Caterina, Dialogo 79

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CAPITOLO LXXIX.

Dicevo che a costoro l'è tolto che il sentimento non perdono mai. Ma in un altro modo mi parto, perché l'anima che è legata nel corpo non è sufficiente a ricevere continuamente l'unione che Io fo nell'anima, e perché non è sufficiente mi sottraggo, non per sentimento né per grazia, ma per unione. Per che, levatesi l'anime con ansietato desiderio, corse con virtù per lo ponte della dottrina di Cristo crocifisso, giongono alla porta levando la mente loro in me: passate e inebriate di sangue, arse di fuoco d'amore, gustano in me la deità eterna, el quale è a loro uno mare pacifico dove l'anima à fatta tanta unione, che veruno movimento quella mente non à, altro che in me. Ed essendo mortale gusta il bene degli immortali, ed essendo col peso del corpo riceve la leggerezza dello spirito. Unde spesse volte il corpo è levato dalla terra per la perfetta unione che l'anima à fatta in me, quasi come il corpo grave diventasse leggiero.

Non è però che gli sia tolta la gravezza sua, ma perché l'unione che l'anima à fatta in me è più perfetta che non è l'unione che è tra l'anima e'l corpo; e però la forza dello spirito unita in me leva da terra la gravezza del corpo, e'l corpo sta come immobile tutto stracciato (OrazXXVI30ss.) dall'affetto dell'anima, in tanto che, sì come ti ricorda d'alcune creature d'avere udito, non sarebbe possibile di vivere se la mia bontà no'l cerchiasse di fortezza. (Let 371) Unde Io voglio che tu sappi che maggiore miracolo è a (70v) vedere che l'anima non si parta dal corpo in questa unione, che vedere molti corpi morti risuscitati. E però Io per alcuno spazio sottraggo l'unione, facendola tornare al vasello del corpo suo; ciò è che 'l sentimento del corpo, il quale era tutto alienato per l'affetto dell'anima, torna al sentimento suo. Però che non è che l'anima si parta dal corpo, ché ella non si parte se non col mezzo della morte, ma partonsi le potenzie e l'affetto de l'anima per amore unito in me.

Unde la memoria non si truova piena d'altro che di me; lo 'ntelletto è levato specolandosi nell'obietto della mia Verità; l'affetto, che va dietro all'intelletto, ama e uniscesi in quello che l'occhio de l'intelletto vide.

Congregate e unite tutte insieme queste potenzie, ed ammerse e affocate in me, il corpo perde il sentimento; ché l'occhio vedendo non vede, l'orecchio udendo non ode, la lingua parlando non parla - se non come alcuna volta per l'abbondanzia del cuore, permettarò che 'l membro della lingua parli per isfogamento del cuore e per gloria e loda del nome mio, sì che parlando non parla - la mano toccando non tocca, i piei andando non vanno: tutte le membra sono legate e occupate dal legame e sentimento dell'amore. Per lo quale legame sonosi sottoposti alla ragione e uniti con l'affetto dell'anima; ché, quasi contra sua natura, a una voce tutte gridano a me, Padre eterno, di volere essere separate dall'anima, e l'anima dal corpo. E però grida dinanzi a me, col glorioso Paulo: «O disaventurato a me, chi mi dissolverebbe dal corpo mio? perché io ò una legge perversa che impugna contra lo spirito». (Rm 7,23-24) Non tanto diceva Paulo della impugnazione che fa il sentimento sensitivo contra lo spirito, ché per la parola mia era quasi certificato quando gli fu detto: «Paulo, bastiti la grazia mia». (2Co 12,9) Ma perché el diceva? Perché sentendosi Paulo legato nel vasello del corpo, il quale gl'impediva per spazio di tempo la visione mia, cioè infino all'ora della morte, l'occhio era legato a non potere vedere me, Trinità eterna, nella visione de' beati immortali che sempre rendono gloria e loda al nome mio, ma trovavasi tra' mortali che sempre m'offendono, privato della mia visione, cioè di vedermi nella essenzia mia.

