Veritatis splendor 104


104 In questo contesto si apre il giusto spazio alla misericordia di Dio per il peccato dell'uomo che si converte e alla comprensione per l'umana debolezza.

Questa comprensione non significa mai compromettere e falsificare la misura del bene e del male per adattarla alle circostanze. Mentre è umano che l'uomo, avendo peccato, riconosca la sua debolezza e chieda misericordia per la propria colpa, è invece inaccettabile l'atteggiamento di chi fa della propria debolezza il criterio della verità sul bene, in modo da potersi sentire giustificato da solo, anche senza bisogno di ricorrere a Dio e alla sua misericordia. Un simile atteggiamento corrompe la moralità dell'intera società, perché insegna a dubitare dell'oggettività della legge morale in generale e a rifiutare l'assolutezza dei divieti morali circa determinati atti umani, e finisce con il confondere tutti i giudizi di valore.

Dobbiamo, invece, raccogliere il messaggio che ci viene dalla parabola evangelica del fariseo e del pubblicano (Cfr.
Lc 18,9-14). Il pubblicano poteva forse avere qualche giustificazione per i peccati commessi, tale da diminuire la sua responsabilità. Non è pero su queste giustificazioni che si sofferma la sua preghiera, ma sulla propria indegnità davanti all'infinita santità di Dio: "O Dio, abbi pietà di me peccatore" (Lc 18,13). Il fariseo, invece, si è giustificato da solo, trovando forse per ognuna delle sue mancanze una scusa. Siamo così messi a confronto con due diversi atteggiamenti della coscienza morale dell'uomo di tutti i tempi. Il pubblicano ci presenta una coscienza "penitente", che è pienamente consapevole della fragilità della propria natura e che vede nelle proprie mancanze, quali che ne siano le giustificazioni soggettive, una conferma del proprio essere bisognoso di redenzione. Il fariseo ci presenta una coscienza "soddisfatta di se stessa", che si illude di poter osservare la legge senza l'aiuto della grazia ed è convinta di non aver bisogno della misericordia.


105 A tutti è chiesta grande vigilanza per non lasciarsi contagiare dall'atteggiamento farisaico, che pretende di eliminare la coscienza del proprio limite e del proprio peccato, e che oggi si esprime in particolare nel tentativo di adattare la norma morale alle proprie capacità e ai propri interessi e persino nel rifiuto del concetto stesso di norma. Al contrario, accettare la "sproporzione" tra la legge e la capacità umana, ossia la capacità delle sole forze morali dell'uomo lasciato a se stesso, accende il desiderio della grazia e predispone a riceverla. "Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?", si domanda l'apostolo Paolo. E con una confessione gioiosa e riconoscente risponde: "Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!" (Rm 7,24-25).

La stessa coscienza troviamo in questa preghiera di sant'Ambrogio di Milano: "Che cos'è, infatti, l'uomo se tu non lo visiti? Non dimenticare pertanto il debole. Ricordati, o Signore, che mi hai fatto debole, che mi hai plasmato di polvere. Come potro stare ritto, se tu non ti volgi continuamente per rendere salda questa argilla, di modo che la mia solidità promani dal tuo volto? "Appena nascondi il viso, tutte le cose vengono meno" (Ps 103[104],29): se ti volgi, guai a me! Non hai da guardare in me nient'altro che contagi di delitti: non è utile né essere abbandonati, né esser visti perché, mentre siam visti, provochiamo disgusto. Possiamo tuttavia pensare che non respinge quelli che vede, perché purifica quelli che guarda. Lo divora un fuoco, capace di bruciare la colpa (Cfr. Jl 2,3)".


Morale e nuova evangelizzazione

106 L'evangelizzazione è la sfida più forte ed esaltante che la Chiesa è chiamata ad affrontare sin dalla sua origine. In realtà, a porre questa sfida non sono tanto le situazioni sociali e culturali che essa incontra lungo la storia, quanto il mandato di Gesù Cristo risorto, che definisce la ragione stessa dell'esistenza della Chiesa: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15).

