Caterina, Dialogo 95

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CAPITOLO XCV.

Ora ti resto a dire de' frutti che ricevono coloro che si cominciano a levare dalla colpa per timore della pena, ad acquistare la grazia. Alquanti sono che escono della morte del peccato mortale per timore della pena: questo è il generale chiamare, come detto t'ò.

Che frutto riceve questo? Che comincia a votare la casa dell'anima sua della immundizia, mandando il libero arbitrio il messo del timore della pena. Poi che egli à purificata l'anima della colpa, ricevene pace di coscienzia, comincia a disponere l'affetto dell'anima e aprire l'occhio dello 'ntelletto a vedere il luogo (86r) suo, ché prima che fosse votio no 'l vedeva né altro che puzza di molti e diversi peccati; comincia a ricevere consolazioni, perché il vermine della coscienzia sta in pace, quasi aspettando di prendere il cibo della virtù. Sì come fa l'uomo che, poi che à sanato lo stomaco e trattone fuore i gattivi omori, dirizza l'appetito a prendere il cibo, così questi cotali aspettano pure che la mano del libero arbitrio con l'amore del cibo delle virtù gli apparecchi, perché dopo l'apparecchiare aspetta di mangiare.

E così è veramente, che l'anima esercitando il primo timore, votiato de' peccati l'affetto suo, ne riceve il secondo frutto, cioè il secondo stato delle lagrime dove l'anima per affetto d'amore comincia a fornire la casa di virtù. Ben che imperfetta sia ancora, poniamo che sia levata dal timore, riceve consolazione e diletto perché l'amore dell'anima sua à ricevuto diletto dalla mia Verità, che so' esso amore, e per lo diletto e consolazione che truova in me comincia ad amare molto dolcemente, sentendo la dolcezza della consolazione mia, o dalle creature per me.

Esercitando l'amore nella casa dell'anima sua che è intrato dentro poi che il timore l'ebbe purificata, comincia a ricevere i frutti della divina mia bontà unde ebbe la casa dell'anima sua. Poi che egli è intrato l'amore a possedere, comincia a gustare ricevendo molti e diversi frutti di consolazione; nell'ultimo perseverando riceve frutto di ponere la mensa: cioè, poi che l'anima è trapassata dal timore all'amore delle virtù, si pone alla mensa sua.

Gionto alle terze lagrime, egli pone la mensa della santissima croce nel cuore e nell'anima sua. Poi che l'à posta, trovandovi il cibo del dolce e amoroso Verbo - il quale dimostra l'onore di me Padre e la salute vostra, per la quale fu aperto il corpo de l'unigenito mio Figliuolo dandosi a voi in cibo - allora comincia a mangiare l'onore di me e la salute dell'anime, con uno odio e dispiacimento del (86v) peccato.

Che frutto riceve l'anima di questo terzo stato delle lagrime? Dicotelo: riceve una fortezza fondata in odio santo della propria sensualità, con uno frutto piacevole di vera umilità, con una pazienzia che tolle ogni scandalo, e priva l'anima d'ogni pena, perché il coltello dell'odio uccise la propria voluntà, dove sta ogni pena: ché solo la voluntà sensitiva si scandalizza delle ingiurie e delle persecuzioni, e della privazione delle consolazioni spirituali e temporali, come di sopra ti dissi, e così viene ad impazienzia.

Ma perché la voluntà è morta, con lagrimoso e dolce desiderio comincia a gustare il frutto della lagrima della dolce pazienzia.

O frutto di grande suavità, quanto se' dolce a chi ti gusta, e piacevole a me, che stando nell'amaritudine gusta la dolcezza! Nel tempo della ingiuria riceve la pace; nel tempo che se' nel mare tempestoso, che i venti pericolosi percuotono con le grandi onde la navicella dell'anima, tu se' pacifica e tranquilla sanza veruno male, ricoperta la navicella con la dolce volontà di Dio unde ài ricevuto vestimento di vera e ardentissima carità, perché acqua non vi possa intrare.

O dilettissima figliuola, questa pazienzia è reina, posta nella rocca della fortezza. Ella vince e non è mai vinta; ella non è sola, ma è accompagnata con la perseveranzia; ella è il mirollo della carità; ella è colei che manifesta il vestimento d'essa carità se egli è vestimento nuziale o no: se egli è rotto d'imperfezione ella il manifesta, sentendo subito il contrario cioè la impazienzia.