Non che egli e gli altri servi miei non mi veggano e (71r) gustino, non in essenzia ma in affetto di carità, in diversi modi, secondo che piace alla bontà mia di manifestare me medesimo a voi, ma ogni vedere che l'anima riceve mentre che è nel corpo mortale è una tenebre a rispetto del vedere che à l'anima separata dal corpo. Sì che pareva a Paulo che'l sentimento del vedere impugnasse al vedere dello spirito, cioè che 'l sentimento umano della grossezza del corpo impedisse l'occhio de l'intelletto che non el lassava vedere me a faccia a faccia. La voluntà gli pareva che fosse legata a non potere tanto amare quanto desiderava d'amare, perché ogni amore in questa vita è imperfetto infino che giogne alla sua perfezione.

Non che l'amore di Paulo e degli altri veri servi miei fosse imperfetto a grazia e a perfezione di carità, ché egli era perfetto, ma imperfetto era perché non aveva sazietà nel suo amore, unde era con pena. Che se fosse stato pieno il desiderio di quello che egli amava, non avrebbe avuto pena. Ma perché l'amore, mentre che è nel corpo mortale, non à perfettamente quel che egli ama, però à pena.

Ma separata l'anima dal corpo à pieno el desiderio suo, e però ama senza pena. è saziata, e di longa è el fastidio dalla sazietà; essendo saziata à fame, e di longa è la pena da la fame, perché separata l'anima dal corpo è ripieno il vasello suo in me in verità, fermato e stabilito che non può desiderare cosa che non abbi.

Desiderando di vedere me egli mi vede a faccia a faccia; desiderando di vedere la gloria e loda del nome mio nei santi miei egli la vede, sì nella natura angelica e sì nella natura umana. E tanto è perfetto il suo vedere che non tanto nei cittadini che sono a vita eterna, ma eziandio nelle creature mortali vede la gloria e loda del nome mio; ché, voglia il mondo o no, egli mi rende gloria.



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CAPITOLO LXXX.

Vero è che non me la rende per lo modo che debbe, amando me sopra ogni cosa. Ma dalla parte mia Io traggo di loro gloria e loda al nome mio, cioè che in loro riluce la misericordia mia e l'abbondanzia della mia carità, ché lo' presto il tempo, e non comando alla terra che gl'inghiottisca per li difetti loro, anco gli aspetto, e alla terra comando che lo' doni de' frutti suoi, al sole che gli scaldi e dialo' la (71v) luce e'l caldo suo, al cielo che si muova; e in tutte quante le cose create fatte per loro Io uso la mia misericordia e carità, non sottraendole per li difetti loro, anco le do al peccatore come al giusto. (Mt 5,45) E spesse volte più al peccatore che al giusto, però che il giusto, che è atto a portare, el privarò del bene della terra per dargli più abondantemente del bene del cielo. Sì che la misericordia e carità mia rilucono sopra di loro.

Alcuna volta nelle persecuzioni che i servi del mondo faranno ai servi miei, provando in loro la virtù della pazienzia e della carità, offerendo, il servo mio che sostiene, umili e continue orazioni, me ne torna gloria e loda al nome mio. Sì che, voglia quello iniquo o no, me ne torna gloria; poniamo che'l suo rispetto non fosse però ma per farmi vitoperio.



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CAPITOLO LXXXI.

Questi stanno in questa vita ad augmentare la virtù nei servi miei, sì come le dimonia stanno nel inferno sì come miei giustizieri e miei augmentatori cioè facendo giustizia dei dannati, e augmentatori alle mie creature che sono viandanti e peregrini in questa vita, fatti per giognere a me, termine loro. Egli gli augmentono, esercitandoli in virtù con molte molestie e tentazioni in diversi modi: facendo fare ingiuria l'uno all'altro, e tollere le cose l'uno dell'altro, non solamente per le cose o per la ingiuria, ma per privargli della carità. Credendone privare i servi miei essi gli fortificano, provando in loro la virtù della pazienzia fortezza e perseveranzia.

Per questo modo rendono gloria e loda al nome mio, e così s'adempie la mia verità in loro, che gli creai per gloria e loda di me, Padre eterno, e perché participassero la bellezza mia. Ma ribellando a me per la superbia loro, caddero e furono privati della mia visione. Non mi rendono gloria in dilezione d'amore, ma Io, Verità eterna, gli ò messi per strumento ad esercitare i servi miei nella virtù, e come giustizieri di coloro che per li loro difetti vanno all'eterna dannazione, e sì di coloro che vanno alle pene del purgatorio.

