Veritatis splendor 87


87 Cristo rivela, anzitutto, che il riconoscimento onesto e aperto della verità è condizione di autentica libertà: "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Jn 8,32). E' la verità che rende liberi davanti al potere e dà la forza del martirio. così è di Gesù davanti a Pilato: "Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità" (Jn 18,37).

Così i veri adoratori di Dio devono adorarlo "in spirito e verità" (Jn 4,23): in questa adorazione diventano liberi. Il legame con la verità e l'adorazione di Dio si manifestano in Gesù Cristo come la più intima radice della libertà.

Gesù rivela, inoltre, con la sua stessa esistenza e non solo con le parole, che la libertà si realizza nell'amore, cioè nel dono di sé. Lui che dice: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Jn 15,13), va incontro liberamente alla Passione (Cfr. Mt 26,46) e nella sua obbedienza al Padre sulla Croce dà la vita per tutti gli uomini (Cfr. Ph 2,6-11).

In tal modo la contemplazione di Gesù crocifisso è la via maestra sulla quale la Chiesa deve camminare ogni giorno se vuole comprendere l'intero senso della libertà: il dono di sé nel servizio a Dio e ai fratelli. La comunione poi con il Signore crocifisso e risorto è la sorgente inesauribile alla quale la Chiesa attinge senza sosta per vivere nella libertà, donarsi e servire. Commentando il versetto del Salmo 99 (100) "Servite il Signore nella gioia", sant'Agostino dice: "Nella casa del Signore libera è la schiavitù. Libera, poiché il servizio non l'impone la necessità, ma la carità... La carità ti renda servo, come la verità ti ha fatto libero... Allo stesso tempo tu sei servo e libero: servo, perché ci diventasti; libero, perché sei amato da Dio, tuo creatore; anzi, libero anche perché ti è dato di amare il tuo creatore... Sei servo del Signore e sei libero del Signore. Non cercare una liberazione che ti porti lontano dalla casa del tuo liberatore!".

In tal modo la Chiesa, e ciascun cristiano in essa, è chiamata a partecipare al munus regale di Cristo in croce (Cfr. Jn 12,32), alla grazia e alla responsabilità del Figlio dell'uomo, che "non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti" (Mt 20,28).

Gesù, dunque, è la sintesi viva e personale della perfetta libertà nell'obbedienza totale alla volontà di Dio. La sua carne crocifissa è la piena Rivelazione del vincolo indissolubile tra libertà e verità, così come la sua risurrezione da morte è l'esaltazione suprema della fecondità e della forza salvifica di una libertà vissuta nella verità.

Camminare nella luce

(Cfr. 1Jn 1,7)
88 La contrapposizione, anzi la radicale dissociazione tra libertà e verità è conseguenza, manifestazione e compimento di un'altra più grave e deleteria dicotomia, quella che separa la fede dalla morale.

Questa separazione costituisce una delle più acute preoccupazioni pastorali della Chiesa nell'attuale processo di secolarismo, nel quale tanti, troppi uomini pensano e vivono "come se Dio non esistesse". Siamo di fronte ad una mentalità che coinvolge, spesso in modo profondo, vasto e capillare, gli atteggiamenti e i comportamenti degli stessi cristiani, la cui fede viene svigorita e perde la propria originalità di nuovo criterio interpretativo e operativo per l'esistenza personale, familiare e sociale. In realtà, i criteri di giudizio e di scelta assunti dagli stessi credenti si presentano spesso, nel contesto di una cultura ampiamente scristianizzata, estranei o persino contrapposti a quelli del Vangelo.

Urge allora che i cristiani riscoprano la novità della loro fede e la sua forza di giudizio di fronte alla cultura dominante e invadente: "Se un tempo eravate tenebra - ci ammonisce l'apostolo Paolo -, ora siete luce nel Signore.

Comportatevi perciò come i figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate ciò che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente...

Vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi; profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi" (
Ep 5,8-11 Ep 5,15-16 Cfr. 1Th 5,4-8).

Urge ricuperare e riproporre il vero volto della fede cristiana, che non è semplicemente un insieme di proposizioni da accogliere e ratificare con la mente. E' invece una conoscenza vissuta di Cristo, una memoria vivente dei suoi comandamenti, una verità da vivere. Del resto, una parola non è veramente accolta se non quando passa negli atti, se non quando viene messa in pratica. La fede è una decisione che impegna tutta l'esistenza. E' incontro, dialogo, comunione di amore e di vita del credente con Gesù Cristo, Via, Verità e Vita (Cfr. Jn 14,6).

Comporta un atto di confidenza e di abbandono a Cristo, e ci dona di vivere come lui ha vissuto (Cfr. Ga 2,20), ossia nel più grande amore a Dio e ai fratelli.


89 La fede possiede anche un contenuto morale: origina ed esige un impegno coerente di vita, comporta e perfeziona l'accoglienza e l'osservanza dei comandamenti divini. Come scrive l'evangelista Giovanni, "Dio è luce e in lui non ci sono tenebre. Se diciamo che siamo in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità... Da questo sappiamo d'averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: "Lo conosco" e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui; ma chi osserva la sua parola, in lui l'amore di Dio è veramente perfetto. Da questo conosciamo di essere in lui. Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato" (1Jn 1,5-6 1Jn 2,3-6).

Mediante la vita morale la fede diventa "confessione", non solo davanti a Dio, ma anche davanti agli uomini: si fa testimonianza. "Voi siete la luce del mondo - ha detto Gesù -; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli" (Mt 5,14-16). Queste opere sono soprattutto quelle della carità (Cfr. Mt 25,31-46) e dell'autentica libertà che si manifesta e vive nel dono di sé. Sino al dono totale di sé, come ha fatto Gesù che sulla croce "ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei" (Ep 5,25). La testimonianza di Cristo è fonte, paradigma e risorsa per la testimonianza del discepolo, chiamato a porsi sulla stessa strada: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua" (Lc 9,23).

La carità, secondo le esigenze del radicalismo evangelico, può portare il credente alla testimonianza suprema del martirio. Sempre sull'esempio di Gesù che muore in croce: "Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, - scrive Paolo ai cristiani di Efeso - e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore" (Ep 5,1-2).


Il martirio, esaltazione della santità inviolabile della legge di Dio

90 Il rapporto tra fede e morale splende in tutto il suo fulgore nel rispetto incondizionato che si deve alle esigenze insopprimibili della dignità personale di ogni uomo, a quelle esigenze difese dalle norme morali che proibiscono senza eccezioni gli atti intrinsecamente cattivi. L'universalità e l'immutabilità della norma morale manifestano e, nello stesso tempo, si pongono a tutela della dignità personale, ossia dell'inviolabilità dell'uomo, sul cui volto brilla lo splendore di Dio (Cfr. Gn 9,5-6).

L'inaccettabilità delle teorie etiche "teleologiche", "consequenzia- liste" e "proporzionaliste", che negano l'esistenza di norme morali negative riguardanti comportamenti determinati e valide senza eccezioni, trova una conferma particolarmente eloquente nel fatto del martirio cristiano, che ha sempre accompagnato e accompagna tuttora la vita della Chiesa.


91 Già nell'Antica Alleanza incontriamo ammirevoli testimonianze di una fedeltà alla legge santa di Dio spinta fino alla volontaria accettazione della morte.