Tutte le virtù si possono alcuna volta occultare e mostrarsi perfette essendo imperfette, eccetto che a te non si possono nascondere; che se questa dolce pazienzia, mirollo della carità, è nell'anima, ella dimostra che tutte le virtù sono vive e perfette; e se (87r) ella non v'è, manifesta che le virtù sono tutte imperfette e non sono gionte ancora alla mensa della santissima croce, dove essa pazienzia fu conceputa nel cognoscimento di sé e nel cognoscimento della mia bontà in sé, e parturita dall'odio santo e unta di vera umilità. A questa pazienzia non è dinegato il cibo de l'onore di me e della salute dell'anime; anco essa è quella che 'l mangia continuamente, e così è la verità. Raguardala, carissima figliuola, ne' dolci e gloriosi martiri che col sostenere mangiavano il cibo dell'anime. La morte loro dava vita: risuscitavano i morti e cacciavano le tenebre dei peccati mortali. Il mondo con tutte le sue grandezze e signori con la loro potenzia non si potevano difendere da loro, per la virtù di questa reina, dolce pazienzia. Questa virtù sta come lucerna posta in sul candelabro. (Mt 5,15 Mc 4,21; § 29 ,296ss.) Questo è il glorioso frutto che dié la lagrima gionta nella carità del prossimo suo, mangiando con lo svenato immaculato Agnello, unigenito mio Figliuolo, con crociato e ansietato desiderio e con pena intollerabile dell'offesa di me, Creatore suo. Non pena affligitiva, ché l'amore con la vera pazienzia uccise ogni timore e amore proprio, che dànno pena; ma pena consolativa, solo dell'offesa mia e danno del prossimo, fondata in carità, la quale pena ingrassa l'anima. Godene in sé perché ella è uno segno dimostrativo che dimostra me essere per grazia nell'anima.



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CAPITOLO XCVI.

Detto t'ò del frutto delle terze lagrime. Seguita il quarto e ultimo stato della lagrima unitiva, il quale non è separato dal terzo, come detto è, ma sono uniti insieme come è la carità mia con quella del prossimo: l'una condisce l'altra. Ma è in tanto cresciuto gionto al quarto, che non tanto che porti con pazienzia, sì come Io ti dissi, ma con allegrezza le desidera; in tanto che spregia ogni recreazione, da qualunque (87v) lato le viene, pure che si possa conformare con la mia Verità, Cristo crocifisso. (Ph 3,8) Questa riceve uno frutto di quiete di mente, una unione fatta per sentimento nella natura mia dolce divina, dove gusta il latte. Sì come il fanciullo che pacificato si riposa al petto della madre, e tenendo in bocca la mammella della madre trae ad sé il latte col mezzo della carne, così l'anima gionta a questo ultimo stato si riposa al petto della divina mia carità, tenendo nella bocca del santo desiderio la carne di Cristo crocifisso, (Let86) cioè seguitando la dottrina e le vestigie sue; perché cognobbe bene nel terzo stato che non gli conveniva andare per me, Padre, perché in me, Padre eterno, non può cadere pena, ma sì nel diletto mio Figliuolo, dolce e amoroso Verbo. E voi non potete andare senza pena, ma col molto sostenere giognerete alle virtù provate. Sì che si pose al petto di Cristo crocifisso, che è essa carità, e così trasse a sé il latte della virtù, nella quale virtù ebbe vita di grazia gustando in sé la natura mia divina che dava dolcezza alle virtù. Così è la verità, che le virtù in loro non erano dolci, ma perché furono fatte e unite in me, amore divino, cioè che l'anima non ebbe veruno rispetto a sua propria utilità,altro che a l'onore di me e salute dell'anime.

Or raguarda, dolce figliuola, quanto è dolce e glorioso questo stato nel quale l'anima à fatta tanta unione al petto della carità, che non si truova la bocca senza il petto né il petto senza il latte. Così questa anima non si truova senza Cristo crociato né senza me, Padre eterno, il quale truova gustando la somma eterna Deità.

O chi vedesse come s'empiono le potenzie di quella anima! La memoria s'empie di continuo ricordamento di me, tratti a sé, per amore, i benefici miei - non tanto l'atto de' benefici, ma l'affetto della mia carità con che Io gli l'ò donati - e singularmente il benefizio della creazione, vedendosi creato alla imagine e similitudine (88r) mia; nel quale benefizio, nel primo stato detto, cognobbe la pena della ingratitudine che ne gli seguitava, e però si levò dalle miserie nel benefizio del sangue di Cristo dove Io il recreai a grazia, lavandovi la faccia dell'anime vostre dalla lebra del peccato, dove l'anima trovò el secondo stato: una dolcezza, gustando la dolcezza dell'amore di me e dispiacere della colpa, nella quale egli vide che tanto era dispiaciuta a me, che Io l'avevo punita sopra al corpo dell'unigenito mio Figliuolo.

Dipo' questo, à trovato l'avenimento dello Spirito santo, el quale dichiarò e dichiara l'anima della verità.

