Caterina, Dialogo 10

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CAPITOLO X.

Sai come stanno queste tre virtù? Come tu avessi uno cerchio tondo posto sopra la terra, e nel mezzo di questo cerchio escisse uno arbore con un figliuolo dallato unito con lui. L'arbore si nutrica nella terra che contiene la larghezza del cerchio; che se egli fosse fuore della terra, l'arbore sarebbe morto e non darebbe frutto infino che non fosse piantato nella terra. Or cosí ti pensa che l'anima è uno arbore fatto per amore, e però non può vivere altro che d'amore.

è vero che, se ella non à amore divino di vera e perfetta carità, non produce frutto di vita ma di morte.

Conviensi che la radice di questo arbore, cioè l'affetto dell'anima, stia ed esca del cerchio del vero cognoscimento di sé, il quale cognoscimento di sé è unito in me, che non ò principio né fine, sì come il cerchio tondo; che quanto tu ti vai ravollendo dentro nel cerchio non truovi né fine né principio e pure dentro vi ti truovi.

Questo cognoscimento di sé, e di me in sé, si truova e sta sopra la terra della vera umilità, la quale è tanto grande quanto la larghezza del cerchio, cioè il cognoscimento che ha avuto di sé unito in me, come detto è; che altrimenti non sarebbe cerchio senza fine né senza principio, anco avarebbe principio, avendo cominciato a cognoscere sé, e finirebbe nella confusione se questo conoscimento non fosse unito in me.

Allora l'arbore della carità si nutrica nella umilità mettendo dallato il figliuolo della vera discrezione come detto t'ò. Il mirollo dell'arbore, cioè dell'affetto della carità che è nell'anima, è la pazienzia, la quale è uno segno dimostrativo che dimostra me essere nell'anima e l'anima unita in me.

Questo arbore, cosí dolcemente piantato, gitta fiori odoriferi di virtù con molti e variati sapori; elli rende frutto di grazia all'anima e frutto d'utilità al prossimo, secondo la sollicitudine di chi vorrà ricevere de' frutti de' servi miei. A me rende odore di gloria e loda al nome mio, e così fa quello per che Io el creai, e da questo giogne al termine suo, ciò è (10r) me, che so' vita durabile, che non gli posso essere tolto se egli non vuole.

Tutti quanti i frutti che escono dell'arbore sono conditi con la discrezione, perché sono uniti insieme, come detto t'ò.



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CAPITOLO XI.

Questi sono i frutti e l'operazioni che Io richieggo dall'anima: la pruova delle virtù al tempo del bisogno. E però ti dissi, se bene ti ricorda, già è cotanto tempo, quando desideravi di fare grande penitenzia per me, dicendo: «Che potrei io fare che io sostenesse pena per te?» ed Io ti risposi nella mente tua dicendo: «Io so' colui che mi diletto di poche parole e di molte operazioni», per dimostrarti che non colui che solamente mi chiamarà col suono della parola: «Signore, Signore, io vorrei fare alcuna cosa per te», (Mt 7,21 Lc 6,46) né colui che desidera e vuole mortificare il corpo con le molte penitenzie senza uccidere la propria volontà, m'era molto a grado; ma che Io volevo le molte operazioni del sostenere virilmente e con pazienzia e l'altre virtù che contiate t'ò, intrinsiche dell'anima, le quali tutte sono operative che aduoperano frutto di grazia.

Ogni altra operazione posta in altro principio che in questo, Io le reputo essere chiamare solo con la parola, perché elle sono operazioni finite, e Io che so' infinito richieggo infinite operazioni, cioè infinito affetto d'amore. Voglio che l'operazioni di penitenzia e d'altri esercizi, i quali sono corporali, sieno posti per istrumento e non per principale affetto. Che se fosse posto il principale affetto ine, mi sarebbe data cosa finita, e farebbe come la parola, la quale escita che è fuore della bocca non è più; se già la parola non escisse con l'affetto dell'anima, il quale concepe e partorisce in verità la virtù, cioè che l'operazione finita, la quale t'ò chiamata «parola», fosse unita con l'affetto della carità. Allora sarebbe grata e piacevole a me, perché non sarebbe sola ma accompagnata con la vera discrezione, usando l'operazioni corporali per istrumento e non per principale capo.

