uomo.

Proprio in questa prospettiva il Concilio Vaticano II ha invitato a perfezionare la teologia morale in modo che la sua esposizione illustri l'altissima vocazione che i fedeli hanno ricevuto in Cristo, unica risposta che appaga pienamente il desiderio del cuore umano.

Perché gli uomini possano realizzare questo "incontro" con Cristo, Dio ha voluto la sua Chiesa. Essa, infatti, "desidera servire quest'unico fine: che ogni uomo possa ritrovare Cristo, perché Cristo possa, con ciascuno, percorrere la strada della vita".

"Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?" (
Mt 19,16)

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8. Dalla profondità del cuore sorge la domanda che il giovane ricco rivolge a Gesù di Nazaret, una domanda essenziale e ineludibile per la vita di ogni uomo: essa riguarda, infatti, il bene morale da praticare e la vita eterna. L'interlocutore di Gesù intuisce che esiste una connessione tra il bene morale e il pieno compimento del proprio destino. Egli è un pio israelita, cresciuto per così dire all'ombra della Legge del Signore. Se pone questa domanda a Gesù, possiamo immaginare che non lo faccia perché ignora la risposta contenuta nella Legge. E' più probabile che il fascino delna persona di Gesù abbia fatto sorgere in lui nuovi interrogativi intorno al bene morale. Egli sente l'esigenza di confrontarsi con Colui che aveva iniziato la sua predicazione con questo nuovo e decisivo annuncio: "Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo" (
Mc 1,15).

Occorre che l'uomo di oggi si volga nuovamente verso Cristo per avere da Lui la risposta su ciò che è bene e ciò che è male. Egli è il Maestro, il Risorto che ha in sé la vita e che è sempre presente nella sua Chiesa e nel mondo. E' Lui che schiude ai fedeli il libro delle Scritture e, rivelando pienamente la volontà del Padre, insegna la verità sull'agire morale. Alla sorgente e al vertice dell'economia della salvezza, Alfa e Omega della storia umana (Cfr. Ap 1,8 Ap 21,6 Ap 22,13), Cristo rivela la condizione dell'uomo e la sua vocazione integrale. Per questo, "l'uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo non soltanto secondo immediati, parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio essere deve, con la sua inquietudine e incertezza ed anche con la sua debolezza e peccaminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per così dire, entrare in Lui con tutto se stesso, deve "appropriarsi" ed assimilare tutta la realtà dell'Incarnazione e della Redenzione per ritrovare se stesso. Se in lui si attua questo profondo processo, allora egli produce frutti non soltanto di adorazione di Dio, ma anche di profonda meraviglia di se stesso".

Se vogliamo dunque penetrare nel cuore della morale evangelica e coglierne il contenuto profondo e immutabile, dobbiamo ricercare accuratamente il senso dell'interrogativo posto dal giovane ricco del Vangelo e, più ancora, il senso della risposta di Gesù, lasciandoci guidare da Lui. Gesù, infatti, con delicata attenzione pedagogica, risponde conducendo il giovane quasi per mano, passo dopo passo, verso la verità piena.

"Uno solo è buono"

(Mt 19,17)

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9. Gesù dice: "Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti" (
Mt 19,17). Nella versione degli evangelisti Marco e Luca la domanda viene così formulata: "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo" (Mc 10,18 Cfr. Lc 18,19).

Prima di rispondere alla domanda, Gesù vuole che il giovane chiarisca a se stesso il motivo per cui lo interroga. Il "Maestro buono" indica al suo interlocutore - e a tutti noi - che la risposta all'interrogativo: "Che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?", può essere trovata soltanto rivolgendo la mente e il cuore a Colui che "solo è buono": "Nessuno è buono, se non Dio solo" (Mc 10,18 Cfr. Lc 18,19). Solo Dio può rispondere alla domanda sul bene, perché Egli è il Bene.

Interrogarsi sul bene, in effetti, significa rivolgersi in ultima analisi verso Dio, pienezza della bontà. Gesù mostra che la domanda del giovane è in realtà una domanda religiosa e che la bontà, che attrae e al tempo stesso vincola l'uomo, ha la sua fonte in Dio, anzi è Dio stesso, Colui che solo è degno di essere amato "con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente" (Mt 22,37), Colui che è la sorgente della felicità dell'uomo. Gesù riporta la questione dell'azione moralmente buona alle sue radici religiose, al riconoscimento di Dio, unica bontà, pienezza della vita, termine ultimo dell'agire umano, felicità perfetta.