Quando riceve l'anima questo lume? Poi che à cognosciuto, per lo primo e secondo stato, il benefizio mio in sé. Riceve allora lume perfetto, cognoscendo la verità di me, Padre eterno, cioè che per amore l'avevo creato per dargli vita eterna. § 21 ,368ss.) Questa è la verità: òvela manifestata col sangue di Cristo crocifisso. Poi che l'à cognosciuta l'ama, amandola el dimostra amando schiettamente quello ch'Io amo e odiando quello che Io odio. Così si truova nel mezo della carità del prossimo.

Sì che la memoria a questo petto s'empie, passata ogni imperfezione, perché s'è ricordata e tenuti in sé i beneficii miei. L'intelletto à ricevuto el lume: mirando dentro nella memoria cognobbe la verità, e perdendo la cechità dell'amore proprio rimase nel sole de l'obietto di Cristo crocifisso, dove cognobbe Dio e uomo. Oltre a questo cognoscimento, per l'unione che à fatta, si leva a uno lume acquistato, non per natura, sì come Io ti dissi, né per sua propria virtù adoperata ma per grazia data dalla mia dolce Verità, la quale non spregia gli ansietati desideri né fadighe le quali à offerte dinanzi a me. Allora l'affetto che va dietro all'intelletto s'unisce con perfettissimo e ardentissimo amore, e chi dimandasse me: Chi è questa anima? direi: è un altro me, fatta per unione d'amore. § 1 ,35) Quale sarebbe quella lingua (88v) che potesse narrare la eccellenzia di questo ultimo unitivo stato, e i frutti diversi e variati che riceve, essendo piene le tre potenzie dell'anima? Questa è quella congregazione della quale ne' tre scaloni generali ti feci menzione, dichiarata sopra la parola della mia Verità. Non è sufficiente la lingua a poterlo narrare, ma bene ve 'l dimostrano i santi dottori alluminati da questo glorioso lume, che con esso spianavano la santa Scrittura.

Unde avete del glorioso Tomaso d'Aquino che la scienzia sua ebbe più per studio d'orazione ed elevazione di mente e lume d'intelletto, che per studio umano; il quale fu uno lume che Io ò messo nel corpo mistico della santa Chiesa, spegnendo le tenebre de l'errore. § 158 ,543) E se tu ti volli al glorioso Giovanni evangelista, quanto lume egli acquistò sopra al prezioso petto di Cristo, (Jn 13,23) mia Verità! Col quale lume acquistato evangelizò, ine ad cotanto tempo.

E così discorrendo, tutti ve l'ànno manifestato chi per uno modo e chi per un altro. Ma lo intrinseco sentimento, ineffabile dolcezza e perfetta unione, non el potresti narrare con la lingua tua, perché è cosa finita. Questo parbe che volesse dire Paulo dicendo: «Occhio non può vedere, né orecchie udire, né cuore pensare, quanto è il diletto che riceve e il bene che ne l'ultimo è apparecchiato all'anima che in verità mi serve.» (1Co 2,9) O quanto è dolce la mansione, dolce sopra ogni dolcezza, con perfetta unione che l'anima à fatta in me! Ché non c'è in mezo la voluntà dell'anima medesima, perché ella è fatta una cosa con meco. Ella gitta odore per tutto quanto il mondo, frutto di continue e umili orazioni: l'odore del desiderio gridò della salute dell'anime, con voce senza voce umana gridando nel cospetto della divina mia (89r) maiestà.

Questi sono i frutti unitivi che mangia l'anima in questa vita, ne l'ultimo stato acquistato con molte fatighe lagrime e sudori, e così passa con vera perseveranzia dalla vita della grazia di questa unione, che è anco imperfetta, ed è perfetta in grazia. Ma mentre che è legata nel corpo, perché in questa vita non si può saziare di quello che desidera, e anco perché è legata con la perversa legge, la quale s'è addormentata per l'affetto della virtù, ma non è morta e però si può destare se levasse lo strumento della virtù che la fa dormire, e però è detta «imperfetta unione». Ma questa imperfetta unione il conduce a ricevere la perfezione durabile, la quale non gli può essere tolta per veruna cosa che sia, sì come io ti dissi narrandoti de' beati. Ine gusta co' gustatori veri, in me, vita eterna, sommo ed eterno bene che mai non finisco.

Costoro ànno ricevuto vita eterna, in contrario di coloro che ricevettero il frutto del pianto loro, morte eternale. Costoro dal pianto sono gionti all'allegrezza, ricevendo vita sempiterna col frutto della lagrima e con l'affocata carità: gridano e offerano lagrima di fuoco, per lo modo detto di sopra, dinanzi a me per voi.

Compìti t'ò di narrare i gradi delle lagrime e la loro perfezione, e il frutto che riceve l'anima d'esse lagrime: che i perfetti ricevono vita eterna, e gl'iniqui l'eterna dannazione. -

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CAPITOLO XCVII.