Sì che vedi che la verità mia è adempita in loro, ciò è che mi rendono gloria, non come cittadini di vita eterna, però che ne sono privati per li loro difetti, ma come miei giustizieri, manifestando per loro la giustizia (72r) mia sopra dannati e sopra quegli del purgatorio.



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CAPITOLO LXXXII.

Questo chi el vede e gusta, che in ogni cosa creata e nelle dimonia e nelle creature che ànno in loro ragione si vegga la gloria e loda del nome mio? L'anima che è dinudata dal corpo e gionta a me, fine suo, vede schiettamente, e nel suo vedere cognosce la verità. Vedendo me, Padre eterno, ama; amando è saziato; saziato cognosce la verità; cognoscendo la verità è fermata la voluntà sua nella voluntà mia, e fermata e stabilita per modo che in niuna cosa può sostenere pena, perché egli à quello che desiderava d'avere prima: di vedere me e di vedere la gloria e loda del nome mio. Egli la vede a pieno in verità nei santi miei e negli spiriti beati e in tutte l'altre creature e nelle dimonia, come detto t'ò.

E poniamo che anco vegga l'offesa che è fatta a me, della quale in prima aveva dolore, ora non ne può avere dolore ma compassione senza pena, amando li peccatori e pregando me con affetto di carità che Io facci misericordia al mondo. è terminata in loro la pena ma non la carità, sì come al Verbo del mio Figliuolo in su la croce: nella penosa morte terminò la pena del crociato desiderio che egli aveva portato dal principio che Io il mandai nel mondo infino all'ultimo della morte per la vostra salute; non terminò il desiderio della salute vostra, ma la pena. (OrazXI126ss.; Let 16; Let 242) Che se l'affetto della mia carità, la quale per mezzo di lui vi dimostrai, fosse allora terminata e finita in voi, voi non sareste, perché siete fatti per amore, e se l'amore fosse ritratto a me, che Io non amasse l'essere vostro, voi non sareste. Ma l'amore mio vi creò, e l'amore mio vi conserva. E perché Io so' una cosa con la mia Verità, Verbo incarnato ed egli con meco, finì la pena del desiderio ma non l'amore del desiderio.

Vedi adunque che i santi, e ogni anima che è a vita eterna, ànno desiderio della salute dell'anime sanza pena, perché la pena terminò nella morte loro, ma non l'affetto della carità. Anco, come ebbri nel sangue dello immaculato Agnello, vestiti della carità del prossimo, passarono per la porta stretta, bagnati nel sangue di Cristo crocifisso, e trovaronsi in me, mare pacifico, levati dalla imperfezione, cioè dalla insazietà, e gionti alla perfezione, saziati d'ogni bene.



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CAPITOLO LXXXIII.

Perché Paulo adunque l'aveva veduto e gustato quando Io il trassi al terzo cielo, (2Co 12,2) cioè nell'altezza della Trinità, gustando e cognoscendo la Verità mia, dove egli ricevette lo Spirito santo a pieno e imparò la dottrina della mia Verità, Verbo incarnato, vestitasi (72v) l'anima di Paulo per sentimento e unione di me, Padre eterno - come i beati della vita durabile, eccetto che l'anima non era uscita del corpo, ma per sentimento e unione - ma piacendo alla mia bontà di farlo vasello d'elezione nell'abisso di me, Trinità eterna, lo spogliai di me, perché in me non cade pena ed Io volevo che sostenesse per lo nome mio. Puosigli per obietto dinanzi all'occhio de l'intelletto suo Cristo crocifisso, vestendogli il vestimento della dottrina sua, legato e incatenato con la clemenzia dello Spirito santo, fuoco di carità. (Oraz XXIII 39ss.) Egli, come vasello disposto, riformato dalla bontà mia, perché non fece resistenzia quando fu percosso, anco disse: «Signore mio, che vuogli tu ch'io faccia? Dimmi quello che tu vuogli ch'io faccia, e io el farò»; (Ac 9,5) Io gliel'insegnai quando gli posi Cristo crucifisso dinanzi all'occhio suo, vestendolo della dottrina della mia Verità. Illuminato perfettissimamente col lume della vera contrizione fondata nella mia carità, con la quale spense il difetto suo, si vestì della dottrina di Cristo crocifisso. E strinselo per sì fatto modo, sì come egli ti manifestò, che giamai non gli fu tratto di dosso, né per tentazione di dimonia, né per stimolo della carne che spesse volte lo impugnava, (2Co 12,7) lassato a lui dalla mia Bontà per crescerlo in grazia e in merito e per umiliazione, perché egli aveva gustata l'altezza della Trinità. Né per tribolazioni, né per veruna cosa che gli adivenisse allentava il vestimento di Cristo crocifisso, cioè la perseveranzia nella dottrina sua, anco più strettamente se lo incarnava. E tanto se lo strinse che egli ne dié la vita e con esso vestimento ritornò a me, Dio eterno.