Emblematica è la storia di Susanna: ai due giudici ingiusti, che minacciavano di farla morire se si fosse rifiutata di cedere alla loro passione impura, così rispose: "Sono alle strette da ogni parte. Se cedo, è la morte per me, se rifiuto, non potro scampare dalle vostre mani. Meglio pero per me cadere innocente nelle vostre mani che peccare davanti al Signore!" (
Da 13,22-23). Susanna, preferendo "cadere innocente" nelle mani dei giudici, testimonia non solo la sua fede e fiducia in Dio, ma anche la sua obbedienza alla verità e all'assolutezza dell'ordine morale: con la sua disponibilità al martirio, proclama che non è giusto fare ciò che la legge di Dio qualifica come male per trarre da esso un qualche bene. Essa sceglie per sé la "parte migliore": una limpidissima testimonianza, senza nessun compromesso, alla verità circa il bene e al Dio di Israele; manifesta così, nei suoi atti, la santità di Dio.

Alle soglie del Nuovo Testamento Giovanni Battista, rifiutandosi di tacere la legge del Signore e di venire a compromesso col male, "immolo la sua vita per la verità e la giustizia" e fu così precursore del Messia anche nel martirio (Cfr. Mc 6,17-29). Per questo, "fu rinchiuso nell'oscurità del carcere colui che venne a rendere testimonianza alla luce e che dalla stessa luce, che è Cristo, merito di essere chiamato lampada che arde e illumina... E fu battezzato nel proprio sangue colui al quale era stato concesso di battezzare il Redentore del mondo".

Nella Nuova Alleanza si incontrano numerose testimonianze di seguaci di Cristo - a cominciare dal diacono Stefano (Cfr. Ac 6,8-7,60) e dall'apostolo Giacomo (Cfr. Ac 12,1-2) - che sono morti martiri per confessare la loro fede e il loro amore al Maestro e per non rinnegarlo. In ciò essi hanno seguito il Signore Gesù, che davanti a Caifa e a Pilato "ha dato la sua bella testimonianza" (1Tm 6,13), confermando la verità del suo messaggio con il dono della vita.

Innumerevoli altri martiri accettarono le persecuzioni e la morte piuttosto che porre il gesto idolatrico di bruciare l'incenso davanti alla statua dell'Imperatore (Cfr. Ap 13,7-10). Rifiutarono persino di simulare un simile culto, dando così l'esempio del dovere di astenersi anche da un solo comportamento concreto contrario all'amore di Dio e alla testimonianza della fede.

Nell'obbedienza, essi affidarono e consegnarono, come Cristo stesso, la loro vita al Padre, a colui che poteva liberarli dalla morte (Cfr. He 5,7).

La Chiesa propone l'esempio di numerosi santi e sante, che hanno testimoniato e difeso la verità morale fino al martirio o hanno preferito la morte ad un solo peccato mortale. Elevandoli all'onore degli altari, la Chiesa ha canonizzato la loro testimonianza e dichiarato vero il loro giudizio, secondo cui l'amore di Dio implica obbligatoriamente il rispetto dei suoi comandamenti, anche nelle circostanze più gravi, e il rifiuto di tradirli, anche con l'intenzione di salvare la propria vita.


92 Nel martirio come affermazione dell'inviolabilità dell'ordine morale risplendono la santità della legge di Dio e insieme l'intangibilità della dignità personale dell'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio: è una dignità che non è mai permesso di svilire o di contrastare, sia pure con buone intenzioni, qualunque siano le difficoltà. Gesù ci ammonisce con la massima severità: "Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?" (Mc 8,36).

Il martirio sconfessa come illusorio e falso ogni "significato umano" che si pretendesse di attribuire, pur in condizioni "eccezionali", all'atto in se stesso moralmente cattivo; ancor più ne rivela apertamente il vero volto: quello di una violazione dell'"umanità" dell'uomo, prima ancora in chi lo compie che non in chi lo subisce. Il martirio è quindi anche esaltazione della perfetta "umanità" e della vera "vita" della persona, come testimonia sant'Ignazio di Antiochia rivolgendosi ai cristiani di Roma, luogo del suo martirio: "Abbiate compassione di me, fratelli: non impeditemi di vivere, non vogliate che io muoia... Lasciate che io raggiunga la pura luce; giunto là, saro veramente uomo. Lasciate che io imiti la passione del mio Dio".