Allora quella anima, ansietata di grandissimo desiderio per la dolce dichiarazione e satisfazione che ebbe dalla Verità sopra a' detti stati, diceva come inamorata: Grazia, grazia sia a te, sommo eterno Padre, satisfacitore de' santi desideri e amatore della salute nostra, che per amore ci ài dato l'amore nel tempo che eravamo in guerra con teco, col mezzo de l'unigenito tuo Figliuolo. Per questo abisso dell'affocata tua carità t'adimando di grazia e di misericordia che, acciò che io schiettamente possa venire a te, con lume e non con tenebre (89v) corra per la dottrina della tua Verità, della quale chiaramente m'ài mostrata la verità, acciò che io possa vedere due altri inganni de' quali io temo che non ci sieno o ci possano essere.

Vorrei, Padre eterno, che prima che io uscisse di questi stati, tu me 'l dichiarassi.

L'uno è che se alcuna volta fosse, a me o ad alcuno altro servo tuo, venuto per consiglio di volere servire a te, che dottrina io gli debbo dare; benché di sopra so, dolce Dio eterno, che tu me ne dichiarasti sopra quella parola che tu dicesti: «Io so' colui che mi diletto di poche parole e di molte operazioni». (Mt 7,21) Nondimeno, se piace alla tua bontà ancora toccarne alcuna parola, sarammi di grande piacere.

E anco: se alcuna volta, pregando io per le tue creature e singularmente per li servi tuoi, io trovassi nell'orazione, ne l'uno la mente disposta, parendomelo vedere che esso si goda di te, e l'altro mi paresse che avesse la mente tenebrosa, debbo io, Padre eterno, o posso giudicare l'uno in luce e l'altro in tenebre? O se io vedessi l'uno andare con grande penitenzia e l'altro no, debbo io giudicare che magiore perfezione abbi colui che fa maggiore penitenzia che colui che non la fa? Pregoti, acciò che io non sia ingannata dal mio poco vedere, che tu mi dichiari in particulare quello che m'ài detto in generale.

La seconda cosa si è, della quale io t'adimando che tu mi dichiari meglio, sopra del segno che tu mi dicesti che riceve l'anima quando è visitata nella mente, se egli è da te, Dio eterno, o no. § 71 ,970ss.) Se bene mi ricorda tu mi dicesti, Verità eterna, che la mente rimane con allegrezza e inanimata alla virtù: vorrei sapere se questa allegrezza può essere con inganno della propria passione spirituale; ché, se ci fosse, m'atterrei solamente al segno de la virtù.

Queste sono quelle cose le quali io t'adimando acciò che in verità io possa servire a te e al prossimo mio, e non cadere in veruno falso giudicio verso le tue creature e verso de' servi tuoi, perché mi pare che il giudicio, cioè il giudicare, dilonghi l'anima da te, e però non vorrei cadere in questo inconveniente. - (90r).



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CAPITOLO XCVIII.

Allora Dio etterno, dilettandosi della sete e fame di quella anima e della schiettezza del cuore, e del desiderio suo con che ella dimandava di volerli servire, volse l'occhio della pietà e misericordia sua verso di lei, dicendo: - O dilettissima, o carissima figliuola e sposa mia, leva te sopra di te e apre l'occhio de l'intelletto a vedere me, Bontà infinita, e l'amore ineffabile che Io ò a te e agli altri servi miei. E apre l'orecchia del sentimento del desiderio tuo, però che altrimenti se tu non vedessi non potresti udire: ciò è che l'anima che non vede con l'occhio de l'intelletto suo ne l'obietto della mia Verità, non può udire né cognoscere la mia verità. E però voglio, acciò che meglio la cognosca, che ti levi sopra il sentimento tuo, cioè sopra 'l sensitivo; e Io, che mi diletto della tua dimanda e desiderio, ti satisfarò. Non che diletto possa crescere a me di voi, però che Io so' colui che so' e che fo crescere voi, e non voi me; ma dilettomi, nel mio diletto medesimo, della fattura mia. - Allora quella anima obbedì, levando sé sopra di sé per cognoscere la verità di quello che dimandava.

Allora Dio eterno disse a lei: - Acciò che tu meglio possa intendere quello ch'Io ti dirò, Io mi farò al principio di quello che mi dimandi, sopra tre lumi che escono da me, vero lume.

L'uno è uno lume generale in coloro che sono nella carità comune. Benché detto te l'abbi de l'uno e de l'altro, e molte cose di quelle che Io t'ò dette ti dirò, perché 'l tuo basso intendimento meglio intenda quello che tu vuoli sapere. E due altri lumi sono di coloro che sono levati dal mondo e vogliono la perfezione.