Non sarebbe convenevole che principio e capo si facesse solo nella penitenzia o in qualunque atto di fuore corporale, che già ti dissi che elle erano operazioni finite. E finite sono, sì perché elle son fatte in tempo finito, e sì perché alcuna volta si conviene che la creatura le lassi (10v), o che elle gli sieno fatte lassare, quando le lassa per necessità di non potere fare quello atto che à cominciato, per diversi accidenti che gli vengono o per obedienzia che gli sarà comandato dal prelato suo, ché, facendole, non tanto che egli meritasse, ma egli offendarebbe. Sì che vedi che elle sono finite. Debba dunque pigliarle per uso e non per principio, ché, pigliandole per principio, di bisogno è che in alcuno tempo le lassi, e l'anima allora rimane vòta.

E questo vi mostrò il glorioso Pauolo quando disse nella pìstola sua che voi mortificaste il corpo e uccideste la propria volontà: (Col 3,5-8) ciò è sapere tenere a freno il corpo macerando la carne, quando volesse impugnare contra lo spirito; (Ga 5,16-17) ma la volontà vuole essere in tutto morta, annegata e sottoposta alla volontà mia. (Mt 16,24-25 Lc 9,23) La quale volontà s'uccide con quello debito che Io ti dissi che la virtù della discrezione rendeva all'anima, cioè odio e dispiacimento dell'offese e della propria sensualità, el quale acquistò nel cognoscimento di sé. Questo è quel coltello che uccide e taglia ogni proprio amore fondato nella propria volontà.

Or costoro son quelli che non mi dànno solamente parole ma molte operazioni, e di questo mi diletto; e però ti dissi che Io volevo poche parole e molte operazioni. Dicendo «molte» non ti pongo numero, perché l'affetto dell'anima fondato in carità, la quale dà vita a tutte le virtù, debba giognere in infinito. E none schifo però la parola, ma dissi che volevo poche parole mostrandoti che ogni operazione attuale era finita, e però le chiamai «poche» ma pure mi piacciono quando son poste per istrumento di virtù e non per principale virtù.

E però non deba veruno dare giudicio § 104 556-577) di ponere maggiore perfezione nel grande penitente che si dà molto a uccidere il corpo suo, che in colui che ne fa meno; però che, come Io t'ò detto, non sta ine virtù né el merito loro, però che male ne starebbe chi, per ligittime cagioni, non può fare operazione e penitenzia attuale ma sta solo nella virtù della carità, condita col lume della vera discrezione, però che altrimenti non varrebbe. E questo amore la discrezione el dà senza fine e senza modo verso di me: però (11r) che so' somma ed eterna Verità, non pone legge né termine all'amore col quale egli ama me, ma bene el pone con modo e con carità ordinata verso il prossimo suo.

Il lume della discrezione, la quale esce della carità come detto t'ò, dà al prossimo amore ordinato, cioè con ordenata carità, che non fa danno di colpa a sé per fare utilità al prossimo. Che se uno solo peccato facesse per campare tutto il mondo dello 'nferno o per adoperare una grande virtù, non sarebbe carità ordenata con discrezione anco sarebbe indiscreta, perché licito non è di fare una grande virtù o utilità al prossimo con colpa di peccato. Ma la discrezione santa è ordinata in questo modo, che l'anima tutte le potenzie sue dirizza a servire me virilmente con ogni sollicitudine, e 'l prossimo ama con affetto d'amore, ponendo la vita del corpo per la salute dell'anime se fosse possibile mille volte, sostenendo pene e tormenti perché abbi vita di grazia; e la sustanzia sua temporale pone in sovenimento del corpo del prossimo suo.

Questo fa il lume della discrezione che esce della carità. Sì che vedi che discretamente rende, e debba rendere, ogni anima che vuole la grazia, ed a me amore infinito e senza modo, e al prossimo, col mio amore infinito, amare lui con modo e carità ordinata come detto t'ò, non rendendo male di colpa a sé per utilità altrui. E di questo v'amunì santo Paulo, quando disse che la carità si debba prima muovere da sé, altrimenti non farebbe utilità altrui d'utilità perfetta. Ché quando la perfezione non è nell'anima ogni cosa è imperfetta, ciò che aduopra in sé e in altrui. § 1 41-44) Non sarebbe cosa convenevole che per salvare le creature, che son finite e create da me, fossi offeso Io che so' Bene infinito: più sarebbe grave solo quella colpa, e grande, che non sarebbe il frutto che farebbe per quella colpa. Sì che colpa di peccato in veruno modo tu non debbi fare: la vera carità el cognosce perché ella porta seco il lume della santa discrezione.

