Caterina, Dialogo 101

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CAPITOLO CI.

E perché ti dissi che ricevevano l'arra di vita eterna, dico che ricevono l'arra ma non il pagamento, ma aspettano di riceverlo in me vita durabile, dove à vita senza morte e sazietà senza fastidio e fame senza pena, perché di longa è la pena dalla fame, però che essi ànno quel che desiderano, e dilonga è il fastidio dalla sazietà, perché Io lo' so' cibo di vita senza alcuno difetto.

è vero che in questa vita ricevono l'arra e gustanla in questo modo, ciò è che l'anima comincia a essere affamata de l'onore di me, Dio eterno, e del cibo della salute de l'anime; e come ella à fame così se ne pascie, ciò è che l'anima si notrica della carità del prossimo del quale à fame e desiderio, ch'egli è uno cibo che, notricandosene, non se ne sazia mai però che è insaziabile, e però rimane la continua fame.

E così come l'arra è uno comincio di sicurtà che si dà a l'uomo, per la quale aspetta di ricevere il pagamento - non che l'arra sia perfetta in sé ma per fede dà certezza di giognere al compimento di (94v) ricevere il pagamento suo - così questa anima inamorata e vestita della dottrina della mia Verità, che già à ricevuta l'arra, in questa vita, della carità mia e del prossimo suo, in se medesima non è perfetta, ma aspetta la perfezione della vita immortale.

Dico che non è perfetta questa arra, ciò è che l'anima che la gusta non à ancora la perfezione, che non senta le pene in sé e in altrui. In sé per l'offesa che fa a me per la legge perversa che è legata nelle membra sue, quando vuole impugnare contra lo spirito; in altrui, per l'offesa del prossimo. è bene perfetto a grazia, ma non à questa perfezione de' santi miei che sono gionti a me, Vita durabile, sì come detto è; che i desideri loro sono senza pena, e i vostri sono con pena. Stanno questi servi miei - sì com'Io ti dissi in un altro luogo - che si notricano a la mensa di questo santo desiderio, che stanno beati e dolorosi, sì come stava l'unigenito mio Figliuolo in sul legno della santissima croce. Però che la carne sua era dolorosa e tormentata, e l'anima era beata per l'unione della natura divina. Così questi cotali sono beati per l'unione del desiderio loro in me, sì come detto è, vestiti della dolce mia volontà; e dolorosi sono per la compassione del prossimo, e per tollersi delizie e consolazioni sensuali, affliggendo la propria sensualità. § 78 ,1578ss.)

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CAPITOLO CII.

Ora attende, carissima figliuola, acciò che tu meglio sia dichiarata di quello che mi dimandasti.

T'ò detto del lume comune il quale tutti dovete avere in qualunque stato voi sete, ciò dico di quegli che stanno nella carità comune; e òtti detto di coloro che sono nel lume perfetto, il quale lume ti distinsi in due, cioè di coloro che erano levati dal mondo e studiavano di mortificare il corpo loro, e degli altri che in tutto uccidevano la propia volontà, e questi erano quegli perfetti che si notricavano alla mensa del santo desiderio.

Ora ti favellarò in particulare a te, e parlando a te parlarò agli altri, e satisfarò al tuo desiderio.

Io voglio che tre cose singulari tu facci, acciò che l'ignoranzia non impedisca la tua perfezione alla quale Io ti chiamo, e acciò che'l dimonio, col mantello della virtù della carità del prossimo, non notricasse dentro ne l'anima la radice della presunzione. Però che da (95r) questo cadresti nei falsi giudicii, i quali Io t'ò vetati: parendoti giudicare a dritto e tu giudicaresti a torto andando dietro al tuo vedere, e spesse volte il dimonio ti farebbe vedere molte verità per conducerti nella bugia. E questo farebbe per farti essere giudice delle menti e intenzioni delle creature che ànno in loro ragione, la quale cosa, sì com'Io ti dissi, solo Io ò a giudicare.

Questa è una delle cose di quelle due che Io voglio che tu abbi e servi in te, ciò è che tu giudicio non dia alcuno senza modo, ma voglio che'l dia con modo. Il modo suo è questo: che se già espressamente, non pure una volta né due, ma più, non manifestasse il difetto del prossimo tuo nella mente tua, none il debba mai dire in particulare, cioè a colui in cui ti paresse vedere il difetto, ma debbi in comune correggere i vizi di chi ti venisse a visitare, e piantare le virtù caritativamente e con benignità, e nella benignità l'asprezza, quando vedi che bisogni. E se ti paresse ch'Io spesse volte ti manifestasse i difetti altrui, se tu non vedi che ella sia espressa revelazione, come detto t'ò, non il dire in particulare, ma attienti alla parte più sicura, acciò che fugga lo inganno e la malizia del dimonio. Però che con questo lamo del desiderio ti pigliarebbe, facendoti spesse volte giudicare nel prossimo tuo quello che non sarebbe, e spesse volte lo scandalizzaresti.

Unde nella bocca tua stia il silenzio o uno santo ragionamento della virtù, spregiando il vizio. E'l vizio che ti paresse cognoscere in altrui, ponlo insiememente a loro e a te, usando sempre una vera umilità. E se in verità quel vizio sarà in quella cotale persona, ella si correggerà meglio vedendosi compresa così dolcemente, e costretta sarà da quella piacevole reprensione di correggersi, e dirà a te quello che tu volevi dire a lei; e tu ne starai sicura, e avarai tagliata la via al dimonio, che non ti potrà ingannare né impedire la perfezione de l'anima tua.