Sopra di questo ti dichiararò di quello che m'ài adimandato, dicendoti più in particulare quello che ti toccai in comune.

Tu sai, sì com'Io ti dissi, § 45 ; Let 64) che senza il lume neuno può andare per la via della verità, cioè senza il lume della ragione. Il quale lume di ragione traete da me, vero lume, con l'occhio de l'intelletto e col lume della fede che Io v' ò dato nel santo battesmo, se voi non ve'l tollete per li vostri difetti. § 51 Nel quale battesmo, mediante e in virtù del sangue de l'unigenito mio Figliuolo, riceveste la forma della fede; la quale fede, esercitata in virtù col lume della ragione - la quale ragione è illuminata da questo lume - vi dà vita e favvi andare per la via della verità. E con esso (90v) giognete a me vero Lume; e senza esso giognereste alla tenebre. (Jn 12,35) Due lumi tratti da questo lume vi sono necessari d'avere, ed anco a' due ti porrò il terzo.

Il primo è che voi tutti siate illuminati in cognoscere le cose transitorie del mondo, le quali passano tutte come il vento. (1Jn 2,17) Ma non le potete ben cognoscere se prima voi non cognoscete la propria vostra fragilità, quanto ella è inchinevole, con una legge perversa che è legata nelle membra vostre, (Rm 7,21) a ribellare a me, vostro Creatore. Non che per questa legge neuno possa essere costretto a commettere uno minimo peccato se egli non vuole, ma bene impugna contra lo spirito. E non diei questa legge perché la mia creatura che à in sé ragione fusse vinta, ma perché ella aumentasse e provasse la virtù ne l'anima, però che la virtù non si può provare se non per lo suo contrario. § 8 La sensualità è contraria allo spirito, e però in essa sensualità pruova l'anima l'amore che à in me, suo Creatore. Quando el pruova? Quando con odio e dispiacimento si leva contra di lei.

E anco le diei questa legge per conservarla nella vera umilità. Unde tu vedi che, creando l'anima a la imagine e similitudine mia, posta in tanta dignità e bellezza, Io l'acompagnai con la più vile cosa che sia dandole la legge perversa, cioè legandola col corpo formato del più vile della terra, acciò che, vedendo la bellezza sua, non levasse il capo per superbia contra di me. Unde il fragile corpo, a chi à questo lume, è cagione di fare umiliare l'anima; e non à alcuna materia d'insuperbire, anco di vera e perfetta umilità. Sì che questa legge non costrigne ad alcuna colpa di peccato per alcuna sua impugnazione, ma è cagione di farvi cognoscere voi medesimi e cognoscere la poca fermezza del mondo.

Questo debba vedere l'occhio de l'intelletto col lume della santissima fede, della quale ti dissi che era la pupilla de l'occhio. Questo è quello lume necessario, che generalmente è necessario di bisogno a ogni creatura che à in sé ragione a volere partecipare la vita della grazia, in qualunque stato si sia, se vuole participare il frutto del sangue dello immaculato Agnello. Questo è il lume comune, ciò è che comunemente ogni persona il debba avere, come detto è; e chi non l'avesse starebbe in stato di dannazione. E questa è la ragione che essi non sono in stato di grazia non avendo il lume, però che chi non à il lume (91r) non cognosce il male della colpa e chi n'è cagione, e però non può schifare né odiare la cagione sua. E così chi non cognosce il bene e la cagione del bene, cioè la virtù, non può amare né desiderare me, che so' esso Bene, e la virtù che Io ò data come strumento e mezzo a darvi la grazia mia, me vero Bene.

Sì che vedi di quanto bisogno v'è questo lume, ché in altro non stanno le colpe vostre se non in amare quel che Io odio e in odiare quel ch' Io amo. Io amo la virtù e odio il vizio; chi ama il vizio e odia la virtù offende me ed è privato della grazia mia. Questo va come cieco che, non cognoscendo la cagione del vizio, cioè il proprio amore sensitivo, non odia se medesimo né cognosce il vizio, né il male che gli seguita per lo vizio. Né cognosce la virtù né me, che so' cagione di darli la virtù che gli dà vita, né la dignità nella quale egli si conserva e viene a grazia col mezzo della virtù.

Sì che vedi che'l non cognoscere gli è cagione del suo male. èvvi dunque di bisogno d'avere questo lume come detto è.



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CAPITOLO XCIX.

E poi che l'anima è venuta ed à acquistato il lume generale, del quale Io t'ò detto, non debba stare contenta; perché mentre che sete peregrini in questa vita sete atti a crescere, e dovete crescere; e chi non cresce, esso facto torna in dietro. § 49 ,1357-8) O debba crescere nel comune lume che egli à acquistato mediante la grazia mia, o egli debba con sollicitudine ingegnarsi d'andare al secondo lume perfetto e da l'imperfetto giognere al perfetto, però che col lume si vuole andare alla perfezione.