93 Il martirio è infine un segno preclaro della santità della Chiesa: la fedeltà alla legge santa di Dio, testimoniata con la morte, è annuncio solenne e impegno missionario usque ad sanguinem perché lo splendore della verità morale non sia offuscato nel costume e nella mentalità delle persone e della società. Una simile testimonianza offre un contributo di straordinario valore perché, non solo nella società civile ma anche all'interno delle stesse comunità ecclesiali, non si precipiti nella crisi più pericolosa che può affliggere l'uomo: la confusione del bene e del male, che rende impossibile costruire e conservare l'ordine morale dei singoli e delle comunità. I martiri, e più ampiamente tutti i santi nella Chiesa, con l'esempio eloquente e affascinante di una vita totalmente trasfigurata dallo splendore della verità morale, illuminano ogni epoca della storia risvegliandone il senso morale. Dando piena testimonianza al bene, essi sono un vivente rimprovero a quanti trasgrediscono la legge (Cfr. Sg 2,12) e fanno risuonare con permanente attualità le parole del profeta: "Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l'amaro in dolce e il dolce in amaro" (Is 5,20).

Se il martirio rappresenta il vertice della testimonianza alla verità morale, a cui relativamente pochi possono essere chiamati, vi è nondimento una coerente testimonianza che tutti i cristiani devono esser pronti a dare ogni giorno anche a costo di sofferenze e di gravi sacrifici. Infatti di fronte alle molteplici difficoltà che anche nelle circostanze più ordinarie la fedeltà all'ordine morale può esigere, il cristiano è chiamato, con la grazia di Dio invocata nella preghiera, ad un impegno talvolta eroico, sostenuto dalla virtù della fortezza, mediante la quale - come insegna san Gregorio Magno - egli può perfino "amare le difficoltà di questo mondo in vista del premio eterno".


94 In questa testimonianza all'assolutezza del bene morale i cristiani non sono soli: essi trovano conferme nel senso morale dei popoli e nelle grandi tradizioni religiose e sapienziali dell'Occidente e dell'Oriente, non senza un'interiore e misteriosa azione dello Spirito di Dio. Valga per tutti l'espressione del poeta latino Giovenale: "Considera il più grande dei crimini preferire la sopravvivenza all'onore e, per amore della vita fisica, perdere le ragioni del vivere". La voce della coscienza ha sempre richiamato senza ambiguità che ci sono verità e valori morali per i quali si deve essere disposti anche a dare la vita. Nella parola e soprattutto nel sacrificio della vita per il valore morale la Chiesa riconosce la medesima testimonianza a quella verità che, già presente nella creazione, risplende pienamente sul volto di Cristo: "Sappiamo - scrive san Giustino - che i seguaci delle dottrine degli stoici sono stati odiati ed uccisi quando hanno dato prova di saggezza nel loro discorso morale ... a motivo del seme del Verbo insito in tutto il genere umano".


Le norme morali universali e immutabili al servizio della persona e della società

95 La dottrina della Chiesa e in particolare la sua fermezza nel difendere la validità universale e permanente dei precetti che proibiscono gli atti intrinsecamente cattivi è giudicata non poche volte come il segno di un'intransigenza intollerabile, soprattutto nelle situazioni enormemente complesse e conflittuali della vita morale dell'uomo e della società d'oggi: un'intransigenza che contrasterebbe col senso materno della Chiesa. Questa, si dice, manca di comprensione e di compassione. Ma, in realtà, la maternità della Chiesa non può mai essere separata dalla sua missione di insegnamento, che essa deve compiere sempre come Sposa fedele di Cristo, la Verità in persona: "Come Maestra, essa non si stanca di proclamare la norma morale... Di tale norma la Chiesa non è affatto né l'autrice né l'arbitra. In obbedienza alla verità, che è Cristo, la cui immagine si riflette nella natura e nella dignità della persona umana, la Chiesa interpreta la norma morale e la propone a tutti gli uomini di buona volontà, senza nasconderne le esigenze di radicalità e di perfezione".

