Caterina, Dialogo 146

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CAPITOLO CXLVI.

Òtti narrato e ài veduto meno che l'odore d'una sprizza, che è non cavelle a comparazione del mare, come Io proveggo le mie creature, avendoti parlato in generale e in particulare. E ora per questi stati, contandoti del Sacramento, come Io proveggo e per che modo a fare crescere la fame ne l'anima, e come procuro dentro nel sentimento de l'anime, ministrandolo' la grazia col mezzo del servidore dello Spirito santo: a lo iniquo per riducerlo in stato di grazia, a lo imperfetto per farlo giognere a perfezione, e al perfetto per aumentare e crescere la perfezione in lui, perché sete atti a crescere; e per fargli buoni e perfetti mezzi tra l'uomo che è caduto in guerra e me. Perché già ti dissi, se ben ti ricorda, che col mezzo de' servi miei farei misericordia al mondo e col molto sostenere riformare' la sposa mia.

Veramente questi cotali si possono chiamare un altro Cristo crocifisso § 116 ,618; Oraz XII) unigenito mio Figliuolo, perché ànno preso a fare l'officio suo.

Egli venne come tramezzatore, per levare la guerra e reconciliare in pace con meco l'uomo, col molto sostenere infino a l'obrobriosa morte della croce. Così questi cotali vanno crociati, facendosi mezzo con l'orazione e con la parola e con la buona e santa vita; ponendola per esemplo dinanzi a loro. Rilucono le pietre preziose delle virtù con pazienzia, portando e sopportando i loro difetti. Questi sono i lami (OrazIV31) con che essi pigliano l'anime. Egli gittano la rete da la mano dritta e non da la manca, come disse la mia Verità a Pietro e agli altri discepoli (Jn 21,6) doppo la resurrezione; però che la mano manca del proprio amore è morta in loro, e la mano dritta è viva d'uno vero schietto (160r) dolce e divino amore, col quale gittano la rete del santo desiderio in me, mare pacifico. E giognendo la storia che fu innanzi a la resurrezione con quella che fu doppo, (Lc 5,4-8 Jn 21,1-8) sappi che tirando a sé la rete, e richiudendola nel cognoscimento di loro, pigliano tanta abbondanzia di pesci d'anime che si conviene che chiamino il compagno perché gli aiti a trarli della rete, però che solo non può. Perché nello stregnere e nel gittare gli conveniva la compagnia della vera umilità, chiamando il prossimo per dilezione, chiedendo che gli aiti a trare questi pesci de l'anime.

E che questo sia vero tu il vedi ne' servi miei e pruovi: ché sì grande peso lo' pare a tirare queste anime che sono prese nella rete del santo desiderio loro, che chiamano compagnia, e vorrebbero che ogni creatura che à in sé ragione gli aitasse, con umilità reputandosi insufficienti. E però ti dissi che chiamavano l'umilità e la carità del prossimo che l'aitasse a trare questi pesci. Tirando, ne tragono in grandissima abondanzia, poniamo che molti per li loro difetti n'escono che non stanno rinchiusi nella rete.

La rete del desiderio gli à ben tutti presi, perché l'affamata anima del mio onore non si chiama contenta a una particella, ma tutti gli vuole.

I buoni dimanda perché gli aitino mettere nella rete sua, e perché si conservino e cresca la perfezione.

Gl'imperfetti vorrebbe che fussero perfetti. I gattivi vorebbe che fussero buoni, e gl'infedeli tenebrosi vorrebbe che tornassero al lume del santo battesmo. Tutti gli vuole, di qualunque stato o condizione si siano, perché tutti gli vede in me, creati dalla mia bontà in tanto fuoco d'amore e ricomprati del sangue di Cristo crocifisso unigenito mio Figliuolo.