In questo secondo lume perfetto sono due maniere di perfetti. Perfetti sono che si sono levati dal comune vivere del mondo: in questa perfezione ci sono due. L'uno è che sono alcuni che perfettamente si dànno a gastigare il corpo loro, facendo aspra e grandissima penitenzia, e acciò che la sensualità loro non ribelli alla ragione, tutto ànno posto il desiderio loro più in mortificare il corpo che in uccidere la loro propria voluntà, sì come in un altro luogo ti dissi. § 11 -XII) Costoro si pascono alla mensa della penitenzia, e sono buoni e perfetti se ella è fondata in me con lume di discrezione, cioè con uno vero cognoscimento di loro e di me e con grande umilità, tutti conformati a essere giudici della volontà mia e non di quella degli uomini (91v).

Ma se non fussero così, cioè con vera umilità vestiti della volontà mia, spesse volte offendarebbero la loro perfezione facendosi giudicatori di coloro che non vanno per quella medesima via che vanno essi. Sai tu perché a questi cotali l'adiverrebbe? Perché ànno posto più studio e desiderio in mortificare il corpo che in uccidere la propria volontà. Questi cotali sempre vogliono eleggere i tempi i luoghi e le consolazioni della mente a loro modo, e anco le tribolazioni del mondo e le battaglie del dimonio sì come nel secondo stato imperfetto Io ti narrai. § 68 Costoro dicono, per inganno di loro medesimi, ingannati dalla propria volontà la quale ti chiamai «volontà spirituale»: io vorrei questa consolazione e non queste battaglie né molestie del dimonio, e già non el dico per me, ma per più piacere a Dio e averlo più per grazia nell'anima mia, perché meglio me 'l pare avere e servirlo in questo modo che in quello.

E così per questo modo spesse volte cade in pena e in tedio, e diventane incomportabile a se medesimo, e così offende il suo stato perfetto e non se ne avede; né che vi giaccia dentro la puzza della superbia, ed ella vi giace, però che se ella non vi fusse, ma fusse veramente umile e non presuntuoso, vedrebbe col lume che Io, prima e dolce Verità, do stato e tempo e luogo, consolazioni e tribolazioni, secondo che e' necessita a la salute vostra e a compire la perfezione ne l'anima, a la quale Io l'ò eletta.

E vedrebbe che ogni cosa do per amore; e però con amore e reverenzia debba ricevere ogni cosa. Sì come fanno i secondi, cioè che vengono i terzi dei quali Io ti dirò, che sono questi due stati che stanno in questo perfettissimo lume.



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CAPITOLO C.

Questi cotali - ciò sono i terzi, che viene secondo a questo - gionti a questo glorioso lume sono perfetti in ogni stato che essi sono. E ciò che Io permetto a loro, ogni cosa ànno in debita riverenzia, sì come nel terzo stato de l'anima e unitivo Io ti feci menzione. § 78 Questi si reputano degni delle pene e scandali del mondo, e d'essere privati delle loro consolazioni proprie di qualunque cosa si sia. E come si reputano degni delle pene, così si reputano indegni del frutto che seguita a loro doppo la pena. Costoro nel lume ànno (92r) cognosciuta e gustata l'eterna volontà mia, la quale non vuole altro che il vostro bene; e perché siate santificati in me, però ve le do e permetto.

Poi che l'anima l'à cognosciuta, sì se n'è vestita e non attende ad altro se non a vedere in che modo possa conservare e crescere lo stato suo perfetto per gloria e loda del nome mio, aprendo l'occhio de l'intelletto col lume della fede ne l'obietto di Cristo crocifisso unigenito mio Figliuolo, amando e seguitando la dottrina sua, la quale è regola e via a' perfetti e agl'imperfetti. E vedendo che lo inamorato Agnello, mia Verità, gli dà dottrina di perfezione e vedendola, se ne inamora.

La perfezione è questa che cognobbe vedendo questo dolce e amoroso Verbo, unigenito mio Figliuolo: che si notricò alla mensa del santo desiderio cercando l'onore di me, Padre eterno, e salute vostra; e con questo desiderio corse con grande sollicitudine a l'obrobriosa morte della croce, e compì l'obedienzia che gli fu imposta da me Padre, non schifando fadiga né obrobri, non ritraendosi per vostra ingratitudine e ignoranzia di non cognoscere tanto benefizio dato a voi, né per persecuzione de' giudei, né per scherni villania o mormorazioni, e grida del popolo. Ma tutte le trapassò come vero capitano e vero cavaliere, il quale Io avevo posto in sul campo della battaglia a combattare per trarvi dalle mani delle dimonia, e fuste liberi e tratti della più perversa servitudine che voi poteste avere, e perché esso v'insegnasse la via, la dottrina e regola sua e poteste giognere alla porta di me, vita eterna, con la chiave del suo prezioso sangue sparto con tanto fuoco d'amore, con odio e dispiacimento delle colpe vostre. Quasi vi dica questo dolce e amoroso Verbo mio Figliuolo: «Ecco che Io v'ò fatta la via e aperta la porta col sangue mio: non siate voi dunque negligenti a seguitarla, ponendovi a sedere con amore proprio di voi e con ignoranzia di non cognoscere la via, e con presunzione di volere eleggere il servire a me a vostro modo e non di me che ò fatta a voi la via dritta col mezzo di me eterna Verità, Verbo incarnato, e battuta col sangue mio».