In realtà, la vera comprensione e la genuina compassione devono significare amore alla persona, al suo vero bene, alla sua libertà autentica. E questo non avviene, certo, nascondendo o indebolendo la verità morale, bensi proponendola nel suo intimo significato di irradiazione della Sapienza eterna di Dio, giunta a noi in Cristo, e di servizio all'uomo, alla crescita della sua libertà e al perseguimento della sua felicità.

Nello stesso tempo la presentazione limpida e vigorosa della verità morale non può mai prescindere da un profondo e sincero rispetto, animato da amore paziente e fiducioso, di cui ha sempre bisogno l'uomo nel suo cammino morale, spesso reso faticoso da difficoltà, debolezze e situazioni dolorose. La Chiesa che non può mai rinunciare al "principio della verità e della coerenza, per cui non accetta di chiamare bene il male e male il bene", deve essere sempre attenta a non spezzare la canna incrinata e a non spegnere il lucignolo che fumiga ancora (Cfr.
Is 42,3). Paolo VI ha scritto: "Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime. Ma ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Signore stesso ha dato l'esempio nel trattare con gli uomini. Venuto non per giudicare ma per salvare (Cfr. Jn 3,17), Egli fu certo intransigente con il male, ma misericordioso verso le persone".


96 La fermezza della Chiesa, nel difendere le norme morali universali e immutabili, non ha nulla di mortificante. E' solo al servizio della vera libertà dell'uomo: dal momento che non c'è libertà al di fuori o contro la verità, la difesa categorica, ossia senza cedimenti e compromessi, delle esigenze assolutamente irrinunciabili della dignità personale dell'uomo, deve dirsi via e condizione per l'esistere stesso della libertà.

Questo servizio è rivolto a ogni uomo, considerato nell'unicità e nell'irripetibilità del suo essere ed esistere: solo nell'obbedienza alle norme morali universali l'uomo trova piena conferma della sua unicità di persona e possibilità di vera crescita morale. E, proprio per questo, tale servizio è rivolto a tutti gli uomini: non solo ai singoli, ma anche alla comunità, alla società come tale. Queste norme costituiscono, infatti, il fondamento incrollabile e la solida garanzia di una giusta e pacifica convivenza umana, e quindi di una vera democrazia, che può nascere e crescere solo sull'uguaglianza di tutti i suoi membri, accomunati nei diritti e doveri. Di fronte alle norme morali che proibiscono il male intrinseco non ci sono privilegi né eccezioni per nessuno.

Essere il padrone del mondo o l'ultimo "miserabile" sulla faccia della terra non fa alcuna differenza: davanti alle esigenze morali siamo tutti assolutamente uguali.



97 così le norme morali, e in primo luogo quelle negative che proibiscono il male, manifestano il loro significato e la loro forza insieme personale e sociale: proteggendo l'inviolabile dignità personale di ogni uomo, esse servono alla conservazione stessa del tessuto sociale umano e al suo retto e fecondo sviluppo.

In particolare, i comandamenti della seconda tavola del Decalogo, ricordati anche da Gesù al giovane del Vangelo (Cfr.
Mt 19,18), costituiscono le regole primordiali di ogni vita sociale.

Questi comandamenti sono formulati in termini generali. Ma, il fatto che "principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana", permette di precisarli e di esplicitarli in un codice di comportamento più dettagliato. In tal senso le regole morali fondamentali della vita sociale comportano delle esigenze determinate alle quali devono attenersi sia i poteri pubblici sia i cittadini. Al di là delle intenzioni, talvolta buone, e delle circostanze, spesso difficili, le autorità civili e i soggetti particolari non sono mai autorizzati a trasgredire i diritti fondamentali e inalienabili della persona umana. così, solo una morale che riconosce delle norme valide sempre e per tutti, senza alcuna eccezione, può garantire il fondamento etico della convivenza sociale, sia nazionale che internazionale.