Ella è quello lume che dissolve ogni tenebre, e tolle la ignoranzia e ogni virtù condisce, e ogni strumento di virtù attuale è condito da lei. Ella à una prudenzia che non può essere ingannata; ella à una fortezza che non può essere venta; ella à una (11v) perseveranzia grande infino al fine, ché tiene dal cielo alla terra, cioè dal cognoscimento di me al cognoscimento di sé, dalla carità mia alla carità del prossimo. Con vera umilità campa e passa tutti i lacciuoli del dimonio e delle creature colla prudenzia sua. Con la mano disarmata, cioè col molto sostenere, à sconfitto il dimonio e la carne. Con questo dolce e glorioso lume, perché con esso cognobbe la sua fragilità e cognoscendola le rende il debito dell'odio, à conculcato il mondo e messoselo sotto a' piei de l'affetto spregiandolo e tenendolo a vile: n'è fatto signore facendosene beffe.

E però gli uomini del mondo non possono tollere le virtù dell'anima, ma tutte le loro persecuzioni sono accrescimento e provamento della virtù, la quale prima è conceputa per affetto d'amore, come detto è, e poi si pruova nel prossimo e si partorisce sopra di lui. E così t'ò mostrato che, se ella non si vedesse e rendesse lume al tempo della pruova dinanzi a l'uomo, non sarebbe verità che la virtù fosse conceputa.

Perché già ti dissi, e òtti manifestato, che virtù non può essere che sia perfetta e dia frutto, senza il mezzo del prossimo, se non come la donna che à conceputo in sé il figliuolo, che se ella no'l partorisce, che venga dinanzi all'occhio della creatura, non si reputa lo sposo d'avere figliuolo. Così Io che so' sposo dell'anima: (Mt 9,15 Lc 5,35) se ella non partorisce il figliuolo della virtù nella carità del prossimo, mostrandolo secondo che è di bisogno, in comune e in particulare, sì come Io ti dissi, dico che in verità non aveva concepute le virtù in sé. E così dico del vizio, che tutti si commettono col mezzo del prossimo.



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CAPITOLO XII.

Ora ài veduto che Io, Verità, t'ò mostrata la verità e la dottrina per la quale tu venga e conservi la grande perfezione. E anco t'ò dichiarato in che modo si sodisfa la colpa e la pena in te e nel prossimo tuo, dicendoti che - le pene che sostiene la creatura mentre che è nel corpo mortale - non è sofficiente la pena in sé sola a satisfare la colpa e la pena, se già ella non fosse unita con l'affetto della carità e con la vera contrizione e dispiacimento del (12r) peccato, come detto t'ò. Ma la pena allora satisfa quando è unita con la carità; non per virtù di veruna pena attuale che si sostenga, ma per virtù della carità e dolore della colpa commessa. La quale carità è acquistata col lume dell'intelletto, con cuore schietto e liberale, raguardando in me, obietto, che so' essa carità. Tutto questo t'ò mostrato perché tu mi dimandavi di volere portare.

Òttelo mostrato acciò che tu e gli altri servi miei sappiate in che modo e come dovete fare sacrificio di voi a me. § 3 , 10ss.) Sacrificio dico attuale e mentale unito insieme, sì come è unito il vasello con l'acqua che si presenta al signore: ché l'acqua senza il vaso non si potrebbe presentare, e 'l vaso senza l'acqua portandolo non sarebbe piacevole a lui.

Così vi dico che voi dovete offerire a me il vasello delle molte fadighe attuali, per qualunque modo Io ve le concedo, non eleggendo voi né il luogo né il tempo né le fadighe a vostro modo, ma a mio. Ma questo vasello debba essere pieno, cioè portandole tutte con affetto d'amore e con vera pazienzia, portando e sopportando i difetti del prossimo vostro con odio e dispiacimento del peccato.

Allora si truovano queste fadighe, le quali t'ò poste per uno vasello, piene dell'acqua della grazia mia, la quale dà vita all'anima. Allora Io ricevo questo presente dalle dolci spose mie, cioè da ogni anima che mi serve; ricevo, dico, da loro gli ansietati desideri lagrime e sospiri loro, umili e continue orazioni, le quali cose sono tutte uno mezzo che, per l'amore che Io l'ò, placano l'ira mia sopra i nimici miei degli iniqui uomini del mondo che tanto m'offendono.