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10. La Chiesa, istruita dalle parole del Maestro, crede che l'uomo, fatto a immagine del Creatore, redento con il sangue di Cristo e santificato dalla presenza dello Spirito Santo, ha come fine ultimo della sua vita l'essere "a lode della gloria" di Dio (Cfr.
Ep 1,12), facendo si che ognuna delle sue azioni ne rifletta lo splendore. "Conosci dunque te stessa, o anima bella: tu sei l'immagine di Dio - scrive sant'Ambrogio -. Conosci te stesso, o uomo: tu sei la gloria di Dio (1Co 11,7). Ascolta in che modo ne sei la gloria. Dice il profeta: La tua scienza è divenuta mirabile provenendo da me (Ps 138[139],6), cioè: nella mia opera la tua maestà è più ammirabile, la tua sapienza viene esaltata nella mente dell'uomo. Mentre considero me stesso, che tu scruti nei segreti pensieri e negli intimi sentimenti, io riconosco i misteri della tua scienza. Conosci dunque te stesso, o uomo, quanto grande tu sei e vigila su di te...".

Ciò che l'uomo è e deve fare si manifesta nel momento in cui Dio rivela se stesso. Il Decalogo, infatti, si fonda su queste parole: "Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me" (Ex 20,2-3). Nelle "dieci parole" dell'Alleanza con Israele, e in tutta la Legge, Dio si fa conoscere e riconoscere come Colui che "solo è buono"; come Colui che, nonostante il peccato dell'uomo, continua a rimanere il "modello" dell'agire morale, secondo la sua stessa chiamata: "Siate santi, perché io, il Signore, Dio vostro, sono santo" (Lv 19,2); come Colui che, fedele al suo amore per l'uomo, gli dona la sua Legge (Cfr. Ex 19,9-24 Ex 20,18-21), per ristabilire l'originaria armonia col Creatore e con tutto il creato, ed ancor più per introdurlo nel suo amore: "Camminero in mezzo a voi, saro il vostro Dio e voi sarete il mio popolo" (Lv 26,12).

La vita morale si presenta come risposta dovuta alle iniziative gratuite che l'amore di Dio moltiplica nei confronti dell'uomo. E' una risposta d'amore, secondo l'enunciato che del comandamento fondamentale fa il Deuteronomio: "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo: Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Questi precetti, che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli" (Dt 6,47). così, la vita morale, coinvolta nella gratuità dell'amore di Dio, è chiamata a rifletterne la gloria: "Per chi ama Dio è sufficiente piacere a Colui che egli ama: poiché non deve ricercarsi nessun'altra ricompensa maggiore dello stesso amore; la carità, infatti, proviene da Dio in maniera tale che Dio stesso è carità".

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11. L'affermazione che "uno solo è buono" ci rimanda così alla "prima tavola" dei comandamenti, che chiama a riconoscere Dio come Signore unico e assoluto e a rendere culto a Lui solo a motivo della sua infinita santità (Cfr.
Ex 20,2-11). Il bene è appartenere a Dio, obbedire a Lui, camminare umilmente con Lui praticando la giustizia e amando la pietà (Cfr. Mic 6,8). Riconoscere il Signore come Dio è il nucleo fondamentale, il cuore della Legge, da cui discendono e a cui sono ordinati i precetti particolari. Mediante la morale dei comandamenti si manifesta l'appartenenza del popolo di Israele al Signore, perché Dio solo è Colui che è buono. Questa è la testimonianza della Sacra Scrittura, in ogni sua pagina permeata dalla viva percezione dell'assoluta santità di Dio: "Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti" (Is 6,3).

Ma se Dio solo è il Bene, nessuno sforzo umano, neppure l'osservanza più rigorosa dei comandamenti, riesce a "compiere" la Legge, cioè a riconoscere il Signore come Dio e a rendergli l'adorazione che a Lui solo è dovuta (Cfr. Mt 4,10). Il "compimento" può venire solo da un dono di Dio: è l'offerta di una partecipazione alla Bontà divina che si rivela e si comunica in Gesù, colui che il giovane ricco chiama con le parole "Maestro buono" (Mc 10,17 Lc 18,18). Ciò che ora il giovane riesce forse solo a intuire, verrà alla fine pienamente rivelato da Gesù stesso nell'invito: "Vieni e seguimi" (Mt 19,21).

"Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti"

(Mt 19,17)
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12. Solo Dio può rispondere alla domanda sul bene, perché Egli è il Bene. Ma Dio ha già dato risposta a questa domanda: lo ha fatto creando l'uomo e ordinandolo con sapienza e con amore al suo fine, mediante la legge inscritta nel suo cuore (Cfr.
Rm 2,15), la "legge naturale". Questa "altro non è che la luce dell'intelligenza infusa in noi da Dio. Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare. Questa luce e questa legge Dio l'ha donata nella creazione". Lo ha fatto poi nella storia di Israele, in particolare con le "dieci parole", ossia con i comandamenti del Sinai, mediante i quali Egli ha fondato l'esistenza del popolo dell'Alleanza (Cfr. Ex 24) e l'ha chiamato ad essere la sua "proprietà tra tutti i popoli", "una nazione santa" (Ex 19,56), che facesse risplendere la sua santità tra tutte le genti (Cfr. Sg 18,4 Ez 20,41).