E voglio che tu sappi che d'ogni vedere tu non ti debbi fidare, ma debbiteli ponere doppo le spalle e non volere vederlo; ma solo debbi rimanere nel vedere e nel cognoscimento di te medesima, e (95v) in te cognoscere la larghezza e bontà mia. Così fanno coloro che sono gionti a l'ultimo stato di cui Io ti dissi, § 89 ,217) che sempre tornavano alla valle del cognoscimento di loro e non impediva però l'altezza e l'unione che avevano fatta in me. E questa è l'una delle tre cose le quali Io ti dissi ch'io volevo che tu facessi, acciò che in verità servissi me.



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CAPITOLO CIII.

Ora ti dirò della seconda, la quale è questa: che se alcuna volta ti venisse caso, sì come tu mi dimandasti la dichiarazione, che tu pregassi me particularmente per alcune creature, e nel pregare tu vedessi in colui per cui tu preghi alcuno lume di grazia, e in alcuno altro no - e ambedue sono pure servi miei - ma paressetelo vedere con la mente aviluppata e tenebrosa, non il debbi né puoi pigliare però in giudicio di difetto di grave colpa in lui, perché spesse volte il tuo giudicio sarebbe falso. E voglio che tu sappi che alcuna volta, pregandomi per una medesima persona, adiviene che l'una volta el trovarrai con uno lume e con uno desiderio santo dinanzi a me, in tanto che del suo bene parrà che l'anima ingrassi - sì come vuole l'affetto della carità che participiate il bene l'uno de l'altro - e un'altra volta el trovarrai che parrà che la mente sua sia dilonga da me e tutta piena di tenebre e di molestie, che parrà che a te medesima sia fadiga a pregare per lui tenendolo dinanzi a me.

Questo adiviene alcuna volta che potrà essere per difetto che sarà in colui per cui tu ài pregato; ma il più delle volte non sarà per difetto, ma sarà per sottraimento che Io, Dio eterno, avarò fatto di me in quella anima, sì come spesse volte Io fo per fare venire l'anima a perfezione, secondo che negli stati de l'anima Io ti narrai. § 60 ,81ss.; § 70 ,925ss.; § 78 ,1503ss.) Sarommi ritratto per sentimento ma non per grazia, ma per sentimento di dolcezza e di consolazione. E però rimane la mente sterile, asciutta e penosa. La quale pena Io fo sentire a quella anima che per lui prega. E questo fo per grazia e per amore che Io ò a quella anima che riceve l'orazione, acciò che chi prega insiememente con lui aiti a dissolvere la nuvila che è nella mente sua.

Sì che vedi, carissima e dolcissima figliuola, quanto sarebbe ignorante e degno di grande reprensione questo giudicio, che tu o alcuno altro per questo semplice vedere giudicassi che vizio (96r) fusse in quella anima, perché Io te la manifestasse così tenebrosa; dove già ài veduto che egli non è privato della grazia, ma del sentimento della dolcezza che Io per sentimento gli davo di me.

Voglio dunque e debbi volere, tu e gli altri servi miei, che vi diate a cognoscere perfettamente voi, acciò che più perfettamente cognosciate la bontà mia in voi. E questo e ogni altro giudicio lassate a me, però che egli è mio e non vostro; (Dt 32,35 Rm 12,19) ma abandonate il giudicio che è mio e pigliate la compassione con fame del mio onore e salute de l'anime; e con ansietato desiderio annunziate la virtù e riprendete il vizio in voi e in loro per lo modo che detto t'ò di sopra.

Per questo modo verrai a me in verità, e mostrarrai d'avere tenuta a mente, e osservatala, la dottrina che ti fu data dalla mia Verità, cioè di giudicare la volontà mia e non quella degli uomini. E così debbi fare se vuogli avere la virtù schiettamente e stare ne l'ultimo perfettissimo e glorioso lume, pascendoti a la mensa del santo desiderio del cibo de l'anime, per gloria e loda del nome mio.



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CAPITOLO CIV.

Detto t'ò, carissima figliuola, delle due; ora ti dirò della terza, a la quale Io voglio che tu abbi avvertenzia, e riprenda te medesima se alcuna volta il dimonio o il tuo basso parere ti molestasse di volere mandare e volere andare tutti i servi miei per quella via che tu andassi tu, però che questo sarebbe contra la dottrina data a te da la mia Verità. § 11 ,695ss.) Perché spesse volte adiviene che, vedendo andare molte creature per la via della molta penitenzia, tutti gli vorrebbe mandare per quella medesima via; e se vede che non vi vadano ne piglia dispiacimento e scandalo in se medesimo, parendoli che non faccian bene. Or vedi quanto è ingannato, però che spesse volte adiverrà che farà meglio colui di cui gli pare male perché fa meno penitenzia, e più virtuoso sarà - poniamo che non faccia tanta penitenzia - che colui che ne mormora.