Sì che sostiene virilmente infino alla morte, e questo mi sarà segno che voi in verità m'amiate. E non dovete vollere il capo indietro a mirare l'arato per timore di veruna creatura, né per tribolazione; anco nelle tribolazioni godete. Il mondo si rallegra facendomi molta ingiuria, e voi sete contristati nel mondo (Jn 16,20) per le ingiurie che mi vedete fare, per le quali offendendo me offendono voi, e offendendo voi offendono me, perché so' fatto una cosa con voi. (Lc 10,16 Jn 17,21) Bene vedi tu che avendovi data (12v) la imagine e similitudine mia, e avendo voi perduto la grazia per lo peccato, per rendervi la vita della grazia unii in voi la mia natura, velandola della vostra umanità. E così, essendo voi imagine mia, presi la imagine vostra prendendo forma umana. Sì che io so' una cosa con voi, se già l'anima non si diparte da me per la colpa del peccato mortale; ma chi m'ama sta in me e Io in lui. (1Jn 4,16) E però il mondo el perseguita, perché il mondo non à conformità con meco, e però perseguitò l'unigenito mio Figliuolo infino all'obrobiosa morte della croce, e così fa a voi. Egli vi perseguita e perseguiterà infino alla morte, perché me non ama; che se il mondo avesse amato me e voi amarebbe. (Jn 15,18-19 Jn 17,14) Ma rallegratevi perché l'allegrezza vostra sarà piena in cielo. (Jn 16,20) Anco ti dico che quanto ora abondarà più la tribolazione nel corpo mistico della santa Chiesa, tanto abondarà più in dolcezza e in consolazione. E questa sarà la dolcezza sua: la reformazione di santi e buoni pastori i quali sono fiori di gloria, ciò è che rendono gloria e loda al nome mio, rendendomi odore di virtù fondate in verità. E questa è la reformazione de' fiori odoriferi de' miei ministri e pastori. Non che abbi bisognio il frutto di questa Sposa d'essere reformato, perché non diminuisce né si guasta mai per li difetti de' ministri. Sì che rallegrati tu, e'l padre dell'anima tua e gli altri miei servi, nell'amaritudine, ché Io, Verità eterna, v'ò promesso di darvi refrigerio, e doppo l'amaritudine vi darò consolazione, col molto sostenere, nella reformazione della santa Chiesa. -

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CAPITOLO XIII.

Allora l'anima ansietata e affocata di grandissimo desiderio, conceputo ineffabile amore nella grande bontà di Dio, cognoscendo e vedendo la larghezza della sua carità, che con tanta dolcezza aveva degnato di rispondere alla sua petizione e di sodisfare, dandole speranza, all'amaritudine la quale aveva conceputa per l'offesa di Dio e danno della santa Chiesa e miseria sua propria, la quale vedeva per cognoscimento di sé, (13r) mitigava l'amaritudine e cresceva l'amaritudine. Per che avendole il sommo ed eterno Padre manifestata la via della perfezione, e' nuovamente le mostrava l'offesa sua e il danno dell'anime, sì come di sotto dirò più distesamente.

Perché nel cognoscimento che l'anima fa di sé cognosce meglio Dio, cognoscendo la bontà di Dio in sé, e nello specchio dolce di Dio cognosce la dignità e la indignità sua medesima, cioè la dignità della creazione, vedendo sé essere immagine di Dio, e datole per grazia e non per debito; e nello specchio della bontà di Dio dico che cognosce l'anima la sua indignità nella quale è venuta per la colpa sua.

Però che come nello specchio meglio si vede la macula della faccia dell'uomo, specchiandosi dentro nello specchio, così l'anima che con vero cognoscimento di sé si leva per desiderio con l'occhio de l'intelletto a raguardarsi nello specchio dolce di Dio, per la purità che vede in lui meglio cognosce la macula della faccia sua.

E perché il lume e 'l cognoscimento era magiore in quella era cresciuta una dolce amaritudine ed era scemata l'amaritudine. Era scemata per la speranza che le dié la prima Verità; e sì come il fuoco cresce quando gli è dato la materia, così crebbe il fuoco in quella anima, per sì fatto modo che possibile non era a corpo umano a potere sostenere che l'anima non si partisse dal corpo. Unde se none che era cerchiata di fortezza (Let 371; 373) da colui ch'è somma fortezza non l'era possibile di camparne mai.