Sì che Paulo aveva gustato che cosa è a gustare me sanza la gravezza del corpo, facendoglili Io gustare per sentimento d'unione ma non per separazione.

Adunque, poi che fu ritornato a sé, vestito di Cristo crocifisso, parevagli che alla perfezione de l'amore che in me aveva gustata e veduta, e che i santi gustano separati dal corpo, gli pareva il suo imperfetto. E però gli pareva che la gravezza del corpo gli ribellasse, cioè che gl'impedisse la grande perfezione della sazietà del desiderio che riceve l'anima dopo la morte. La memoria gli pareva imperfetta e debile, come ella è, la quale imperfezione gl'impediva di potere ritenere ed essere capace e ricevere e (73r) gustare me in verità con quella perfezione che mi ricevono i santi. E però gli pareva che ogni cosa, mentre che fosse nel corpo suo, gli fosse una legge perversa che impugnasse e ribellasse contra lo spirito; non d'impugnazione di peccato - ché già ti dissi che Io il certificai dicendo: «Paulo, bastiti la grazia mia» (2Co 12,9) - ma d'impugnazione d'impedire che faceva alla perfezione dello spirito, cioè di vedere me nella essenzia mia.

Il quale vedere era impedito dalla legge e gravezza del corpo, e però gridava: «Disanventurato uomo, chi mi dissolverebbe dal corpo mio? ché io ò una legge perversa, legata nelle membra mie, che impugna contra lo spirito». (Rm 7,23-24) E così è la verità: ché la memoria è impugnata dalla imperfezione corporale; lo 'ntelletto è impedito e legato, per questa grossezza del corpo, di non vedere me come Io so' nell'essenzia mia; e la voluntà è legata, che non può giugnere col peso del corpo a gustare me, me Dio eterno, senza pena, come detto t'ò. Sì che Pauolo diceva la verità, che egli aveva legata una legge nel corpo che impugnava contra lo spirito.

E così questi miei servi, dei quali Io ti dicevo che erano giunti al terzo e al quarto stato della perfetta unione che fanno in me, gridano con lui volendo essere sciolti e separati dal corpo.



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CAPITOLO LXXXIV.

Questi non sentono malagevolezza della morte perché n'ànno desiderio, e con odio perfetto ànno fatto guerra col corpo loro; unde ànno perduta la tenerezza che naturalmente è tra l'anima e 'l corpo, dato el botto a l'amore naturale con odio della vita del corpo loro e amore di me. Questi desidera la morte, e però dice: «Chi mi dissolverebbe dal corpo mio? Io desidero d'essere disciolto dal corpo ed essere con Cristo». (Ph 1,23) E questi cotali col medesimo Pauolo dicono: «La morte m'è in desiderio e la vita in pazienzia». Perché l'anima levata in questa perfetta unione desidera di vedere me e di vedermi rendere gloria e loda, tornando poi alla nuvila del corpo suo, tornando, dico, il sentimento nel corpo, il quale sentimento era tratto in me per affetto d'amore - sì come Io ti dissi che tutti i sentimenti del corpo erano tratti, per la forza dell'affetto dell'anima, unita in me più perfettamente che non è l'unione che è tra l'anima e 'l corpo - traendo a me questa unione, perché già ti dissi che il corpo non era sufficiente a portare la (73v) continua unione, e però Io mi parto per unione ma non per grazia né per sentimento, sì come nel secondo e nel terzo stato ti feci menzione, e sempre torno con più accrescimento di grazia e più perfetta unione. Unde sempre di nuovo e con più altezza della mia verità torno, e con più cognoscimento nell'anima, manifestando me medesimo a loro. E quando Io mi parto per lo modo detto, perché il corpo torni un poco al sentimento suo, il quale sentimento era partito per l'unione che Io aveva fatta nell'anima e l'anima in me, tornando a sé, al sentimento del corpo, è impaziente nel vivere vedendosi levata da l'unione di me, levandosi dalla conversazione degli immortali che rendono gloria a me e trovarsi con la conversazione de' mortali, vedendo offendere me tanto miserabilemente.