E però ti dissi di sopra che quegli che si pascono a la mensa della penitenzia, se non vanno con vera umilità, e che la penitenzia loro non sia posta per principale affetto ma per strumento di virtù, spesse volte per questa mormorazione (96v) offenderanno la perfezione loro. E però non debbono essere ignoranti, ma debbono vedere che la perfezione non sta solamente in macerare né in uccidere il corpo, ma in uccidere la propria e perversa volontà. E per questa via della volontà annegata e sottoposta a la dolce volontà mia dovete desiderare, e voglio che tu desideri, che tutti vadano.

Questa è la dottrina della luce di questo glorioso lume, dove l'anima corre inamorata e vestita della mia Verità. E non dispregio però la penitenzia, perché la penitenzia è buona a macierare il corpo quando vuole impugnare contra lo spirito. Ma non voglio però, carissima figliuola, che tu me 'l ponga per regola a ogni uno. Però che tutti i corpi non sono aguegliati né d'una medesima forte complessione, però che à più forte natura uno che un altro, e anco perché spesse volte, sì com'Io ti dissi, adiviene che la penitenzia che si comincia, per molti accidenti che possono adivenire, si conviene lassare. E se 'l fondamento dunque - fusse in te, o che tu il dessi altrui - facessi o facessi fare sopra la penitenzia, verrebbe meno e sarebbe imperfetto, e mancherebbevi la consolazione e la virtù ne l'anima.

Essendone poi privati di quella cosa che amavate e dove avavate fatto il vostro principio, vi parrebbe essere privati di me; e parendovi essere privati della mia bontà verreste a tedio e a grandissima tristizia, amaritudine e confusione. Per questo modo perdareste l'esercizio e la fervente orazione, la quale solavate fare quando faciavate la vostra penitenzia. La quale, lassata per molti accidenti che vengono, non vi sa l'orazione di quello sapore che vi sapeva prima.

Questo adiverrebbe perché 'l fondamento sarebbe fatto ne l'affetto della penitenzia e non ne l'ansietato desiderio: desiderio, dico, delle vere e reali virtù. § 9 Sì che vedi quanto male ne seguiterebbe per fare solo il principio nella penitenzia. E però sareste ignoranti e cadreste nella mormorazione verso de' servi miei, come detto è, e verrestene a tedio e a molta amaritudine, e studiareste di fare solo operazioni finite a me che so' Bene infinito. E però Io vi richieggo infinito desiderio. § 3 Convienvi dunque fare il fondamento in uccidere e annegare la propria volontà, e con essa volontà sottoposta alla volontà mia mi darete dolce, affamato e infinito desiderio, cercando l'onore (97r) di me e la salute de l'anime. E così vi pasciarete alla mensa del santo desiderio, il quale desiderio non è mai scandelizzato, né in sé né nel prossimo suo, ma d'ogni cosa gode e traie il frutto di tanti diversi e divariati modi che Io do ne l'anima.

Non fanno così i miserabili che non seguitano questa dottrina, dolce e dritta via data dalla mia Verità, anco fanno il contrario, e giudicano secondo la ciechità e infermo vedere loro, e però vanno come farnetichi e privansi del bene della terra e del bene del cielo. E in questa vita, sì come Io ti dissi in un altro luogo, gustano l'arra de l'inferno.



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CAPITOLO CV.

Ora t'ò detto, carissima figliuola, satisfacendo al desiderio tuo e dichiaratati di quel che mi dimandasti, cioè in che modo tu debbi riprendere il prossimo tuo, acciò che tu non sia ingannata dal dimonio né dal tuo basso vedere. Cioè che tu debbi riprendere in generale e non in particulare, se già per espressa rivelazione tu non l'avessi da me, ma con umilità, per lo modo che detto t'ò, riprendere te e loro.

Anco t'è detto e dico che in neuno modo del mondo t'è licito il giudicare in alcuna creatura, né in comune né in particulare, ne le menti de' servi miei, né trovandola disposta né non disposta. E detta t'ò la cagione per la quale tu non puoi giudicare, e giudicando rimarresti ingannata nel tuo giudicio. Ma compassione debbi avere, tu e gli altri; e 'l giudicio lassate a me.

E anco t'ò detta la dottrina e 'l principale fondamento che tu debbi dare a coloro che venissero a te per consiglio, e che volessero escire della tenebre del peccato mortale e seguitare la via delle virtù, ciò è che tu lo' dia per principio e fondamento l'affetto e l'amore delle virtù, nel cognoscimento di loro e della mia bontà in loro; e uccidano e annieghino la loro propria volontà, acciò che in neuna ribbellino a me. E la penitenzia lo' dà come strumento e non per principale affetto, come detto è: none a ogni uno equalmente, ma secondo che sono atti a portare, e secondo la loro possibilità e stato suo, chi poco e chi assai, secondo che può portare di questi strumenti di fuore.

E perch'Io ti dissi che la riprensione non t'era licito di farla altro che in generale, per lo modo che detto t'ò, e così è la verità, non vorrei però che tu credessi che, vedendo tu uno espresso difetto, tu no 'l possa correggere fra te e lui, anco (97v) puoi; e anco, se egli fusse ostinato che non si correggesse, el puoi fare manifesto a due o a tre; e se questo non giova, farlo manifesto al corpo mistico della santa Chiesa. (Mt 18,15-17) Ma òtti detto che licito non è per tuo vedere o sentire dentro nella mente tua. Né anco per ogni vedere di fuore non ti debbi così tosto mutare: se tu non vedessi espressamente la verità, o che nella mente tua l'avessi per espressa mia revelazione, non debbi usare la riprensione se non per lo modo che Io ti dissi. Quella è più sicura per te, da non potere il dimonio ingannarti col mantello della carità del prossimo.