Il dono del Decalogo è promessa e segno dell'Alleanza Nuova, quando la legge sarà nuovamente e definitivamente scritta nel cuore dell'uomo (Cfr. Jr 31,31-34), sostituendosi alla legge del peccato, che quel cuore aveva deturpato (Cfr. Jr 17,1). Allora verrà donato "un cuore nuovo" perché in esso abiterà "uno spirito nuovo", lo Spirito di Dio (Cfr. Ez 36,24-28).

Per questo, dopo l'importante precisazione: "Uno solo è buono", Gesù risponde al giovane: "Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti" (Mt 19,17). Viene in tal modo enunciato uno stretto legame tra la vita eterna e l'obbedienza ai comandamenti di Dio: sono i comandamenti di Dio che indicano all'uomo la via della vita e ad essa conducono. Dalla bocca stessa di Gesù, nuovo Mosè, vengono ridonati agli uomini i comandamenti del Decalogo; egli stesso li conferma definitivamente e li propone a noi come via e condizione di salvezza. Il comandamento si lega a una promessa: nella Alleanza Antica oggetto della promessa era il possesso di una terra in cui il popolo avrebbe potuto condurre un'esistenza nella libertà e secondo giustizia (Cfr. Dt 6,20-25); nella Alleanza Nuova oggetto della promessa è il "Regno dei cieli", come Gesù afferma all'inizio del "Discorso della Montagna" - discorso che contiene la formulazione più ampia e completa della Legge Nuova (Cfr. Mt 5-7) -, in evidente connessione con il Decalogo affidato da Dio a Mosè sul monte Sinai. Alla medesima realtà del Regno fa riferimento l'espressione "vita eterna", che è partecipazione alla vita stessa di Dio: essa si realizza nella sua perfezione solo dopo la morte, ma nella fede è già fin d'ora luce di verità, sorgente di senso per la vita, incipiente partecipazione ad una pienezza nella sequela di Cristo. Dice, infatti, Gesù ai discepoli dopo l'incontro con il giovane ricco: "Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna" (Mt 19,29).

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13. La risposta di Gesù non basta al giovane, che insiste interrogando il Maestro circa i comandamenti da osservare: "Ed egli chiese: "Quali?"" (
Mt 19,18). Chiede che cosa deve fare nella vita per rendere manifesto il riconoscimento della santità di Dio. Dopo aver orientato lo sguardo del giovane verso Dio, Gesù gli ricorda i comandamenti del Decalogo che riguardano il prossimo: "Gesù rispose: "Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso" (Mt 19,18-19).

Dal contesto del colloquio e, specialmente, dal confronto del testo di Matteo con i passi paralleli di Marco e di Luca, risulta che Gesù non intende elencare tutti e singoli i comandamenti necessari per "entrare nella vita", ma, piuttosto, rimandare il giovane alla centralità del Decalogo rispetto ad ogni altro precetto, quale interpretazione di ciò che per l'uomo significa "Io sono il Signore, Dio tuo". Non può sfuggire, comunque, alla nostra attenzione quali comandamenti della Legge il Signore Gesù ricorda al giovane: sono alcuni comandamenti che appartengono alla cosiddetta "seconda tavola" del Decalogo, di cui compendio (Cfr. Rm 13,8-10) e fondamento è il comandamento dell'amore del prossimo: "Ama il prossimo tuo come te stesso" (Mt 19,19 Cfr. Mc 12,31). In questo comandamento si esprime precisamente la singolare dignità della persona umana, la quale è "la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa". I diversi comandamenti del Decalogo non sono in effetti che la rifrazione dell'unico comandamento riguardante il bene della persona, a livello dei molteplici beni che connotano la sua identità di essere spirituale e corporeo, in relazione con Dio, col prossimo e col mondo delle cose. Come leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica, "i dieci comandamenti appartengono alla rivelazione di Dio. Al tempo stesso ci insegnano la vera umanità dell'uomo. Mettono in luce i doveri essenziali e, quindi, indirettamente, i diritti fondamentali inerenti alla natura della persona umana".

I comandamenti, ricordati da Gesù al giovane interlocutore, sono destinati a tutelare il bene della persona, immagine di Dio, mediante la protezione dei suoi beni. "Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso" sono regole morali formulate in termini di divieto. I precetti negativi esprimono con particolare forza l'esigenza insopprimibile di proteggere la vita umana, la comunione delle persone nel matrimonio, la proprietà privata, la veridicità e la buona fama.