Sì che tutti gli à presi nella rete del santo desiderio suo. Ma molti n'escono, come detto è, che si partono dalla grazia per li difetti loro: e gl'infedeli e gli altri che stanno in peccato mortale. Non è però che essi non siano in quello desiderio per continua orazione, però che quantunque l'anima si parta da me per le colpe sue, e da l'amore (160v) e conversazione che debbono avere a' servi miei e debita reverenzia, non è però diminuito, né debba diminuire, l'affetto della carità in loro. Sì che gittano questa dolce rete da la mano dritta.

O figliuola dolcissima, se tu considererai punto l'atto che fece il glorioso apostolo Pietro, il quale si conta nel santo Evangelio che gli fece fare la mia Verità quando gli comandò che gittasse la rete nel mare, rispondendo Pietro che tutta la notte s'era affadigato e veruno n'aveva potuto avere, dicendo: «Ma nel comandamento e a la parola tua io la gittarò», gittandola ne prese in tanta abondanzia che solo non poté tirarla fuore, e sì chiamò i discepoli che l'aitassero. (Lc 5,4-7) Dico che in questa figura, la quale fu in verità così, ma figura t'è per quello che detto Io t'ò, tu la trovarrai che ella t'è propria. E fo a saperti che tutti i misteri e modi che tenne la mia Verità nel mondo, co' discepoli e senza i discepoli, erano figurativi dentro ne l'anima de' servi miei, e in ogni maniera di genti, acciò che in ogni cosa poteste avere regola e dottrina specolandovi col lume della ragione; e a grossi e a sottili, a quegli che ànno basso e alto intendimento, e ogni uno può pigliare la parte sua, pure che voglia. § 63 ,332) Dissiti che Pietro al comandamento del Verbo gittò la rete. Sì che fu obediente, credendo con fede viva poterli pigliare, e però ne prese assai, ma non nel tempo della notte. Sai tu quale è il tempo della notte? è la oscura notte del peccato mortale, quando l'anima è privata del lume della grazia. In questa notte veruna cosa prende, però che gitta l'affetto suo non nel mare vivo ma morto, § 42 ,706) dove truova la colpa che è non cavelle. Indarno s'affadiga con grandi e intollerabili pene senza utilità: fannosi martiri del dimonio e non di Cristo crocifisso. Ma apparendo il dì che egli escie della colpa e torna allo stato della grazia, apparisce nella mente sua i comandamenti della legge, i quali gli comandano che gitti questa rete nella parola del mio Verbo, amando me sopra ogni cosa e il prossimo come se medesimo (161r). Allora con obedienzia e col lume della fede, con ferma speranza, la gitta nella parola sua, seguitando la dottrina e le vestigie di questo dolce e amoroso Verbo e discepoli. E come gli piglia e cui egli chiama già te l'ò detto di sopra, e però non te gli ricapitolo più.



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CAPITOLO CXLVII.

Questo t'ò detto acciò che tu col lume de l'intelletto cognosca con quanta providenzia questa mia Verità, il tempo che egli conversò con voi, egli adoperò gli atti e misteri suoi, e perché tu cognosca quello che vi conviene fare e quello che fa l'anima che sta in questo perfettissimo stato.