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CAPITOLO CVI.

Compito t'ò ora, carissima figliuola, di dichiararti sopra questa parte quel che bisogna a conservare e crescere la perfezione de l'anima tua.

Ora ti dichiararò di quello che tu mi dimandasti, sopra il segno che Io ti dissi che Io davo nell'anima, a cognoscere la visitazione che riceve l'anima, o per visioni o altre consolazioni che le paia ricevere. E dissiti il segno per lo quale ella potesse cognoscere quando fusse da me o no. § 71 Il segno suo era l'allegrezza che rimaneva ne l'anima doppo la visitazione e la fame delle virtù, e spezialmente unta della virtù della vera umilità, e arsa nel fuoco della divina carità.

Ma perché tu m'adimandi se ne l'allegrezza si potesse ricevere inganno alcuno - però che, cognoscendolo ti vorresti attenere alla parte più sicura, cioè al segno della virtù che non può essere ingannata - lo ti dirò lo inganno che si può ricevere, e a quello che tu cognoscerai che l'allegrezza sia in verità o no.

Lo inganno si può ricevere in questo modo. Io voglio che tu sappi che di ciò che la creatura che à in sé ragione ama o desidera d'avere, avendola n'à allegrezza. E tanto quanto più ama quella cosa ch'egli à, tanto meno vede e si dà a cognoscere con prudenzia unde ella viene, per lo diletto che à preso in essa consolazione, però che l'allegrezza nel ricevere la cosa che ama non gli li lassa vedere, né si cura di discernerla. Così coloro che molto si dilettano e amano la consolazione mentale, cercano le visioni, e più ànno posto il principale affetto nel diletto della consolazione che propriamente in me; sì come Io ti dissi di coloro che anco erano nello stato imperfetto, che raguardavano più al dono delle consolazioni che ricevevano da me donatore che all'affetto della mia carità con che Io lo' do. § 72 ,1018ss.) Qui (98r) possono ricevere inganno questi cotali, cioè ne l'allegrezza loro, oltre agli altri inganni ch'Io ti contiai distintamente in uno altro luogo. In che modo el ricevono? Dicotelo: che poi che essi ànno conceputo l'amore grande alla consolazione, come detto è, ricevendo poi la consolazione o visione, in qualunque modo l'avesse sente allegrezza, perché si vede quello che ama e desiderava d'avere.

E spesse volte potrebbe essere dal dimonio, e sentirebbe pure questa allegrezza; della quale allegrezza Io ti dissi che, quando ella era dal dimonio, questa visitazione della mente veniva con allegrezza e rimaneva con pena e stimolo di coscienzia, e votia del desiderio della virtù.

Ora ti dico che alcuna volta potrà avere questa allegrezza, e con essa allegrezza si levarà da l'orazione: se questa allegrezza si truova senza l'affocato desiderio della virtù, unta di umilità e arsa nella fornace della divina mia carità, quella visitazione e consolazione e visione che ella à ricevuta è dal dimonio e non da me, non obstante che si senta il segno de l'allegrezza. Ma perché l'allegrezza non è unita con l'affetto della virtù, come detto t'ò, puoi vedere manifestamente che quella è allegrezza tratta da l'amore che aveva alla propria consolazione mentale; e però gode ed à allegrezza perché si vede avere quello che desiderava, perché egli è condizione de l'amore, di qualunque cosa si sia sentire allegrezza quando riceve quella cosa ch'egli ama.

Sì che per pura allegrezza non te ne potresti fidare: poniamo che l'allegrezza ti durasse mentre che tu ài la consolazione e anco più. L'amore ignorante in essa allegrezza non cognoscerebbe lo 'nganno del dimonio, non andando con altra prudenzia; ma se con prudenzia andarà, vedrà se l'allegrezza andarà con l'affetto della virtù o sì o no. Il cognoscerà in questo modo, se ella sarà da me o dal dimonio, la visitazione che riceve nella mente sua.

Questo è quel segno che Io ti dissi in che modo tu potessi cognoscere che l'allegrezza ti fusse segno quando fusse visitata da me: se ella fusse unita con la virtù, sì come Io t'ò detto. Veracemente questo è segno dimostrativo che ti dimostra quello che è inganno e quello che non è inganno (98v): ciò è da l'allegrezza che ricevi nella mente tua da me in verità, da l'allegrezza che ricevessi per proprio amore spirituale, cioè da l'amore e affetto che avessi posto alla propria consolazione. Quella che è da me è unita a l'allegrezza con l'affetto della virtù, e quella che è dal dimonio sente solamente allegrezza e, quando viene a vedere, tanta virtù si truova quanto prima. Questa allegrezza lo' procede da l'amore della propria consolazione, come detto è.

E voglio che tu sappi che ogni uno non riceve però inganno da questa allegrezza, se non solamente questi imperfetti che pigliano diletto e consolazione, e più raguardano al dono che a me donatore. Ma quegli che schiettamente e senza rispetto alcuno di loro raguardano come affocati solamente a l'affetto di me che dono e non al dono, e il dono amano per me che dono e non per propria loro consolazione, unde non possono essere ingannati da questa allegrezza.