Il momento pero che stiamo vivendo, almeno presso numerose popolazioni, è piuttosto quello di una formidabile provocazione alla "nuova evangelizzazione", ossia all'annuncio del Vangelo sempre nuovo e sempre portatore di novità, una evangelizzazione che dev'essere "nuova nel suo ardore, nei suoi metodi e nella sua espressione". La scristianizzazione, che pesa su interi popoli e comunità un tempo già ricchi di fede e di vita cristiana, comporta non solo la perdita della fede o comunque la sua insignificanza per la vita, ma anche, e necessariamente, un declino o un oscuramento del senso morale: e questo sia per il dissolversi della consapevolezza dell'originalità della morale evangelica, sia per l'eclissi degli stessi principi e valori etici fondamentali. Le tendenze soggettiviste, relativiste e utilitariste, oggi ampiamente diffuse, si presentano non semplicemente come posizioni pragmatiche, come dati di costume, ma come concezioni consolidate dal punto di vista teoretico che rivendicano una loro piena legittimità culturale e sociale.


107 L'evangelizzazione - e pertanto la "nuova evangelizzazione" - comporta anche l'annuncio e la proposta morale. Gesù stesso, proprio predicando il Regno di Dio e il suo amore salvifico, ha rivolto l'appello alla fede e alla conversione (Cfr. Mc 1,15). E Pietro, con gli altri Apostoli, annunciando la risurrezione di Gesù di Nazaret dai morti, propone una vita nuova da vivere, una "via" da seguire per essere discepoli del Risorto (Cfr. Ac 2,37-41 Ac 3,17-20).

Come e ancor più che per le verità di fede, la nuova evangelizzazione che propone i fondamenti e i contenuti della morale cristiana manifesta la sua autenticità, e nello stesso tempo sprigiona tutta la sua forza missionaria, quando si compie attraverso il dono non solo della parola annunciata, ma anche di quella vissuta. In particolare è la vita di santità, che risplende in tanti membri del Popolo di Dio, umili e spesso nascosti agli occhi degli uomini, a costituire la via più semplice e affascinante sulla quale è dato di percepire immediatamente la bellezza della verità, la forza liberante dell'amore di Dio, il valore della fedeltà incondizionata a tutte le esigenze della legge del Signore, anche nelle circostanze più difficili. Per questo la Chiesa, nella sua sapiente pedagogia morale, ha sempre invitato i credenti a cercare e a trovare nei santi e nelle sante, e in primo luogo nella Vergine Madre di Dio "piena di grazia" e "tutta santa", il modello, la forza e la gioia per vivere una vita secondo i comandamenti di Dio e le Beatitudini del Vangelo.

La vita dei santi, riflesso della bontà di Dio - di Colui che "solo è buono" -, costituisce non solo una vera confessione di fede e un impulso alla sua comunicazione agli altri, ma anche una glorificazione di Dio e della sua infinita santità. La vita santa porta così a pienezza di espressione e di attuazione il triplice e unitario munus propheticum, sacerdotale et regale che ogni cristiano riceve in dono nella rinascita battesimale "da acqua e da Spirito" (Jn 3,5). La sua vita morale possiede il valore di un "culto spirituale" (Rm 12,1 Cfr. Ph 3,3), attinto e alimentato da quella inesauribile sorgente di santità e di glorificazione di Dio che sono i Sacramenti, in specie l'Eucaristia: infatti, partecipando al sacrificio della Croce, il cristiano comunica con l'amore di donazione di Cristo ed è abilitato e impegnato a vivere questa stessa carità in tutti i suoi atteggiamenti e comportamenti di vita. Nell'esistenza morale si rivela e si attua anche il servizio regale del cristiano: quanto più, con l'aiuto della grazia, egli obbedisce alla legge nuova dello Spirito Santo, tanto più cresce nella libertà alla quale è chiamato mediante il servizio della verità, della carità e della giustizia.


108 Alla radice della nuova evangelizzazione e della vita morale nuova, che essa propone e suscita nei suoi frutti di santità e di missionarietà, sta lo Spirito di Cristo, principio e forza della fecondità della santa Madre Chiesa, come ci ricorda Paolo VI: "L'evangelizzazione non sarà mai possibile senza l'azione dello Spirito Santo". Allo Spirito di Gesù, accolto dal cuore umile e docile del credente, si devono dunque il fiorire della vita morale cristiana e la testimonianza della santità nella grande varietà delle vocazioni, dei doni, delle responsabilità e delle condizioni e situazioni di vita: è lo Spirito Santo - rilevava già Novaziano, in questo esprimendo l'autentica fede della Chiesa - "Colui che ha dato fermezza agli animi ed alle menti dei discepoli, che ha dischiuso i misteri evangelici, che ha illuminato in loro le cose divine; da Lui rinvigoriti, essi non ebbero timore né delle carceri né delle catene per il nome del Signore; anzi calpestarono gli stessi poteri e i tormenti del mondo, armati ormai e rafforzati per mezzo suo, avendo in sé i doni che questo stesso Spirito elargisce ed invia come gioielli alla Chiesa sposa di Cristo. E' Lui, infatti, che nella Chiesa suscita i profeti, istruisce i maestri, guida le lingue, compie prodigi e guarigioni, produce opere mirabili, concede il discernimento degli spiriti, assegna i compiti di governo, suggerisce i consigli, ripartisce ed armonizza ogni altro dono carismatico, e perciò rende dappertutto ed in tutto compiutamente perfetta la Chiesa del Signore".