Questo è il crociato desiderio che eglino portano vedendomi offendere dalle mie creature. Per questo e per desiderio di vedermi l'è incomportabile la vita loro. E nondimeno, perché la volontà loro non è loro, anco è fatta una cosa con meco per affetto d'amore, non possono volere né desiderare altro che quello che Io voglio. Desiderando il venire, sono contenti del rimanere se Io voglio che rimanghino, con loro pena, per più gloria e loda del nome mio e salute de l'anime.

Sì che in niuna cosa si scordano dalla mia volontà, ma corrono con spasimato desiderio, vestiti di Cristo crocifisso, tenendo per lo ponte della dottrina sua, gloriandosi degli obrobri e pene sue. Tanto si dilettano quanto si veggono sostenere; anco il sostenere le molte tribolazioni l'è uno refrigerio nel desiderio della morte che spesse volte, per desiderio e voluntà del sostenere, mitiga la pena che essi ànno del desiderio d'essere sciolti dal corpo.

Costoro non tanto che portino con pazienzia come nel terzo stato, ma essi si gloriano, nelle molte tribolazioni, portare per lo nome mio. Portando ànno diletto e non portando ànno pena, temendo che il loro bene adoperare Io no'l voglia remunerare in questa vita, o che non sia piacevole a me il sacrificio de' loro desideri; ma sostenendo, permettendolo' Io le molte tribolazioni, essi si rallegrano vedendosi vestire delle pene e obrobri di Cristo crocifisso. Unde, se lo' fosse possibile d'avere virtù (74r) senza fadiga, non la vorrebbono, ché più tosto si vogliono dilettare in croce con Cristo e con pena acquistare le virtù, che per altro modo avere vita eterna.

E perché? Perché sono affogati e annegati nel sangue dove truovano l'affocata mia carità; la quale carità è uno fuoco che procede da me, il quale rapisce il cuore e la mente loro, accettando il sacrificio de' loro desideri. Unde si leva l'occhio de l'intelletto specolandosi nella mia Deità, dove l'affetto si nutrica e s'unisce tenendo dietro all'intelletto. Questo è uno vedere per grazia infusa che Io do nell'anima che in verità ama e serve me.



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CAPITOLO LXXXV.

Con questo lume, il quale è posto ne l'occhio de l'intelletto, mi vide Tomaso, unde acquistò il lume della molta scienzia. Agustino, Jeronimo e gli altri dottori santi miei, alluminati dalla mia Verità, intendevano e cognoscevano nelle tenebre la mia verità, cioè che la santa scrittura, la quale pareva tenebrosa perché non era intesa - non per difetto della scrittura, ma dello 'ntenditore che non intendeva - e però Io mandai queste lucerne ad illuminare gli accecati e grossi intendimenti.

Levavano questi l'occhio de l'intelletto per cognoscere la verità nelle tenebre, come detto è; e Io, fuoco, accettatore del sacrifizio loro, gli rapivo (1R 18,38) dandolo' lume, non per natura ma sopra ogni natura, e nella tenebre ricevevano il lume cognoscendo la verità per questo modo. Unde quella che allora appariva tenebrosa appare ora con perfettissimo lume a' grossi ed a' sottili: di qualunque maniera di gente si sia, ogni uno riceve secondo la sua capacità e secondo che esso si vuole disponere a cognoscere me, perché Io non spregio le loro disposizioni.

Sì che vedi che l'occhio de l'intelletto à ricevuto lume infuso per grazia sopra del lume naturale, nel quale i dottori e gli altri santi cognobbero la luce nelle tenebre, e di tenebre si fece luce; però che l'intelletto fu prima che fosse formata la scrittura, unde dall'intelletto venne la scienzia, perché nel vedere discerse.