La morale e il rinnovamento della vita sociale e politica

98 Di fronte alle gravi forme di ingiustizia sociale ed economica e di corruzione politica di cui sono investiti interi popoli e nazioni, cresce l'indignata reazione di moltissime persone calpestate e umiliate nei loro fondamentali diritti umani e si fa sempre più diffuso e acuto il bisogno di un radicale rinnovamento personale e sociale capace di assicurare giustizia, solidarietà, onestà, trasparenza.

Certamente lunga e faticosa è la strada da percorrere; numerosi e ingenti sono gli sforzi da compiere perché si possa attuare un simile rinnovamento, anche per la molteplicità e la gravità delle cause che generano e alimentano le situazioni di ingiustizia oggi presenti nel mondo. Ma, come la storia e l'esperienza di ciascuno insegnano, non è difficile ritrovare alla base di queste situazioni cause propriamente "culturali", collegate cioè con determinate visioni dell'uomo, della società e del mondo. In realtà, al cuore della questione culturale sta il senso morale, che a sua volta si fonda e si compie nel senso religioso.



99 Solo Dio, il Bene supremo, costituisce la base irremovibile e la condizione insostituibile della moralità, dunque dei comandamenti, in particolare di quelli negativi che proibiscono sempre e in ogni caso il comportamento e gli atti incompatibili con la dignità personale di ogni uomo. così il Bene supremo e il bene morale si incontrano nella verità: la verità di Dio Creatore e Redentore e la verità dell'uomo da Lui creato e redento. Solo su questa verità è possibile costruire una società rinnovata e risolvere i complessi e pesanti problemi che la scuotono, primo fra tutti quello di vincere le più diverse forme di totalitarismo per aprire la via all'autentica libertà della persona. "Il totalitarismo nasce dalla negazione della verità in senso oggettivo: se non esiste una verità trascendente, obbedendo alla quale l'uomo acquista la sua piena identità, allora non esiste nessun principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini.

Il loro interesse di classe, di gruppo, di Nazione li oppone inevitabilmente gli uni agli altri. Se non si riconosce la verità trascendente, allora trionfa la forza del potere, e ciascuno tende a realizzare fino in fondo i mezzi di cui dispone per imporre il proprio interesse o la propria opinione, senza riguardo ai diritti dell'altro... La radice del moderno totalitarismo, dunque, è da individuare nella negazione della trascendente dignità della persona umana, immagine visibile del Dio invisibile e, proprio per questo, per sua natura stessa, soggetto di diritti che nessuno può violare: né l'individuo, né il gruppo, né la classe, né la Nazione o lo Stato. Non può farlo nemmeno la maggioranza di un corpo sociale, ponendosi contro la minoranza, emarginandola, opprimendola, sfruttandola o tentando di annientarla".

Per questo la connessione inscindibile tra verità e libertà - che esprime il vincolo essenziale tra la sapienza e la volontà di Dio - possiede un significato d'estrema importanza per la vita delle persone nell'ambito socio-economico e socio-politico, come emerge dalla dottrina sociale della Chiesa - la quale "appartiene... al campo della teologia e, specialmente, della teologia morale", - e dalla sua presentazione di comandamenti che regolano, in riferimento non solo ad atteggiamenti generali ma anche a precisi e determinati comportamenti e atti concreti, la vita sociale, economica e politica.