Nel contesto vivo di questa nuova evangelizzazione, destinata a generare e a nutrire "la fede che opera per mezzo della carità" (
Ga 5,6) e in rapporto all'opera dello Spirito Santo possiamo ora comprendere il posto che nella Chiesa, comunità dei credenti, spetta alla riflessione che la teologia deve sviluppare sulla vita morale, così come possiamo presentare la missione e la responsabilità propria dei teologi moralisti.


Il servizio dei teologi moralisti

109 Chiamata all'evangelizzazione e alla testimonianza di una vita di fede è tutta la Chiesa, resa partecipe del munus propheticum del Signore Gesù mediante il dono del suo Spirito. Grazie alla presenza permanente in essa dello Spirito di verità (Cfr. Jn 14,16-17) "la totalità dei fedeli che hanno ricevuto l'unzione dello Spirito Santo (Cfr. 1Jn 2,20 1Jn 2,27) non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà peculiare mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando "dai Vescovi fino agli ultimi fedeli laici" esprime l'universale suo consenso in materia di fede e di costumi".

Per compiere la sua missione profetica, la Chiesa deve continuamente risvegliare o "ravvivare" la propria vita di fede (Cfr. 2Tm 1,6), in particolare mediante una riflessione sempre più approfondita, sotto la guida dello Spirito Santo, sul contenuto della fede stessa. E' al servizio di questa "ricerca credente dell'intelligenza della fede" che si pone, in modo specifico, la "vocazione" del teologo nella Chiesa: "Fra le vocazioni suscitate dallo Spirito nella Chiesa - leggiamo nell'Istruzione Donum veritatis - si distingue quella del teologo, che in modo particolare ha la funzione di acquisire, in comunione con il Magistero, un'intelligenza sempre più profonda della Parola di Dio contenuta nella Scrittura ispirata e trasmessa dalla Tradizione viva della Chiesa. Di sua natura la fede fa appello all'intelligenza, perché svela all'uomo la verità sul suo destino e la via per raggiungerlo. Anche se la verità rivelata è superiore ad ogni nostro dire ed i nostri concetti sono imperfetti di fronte alla sua grandezza ultimamente insondabile (Cfr. Ep 3,19), essa invita tuttavia la ragione - dono di Dio fatto per cogliere la verità - ad entrare nella sua luce, diventando così capace di comprendere in una certa misura quanto ha creduto. La scienza teologica, che, rispondendo all'invito della voce della verità, cerca l'intelligenza della fede, aiuta il Popolo di Dio, secondo il comandamento dell'Apostolo (Cfr. 1P 3,15), a rendere conto della sua speranza a coloro che lo richiedono".

E' fondamentale per definire l'identità stessa e, di conseguenza, per attuare la missione propria della teologia riconoscerne l'intimo e vivo nesso con la Chiesa, il suo mistero, la sua vita e missione: "La teologia è scienza ecclesiale, perché cresce nella Chiesa e agisce sulla Chiesa... Essa è a servizio della Chiesa e deve quindi sentirsi dinamicamente inserita nella missione della Chiesa, particolarmente nella sua missione profetica". Per sua natura e dinamismo la teologia autentica può fiorire e svilupparsi solo mediante una convinta e responsabile partecipazione e "appartenenza" alla Chiesa quale "comunità di fede", così come a questa stessa Chiesa e alla sua vita di fede torna il frutto della ricerca e dell'approfondimento teologico.