Purificata l'anima dal fuoco della divina carità, la quale trovò nel cognoscimento di sé e di Dio, e cresciuta la fame con la speranza della salute di tutto quanto il mondo e della riformazione della santa Chiesa, si levò con una sicurtà dinanzi al sommo Padre, avendole mostrato la lebra della santa Chiesa e la miseria del mondo, quasi con la parola di Moisè (Ex 32,11) dicendo: - Signore mio, volle l'occhio della misericordia tua sopra 'l popolo tuo e sopra il corpo mistico de la santa Chiesa, però che più sarai tu gloriato di perdonare a tante creature e darlo' lume di cognoscimento - ché tutte ti darebbero laude, vedendosi campate per la tua infinita bontà dalla tenebre del peccato mortale e da l'eterna dannazione - che solamente di me (13v) miserabile che tant'ò offeso, la quale so' cagione e strumento d'ogni male. E però ti priego, divina, eterna carità, che tu facci vendetta di me; e fa misericordia al popolo tuo: (Oraz VIII 126-9) mai dinanzi dalla tua presenzia non mi partirò, infine che io vedrò che tu lo' facci misericordia.

E che farebbe a me che io vedesse me avere vita eterna, e 'l popolo tuo la morte? e che la tenebre si levasse nella Sposa tua, che è essa luce, principalmente per li miei difetti e dell'altre tue creature? Voglio adunque, e per grazia te l'adimando, che abbi misericordia al popolo tuo per la carità increata che mosse te a creare l'uomo alla immagine e similitudine tua, dicendo: «Faciamo l'uomo alla imagine e similitudine nostra». (Gn 1,26) E questo facesti volendo tu, Trinità eterna, che l'uomo partecipasse tutto te, alta ed eterna Trinità. Unde gli desti la memoria acciò che ritenesse i benefizi tuoi, nella quale participa la potenzia di te, Padre eterno; e destigli l'intelletto, acciò che cognoscesse, vedendo, la tua bontà e participasse la sapienzia de l'unigenito tuo Figliuolo; e destigli la volontà, acciò che potesse amare quello che l'intelletto vide e cognobbe della tua verità, partecipando la clemenzia dello Spirito santo. (Orazi 1-17) Chi ne fu cagione, che tu ponessi l'uomo in tanta dignità? L'amore inestimabile col quale raguardasti in te medesimo la tua creatura e innamorastiti di lei; (Gn 1,31) e però la creasti per amore e destile l'essere, acciò che ella gustasse il tuo sommo eterno bene.

Veggo che, per lo peccato comesso, perdette la dignità nella quale tu la ponesti; per la rebellione che fece a te cadde in guerra con la clemenzia tua, ciò è che diventammo nimici tuoi.

Tu, mosso da quel medesimo fuoco con che tu ci creasti, volesti ponere il mezzo a reconciliare l'umana generazione che era caduta nella grande guerra, acciò che della guerra si facesse la grande pace, e destici il Verbo de l'unigenito tuo Figliuolo, il quale fu tramezzatore fra noi e te.

Egli fu nostra giustizia, (1Co 1,30) che sopra di sé punì le nostre ingiustizie, e fece l'obedienzia tua, Padre eterno, la quale gli ponesti quando el vestisti della nostra umanità, pigliando la imagine e natura nostra umana.

O abisso di carità! Qual cuore si può difendere che non (14r) scoppi a vedere l'altezza discesa a tanta bassezza quanta è la nostra umanità? Noi siamo imagine tua, e tu imagine nostra per l'unione che ài fatta ne l'uomo, velando la deità eterna colla miserabile nuvila e massa corrotta d'Adam.

Chi ne fu cagione? L'amore. Tu, Dio, se' fatto uomo, e l'uomo è fatto Dio. Per questo amore ineffabile ti costringo e prego che facci misericordia alle tue creature.-

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CAPITOLO XIV.