E però l'è a loro subbito questo il segno, quando il dimonio alcuna volta per suo inganno volesse trasformarsi in forma di luce e mostrarsi nella mente loro, giognendo subito con grande allegrezza. Ma essi che non sono passionati da l'amore della consolazione, nella mente loro con prudenzia in verità cognoscono lo inganno suo: passando tosto l'allegrezza, veggonsi rimanere in tenebre. E però s'aumiliano con vero cognoscimento di loro e spregiano ogni consolazione e abbracciano e strengono la dottrina della mia Verità. Il dimonio, come confuso, rade volte o non mai in questa forma vi tornarà.

Ma quegli che sono amatori della propria consolazione spesse volte ne riceveranno, ma cognosceranno lo inganno loro come detto t'ò, ciò è trovando l'allegrezza senza la virtù, cioè che non si vegga escire di quello camino con umilità e vera carità, fame de l'onore di me, Dio eterno, e della salute de l'anime.

Questo à fatto la mia bontà, d'avere proveduto verso di voi, a' perfetti e agl'imperfetti, in qualunque stato voi sete, perché neuno inganno voi potiate ricevere se vorrete conservarvi il lume de l'intelletto che Io v'ò dato con la pupilla della santissima fede, che voi non ve'l lassiate obumbrare dal dimonio, e veliate con l'amore proprio di voi. Perché, se non ve'l tollete voi, non è alcuno che ve'l possa tollere. (99r)


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CAPITOLO CVII.

Ora t' ò detto, carissima figliuola, in tutto, dichiarato e illuminatone l'occhio de l'intelletto tuo verso gl'inganni che'l dimonio ti potesse fare, e ò satisfatto al desiderio tuo in quello che tu mi dimandasti perché io non so' spregiatore del desiderio de' servi miei, anco do a chi domanda e invitovi a domandare. (Mt 7,7-8 Lc 11,9 Mc 11,24 Jn 16,23-24) E molto mi dispiace colui che in verità non bussa alla porta della Sapienzia de l'unigenito mio Figliuolo seguitando la dottrina sua; la quale dottrina seguitandola è uno bussare chiamando a me, Padre eterno, con la voce del santo desiderio, con umili e continue orazioni.

E Io so' quello Padre che vi do il pane della grazia col mezzo di questa porta, dolce mia Verità. E alcuna volta per provare e desideri vostri e la vostra perseveranzia, fo vista di non intendarvi, ma Io v'intendo e dovi quello che vi bisogna, perché vi do la fame e la voce con che chiamiate a me, (OrazXX) e Io vedendo la costanzia vostra compio i vostri desideri quando sono ordinati e dirizzati in me.

A questo chiamare v'invitò la mia Verità quando disse: «Chiamate e saràvi risposto; bussate e saràvi aperto; chiedete e saràvi dato». E così ti dico ch'Io voglio che tu facci: che tu non allenti mai il desiderio tuo di chiedere l'aiutorio mio, né abassi la voce tua di chiamare a me ch'Io facci misericordia al mondo.

Né ti ristare di bussare alla porta della mia Verità, seguitando le vestigie sue; e dilettati in croce con lui, mangiando il cibo de l'anime per gloria e loda del nome mio. E con ansietà di cuore mugghiare sopra il morto del figliuolo de l'umana generazione, (Let 177) il quale vedi condotto a tanta miseria che la lingua tua non sarebbe sufficiente a narrarla.

Con questo mugghio e grido vorrò fare misericordia al mondo. E questo è quello che Io richieggo da' servi miei, e questo mi sarà segno che in verità m'amino. E Io non sarò spregiatore de' loro desideri, sì come Io t' ò detto. -



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CAPITOLO CVIII.

Allora quella anima, come ebbra veramente, pareva fuore di sé e alienati i sentimenti del corpo suo per l'unione de l'amore che fatta aveva nel Creatore suo. Levata la mente e speculando (99v) nella Verità eterna con l'occhio de l'intelletto suo, e avendo cognosciuta la verità, s'era inamorata della verità e diceva: - O somma ed eterna bontà di Dio, e chi so' io miserabile che tu, sommo ed eterno Padre, ài manifestata a me la verità tua? e gli occulti inganni del dimonio e lo 'nganno del proprio sentimento, che io e gli altri potiamo ricevere in questa vita della peregrinazione acciò che io, e gli altri, non sia ingannata né dal dimonio né da me medesima? Chi t'à mosso? L'amore, però che tu m'amasti senza essere amato da me. O fuoco d'amore! Grazia, grazia sia a te, Padre etterno.

Io imperfetta, piena di tenebre, e tu, perfetto e luce, ài mostrato a me la perfezione e la via lucida della dottrina de l'unigenito tuo Figliuolo. Io ero morta e tu m'ài risuscitata; io ero inferma e tu m'ài data la medicina, e non tanto la medicina del sangue che tu desti allo infermo de l'umana generazione col mezzo del tuo Figliuolo, ma tu m'ai data una medicina contra una infermità occulta, la quale io non cognoscevo, dandomi tu la dottrina che in veruno modo io posso giudicare alcuna creatura che abbi in sé ragione, e singularmente verso de' servi tuoi, de' quali spesse volte, come cieca e inferma di questa infermità, sotto spezie e colore de l'onore tuo e salute de l'anime, davo giudicio.