110 Quanto si è detto circa la teologia in genere può e dev'essere riproposto per la teologia morale, colta nella sua specificità di riflessione scientifica sul Vangelo come dono e comandamento di vita nuova, sulla vita "secondo la verità nella carità" (Ep 4,15), sulla vita di santità della Chiesa, nella quale risplende la verità del bene portato sino alla sua perfezione. Non solo nell'ambito della fede, ma anche e in modo indivisibile nell'ambito della morale, interviene il Magistero della Chiesa, il cui compito è "di discernere, mediante giudizi normativi per la coscienza dei fedeli, gli atti che sono in se stessi conformi alle esigenze della fede e ne promuovono l'espressione nella vita, e quelli che al contrario, per la loro malizia intrinseca, sono incompatibili con queste esigenze". Predicando i comandamenti di Dio e la carità di Cristo, il Magistero della Chiesa insegna ai fedeli anche i precetti particolari e determinati e chiede loro di considerarli in coscienza come moralmente obbligatori. Svolge, inoltre, un importante compito di vigilanza, avvertendo i fedeli della presenza di eventuali errori, anche solo impliciti, quando la loro coscienza non giunge a riconoscere la giustezza e la verità delle regole morali che il Magistero insegna.

S'inserisce qui il compito specifico di quanti per mandato dei legittimi Pastori insegnano teologia morale nei Seminari e nelle Facoltà Teologiche. Essi hanno il grave dovere di istruire i fedeli - specialmente i futuri Pastori - su tutti i comandamenti e le norme pratiche che la Chiesa dichiara con autorità.

Nonostante gli eventuali limiti delle argomentazioni umane presentate dal Magistero, i teologi moralisti sono chiamati ad approfondire le ragioni dei suoi insegnamenti, ad illustrare la fondatezza dei suoi precetti e la loro obbligatorietà, mostrandone la mutua connessione e il rapporto con il fine ultimo dell'uomo. Spetta ai teologi moralisti esporre la dottrina della Chiesa e dare, nell'esercizio del loro ministero, l'esempio di un assenso leale, interno ed esterno, all'insegnamento del Magistero sia nel campo del dogma che in quello della morale. Unendo le loro forze per collaborare col Magistero gerarchico, i teologi avranno a cuore di mettere sempre meglio in luce i fondamenti biblici, le significazioni etiche e le motivazioni antropologiche che sostengono la dottrina morale e la visione dell'uomo proposte dalla Chiesa.


111 Il servizio che nell'ora attuale i teologi moralisti sono chiamati a dare è di primaria importanza, non solo per la vita e la missione della Chiesa, ma anche per la società e la cultura umana. Tocca a loro, in intima e vitale connessione con la teologia biblica e dogmatica, sottolineare nella riflessione scientifica "l'aspetto dinamico che fa risaltare la risposta, che l'uomo deve dare all'appello divino nel processo della sua crescita nell'amore, nell'ambito di una comunità salvifica. In tal modo la teologia morale acquisterà una dimensione spirituale interna, rispondendo alle esigenze di sviluppo pieno della imago Dei, che è nell'uomo, e alle leggi del processo spirituale descritto nell'ascetica e mistica cristiane".

Certamente oggi la teologia morale e il suo insegnamento si trovano di fronte a una particolare difficoltà. Poiché la morale della Chiesa implica necessariamente una dimensione normativa, la teologia morale non può ridursi a un sapere elaborato solo nel contesto delle cosiddette scienze umane. Mentre queste si occupano del fenomeno della moralità come fatto storico e sociale, la teologia morale, che pur deve servirsi delle scienze dell'uomo e della natura, non è pero subordinata ai risultati dell'osservazione empirico-formale o della comprensione fenomenologica. In realtà, la pertinenza delle scienze umane in teologia morale è sempre da commisurare alla domanda originaria: Che cosa è il bene o il male? Che cosa fare per ottenere la vita eterna?



112 Il teologo moralista deve pertanto esercitare un accurato discernimento nel contesto dell'odierna cultura prevalentemente scientifica e tecnica, esposta ai pericoli del relativismo, del pragmatismo e del positivismo. Dal punto di vista teologico, i principi morali non sono dipendenti dal momento storico nel quale sono scoperti. Il fatto poi che taluni credenti agiscano senza seguire gli insegnamenti del Magistero o considerino a torto come moralmente giusta una condotta dichiarata dai loro Pastori come contraria alla legge di Dio, non può costituire argomento valido per rifiutare la verità delle norme morali insegnate dalla Chiesa. L'affermazione dei principi morali non è di competenza dei metodi empirico-formali. Senza negare la validità di tali metodi, ma anche senza restringere ad essi la sua prospettiva, la teologia morale, fedele al senso soprannaturale della fede, prende in considerazione soprattutto la dimensione spirituale del cuore umano e la sua vocazione all'amore divino.