Per questo modo discersero e viddero i santi padri e profeti che profetavano de l'avvenimento e morte del mio Figliuolo. Per questo modo l'ebbero gli apostoli dopo l'avenimento dello Spirito santo (74v), che lo' donò questo lume sopra il lume naturale. Questo ebbero gli evangelisti, dottori, confessori, vergini e martiri; e tutti sono stati alluminati da questo perfetto lume. Ogni uno l'à avuto in diversi modi, secondo la necessità della salute sua e delle creature, e a dichiarazione della scrittura santa; sì come fecero i santi dottori nella scienzia, dichiarando la dottrina della mia Verità; la predicazione degli apostoli; le disposizioni sopra a' vangeli degli evangelisti; e martiri, dichiarando nel sangue loro il lume della santissima fede e'l frutto e'l tesoro del sangue dell'Agnello; le vergini, nell'affetto della carità e nella purità e obedienzia, dichiarata l'obedienzia del Verbo, cioè mostrando la perfezione dell'obedienzia la quale riluce nella mia Verità che, per l'obedienzia che Io gli posi, corse alla obrobriosa morte della croce.

Tutto questo lume che si vede nel vecchio e nel nuovo testamento - nel vecchio, dico, le profezie de' santi profeti - fu veduto e cognosciuto dall'occhio de l'intelletto col lume infuso per grazia da me sopra al lume naturale, come detto t'ò.

Nel nuovo testamento, della vita evangelica, con che è dichiarata a' fedeli cristiani? Con questo medesimo lume. E perché ella procedeva da uno medesimo lume, non ruppe la legge nuova la legge vecchia, anco si legò insieme; ma tolsele la imperfezione, perché ella era fondata solo in timore.

Venendo el Verbo dell'unigenito mio Figliuolo con la legge dell'amore, la compì dandole l'amore, levando il timore della pena e rimanendo il timore santo. E però disse la mia Verità a' discepoli per dimostrare che egli non era rompitore della legge: «Io non so' venuto a dissolvere la legge, ma adempirla», (Mt 5,17) quasi dicesse la mia Verità a loro: la legge è ora imperfetta ma col sangue mio la farò perfetta, e così la riempirò di quello che ora le manca, tollendo via il timore della pena e fondandola in amore e in timore santo.

Chi la dichiarò che questa fosse la verità? Il lume che fu dato per grazia ed è dato a chi lo vuole ricevere sopra al lume naturale, come detto è. Sì che ogni lume che esce della santa scrittura è uscito ed esce da questo lume (75v). E però gl'ignoranti superbi scienziati acciecano nel lume, perché la superbia e la nuvila dell'amore proprio à ricuperta e tolta questa luce, e però intendono più la scrittura litteralmente che con intendimento; unde ne gustano solo la lettera rivollendo molti libri, e non gustano il mirollo della scrittura perché s'ànno tolto il lume con che è dichiarata e formata la scrittura. Unde questi cotali si meravigliano e cadranno nella mormorazione, vedendo molti grossi e idioti nel sapere la santa scrittura, e nondimeno sono tanto alluminati in cognoscere la verità come se lungo tempo l'avessero studiata. Questo non è maraviglia niuna, perché egli ànno la principale cagione del lume unde venne la scienzia. Ma perché essi superbi ànno perduto il lume, non veggono né cognoscono la bontà mia né il lume della grazia infusa nei servi miei.

Unde Io ti dico che molto meglio è ad andare per consiglio della salute dell'anima a uno idioto umile con santa e diritta conscienzia, che a uno superbo letterato studiante nella molta scienzia, perché colui non porge se non di quello che egli à in sé, unde per la tenebrosa vita, spesse volte il lume della santa scrittura porgerà in tenebre. Il contrario trovarà nei servi miei, ché il lume che essi ànno in loro, quello porgono alla creatura con fame e desiderio della salute sua.

Questo t'ò detto, dolcissima figliuola mia, per farti cognoscere la perfezione di questo stato unitivo dov'è l'occhio de l'intelletto rapito dal fuoco della mia carità, nella quale carità ricevono il lume sopranaturale.

Con esso lume amano me, perché l'amore va dietro all'intelletto, e quanto più cognosce più ama, e quanto più ama più cognosce. Così l'uno nutrica l'altro. Con questo lume giungono all'eterna mia visione dove veggono e gustano me in verità, separata l'anima dal corpo, sì come Io ti dissi quando ti contai della beatitudine che l'anima riceve in me. § 41 Questo è quello stato eccellentissimo che, essendo anco mortale, gusta tra gli immortali. Unde spesse volte viene a tanta unione, che appena che sappi se egli è nel corpo o fuore del corpo (75v), e gusta l'arra di vita eterna, sì per l'unione che ha fatta in me, e sì perché la voluntà è morta in sé, per la qual morte fece unione in me, ché in altro modo perfettamente non la poteva fare.