Levatevi dunque suso e seguitatelo, però che neuno può venire a me Padre se non per lui. Egli è la via e la porta unde vi conviene intrare in me, mare pacifico (92v). (Jn 14,6 Jn 10,7) Allora, quando l'anima è gionta a gustare questo lume - perché dolcemente l'à veduto e cognosciuto però il gustoe - e corre come innamorata e ansietata d'amore alla mensa del santo desiderio, e non vede sé per sé, cercando la propria consolazione né spirituale né temporale, ma come persona che al tutto in questo lume e cognoscimento à annegata la propria volontà, non schifa alcuna fadiga da qualunque lato ella si viene, anco con pena sostenendo obrobrio e molestie dal demonio e mormorazioni dagli uomini, mangia in su la mensa della santissima croce il cibo de l'onore di me, Dio eterno, e della salute de l'anime. § 76 E non cerca alcuna remunerazione, né da me né dalle creature, perch'egli è spogliato de l'amore mercennaio, cioè d'amare me per rispetto di sé, ed è vestito del lume perfetto, amando me schiettamente e senza alcuno rispetto altro che a gloria e loda del nome mio, non servendo a me per proprio diletto né al prossimo per propria utilità, ma solo per amore.

Costoro ànno perduti loro medesimi, e spogliatisi de l'uomo vecchio, cioè della propria sensualità, e vestitisi de l'uomo nuovo, Cristo dolce Iesu mia Verità, seguitandolo virilmente. (Rm 13,14) Questi sono quelli che si pongono alla mensa del santo desiderio, che ànno posta più la sollicitudine loro in uccidere la propria volontà che in uccidere e mortificare il corpo. Essi ànno bene mortificato il corpo, ma non per principale affetto, ma come strumento ch'egli è ad aitare ed uccidere la propria volontà, sì come Io ti dissi, dichiarandoti sopra quella parola ch'io volevo poche parole e molte operazioni. § 11 ,631ss.) E così dovete fare, però che 'l principale affetto debba essere d'uccidere la volontà, che non cerchi né voglia altro che seguitare la dolce mia Verità, Cristo crocifisso, cercando l'onore e gloria del nome mio e salute de l'anime.

Questi che sono in questo dolce lume il fanno, e però stanno sempre in pace e in quiete, e non ànno chi gli scandelizzi, perché ànno tolta via quella cosa che lo' dà scandalo, cioè la propria volontà. E tutte le persecuzioni che 'l mondo può dare e'l dimonio, tutte corrono sotto a' piedi loro. Stanno ne l'acqua delle molte tribolazioni e tentazioni e non lo' nuoce perché stanno ataccati al tralcio de l'affocato desiderio. (Ct 8,7 Jn 15,5) Questi gode d'ogni cosa, e non è fatto giudice de' (93r) servi miei; né di veruna creatura che à in sé ragione, anco gode d'ogni stato e d'ogni modo che vede dicendo: Grazia sia a te Padre eterno, ché nella casa tua à molte mansioni. (Jn 14,2) E più gode de' diversi modi che vede, che se gli vedesse andare tutti per una via, perché vede più manifestare la grandezza della mia bontà. D'ogni cosa gode e traie l'odore della rosa. E non tanto che del bene, ma di quella cosa che vede che espressamente è peccato non piglia giudicio, (Mt 7,1-2) ma più tosto una santa e vera compassione pregando me per loro, e con umilità perfetta dicono: Oggi tocca a te e domani a me, se non fusse la divina grazia che mi conserva.

O carissima figliuola, inamorati di questo dolce e eccellente stato, e raguarda costoro che corrono in questo lume glorioso e la eccellenzia loro, però che ànno menti sante e mangiano alla mensa del santo desiderio, e col lume sono gionti a notricarsi del cibo de l'anime per onore di me, Padre eterno, vestiti del vestimento dolce de l'Agnello unigenito mio Figliuolo, cioè della dottrina sua, con affocata carità.