Infatti, mentre le scienze umane, come tutte le scienze sperimentali, sviluppano un concetto empirico e statistico di "normalità", la fede insegna che una simile normalità porta in sé le tracce di una caduta dell'uomo dalla sua situazione originaria, ossia è intaccata dal peccato. Solo la fede cristiana indica all'uomo la via del ritorno al "principio" (Cfr.
Mt 19,8), una via che spesso è ben diversa da quella della normalità empirica. In tal senso le scienze umane, nonostante il grande valore delle conoscenze che offrono, non possono essere assunte come indicatori decisivi delle norme morali. E' il Vangelo che svela la verità integrale sull'uomo e sul suo cammino morale, e così illumina e ammonisce i peccatori annunciando loro la misericordia di Dio, il quale incessantemente opera per preservarli tanto dalla disperazione di non poter conoscere ed osservare la legge divina quanto dalla presunzione di potersi salvare senza merito. Egli inoltre ricorda loro la gioia del perdono, che solo concede la forza di riconoscere nella legge morale una verità liberatrice, una grazia di speranza, un cammino di vita.


113 L'insegnamento della dottrina morale implica l'assunzione consapevole di queste responsabilità intellettuali, spirituali e pastorali. perciò, i teologi moralisti, che accettano l'incarico di insegnare la dottrina della Chiesa, hanno il grave dovere di educare i fedeli a questo discernimento morale, all'impegno per il vero bene e al ricorso fiducioso alla grazia divina.

Se gli incontri e i conflitti di opinione possono costituire espressioni normali della vita pubblica nel contesto di una democrazia rappresentativa, la dottrina morale non può certo dipendere dal semplice rispetto di una procedura; essa infatti non viene minimamente stabilita seguendo le regole e le forme di una deliberazione di tipo democratico. Il dissenso, fatto di calcolate contestazioni e di polemiche attraverso i mezzi della comunicazione sociale, è contrario alla comunione ecclesiale e alla retta comprensione della costituzione gerarchica del Popolo di Dio. Nell'opposizione all'insegnamento dei Pastori non si può riconoscere una legittima espressione né della libertà cristiana né delle diversità dei doni dello Spirito. In questo caso, i Pastori hanno il dovere di agire in conformità con la loro missione apostolica, esigendo che sia sempre rispettato il diritto dei fedeli a ricevere la dottrina cattolica nella sua purezza e integrità: "Il teologo, non dimenticando mai di essere anch'egli membro del Popolo di Dio, deve nutrire rispetto nei suoi confronti e impegnarsi nel dispensargli un insegnamento che non leda in alcun modo la dottrina della fede".


Le nostre responsabilità di Pastori

114 La responsabilità verso la fede e la vita di fede del Popolo di Dio grava in una forma peculiare e propria sui Pastori, come ci ricorda il Concilio Vaticano II: "Tra le funzioni principali dei Vescovi eccelle la predicazione del Vangelo. I Vescovi, infatti, sono gli araldi della fede, che portano a Cristo nuovi discepoli, sono i Dottori autentici, cioè rivestiti dell'autorità di Cristo, che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella pratica della vita, che illustrano questa fede alla luce dello Spirito Santo, traendo fuori dal tesoro della Rivelazione cose nuove e vecchie (Cfr. Mt 13,52), la fanno fruttificare e vegliano per tener lontano dal loro gregge gli errori che lo minacciano (Cfr. 2Tm 4,1-4)".

E' nostro comune dovere, e prima ancora nostra comune grazia, insegnare ai fedeli come Pastori e Vescovi della Chiesa, ciò che li conduce sulla via di Dio, così come fece un giorno il Signore Gesù con il giovane del Vangelo.

Rispondendo alla sua domanda: "Che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?", Gesù ha rimandato a Dio, Signore della creazione e dell'Alleanza; ha ricordato i comandamenti morali, già rivelati nell'Antico Testamento; ne ha indicato lo spirito e la radicalità invitando alla sua sequela nella povertà, nell'umiltà e nell'amore: "Vieni e seguimi!". La verità di questa dottrina ha avuto il suo sigillo sulla Croce nel sangue di Cristo: essa è divenuta, nello Spirito Santo, la legge nuova della Chiesa e di ogni cristiano.