E però io ti ringrazio, somma ed eterna Bontà, che nel manifestare la tua verità e lo inganno del dimonio e la propria passione, m' ài fatto cognoscere la mia infermità. Unde io t'adimando per grazia e misericordia che oggi sia posto il termine e'l fine che io mai non esca della dottrina tua, data a me dalla tua bontà e a chiunque la vorrà seguitare, però che senza te neuna cosa è fatta.

A te dunque ricorro e rifuggo, Padre eterno, e non te l'adimando per me sola, Padre, ma per tutto quanto il mondo, e singularmente per lo corpo mistico della santa Chiesa: che questa verità e dottrina riluca ne' ministri tuoi, data da te, Verità eterna, a me miserabile.

E anco t'adimando spezialmente per tutti coloro i quali m'ài dati che io ami di singulare amore, i quali ài fatti una cosa con meco, però che essi saranno il mio refrigerio, per gloria e loda del nome tuo, vedendoli corrire per questa dolce e dritta via schietti e morti ad ogni loro (100r) volontà e pareri, senza alcuno giudicio o scandalo o mormorazione del prossimo loro. E pregoti, dolcissimo Amore, che neuno me ne sia tolto delle mani dal dimonio infernale, sì che ne l'ultimo giongano a te Padre eterno, fine loro. (Oraz XXVI; Jn 17,6-15) Anco ti fo un'altra petizione, per le due colonne de' padri che m'ài posti in terra a guardia e dottrina di me inferma miserabile, dal principio della mia conversione infino a ora: che tu gli unisca e di due corpi facci una anima, e che neuno attenda ad altro che a compire in loro, e ne' misteri che tu l'ài posti nelle mani, la gloria e loda del nome tuo in salute de l'anime. E io indegna e miserabile, schiava e non figliuola, tenga quel modo con debita reverenzia e santo timore verso di loro, per amore di te, che sia tuo onore, pace e quiete loro ed edificazione del prossimo.

So' certa, Verità eterna, che tu non dispregiarai il desiderio mio né le petizioni che io t'ò adimandate però che io cognosco per veduta, secondo che t'è piaciuto di manifestare, e molto maggiormente per pruova, che tu se' accettatore de' santi desideri. Io indegna tua serva m'ingegniarò, secondo che mi darai la grazia, d'osservare il comandamento e la dottrina tua.

O Padre eterno, ricordato m'è d'una parola che tu dicesti, quando mi narravi alcuna cosa de' ministri della santa Chiesa, dicendo tu che più distintamente in un altro luogo me ne parlaresti: § 86 ,2163) de' difetti che al dì d'oggi essi commettono. Unde, se piacesse a la tua bontà di dirne alcuna cosa, acciò ch'io avesse materia di crescere il dolore e la compassione e l'ansietato desiderio per la salute loro - perché mi ricordo che già tu dicesti che col sostenere e lagrime e dolori, sudori e con continua orazione de' servi tuoi, ci daresti refrigerio, riformandola di santi e buoni § 12 ,844ss.; § 15 ,203ss.; § 86 ,2138) pastori - sì che, acciò che questo cresca in me, però te l'adimando.



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CAPITOLO CIX.

Allora Dio eterno, vollendo l'occhio della sua misericordia e non spregiando il suo desiderio ma accettando le sue petizioni, volendo satisfare a l'ultima petizione che ella aveva fatta sopra la promessa sua, diceva: - O dilettissima e carissima figliuola, Io adempirò in quello che m' ài adimandato il desiderio tuo, pure che dalla tua parte (100v) non commetta ignoranzia né negligenzia, però che molto ti sarebbe più grave e degna di maggiore reprensione ora che prima, perché più ài cognosciuto della mia verità. E però sia dunque sollicita di dare orazioni per tutte le creature che ànno in loro ragione, e per lo corpo mistico della santa Chiesa, e per quegli che Io t' ò dati che tu ami di singulare amore. E non commettere negligenzia in dare orazioni ed esemplo di vita e la dottrina della parola, riprendendo il vizio e commendando la virtù, giusta 'l tuo potere.

Delle colonne le quali Io ò date a te, delle quali tu mi dicesti, e così è la verità, fa che tu sia uno mezzo di dare a ciascuno quello che lo' bisogna secondo l'attitudine loro e come Io, tuo Creatore, ti ministrarò, però che senza me neuna cosa potresti fare (Jn 15,5) ed Io adempirò i desideri tuoi. Ma non mancare, tu né eglino, nello sperare in me, però che la providenzia mia non mancarà in voi; e ogni uno umilemente riceverà quello che egli è atto a ricevere, e ogni uno ministri quello che Io gli ò dato a ministrare, ogni uno nel modo suo, secondo che ànno ricevuto e riceveranno dalla mia bontà.



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CAPITOLO CX.

Ora ti rispondo di quello che m'ài adimandato sopra i ministri della santa Chiesa. E acciò che tu meglio possa cognoscere la verità, apre l'occhio de l'intelletto tuo e raguarda la eccellenzia loro, e in quanta dignità Io gli ò posti. E perché meglio si cognosce l'uno contrario per l'altro, voglioti mostrare la dignità di coloro che esercitarono in virtù il tesoro (Let 209) che Io lo' missi nelle mani, e per questo meglio vedrai la miseria di coloro che oggi si pascono al petto di questa sposa. - Allora quella anima, per obedire, si speculava nella Verità dove vedeva rilucere le virtù ne' veri gustatori.