Questi non perdono il tempo a dare i falsi giudicii, né verso de' servi miei né verso de' servi del mondo, e non si scandelizzano per veruna mormorazione, né per loro né per altrui, ciò è che verso di loro sono contenti di sostenere per lo nome mio, e quando ella è fatta in altrui la portano con compassione del prossimo e non con mormorazione verso colui che dà e verso colui che riceve; perché l'amore loro è ordinato in me, Dio eterno e nel prossimo, e non disordinato. § 11 ,708ss.) E perch'egli è ordinato non pigliano, carissima figliuola, questi cotali mai scandalo verso coloro che essi amano, né in alcuna creatura che à in sé ragione, perché il loro parere è morto e non vivo, e però non pigliano giudicio di giudicare la volontà degli uomini, ma solo la volontà della clemenzia mia.

Questi osservano la dottrina la quale tu sai che al principio della vita tua ti fu data dalla mia Verità, dimandando tu con grande desiderio di volere venire a perfetta purità. Pensando tu in che modo vi potessi venire, sai che ti fu risposto, essendo (93v) tu adormentata, sopra questo desiderio. Non tanto che nella mente, ma nel suono de l'orecchia tua risonò la voce, in tanto che, se bene ti ricorda, tu ritornasti al sentimento del corpo tuo, dicendoti la mia Verità: «Vuogli tu venire a perfetta purità ed essere privata degli scandali, e che la mente tua non sarà scandelizzata per veruna cosa? Or fa che tu sempre ti unisca in me per affetto d'amore, però che Io so' somma ed eterna purità e so' quel fuoco che purifico l'anima; e però quanto più s'acosta a me tanto diventa più pura, e quanto più se ne parte tanto più è immonda. E però caggiono in tante nequizie gli uomini del mondo perché sono separati da me, ma l'anima che senza mezzo si unisce in me participa della purità mia.» «Un'altra cosa ti conviene fare a giognere a questa unione e purità: che tu non giudichi mai, in alcuna cosa che tu vedessi fare o dire, da qualunque creatura si fusse, o verso di te o verso d'altrui, la volontà dell'uomo, ma la volontà mia in loro e in te.» (Jc 4,12) «E se tu vedessi peccato o difetto espresso, traie di quella spina la rosa, ciò è che tu gli offeri dinnanzi a me per santa compassione. E nelle ingiurie che fussero fatte a te giudica che la mia volontà el permette per provare in te e negli altri servi miei la virtù, giudicando che colui come strumento messo da me faccia quello, vedendo che spesse volte avaranno buona intenzione, però che neuno è che possa giudicare l'occulto cuore de l'uomo.» «Quello che tu non vedi che sia espresso e palese peccato mortale no 'l debbi giudicare nella mente tua, altro che la volontà mia in loro; e vedendolo no 'l pigliare per giudicio, ma per santa compassione come detto è. E a questo modo verrai a perfetta purità, però che, facendo così, la mente tua non sarà scandelizzata né in me né nel prossimo tuo; però che lo sdegno cade verso del prossimo quando giudicaste la mala volontà loro verso di voi, e non la mia in loro. Il quale sdegno e scandalo discosta l'anima da me e impedisce la perfezione, e in alcuno tolle la grazia, più e meno secondo la gravezza dello sdegno e de l'odio conceputa nel prossimo per lo suo giudicio.» «In contrario riceve l'anima che giudicarà la volontà mia, come detto t'ò, la quale non vuole altro che 'l vostro bene, e ciò ch' Io do e permetto (94r), do perché aviate il fine vostro per lo quale Io vi creai; e perché sta sempre nella dilezione del prossimo, sta sempre nella mia, e stando nella mia sta unita in me.» «E però t'è di necessità, a volere venire alla purità che tu mi dimandi, di fare queste tre cose principali, cioè di unirti in me per affetto d'amore, portando nella memoria tua i benefici ricevuti da me; e con l'occhio de l'intelletto vedere l'affetto della mia carità che v'amo inestimabilemente; e nella volontà de l'uomo giudicare la volontà mia e non la mala volontà sua, però ch'Io ne so' giudice: Io e non voi. E da questo ti verrà ogni perfezione».

Questa fu la dottrina data a te dalla mia Verità, se bene ti ricorda.

Ora ti dico, carissima figliuola, che questi cotali dei quali Io ti dissi che pareva che avessero imparata questa dottrina, gustano l'arra di vita eterna in questa vita. Se tu avarai tenuta a mente questa dottrina, non cadrai negl'inganni del dimonio perché gli cognoscerai, né in quello del quale tu m'ài dimandato. Ma nondimeno, per satisfare al desiderio tuo, più distintamente te 'l dirò, e mostrarotti che neuno giudicio voi potete dare per giudicio, ma per santa compassione. (Let65)


Caterina, Dialogo 95