Questa "risposta" alla domanda morale è affidata da Gesù Cristo in un modo particolare a noi Pastori della Chiesa, chiamati a renderla oggetto del nostro insegnamento, nell'adempimento dunque del nostro munus propheticum. Nello stesso tempo la nostra responsabilità di Pastori, nei riguardi della dottrina morale cristiana, deve attuarsi anche nella forma del munus sacerdotale: ciò avviene quando dispensiamo ai fedeli i doni di grazia e di santificazione come risorsa per obbedire alla legge santa di Dio, e quando con la nostra costante e fiduciosa preghiera sosteniamo i credenti perché siano fedeli alle esigenze della fede e vivano secondo il Vangelo (Cfr. Col 1,9-12). La dottrina morale cristiana deve costituire, oggi soprattutto, uno degli ambiti privilegiati della nostra vigilanza pastorale, dell'esercizio del nostro munus regale.


115 E' la prima volta, infatti, che il Magistero della Chiesa espone con una certa ampiezza gli elementi fondamentali di tale dottrina, e presenta le ragioni del discernimento pastorale neces- sario in situazioni pratiche e culturali complesse e talvolta critiche.

Alla luce della Rivelazione e dell'insegnamento costante della Chiesa e specialmente del Concilio Vaticano II, ho brevemente richiamato i tratti essenziali della libertà, i valori fondamentali connessi con la dignità della persona e con la verità dei suoi atti, così da poter riconoscere, nell'obbedienza alla legge morale, una grazia e un segno della nostra adozione nel Figlio unico (Cfr.
Ep 1,4-6). In particolare, con questa Enciclica, vengono proposte valutazioni su alcune tendenze attuali nella teologia morale. Le comunico ora, in obbedienza alla parola del Signore che a Pietro ha affidato l'incarico di confermare i suoi fratelli (Cfr. Lc 22,32), per illuminare e aiutare il nostro comune discernimento.

Ciascuno di noi conosce l'importanza della dottrina che rappresenta il nucleo dell'insegnamento di questa Enciclica e che oggi viene richiamata con l'autorità del successore di Pietro. Ciascuno di noi può avvertire la gravità di quanto è in causa, non solo per le singole persone ma anche per l'intera società, con la riaffermazione dell'universalità e della immutabilità dei comandamenti morali, e in particolare di quelli che proibiscono sempre e senza eccezioni gli atti intrinsecamente cattivi.

Nel riconoscere tali comandamenti il cuore cristiano e la nostra carità pastorale ascoltano l'appello di Colui che "ci ha amati per primo" (1Jn 4,19). Dio ci chiede di essere santi come egli è santo (Cfr. Lv 19,2), di essere - in Cristo - perfetti come egli è perfetto (Cfr. Mt 5,48): l'esigente fermezza del comandamento si fonda sull'inesauribile amore misericordioso di Dio (Cfr. Lc 6,36), e il fine del comandamento è di condurci, con la grazia di Cristo, sulla via della pienezza della vita propria dei figli di Dio.


116 Abbiamo il dovere, come Vescovi, di vigilare perché la Parola di Dio sia fedelmente insegnata. Miei Confratelli nell'Episcopato, fa parte del nostro ministero pastorale vegliare sulla trasmissione fedele di questo insegnamento morale e ricorrere alle misure opportune perché i fedeli siano custoditi da ogni dottrina e teoria ad esso contraria. In questo compito siamo tutti aiutati dai teologi; tuttavia, le opinioni teologiche non costituiscono né la regola né la norma del nostro insegnamento. La sua autorità deriva, con l'assistenza dello Spirito Santo e nella comunione cum Petro et sub Petro, dalla nostra fedeltà alla fede cattolica ricevuta dagli Apostoli. Come Vescovi, abbiamo l'obbligo grave di vigilare personalmente perché la "sana dottrina" (1Tm 1,10) della fede e della morale sia insegnata nelle nostre diocesi.

Una particolare responsabilità si impone ai Vescovi per quanto riguarda le istituzioni cattoliche. Si tratti di organismi per la pastorale familiare o sociale, oppure di istituzioni dedicate all'insegnamento o alle cure sanitarie, i Vescovi possono erigere e riconoscere queste strutture e delegare loro alcune responsabilità; tuttavia non sono mai esonerati dai loro propri obblighi. Spetta a loro, in comunione con la Santa Sede, il compito di riconoscere, o di ritirare in casi di grave incoerenza, l'appellativo di "cattolico" a scuole, università, cliniche e servizi socio-sanitari, che si richiamano alla Chiesa.