E pensa che egli el fa più perfetto uno che un altro, secondo che va a obbedire a questa parola più prontamente e con più perfetto lume, perduta ogni speranza di sé, ma solo ricolta in me suo Creatore. Più perfettamente la gitta colui che obedisce osservando i comandamenti e consigli attualmente e mentalmente, che colui che osserva solo i comandamenti, e i consigli mentalmente. Che s'egli non osservasse i consigli mentalmente, già non osservarebbe i comandamenti attualmente, perché sono legati insieme, sì come in un altro luogo più pienamente te ne narrai. § 47 Sì che perfettamente piglia secondo che perfettamente gitta. Ma i perfetti, de' quali Io t'ò narrato, pigliano in abondanzia e in grande perfezione. O come ànno ordinati gli organi loro per la buona e dolce guardia che fece la guardia del libero arbitrio a la porta della volontà. Tutti i sentimenti loro fanno uno suono soavissimo, il quale esce dentro della città de l'anima, perché le porte sono tutte chiuse e aperte. § 144 Chiusa è la volontà a l'amore proprio ed è aperta a desiderare e amare il mio onore e la dilezione del prossimo. Lo intelletto è chiuso a raguardare le delizie e vanità e miserie del mondo, le quali sono tutte una notte che dànno tenebre a lo 'ntelletto che disordinatamente le raguarda; ed è aperto col lume posto ne l'obietto del lume della mia Verità. La memoria è serrata nel ricordamento del mondo e di sé sensitivamente, ed è aperta (161v) a ricevere e riducersi a memoria il ricordamento de' benefizi miei. L'affetto de l'anima fa alora uno giubilo e uno suono, temperate e acordate le corde con prudenzia e lume, acordandole tutte a uno suono, cioè a gloria e loda del nome mio. § 54 -LV) In questo medesimo suono che sono acordate le corde grandi delle potenzie de l'anima, sono acordate le piccole de' sentimenti e stormenti del corpo. Sì com'Io ti dissi parlandoti degl'iniqui uomini, che tutte sonavano morte ricevendo i loro nemici, così questi suonano vita, ricevendo gli amici delle vere e reali virtù: stormentano con sante e buone operazioni.

Ogni membro lavora il lavorio che gli è dato a lavorare, ogni uno perfettamente nel grado suo: l'occhio nel suo vedere, l'orecchia nel suo udire, l'odorato nel suo odorare, il gusto nel suo gustare, la lingua nel parlare, la mano nel toccare ed aoperare, i piei ne l'andare. Tutti s'accordano in uno medesimo suono a servire il prossimo per loda e gloria del nome mio, e servire l'anima con buone sante e virtuose operazioni, obedienti a l'anima a rispondere come organi. Piacevoli sono a me, piacevoli a la natura angelica, e piacevoli a' veri gustatori, che gli aspettano con grande gaudio e allegrezza dove participarà il bene l'uno de l'altro, piacevoli al mondo. Voglia il mondo o no, non possono fare gl'iniqui che non sentano della piacevolezza di questo suono. Anco molti e molti con questo lamo e istormento ne rimangono presi: partonsi dalla morte e vengono a la vita.

Tutti i santi ànno preso con questo organo. Il primo che sonasse in suono di vita fu il dolce e amoroso Verbo pigliando la vostra umanità. E con questa umanità unita con la Deità, facendo uno dolce suono in su la croce, prese il figliuolo de l'umana generazione; prese il dimonio, ché ne gli tolse la signoria, che tanto tempo l'aveva posseduto per la colpa sua. § 26 Tutti voi altri sonate imparando da questo maestro. Con questo imparare da lui presero gli apostoli, seminando (162r) la parola sua per tutto il mondo; i martiri i confessori i dottori e le vergini, tutti pigliavano l'anime col suono loro. Raguarda la gloriosa vergine Orsolina, che tanto dolcemente sonò il suo stormento, che solo di vergini n'ebbe undici migliaia, e più d'altretanti d'altra gente ne prese con questo medesimo suono. E così tutti gli altri, chi in uno modo e chi in un altro. Chi n'è cagione? La mia infinita providenzia, che ò proveduto in darlo' gli stormenti; dato l'ò la via e 'l modo con che possino sonare.

E ciò ch'Io do e permetto in questa vita l'è via ad aumentare questi stormenti, se elli la vogliono cognoscere, e che non si voglino tollere il lume con che veggono con la nuvila de l'amore proprio, piacere e parere di loro medesimi.



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CAPITOLO CXLVIII.