Adunque gustano vita eterna, privati dello 'nferno della propria voluntà, la quale dà una arra d'inferno a l'uomo che vive alla voluntà sensitiva come Io ti dissi. § 47 ,1188ss.)

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CAPITOLO LXXXVI.

Ora ài veduto con l'occhio de l'intelletto tuo e ài udito con l'orecchio del sentimento da me, Verità eterna, che modo ti conviene a tenere a fare utilità a te e al prossimo tuo di dottrina, e di cognoscere la mia verità; sì come nel principio ti dissi che al cognoscimento della verità si viene per lo cognoscimento di te: non puro cognoscimento di te, ma condito e unito col cognoscimento di me in te. Unde ài trovato umilità, odio e dispiacimento di te, e il fuoco della mia carità, per lo cognoscimento che trovasti di me in te; unde venisti ad amore e dilezione del prossimo facendo a lui utilità di dottrina e di santa e onesta vita.

Anco t'ò mostrato il ponte come egli sta, e òtti mostrati i tre scaloni generali posti per le tre potenzie dell'anima; e come niuno può avere la vita della grazia se non gli sale tutti e tre, cioè che sieno congregate nel nome mio. E anco te gli ò manifestati in particulare per li tre stati dell'anima, figurati nel corpo de l'unigenito mio Figliuolo, del quale ti dissi che egli aveva fatto scala del corpo suo, mostrandolo ne' piei confitti e nella apritura del lato, e nella bocca dove l'anima gusta la pace e la quiete per lo modo che detto è.

Òtti mostrata la imperfezione del timore servile e la imperfezione dell'amore, amando me per dolcezza; e la perfezione del terzo stato di coloro che sono gionti alla pace della bocca, essendo corsi con ansietato desiderio per lo ponte di Cristo crocifisso, salendo i tre scaloni generali, cioè d'avere congregate le tre potenzie dell'anima dove congrega tutte le sue operazioni nel nome mio, sì come di sopra ti spianai più chiaramente; e de' tre scaloni particulari i quali à saliti passato dallo stato imperfetto al perfetto, e così gli ài veduti corrire in verità; e fattoti (76r) gustare la perfezione dell'anima con l'adornamento delle virtù e gl'inganni che riceve prima che giunga alla sua perfezione se essa non esercita il tempo suo nel cognoscimento di sé e di me.

Anco t'ò dichiarata la miseria di coloro che vanno annegandosi per lo fiume, non tenendo per lo ponte della dottrina della mia Verità, il quale Io vi posi perché voi non annegaste; ma essi come matti sono voluti annegare nelle miserie e puzze del mondo.

Tutto questo t'ò dichiarato per farti crescere il fuoco del santo desiderio e la compassione e dolore della dannazione dell'anime, acciò che'l dolore e l'amore ti costringa a strignere me con lagrime e sudori; lagrime, dico, de la umile e continua orazione offerta a me con fuoco d'ardentissimo desiderio. E non solamente in te, ma per molte altre creature e servi miei che udendolo saranno costretti dalla mia carità, così, insiememente tu e gli altri servi miei, di pregare e strignere me a fare misericordia al mondo e al corpo mistico della santa Chiesa per lo quale tu tanto mi preghi.

Perché già ti dissi, § 15 ,207) se bene ti ricorda, che Io adempirei i desideri vostri dandovi refrigerio nelle vostre fadighe, cioè satisfacendo a' penosi vostri desideri, donando la reformazione della santa Chiesa di buoni e santi pastori: non con guerra, come Io ti dissi, né con coltello e crudeltà; ma con pace e quiete, lagrime e sudori dei servi miei. I quali v'ò messi come lavoratori dell'anime vostre e di quella del prossimo, e nel corpo mistico della santa Chiesa: in voi, lavorare in virtù; nel prossimo e nella santa Chiesa in esemplo e in dottrina, e continua orazione offerire a me per essa e per ogni creatura, parturendo le virtù sopra del prossimo vostro per lo modo che detto t'ò. Perché già ti dissi che ogni virtù e difetto si faceva e aumentava sopra del prossimo e però voglio che faciate utilità al prossimo vostro, e per questo modo darete dei frutti de la vigna vostra.