117 Nel cuore del cristiano, nel nucleo più segreto del- l'uomo, risuona sempre la domanda che un giorno il giovane del Vangelo rivolse a Gesù: "Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?" (Mt 19,16). Occorre pero che ciascuno la rivolga al Maestro "buono", perché è l'unico che possa rispondere nella pienezza della verità, in ogni situazione, nelle più diverse circostanze. E quando i cristiani gli rivolgono la domanda che sale dalla loro coscienza, il Signore risponde con le parole dell'Alleanza Nuova affidate alla sua Chiesa. Ora, come dice di sé l'Apostolo, noi siamo mandati "a predicare il vangelo; non pero con un discorso sapiente, perché non sia resa vana la croce di Cristo" (1Co 1,17). Per questo la risposta della Chiesa alla domanda dell'uomo ha la saggezza e la potenza di Cristo crocifisso, la Verità che si dona.

Quando gli uomini pongono alla Chiesa le domande della loro coscienza, quando nella Chiesa i fedeli si rivolgono ai Vescovi e ai Pastori, nella risposta della Chiesa c'è la voce di Gesù Cristo, la voce della verità circa il bene e il male. Nella parola pronunciata dalla Chiesa risuona, nell'intimo delle persone, la voce di Dio, che "solo è buono" (Mt 19,17), che solo "è amore" (1Jn 4,8 1Jn 4,16).

Nell'unzione dello Spirito questa parola dolce ed esigente si fa luce e vita per l'uomo. E' ancora l'apostolo Paolo ad invitarci alla fiducia, perché "la nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi ministri adatti di una Nuova Alleanza, non della lettera ma dello Spirito... Il Signore è lo Spirito e dove c'è lo Spirito del Signore c'è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore" (2Co 3,5-6 2Co 3,17-18).



CONCLUSIONE

Maria Madre di misericordia

118 Affidiamo, al termine di queste considerazioni, noi stessi, le sofferenze e le gioie della nostra esistenza, la vita morale dei credenti e degli uomini di buona volontà, le ricerche degli studiosi di morale a Maria, Madre di Dio e Madre di misericordia.

Maria è Madre di misericordia perché Gesù Cristo, suo Figlio, è mandato dal Padre come Rivelazione della misericordia di Dio (Cfr.
Jn 3,16-18). Egli è venuto non per condannare ma per perdonare, per usare misericordia (Cfr. Mt 9,13).

E la misericordia più grande sta nel suo essere in mezzo a noi e nella chiamata che ci è rivolta ad incontrare Lui e a confessarlo, insieme con Pietro, come "il Figlio del Dio vivente" (Mt 16,16). Nessun peccato dell'uomo può cancellare la misericordia di Dio, può impedirle di sprigionare tutta la sua forza vittoriosa, se appena la invochiamo. Anzi, lo stesso peccato fa risplendere ancora di più l'amore del Padre che, per riscattare lo schiavo, ha sacrificato il suo Figlio: la sua misericordia per noi è redenzione. Questa misericordia giunge a pienezza con il dono dello Spirito, che genera ed esige la vita nuova. Per quanto numerosi e grandi siano gli ostacoli opposti dalla fragilità e dal peccato dell'uomo, lo Spirito, che rinnova la faccia della terra (Cfr. Ps 104,30 [103],30), rende possibile il miracolo del compimento perfetto del bene. Questo rinnovamento, che dà la capacità di fare ciò che è buono, nobile, bello, gradito a Dio e conforme alla sua volontà, è in un certo senso la fioritura del dono della misericordia, che libera dalla schiavitù del male e dà la forza di non peccare più. Attraverso il dono della vita nuova Gesù ci rende partecipi del suo amore e ci conduce al Padre nello Spirito.


119 E' questa la consolante certezza della fede cristiana, alla quale essa deve la sua profonda umanità e la sua straordinaria semplicità. Talvolta, nelle discussioni sui nuovi complessi problemi morali, può sembrare che la morale cristiana sia in se stessa troppo difficile, ardua da comprendere e quasi impossibile da praticare. Ciò è falso, perché essa consiste, in termini di semplicità evangelica, nel seguire Gesù Cristo, nell'abbandonarsi a Lui, nel lasciarsi trasformare dalla sua grazia e rinnovare dalla sua misericordia, che ci raggiungono nella vita di comunione della sua Chiesa. "Chi vuole vivere - ci ricorda sant'Agostino -, ha dove vivere, ha donde vivere. Si avvicini, creda, si lasci incorporare per essere vivificato. Non rifugga dalla compagine delle membra". può capire dunque l'essenza vitale della morale cristiana, con la luce dello Spirito, ogni uomo, anche il meno dotto, anzi soprattutto chi sa conservare un "cuore semplice" (Ps 85[86],11). D'altra parte, questa semplicità evangelica non esime dall'affrontare la complessità del reale, ma può introdurre alla sua più vera comprensione, perché la sequela di Cristo metterà progressivamente in luce i caratteri dell'autentica moralità cristiana e darà, al tempo stesso, l'energia di vita per la sua realizzazione. E' compito del Magistero della Chiesa vegliare perché il dinamismo della sequela di Cristo si sviluppi in modo organico, senza che ne vengano falsate o occultate le esigenze morali, con tutte le loro conseguenze. Chi ama Cristo osserva i suoi comandamenti (Cfr. Jn 14,15).