Dilarghisi figliuola il cuore tuo, e apre l'occhio de l'intelletto col lume della fede, a vedere con quanto amore e providenzia Io ò creato e ordinato l'uomo acciò che goda nel mio sommo ed etterno bene. E in tutto ò proveduto come detto t'ò, e ne l'anima e nel corpo, negl'imperfetti e ne' perfetti, a' buoni e a' gattivi, spiritualmente e temporalmente, nel cielo e nella terra, in questa vita mortale e nella immortale.

In questa vita mortale, mentre che sete viandanti, v'ò legati nel legame della carità: voglia l'uomo o no, egli ci è legato. Se egli si scioglie per affetto che non sia nella carità del prossimo, egli ci è legato per necessità. Unde acciò che in atto e in affetto usaste la carità - e se la perdete in affetto per le iniquità vostre, almeno sete costretti per vostro bisogno a usare l'atto - providi di non dare a uno uomo, e a ogni uno a se medesimo, il sapere fare quello che bisogna in tutto alla vita de l'uomo; ma chi n'à uno e chi n'à un'altro, acciò che l'uno abbi materia per suo bisogno di ricorrire a l'altro.

Unde tu vedi che l'artefice ricorre al lavoratore e il lavoratore a l'artefice: l'uno à bisogno de l'altro, perché non sa fare quello, l'uno, che l'altro. Così el cherico e il religioso (162v) à bisogno del secolare, e il secolare del religioso; e l'uno non può fare senza l'altro. E così d'ogni altra cosa.

E non potevo Io dare a ogni uno tutto? Sì bene, ma volsi con providenzia che s'aumiliasse l'uno a l'altro, e costretti fussero di usare l'atto e l'affetto della carità insieme. Mostrato ò la magnificenzia, bontà e providenzia mia in loro, e essi si lassano guidare alla tenebre della propria fragilità.

Le membra del corpo vostro vi fanno vergogna, perché usano carità insieme, e non voi; unde, quando il capo à male, la mano il soviene; e se 'l dito, che è così piccolo membro, à male, il capo non si reca a schifo perché sia maggiore e sia più nobile che tutta l'altra parte del corpo, anco el soviene co' l'udire, col vedere, col parlare e con ciò ch'egli à; e così tutte l'altre membra. Non fa così l'uomo superbo che vedendo il povaro, membro suo, e infermo e in necessità non il soviene, non tanto con ciò che egli à ma con una minima parola; (Let 18) ma con rimproverio e schifezza volta la faccia adietro. Abbonda in ricchezza e lassa lui morire di fame; ma egli non vede che la miseria sua e crudeltà gitta puzza a me, § 145 e infine al profondo de l'inferno ne va la puzza sua.

Io provego a quel poverello, e per la povertà gli sarà data somma ricchezza. E a lui con grande rimproverio gli sarà rimproverato dalla mia Verità, se egli non si corregge, per lo modo che conta nel santo Evangelio dicendo: «Io ebbi fame e non mi desti mangiare, ebbi sete e non mi desti bere, ignudo fui e non mi vestisti, in carcere e non mi visitasti». E non gli varrà in quello ultimo di scusare dicendo: «Io non ti viddi mai, che se io t'avessi veduto io l'avarei fatto». Il misero sa bene, e così disse egli, che quello che faceva a' suoi povaregli faceva a lui. E però giustamente gli sarà dato etterno supplicio con le dimonia. (Mt 25,42-46) Sì che vedi che nella terra Io ò proveduto perché e' non vadino all'etternale dolore.