Allora Dio, vollendo l'occhio della sua misericordia verso di lei, lassandosi costrignere alle lagrime e lassandosi legare alla fune del santo desiderio suo, lagnandosi diceva: - Figliuola dolcissima, la lagrima mi costrigne perché è unita con la mia carità ed è gittata per amore di me, e leganomi i penosi desideri vostri. Ma mira e vede come la Sposa mia à lordata la faccia sua, come è lebrosa per immondizia e amore proprio ed enfiata per superbia ed avarizia di coloro che si pascono al petto suo, ciò è la religione cristiana, corpo universale, ed anco il corpo mistico della santa Chiesa: ciò dico de' miei ministri, i quali sono quelli che si pascono e stanno alle mamelle sue, e non tanto che si pascano, ma elli ànno a pascere e tenere a queste mammelle l'universale corpo della religione cristiana, e di qualunque altro volesse levarsi dalla tenebre della infedelità e legarsi come membro nella Chiesa mia. Vedi con quanta ignoranzia e con quanta tenebre e con quanta ingratitudine è ministrato, e con mani immonde, questo glorioso latte e sangue di questa sposa? (Let 295) e con quanta presunzione ed inreverenzia è ricevuto? E però quella cosa che dà vita, ciò è il prezioso sangue de l'unigenito mio Figliuolo, e tolse la morte e la tenebre, e donò la luce e la verità, e confuse la bugia: ogni cosa donò questo sangue e adoperò intorno alla salute e a compire la perfezione ne l'uomo, a chi si dispone a ricevere. Ché, come dà vita e dota l'anima d'ogni grazia, poco e assai secondo la disposizione e affetto di colui che riceve, così dà morte a colui che iniquamente vive. (Jn 6,54 1Co 11,27) Sì che, dalla parte di colui che riceve, (14v) ricevendolo indegnamente con la tenebre del peccato mortale, a costui gli dà morte e non vita. Non per difetto del sangue, né per difetto del ministro che fosse in quel medesimo male o maggiore, però che il suo male non guasta né lorda il sangue, né diminuisce la grazia e virtù sua. § 115 , 467ss.; § 133 , 2998ss.) E però non fa male a colui a cui egli el dà, ma a se medesimo fa male di colpa, alla quale gli seguita la pena, se esso non si corregge con vera contrizione e dispiacimento della colpa.

Dico dunque che fa danno a colui che 'l riceve indegnamente, non per difetto del sangue né del ministro, come detto è, ma per la sua mala disposizione e difetto suo, che con tanta miseria e immondizia à lordata la mente e'l corpo suo, e tanta crudeltà à avuta a sé e al prossimo suo. A sé l'ebbe tollendosi la grazia, conculcando sotto a' piedi de l'affetto suo el frutto del sangue che trasse del santo battesimo, essendogli già tolta per virtù del sangue la macchia del peccato orriginale, la quale macchia trasse quando fu conceputo dal padre e dalla madre sua.

E però donai el Verbo de l'unigenito mio Figliuolo, perché la massa de l'umana generazione era corrotta per lo peccato del primo uomo Adam; e però tutti voi, vaselli fatti di questa massa, eravate corrotti e non disposti ad avere vita eterna. Unde per questo Io, altezza, unii me con la bassezza della vostra umanità, per remediare alla corruzione e morte dell'umana generazione e per restituirla a grazia, la quale per lo peccato perdé. (1Jn 4,9-10) Non potendo Io sostenere pena, e della colpa voleva la divina mia giustizia che n'escisse la pena, e non essendo sufficiente pur uomo a satisfare - che se egli avesse pure in alcuna cosa satisfatto, non satisfaceva altro che per sé e non per l'altre creature che ànno in loro ragione; benché di questa colpa né per sé né per altrui poteva egli satisfare, perché la colpa era fatta contra a me, che so' infinita bontà - volendo Io pure restituire (15r) l'uomo, il quale era indebilito, e non poteva satisfare per la cagione detta e perché era molto indebilito, mandai il Verbo del mio Figliuolo vestito di questa medesima natura che voi, massa corrotta d'Adam, acciò che sostenesse pena in quella natura medesima che aveva offeso; e sostenendo sopra il corpo suo infino all'obrobiosa morte della croce, placasse l'ira mia.

E così satisfeci alla mia giustizia e saziai la divina mia misericordia, la quale misericordia volse satisfare la colpa de l'uomo e disponerlo a quel bene per lo quale Io l'avevo creato. Sì che la natura umana unita con la natura divina fu sufficiente a satisfare per tutta l'umana generazione, non solo per la pena che sostenne nella natura finita, ciò è della massa d'Adam, ma per la virtù della deità eterna, natura divina infinita. Unita l'una natura e l'altra, ricevetti e accettai el sacrificio del sangue de l'unigenito mio Figliuolo, intriso e impastato con la natura divina col fuoco della divina mia carità, la quale fu quello legame che'l tenne confitto e chiavellato in croce.