120 Maria è Madre di misericordia anche perché a lei Gesù affida la sua Chiesa e l'intera umanità. Ai piedi della Croce, quando accetta Giovanni come figlio, quando chiede, insieme con Cristo, il perdono al Padre per coloro che non sanno quello che fanno (Cfr. Lc 23,34), Maria in perfetta docilità allo Spirito sperimenta la ricchezza e l'universalità dell'amore di Dio, che le dilata il cuore e la fa capace di abbracciare l'intero genere umano. E' resa, in tal modo, Madre di tutti noi, e di ciascuno di noi, Madre che ci ottiene la misericordia divina.

Maria è segno luminoso ed esempio affascinante di vita morale: "la vita di lei sola è insegnamento per tutti", scrive sant'Ambrogio, che rivolgendosi in particolare alle vergini ma in un orizzonte aperto a tutti così afferma: "Il primo ardente desiderio di imparare lo dà la nobiltà del maestro. E chi è più nobile della Madre di Dio? o più splendida di Colei che fu eletta dallo stesso Splendore?". Maria vive e realizza la propria libertà donando se stessa a Dio ed accogliendo in sé il dono di Dio. Custodisce nel suo grembo verginale il Figlio di Dio fatto uomo fino al tempo della nascita, lo alleva, lo fa crescere e lo accompagna in quel gesto supremo di libertà, che è il sacrificio totale della propria vita. Con il dono di se stessa, Maria entra pienamente nel disegno di Dio, che si dona al mondo. Accogliendo e meditando nel suo cuore avvenimenti che non sempre comprende (Cfr. Lc 2,19), diventa il modello di tutti coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano (Cfr. Lc 11,28) e merita il titolo di "Sede della Sapienza". Questa Sapienza è Gesù Cristo stesso, il Verbo eterno di Dio, che rivela e compie perfettamente la volontà del Padre (Cfr. He 10,5-10). Maria invita ogni uomo ad accogliere questa Sapienza. Anche a noi rivolge l'ordine dato ai servi, a Cana in Galilea durante il banchetto di nozze: "Fate quello che egli vi dirà" (Jn 2,5).

Maria condivide la nostra condizione umana, ma in una totale trasparenza alla grazia di Dio. Non avendo conosciuto il peccato, ella è in grado di compatire ogni debolezza. Comprende l'uomo peccatore e lo ama con amore di Madre. Proprio per questo sta dalla parte della verità e condivide il peso della Chiesa nel richiamare a tutti e sempre le esigenze morali. Per lo stesso motivo non accetta che l'uomo peccatore venga ingannato da chi pretenderebbe di amarlo giustificandone il peccato, perché sa che in tal modo sarebbe reso vano il sacrificio di Cristo, suo Figlio. Nessuna assoluzione, offerta da compiacenti dottrine anche filosofiche o teologiche, può rendere l'uomo veramente felice: solo la Croce e la gloria di Cristo risorto possono donare pace alla sua coscienza e salvezza alla sua vita.

O Maria, Madre di misericordia, veglia su tutti perché non venga resa vana la croce di Cristo, perché l'uomo non smarrisca la via del bene, non perda la coscienza del peccato, cresca nella speranza in Dio "ricco di misericordia" (Ep 2,4), compia liberamente le opere buone da Lui predisposte (Cfr. Ep 2,10) e sia così con tutta la vita "a lode della sua gloria" (Ep 1,12).

Dato a Roma, presso San Pietro, il 6 agosto, festa della Trasfigurazione del Signore, dell'anno 1993, decimoquinto del mio Pontificato.

IOANNES PAULUS PP. II

Data: 1993-08-06 Data estesa: Venerdi 6 Agosto 1993

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