100 Così il Catechismo della Chiesa Cattolica, dopo aver affermato che "in materia economica, il rispetto della dignità umana esige la pratica della virtù della temperanza, per moderare l'attaccamento ai beni di questo mondo; della virtù della giustizia, per rispettare i diritti del prossimo e dargli ciò che gli è dovuto; e della solidarietà, seguendo la regola aurea e secondo la liberalità del Signore, il quale "da ricco che era, si è fatto povero" per noi, perché noi diventassimo "ricchi per mezzo della sua povertà" (2Co 8,9)", presenta una serie di comportamenti e di atti che contrastano la dignità umana: il furto, il tenere deliberatamente cose avute in prestito o oggetti smarriti, la frode nel commercio (Cfr. Dt 25,13-16), i salari ingiusti (Cfr. Dt 24,14-15 Jc 5,4), il rialzo dei prezzi speculando sull'ignoranza e sul bisogno altrui (Cfr. Am 8,4-6), l'appropriazione e l'uso privato dei beni sociali di un'impresa, i lavori eseguiti male, la frode fiscale, la contraffazione di assegni e di fatture, le spese eccessive, lo sperpero, ecc. Ed ancora: "Il settimo comandamento proibisce gli atti o le iniziative che, per qualsiasi ragione, egoistica o ideologica, mercantile o totalitaria, portano all'asservimento di esseri umani, a misconoscere la loro dignità personale, ad acquistarli, a venderli e a scambiarli come fossero merci. Ridurre le persone, con la violenza, ad un valore d'uso oppure ad una fonte di guadagno, è un peccato contro la loro dignità e i loro diritti fondamentali.

San Paolo ordinava ad un padrone cristiano di trattare il suo schiavo cristiano "non più come uno schiavo, ma... come un fratello... come uomo..., nel Signore" (Phm 1,16)".


101 Nell'ambito politico si deve rilevare che la veridicità nei rapporti tra governanti e governati, la trasparenza nella pubblica amministrazione, l'imparzialità nel servizio della cosa pubblica, il rispetto dei diritti degli avversari politici, la tutela dei diritti degli accusati contro processi e condanne sommarie, l'uso giusto e onesto del pubblico denaro, il rifiuto di mezzi equivoci o illeciti per conquistare, mantenere e aumentare ad ogni costo il potere, sono principi che trovano la loro radice prima - come pure la loro singolare urgenza - nel valore trascendente della persona e nelle esigenze morali oggettive di funzionamento degli Stati. Quando essi non vengono osservati, viene meno il fondamento stesso della convivenza politica e tutta la vita sociale ne risulta progressivamente compromessa, minacciata e votata alla sua dissoluzione (Cfr. Ps 13[14], 3-4; Ap 18,2-3 Ap 18,9-24). Dopo la caduta, in molti Paesi, delle ideologie che legavano la politica ad una concezione totalitaria del mondo - e prima fra esse il marxismo -, si profila oggi un rischio non meno grave per la negazione dei fondamentali diritti della persona umana e per il riassorbimento nella politica della stessa domanda religiosa che abita nel cuore di ogni essere umano: è il rischio dell'alleanza fra democrazia e relativismo etico, che toglie alla convivenza civile ogni sicuro punto di riferimento morale e la priva, più radicalmente, del riconoscimento della verità. Infatti, "se non esiste nessuna verità ultima la quale guida e orienta l'azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia".

Così in ogni campo della vita personale, familiare, sociale e politica, la morale - che si fonda sulla verità e che nella verità si apre all'autentica libertà - rende un servizio originale, insostituibile e di enorme valore non solo per la singola persona e per la sua crescita nel bene, ma anche per la società e per il suo vero sviluppo.


Grazia e obbedienza alla legge di Dio

102 Anche nelle situazioni più difficili l'uomo deve osservare la norma morale per essere obbediente al santo comandamento di Dio e coerente con la propria dignità personale. Certamente l'armonia tra libertà e verità domanda, alcune volte, sacrifici non comuni e va conquistata ad alto prezzo: può comportare anche il martirio. Ma, come l'esperienza universale e quotidiana mostra, l'uomo è tentato di rompere tale armonia: "Non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto... Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio" (Rm 7,15 Rm 7,19).