Allora Dio etterno diceva: - Carissima figliuola, prima ti voglio dire la dignità loro, dove Io gli ò posti per la mia bontà, oltre a l'amore generale che Io ò avuto a le mie creature, creandovi alla imagine e similitudine mia e ricreativi tutti a grazia nel sangue de l'unigenito mio Figliuolo, unde veniste in tanta eccellenzia, per l'unione ch'Io feci della deità mia nella natura umana, che in questo avete maggiore eccellenzia e dignità voi che l'angelo (101r) perch'Io presi la natura vostra e non quella de l'angelo. Unde, sì com'Io dissi, Io Dio so' fatto uomo e l'uomo Dio, per l'unione della natura mia divina nella natura vostra umana: questa grandezza è data in generale a ogni creatura che à in sé ragione.

Ma tra questi ò eletti i miei ministri per la salute vostra, acciò che per loro vi sia ministrato il sangue de l'umile e immaculato Agnello, unigenito mio Figliuolo. A costoro ò dato a ministrare il Sole, dandolo' el lume della scienzia il caldo della divina carità, e'l colore unito col caldo e col lume, cioè il sangue e'l corpo del mio Figliuolo. Il quale corpo è uno sole, perché è una cosa con meco, vero Sole. E tanto è unito, che l'uno non si può separare da l'altro né tagliare, se non come il sole, che non si può dividere, né il caldo suo da la luce né la luce dal suo colore, per la sua perfezione de l'unione.

Questo sole, non partendosi dalla ruota sua, cioè che non si divide, dà lume a tutto quanto il mondo e a chiunque da lui vuole essere scaldato; e per alcuna immondizia questo sole non si lorda, e il lume suo è unito, come detto t'ò. Così questo Verbo mio Figliuolo, il sangue dolcissimo suo è uno sole, tutto Dio e tutto uomo, perché egli è una medesima cosa con meco e Io con lui. La potenzia mia non è separata dalla sapienzia sua, né il calore, fuoco di Spirito santo, non è separato da me Padre, né da lui Figliuolo, perché egli è una medesima cosa con noi, perché lo Spirito santo procede da me Padre e da lui Figliuolo, e siamo uno medesimo sole.

Io so' quello sole, Dio eterno, unde è proceduto il Figliuolo e lo Spirito santo. Allo Spirito santo è appropriato il fuoco, al Figliuolo la sapienzia; nella quale sapienzia i ministri miei ricevono uno lume di grazia, perché ànno ministrato questo lume con lume e con gratitudine del benefizio ricevuto da me Padre etterno, seguitando la dottrina di questa Sapienzia unigenito mio Figliuolo.

Questo è quello lume che à in sé il colore della vostra umanità, unito l'uno con l'altro. Unde il lume della mia deità fu quello lume unito col colore de l'umanità vostra, il quale colore diventò lucido quando fu impassibile in virtù della deità, natura divina. (OrazXII97-99) E per questo (101v) mezzo, cioè de l'obietto di questo Verbo incarnato intriso e impastato col lume della mia deità, natura divina, e col caldo e fuoco dello Spirito santo, avete ricevuto il lume. A cui l'ò dato a ministrare? A' ministri miei nel corpo mistico della santa Chiesa, acciò che aviate vita, dandovi il corpo suo in cibo e il sangue in beveraggio.

Detto t'ò che questo corpo è sole. Unde non vi può essere dato il corpo che non vi sia dato il sangue, né il corpo né il sangue senza l'anima di questo Verbo, né l'anima né il corpo senza la deità di me Dio etterno, perché l'una non si può separare da l'altra; sì come in uno altro luogo ti dissi che la natura divina non si partì mai da la natura umana: né per morte né per verun'altra cosa non si poteva né può separare. Sì che tutta l'essenzia divina ricevete in quello dolcissimo sacramento sotto quella bianchezza del pane.

E sì come il sole non si può dividere, così non si divide tutto me Dio e uomo in questa bianchezza de l'ostia. Poniamo che l'ostia si dividesse: se mille migliaia di minuzzoli fusse possibile di farne, in ciascuno è tutto Dio e tutto uomo, come detto è. Sì come lo specchio che si divide, e non si divide però la imagine che si vede dentro nello specchio, così dividendo questa ostia non si divide me tutto Dio e tutto uomo, ma in ciascuna parte è tutto.

Né non diminuisce però in se medesimo se non come il fuoco; ciò è in questo esemplo: che se tu avessi uno lume, e tutto il mondo venisse per questo lume, per quello tollere il lume non diminuisce e nondimeno ciascuno l' à tutto. è vero che chi più o meno participa di questo lume: secondo la materia che colui che riceve porta, così riceve del fuoco. E acciò che meglio m'intenda, pongoti questo esemplo. Se fussero molti che portassero candele, e l'una avesse materia d'una oncia e l'altra di due o di sei, e chi di libra e chi più, e andassero al lume e accendessero le candele loro; poniamo che in ciascuno, ne l'assai e nel poco, vede tutto il lume, cioè il caldo il colore ed esso lume, nondimeno tu giudicarai che meno n'abbi colui che la porta d'una oncia che quelli di libra (102r). Or così adiviene di quegli che ricevono questo sacramento: chi porta la candela sua, cioè il santo desiderio con che si riceve e piglia questo sacramento, la quale candela in sé è spenta, e accendesi ricevendo questo sacramento. Spenta dico, perché da voi non sete alcuna cosa. è vero che Io v'ò data la materia con che voi potiate notricare in voi questo lume e riceverlo.