Non vi ristate di gittarmi incenso d'odorifere orazioni per la salute dell'anime, però che Io voglio fare misericordia al mondo, e con esse orazioni sudori e lagrime lavare la faccia della sposa mia, cioè della santa Chiesa, perché già te la mostrai in forma d'una donzella, lordata tutta la faccia (76v) sua quasi come lebrosa. § 14 ,8ss.) Questo era per li difetti de' ministri, e di tutta la religione cristiana, che al petto di questa sposa si nutricano. De' quali difetti Io in un altro luogo ti narrerò. § 121 -CXXX)

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CAPITOLO LXXXVII.

Allora quella anima ansietata di grandissimo desiderio, levandosi come ebbra, sì per l'unione che era fatta in Dio e sì per quello che aveva udito e gustato dalla prima dolce Verità, e ansietata di dolore della ignoranzia delle creature di non cognoscere il loro benefattore e l'affetto della carità di Dio - e nondimeno aveva una allegrezza di speranza della promessa che la Verità di Dio aveva fatta a lei, insegnandole il modo che ella e gli altri servi di Dio dovessino tenere per volere che egli facci misericordia al mondo - levando l'occhio dell'intelletto nella dolce Verità dove stava unita, volendo alcuna cosa sapere sopra i detti stati dell'anima che Dio aveva a lei narrati, vedendo che l'anima passa agli stati con lagrime, e però voleva sapere dalla Verità la differenzia delle lagrime, e come erano fatte, e unde procedevano le dette lagrime, e di quante fossino ragioni di lagrime. Perché la verità non si può cognoscere altro che da essa Verità, però dimandava la Verità. E nulla cosa si cognosce nella Verità che non si vegga con l'occhio de l'intelletto, ma è di bisogno a chi vuole cognoscere che si levi con desiderio di volere cognoscere, col lume della fede, nella Verità, uprendo l'occhio dell'intelletto con la pupilla della fede nell'obietto della verità.

Poi che ebbe cognosciuto, perché non l'era uscito di mente la dottrina che le dié la Verità, cioè Dio, che per altra via non poteva sapere quello che desiderava degli stati e frutti delle lagrime, levò sé sopra di sé con grandissimo desiderio oltre ad ogni modo, e col lume della fede viva apriva l'occhio de l'intelletto suo nella Verità eterna, nella quale vide e cognobbe la verità di quello che adimandava. Manifestandole Dio se medesimo, cioè la benignità (77r) sua, e conscendendo all'affocato desiderio di quell'anima, adempiva la sua petizione.



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CAPITOLO LXXXVIII.

Allora diceva la Verità prima dolce di Dio.

- O dilettissima e carissima figliuola, tu m'adimandi di volere sapere delle ragioni delle lagrime e dei frutti loro, ed Io non ò dispregiato il desiderio tuo. Apre bene l'occhio dell'intelletto e mostrarotti, per li detti stati dell'anima che contati t'ò, le lagrime imperfette fondate nel timore.

E prima, delle lagrime degli iniqui uomini del mondo. Queste sono lagrime di dannazione.

Le seconde sono quelle del timore, di coloro che si levano dal peccato per timore della pena, e per timore piangono.

Le terze sono di coloro che, levati dal peccato, cominciano a gustare me, e con dolcezza piangono e comincianmi a servire; ma perché è imperfetto l'amore è imperfetto il pianto, sì come Io ti narrarò.

Il quarto stato è di coloro che giunti sono a perfezione nella carità del prossimo, amando me senza veruno rispetto di sé. Costoro piangono e il pianto loro è perfetto.

Il quinto, che è unito col quarto, sono lagrime di dolcezza gittate con grande suavità, sì come di sotto distesamente ti dirò.

Anco ti narrarò delle lagrime del fuoco, sanza lagrima d'occhio, per satisfare a coloro che spesse volte desiderano il pianto e no 'l possono avere. E voglio che tu sappi che tutti questi diversi stati possono essere in una anima, levandosi dal timore e da l'amore imperfetto, e giugnendo alla carità perfetta e all'unitivo stato. Ora ti comincio a narrare delle dette lagrime per questo modo.




Caterina, Dialogo 79