Donde deriva, ultimamente, questa scissione interiore dell'uomo? Egli incomincia la sua storia di peccato quando non riconosce più il Signore come suo Creatore, e vuole essere lui stesso a decidere, in totale indipendenza, ciò che è bene e ciò che è male. "Voi diventerete come Dio, conoscendo il bene e il male" (Gn 3,5): questa è la prima tentazione, a cui fanno eco tutte le altre tentazioni, alle quali l'uomo è più facilmente inclinato a cedere per le ferite della caduta originale.

Ma le tentazioni si possono vincere, i peccati si possono evitare, perché con i comandamenti il Signore ci dona la possibilità di osservarli: "I suoi occhi su coloro che lo temono, egli conosce ogni azione degli uomini. Egli non ha comandato a nessuno di essere empio e non ha dato a nessuno il permesso di peccare" (Si 15,19-20). L'osservanza della legge di Dio, in determinate situazioni, può essere difficile, difficilissima: non è mai pero impossibile. E' questo un insegnamento costante della tradizione della Chiesa, così espresso dal Concilio di Trento: "Nessuno poi, benché giustificato, deve ritenersi libero dall'osservanza dei comandamenti; nessuno deve far propria quell'espressione temeraria e condannata con la scomunica dei Padri, secondo la quale è impossibile all'uomo giustificato osservare i comandamenti di Dio. Dio infatti non comanda ciò che è impossibile, ma nel comandare ti esorta a fare tutto quello che puoi, a chiedere ciò che non puoi e ti aiuta perché tu possa; infatti "i comandamenti di Dio non sono gravosi" (Cfr. 1Jn 5,3) e "il suo giogo è soave e il suo peso è leggero" (Cfr. Mt 11,30)".


103 All'uomo è sempre aperto lo spazio spirituale della speranza, con l'aiuto della grazia divina e con la collaborazione della libertà umana.

E' nella Croce salvifica di Gesù, nel dono dello Spirito Santo, nei Sacramenti che scaturiscono dal costato trafitto del Redentore (Cfr.
Jn 19,34), che il credente trova la grazia e la forza per osservare sempre la legge santa di Dio, anche in mezzo alle difficoltà più gravi. Come dice sant'Andrea di Creta, la legge stessa "fu vivificata dalla grazia e fu posta al suo servizio in una composizione armonica e feconda. Ognuna delle due conservo le sue caratteristiche senza alterazioni e confusioni. Tuttavia la legge, che prima costituiva un onere gravoso e una tirannia, divento per opera di Dio peso leggero e fonte di libertà".

Solo nel mistero della Redenzione di Cristo stanno le "concrete" possibilità dell'uomo. "Sarebbe un errore gravissimo concludere... che la norma insegnata dalla Chiesa è in se stessa solo un "ideale" che deve poi essere adattato, proporzionato, graduato alle, si dice, concrete possibilità dell'uomo: secondo un "bilanciamento dei vari beni in questione". Ma quali sono le "concrete possibilità dell'uomo"? E di quale uomo si parla? Dell'uomo dominato dalla concupiscenza o dell'uomo redento da Cristo? Poiché è di questo che si tratta: della realtà della redenzione di Cristo. Cristo ci ha redenti! Ciò significa: Egli ci ha donato la possibilità di realizzare l'intera verità del nostro essere; Egli ha liberato la nostra libertà dal dominio della concupiscenza. E se l'uomo redento ancora pecca, ciò non è dovuto all'imperfezione dell'atto redentore di Cristo, ma alla volontà dell'uomo di sottrarsi alla grazia che sgorga da quell'atto. Il comandamento di Dio è certamente proporzionato alle capacità dell'uomo: ma alle capacità dell'uomo a cui è donato lo Spirito Santo; dell'uomo che, se caduto nel peccato, può sempre ottenere il perdono e godere della presenza dello Spirito".


Veritatis splendor 87