La materia vostra è l'amore, perch'Io vi creai per amore, e però non potete vivere senza amore. § 10 ,587; § 51 ,33) Questo essere, dato a voi per amore, à ricevuta la disposizione nel santo baptesmo, che ricevete in virtù del sangue di questo Verbo. In altro modo non potreste participare di questo lume, anco sareste come candela senza il papeio dentrovi, che non può ardere né ricevere in sé questo lume. Così voi, se ne l'anima vostra non aveste ricevuto il papeio che riceve questo lume, cioè la santissima fede; ed unita la grazia che ricevete nel battesmo con l'affetto de l'anima vostra, creata da me atta ad amare, § 98 ,39ss.) sì come detto t'ò che tanto è atta ad amare che senza amore non può vivere, anco il suo cibo è l'amore. § 51 ,33) Dove s'accende questa anima unita per lo modo che detto t'ò? Al fuoco della divina mia carità, (Let 113) amando e temendo me e seguitando la dottrina della mia Verità. è vero che s'accende più e meno, sì com'Io ti dissi, secondo che portarà e darà materia a questo fuoco; però che, ben che tutti abbiate una medesima materia, cioè che tutti siate creati a la imagine e similitudine mia e abbiate il lume del santo baptesmo voi cristiani, nondimeno ogni uno può crescere in amore e in virtù, secondo che piace a me e a voi. Non che voi mutiate altra forma che quella ch'Io v'ò data, ma crescete e aumentate in amore le virtù, usando in virtù e in affetto di carità il libero arbitrio mentre che avete il tempo, però che passato il tempo non il potreste fare. Sì che potete crescere in amore, come detto t'ò.

Il quale amore, venendo con esso a ricevere questo dolce e glorioso lume, del quale Io v'ò dato a ministrare col mezzo dei ministri miei, e dato ve l'ò in cibo, e tanto ricevete di questo lume quanto portarete de l'amore e affocato desiderio, poniamo (102v) che tutto el riceviate sì com'Io dissi ponendoti l'esemplo di coloro che portavano candele, i quali secondo la quantità del peso così riceveano, poniamo che in ogni uno el vedessi tutto intero e non diviso però che dividere non si può, come detto è, per veruna vostra imperfezione, né di voi che il ricevete né di chi el ministra. Ma tanto participate in voi di questo lume, cioè della grazia che ricevete in questo sacramento, quanto vi disponete a ricevere con santo desiderio.

E chi andasse a questo dolce sacramento con colpa di peccato mortale, da questo sacramento non riceve grazia, poniamo che egli riceva attualmente tutto me Dio ed uomo, come detto t'ò. Ma sai come sta questa anima che 'l riceve indegnamente? Sta sì come la candela che v'è caduta l'acqua, che non fa altro che stridere quando è acostata al fuoco; ché, subbito che il fuoco v'è intrato, è spento in quella candela e non vi rimane altro che 'l fummo. Così questa anima porta sé, candela, la quale ricevette il santo baptesmo e poi gittò l'acqua della colpa dentro ne l'anima sua la quale fu una acqua che inacquò il papeio del lume della grazia del battesmo. Non essendosi scaldata al fuoco della vera contrizione confessandosi della colpa sua, andò alla mensa de l'altare a ricevere questo lume attualmente, ma non mentalmente.

Questo vero lume, non essendo disposta quella anima come si debba disponere a tanto misterio, non rimane per grazia in quella anima ma partesi, e ne l'anima rimane maggiore confusione, spenta con tenebre e aggravata la colpa sua. Di questo sacramento non sentì altro che strido di rimorso della coscienzia, non per difetto del lume, però che non può ricevere alcuna lesione, ma per difetto de l'acqua che trovò ne l'anima; la quale acqua impedì l'affetto de l'anima che non poté ricevere questo lume.

Sì che vedi che in neuno modo questo lume, unito il caldo e 'l colore a esso lume, si può partire; né per piccolo desiderio che porti l'anima ricevendo questo sacramento, né per difetto che fusse ne l'anima che'l riceve né di colui che 'l ministra, sì com'Io ti dissi del sole, il quale stando in su la cosa immonda, non si lorda però. Così questo dolce lume (103r) in questo sacramento per neuna cosa si lorda né si divide, né diminuisce il lume suo né non si stacca da la ruota, poniamo che tutto il mondo si comunichi del lume e del caldo di questo sole. Così non si stacca questo Verbo sole, unigenito mio Figliuolo, di me, sole, Padre etterno, perché nel corpo mistico della santa Chiesa sia ministrato a chiunque il vuole ricevere; ma tutto vi rimane e tutto l'avete, Dio e uomo sì come ti diei esemplo del lume, che se tutto il mondo mandasse per esso lume, tutti l'ànno tutto, e tutto si rimane.




Caterina, Dialogo 101