Or per questo modo fu sufficiente a satisfare la colpa la natura umana, solo per virtù della natura divina.

Per questo modo fu tolta la marcia del peccato d'Adam, e rimase solo il segno, cioè inchinamento al peccato, e ogni difetto corporale, sì come la margine che rimane quando l'uomo è guarito della piaga.

Cosí la colpa d'Adam, la quale menò marcia mortale: venuto el grande medico de l'unigenito mio Figliuolo, curò questo infermo, beiendo la medicina amara, la quale l'uomo bere non poteva perché era molto indebilito (Mt 9,12 Lc 5,31). E' fece come baglia che piglia la medicina in persona del fanciullo, perché ella è grande e forte ed il fanciullo non è forte a potere portare l'amaritudine. Sì che egli fu baglia, portando con la grandezza e fortezza della deità, unita con la natura vostra, l'amara medicina della penosa (15v) morte della croce, per sanare e dar vita a voi, fanciulli indebiliti per la colpa. (Let 260) Solo el segno rimase del peccato originale, il quale peccato contraete dal padre e dalla madre quando sete conceputi da loro. Il quale segno si tolle dell'anima, bene che non a tutto, e questo si fa nel santo battesmo, il quale battesmo à virtù e dà vita di grazia in virtù di questo glorioso e prezioso sangue.

Subito che l'anima à ricevuto el santo battesmo l'è tolto il peccato originale, e èlle infusa la grazia. E lo inchinamento al peccato, che è la margine che rimane del peccato originale, come detto è, indebilisce, e può l'anima rifrenarlo se ella vuole.

Allora il vasello dell'anima è disposto a ricevere e aumentare in sé la grazia, assai e poco; secondo che piacerà a lei di voler disponere se medesima, con affetto e desiderio, ad amare e servire me. § 12 ,796ss.) Così si può disponere al male come al bene, non ostante che egli abbi ricevuta la grazia nel santo battesmo. Unde, venuto il tempo della discrezione, per lo libero arbitrio può usare il bene e il male secondo che piace alla volontà sua.

Ed è tanta la libertà che à l'uomo, e tanto è fatto forte per la virtù di questo glorioso sangue, che né dimonio né creatura el può costrignere a una minima colpa, più che egli si voglia. Tolta gli fu la servitudine e fatto libero, acciò che signoreggiasse la sua propria sensualità e avesse il fine per il quale era stato creato.

O miserabile uomo, che si diletta nel loto come fa l'animale, e non ricognosce tanto benefizio quanto à ricevuto da me! Più non poteva ricevere la miserabile creatura piena di tanta ignoranzia.



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CAPITOLO XV.

Voglio che tu sappi, figliuola mia, che per la grazia che ànno ricevuta, avendoli ricreati nel sangue de l'unigenito mio Figliuolo, e restituita a grazia l'umana generazione sì come detto t'ò (Let 259) non riconoscendola ma andando sempre di male in peggio e di colpa in colpa, sempre perseguitandomi con molte ingiurie (16r) e tenendo tanto a vile le grazie che Io l'ò fatte e fo - che non tanto che essi se le reputino a grazia, ma e' lo' pare ricevere alcuna volta da me ingiuria, né più né meno come se Io volesse altro che la loro santificazione - dico che lo' sarà più duro, e degni saranno di maggiore punizione. E così saranno più puniti ora, poi che ànno ricevuta la redenzione del sangue del mio Figliuolo, che innanzi la redenzione, cioè innanzi che fusse tolta via la marcia del peccato d'Adam. (Jn 15,22) Cosa ragionevole è che chi più riceve più renda, e più sia tenuto a colui da cui egli riceve. Molto era tenuto l'uomo a me per l'essere che Io gli avevo dato creandolo alla imagine e similitudine mia. Era tenuto di rendermi gloria, ed egli me la tolse e volsela dare a sé; per la qual cosa trapassò l'obedienzia mia posta a lui e diventommi nimico; ed Io con l'umilità distrussi la superbia sua, umiliandomi e pigliando la vostra umanità, cavandovi della servitudine del dimonio, e fecivi liberi. E non tanto che Io vi dessi libertà, ma, se tu vedi bene, l'uomo è fatto Dio e Dio è fatto uomo per l'unione della natura divina nella natura umana.