I comandamenti rappresentano, quindi, la condizione di base per l'amore del prossimo; essi ne sono al contempo la verifica. Sono la prima tappa necessaria nel cammino verso la libertà, il suo inizio: "La prima libertà - scrive sant'Agostino - consiste nell'essere esenti da crimini... come sarebbero l'omicidio, l'adulterio, la fornicazione, il furto, la frode, il sacrilegio e così via. Quando uno comincia a non avere questi crimini (e nessun cristiano deve averli), comincia a levare il capo verso la libertà, ma questo non è che l'inizio della libertà, non la libertà perfetta...".

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14. Ciò non significa, certo, che Gesù intenda dare la precedenza all'amore del prossimo o addirittura separarlo dall'amore di Dio. Lo testimonia il suo dialogo col dottore della Legge: questi, che pone una domanda molto simile a quella del giovane, si sente rimandato da Gesù ai due comandamenti dell'amore di Dio e dell'amore del prossimo (Cfr.
Lc 10,25-27) e invitato a ricordare che solo la loro osservanza conduce alla vita eterna: "Fa' questo e vivrai" (Lc 10,28). E' comunque significativo che sia proprio il secondo di questi comandamenti a suscitare la curiosità e l'interrogativo del dottore della Legge: "Chi è il mio prossimo?" (Lc 10,29). Il Maestro risponde con la parabola del buon Samaritano, la parabola-chiave per la piena comprensione del comandamento dell'amore del prossimo (Cfr. Lc 10,30-37).

I due comandamenti, dai quali "dipende tutta la Legge e i Profeti" (Mt 22,40), sono profondamente uniti tra loro e si compenetrano reciprocamente. La loro unità inscindibile è testimoniata da Gesù con le parole e con la vita: la sua missione culmina nella Croce che redime (Cfr. Jn 3,14-15), segno del suo indivisibile amore al Padre e all'umanità (Cfr. Jn 13,1).

Sia l'Antico che il Nuovo Testamento sono espliciti nell'affermare che senza l'amore per il prossimo, che si concretizza nell'osservanza dei comandamenti, non è possibile l'autentico amore per Dio. Lo scrive con vigore straordinario san Giovanni: "Se uno dicesse: "Io amo Dio", e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi, infatti, non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (1Jn 4,20). L'evangelista fa eco alla predicazione morale di Cristo, espressa in modo mirabile e inequivocabile nella parabola del buon Samaritano (Cfr. Lc 10,19-37) e nel "discorso" sul giudizio finale (Cfr. Mt 25,31-46).

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15. Nel "Discorso della Montagna", che costituisce la magna charta della morale evangelica, Gesù dice: "Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento" (
Mt 5,17). Cristo è la chiave delle Scritture: "Voi scrutate le Scritture: esse parlano di me" (Cfr. Jn 5,39); è il centro dell'economia della salvezza, la ricapitolazione dell'Antico e del Nuovo Testamento, delle promesse della Legge e del loro compimento nel Vangelo; è il legame vivente ed eterno tra l'Antica e la Nuova Alleanza.

Commentando l'affermazione di Paolo "Il termine della legge è Cristo" (Rm 10,4), sant'Ambrogio scrive: "Fine non in quanto mancanza, ma in quanto pienezza della legge: questa si compie in Cristo (plenitudo legis in Christo est), dal momento che Egli è venuto non a dissolvere la legge, ma a portarla a compimento. Allo stesso modo in cui c'è un Testamento Antico, ma ogni verità sta all'interno del Nuovo Testamento, così avviene per la legge: quella che è stata data per mezzo di Mosè è figura della vera legge. Dunque, quella legge mosaica è copia della verità".

Gesù porta a compimento i comandamenti di Dio, in particolare il comandamento dell'amore del prossimo, interiorizzando e radicalizzando le sue esigenze: l'amore del prossimo scaturisce da un cuore che ama, e che, proprio perché ama, è disposto a vivere le esigenze più alte. Gesù mostra che i comandamenti non devono essere intesi come un limite minimo da non oltrepassare, ma piuttosto come una strada aperta per un cammino morale e spirituale di perfezione, la cui anima è l'amore (Cfr. Col 3,14). così il comandamento "Non uccidere" diventa l'appello ad un amore sollecito che tutela e promuove la vita del prossimo; il precetto che vieta l'adulterio diventa l'invito ad uno sguardo puro, capace di rispettare il significato sponsale del corpo: "Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio... Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda ad una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore" (Mt 5,21-22 Mt 5,27-28). E' Gesù stesso il "compimento" vivo della Legge in quanto egli ne realizza il significato autentico con il dono totale di sé: diventa Lui stesso Legge vivente e personale, che invita alla sua sequela, dà mediante lo Spirito la grazia di condividere la sua stessa vita e il suo stesso amore e offre l'energia per testimoniarlo nelle scelte e nelle opere (Cfr. Jn 13,34-35).


Veritatis splendor