Questo è uno debito il quale ànno ricevuto, ciò è il tesoro del sangue dove essi sono ricreati a grazia. Sì che vedi quanto essi sono più obligati a rendere a me dopo la redenzione che innanzi la redenzione. Sono tenuti di rendere gloria e loda a me, seguitando le vestigie della Parola incarnata de l'unigenito mio Figliuolo, e allora mi rendono debito d'amore di me e dilezione del prossimo, con vere e reali virtù, sì come di sopra ti dissi. § 8 -IX) Non facendolo, perché molto mi debbono amare, caggiono in maggiore offesa, e però Io, per divina mia giustizia, lo' rendo più gravezza di pena, dandolo' l'eterna dannazione. Unde molto à più pena uno falso cristiano che uno pagano, e più el consuma il fuoco senza consumare, per divina giustizia, cioè affligge; e affliggendo si sentono consumare col vermine (16v) della coscienzia, e nondimeno non consuma, (Mc 9,47) perché i dannati non perdono l'essere per veruno tormento che ricevano. Unde Io ti dico che essi dimandano la morte e non la possono avere, perché non possono perdere l'essere. Perderon l'essere della grazia per la colpa loro, ma l'essere no.

Sì che la colpa è molto più punita dopo la redenzione del sangue che prima, perché ànno più ricevuto; e non pare che se n'aveggano né si sentano dei mali loro. Essi mi sono fatti nimici, avendoli reconciliati col mezo del sangue del mio Figliuolo.

Uno rimedio ci à, col quale Io placarò l'ira mia, cioè col mezo de' servi miei, se solliciti saranno di costringermi con la lagrima e legarmi col legame del desiderio. Tu vedi che con questo legame tu m'ài legato, il quale legame Io ti diei perché volevo fare misericordia al mondo. E però do Io fame e desiderio ne' servi miei verso l'onore di me e salute dell'anime acciò che, costretto dalle lagrime loro, mitighi il fuorore della divina mia giustizia. (Oraz XII 166ss.) Tolle dunque le lagrime 'l sudore tuo, e trale della fontana della divina mia carità, tu e gli altri servi miei, e con esse lavate la faccia alla sposa mia, ché Io ti prometto che con questo mezzo le sarà renduta la bellezza sua. Non con coltello né con guerra ne' con crudeltà riavarà la bellezza sua, ma con la pace e umili e continue orazioni, sudori e lagrime gittate con ansietato desiderio, de' servi miei. (Let 272; § 86 , 2142ss.) E cosí adempirò il desiderio tuo con molto sostenere gittando lume la pazienzia vostra nelle tenebre degl'iniqui uomini del mondo. E non temete perché il mondo vi perseguiti, ché Io sarò per voi, e in niuna cosa vi mancarà la mia providenzia. -


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CAPITOLO XVI.

Allora quella anima, levandosi con magiore cognoscimento e con grandissima allegrezza e conforto, stando dinanzi alla divina Maiestà, sì per la speranza che ella aveva presa della divina misericordia, e sì per l'amore ineffabile il quale (17r) gustava, vedendo che per amore e desiderio che Dio aveva di fare misericordia a l'uomo, non ostante che fossero suoi nimici, aveva dato il modo e la via a' servi suoi come potessero costrignere la sua bontà e placare l'ira sua, si rallegrava perdendo ogni timore nelle persecuzioni del mondo, vedendo che Dio fosse per lei. E cresceva forte il fuoco del santo desiderio, in tanto che non stava contenta, ma con sicurtà santa dimandava per tutto quanto il mondo.

E poniamo che nella seconda petizione si conteneva il bene e l'utilità de' cristiani e degl'infedeli, cioè nella reformazione della santa Chiesa, nondimeno come affamata distendeva l'orazione sua a tutto quanto il mondo, sì come egli stesso la faceva adimandare gridando: - Misericordia, Dio eterno, verso le tue pecorelle, sì come pastore buono che tu se' (Jn 10,11 Jn 10,16). Non indugiare a fare misericordia al mondo, però che già quasi pare che elli non possa più, perché al tutto pare privato dell'unione della carità verso di te, Verità eterna, e verso di loro medesimi, cioè di non amarsi insieme d'amore fondato in te. § 7 , 404ss.) -


Caterina, Dialogo 10