Se tu raguardi di sopra in me, Vita durabile, nella natura angelica e nei cittadini che sono in essa (163r) vita durabile, che in virtù del sangue dell'Agnello ànno avuto vita etterna, Io ò ordinato con ordine la carità loro, ciò è che non ò posto che l'uno gusti pure il bene suo proprio nella beata vita che egli à da me e non sia participato dagli altri. Non ò voluto così, anco è tanto ordinata e perfetta la carità loro, che il grande gusta il bene del piccolo, e il piccolo del grande. Piccolo, quanto a misura; non che 'l piccolo non sia pieno come il grande, ogni uno nel grado suo, sì come in un altro luogo Io ti narrai. § 41 O quanto è fraterna questa carità! e quanto è unitiva in me e l'uno con l'altro, perché da me l'ànno e da me la ricognoscono, con quel timore santo e di debita reverenzia, che vedendo loro s'affogano in me e in me veggono e cognoscono la loro dignità nella quale Io gli ò posti. L'angelo si comunica con l'uomo cioè co' l'anime dei beati, e i beati con gli angeli. Sì che ogni uno in questa dilezione della carità, godendo il bene l'uno de l'altro, esultano in me con giubilo e allegrezza senza tristizia, dolce senza veruna amaritudine, perché mentre che vissero e nella morte loro gustarono me per affetto d'amore nella carità del prossimo.

Chi l'à ordinato? La sapienzia mia con ammirabile e dolce providenzia.

E se tu ti volli al purgatorio, vi trovarai la mia dolce e inestimabile providenzia in quelle tapinelle anime che per ignoranzia perdero il tempo; e perché sono separate dal corpo, non ànno più il tempo di potere meritare. Unde Io l'ò provedute col mezzo di voi, che anco sete nella vita mortale, che avete il tempo per loro; ciò è che con le limosine e divino offìzio che facciate dire a' ministri miei, con digiuni e con orazioni fatte in istato di grazia, abreviate a loro il tempo della pena mediante la mia misericordia. Odi dolce providenzia! Tutto questo ò detto a te, che s'apartiene dentro ne l'anima a la salute vostra, per farti inamorare e vestire col lume della fede, con ferma speranza nella providenzia mia, e perché tu gitti te fuore di te, e in ciò che tu ài a fare speri in me senza veruno timore servile.



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CAPITOLO CXLIX.

Ora ti voglio dire una piccola particella de' modi che Io tengo a sovenire a' servi miei che sperano in me, nella necessità corporale. E tanto la ricevono perfettamente e imperfettamente quanto egli è perfetto e imperfetto, spogliato di sé e del mondo, ma ogni uno proveggo. Unde i povaregli miei, povari per spirito e di volontà, cioè per spirituale (163v) intenzione, non semplicemente dico poveri, però che molti sono poveri e non vorrebbero essere: questi sono ricchi quanto a la volontà, e sono mendichi perché none sperano in me né portano volontariamente la povertà che Io l'ò data per medicina de l'anime loro, perché la ricchezza l'avarebbe fatto male e sarebbe stata sua dannazione.

Ma i servi miei sono poveri e non mendichi. Il mendico spesse volte non à quello che li bisogna e pate grande necessità; ma il povaro non abonda, ma à a pieno la sua necessità: Io non gli manco mai, mentre che egli spera in me. Conducoli bene alcuna volta in su la estremità perché meglio veggano e cognoscano ch'Io gli posso e voglio provedere, inamorinsi della providenzia mia e abraccino la sposa della vera povertà; unde il servitore loro dello Spirito santo, clemenzia mia, vedendo che non abbino di quello che lo' bisogna a la necessità del corpo, accenderà uno desiderio con uno stimolo nel cuore di coloro che possono sovenire: andaranno e soverrannoli del loro bisogno.

Tutta la vita de' dolci miei povarelli si governa per questo modo, con sollicitudine, che Io do ai servi del mondo, di loro. è vero che per provarli in pazienzia, e in fede e perseveranzia, Io sosterrò che lo' sia detto rimproverio ingiuria e villania, e non di meno quello medesimo che lo' dice e fa ingiuria è costretto dalla mia clemenzia a darlo' la elimosina e sovenire a' loro bisogni. Questa è providenzia generale data a' miei poveregli.

Ma alcuna volta l'usarò nei grandi servi miei senza il mezzo della creatura, solo per me medesimo, sì come tu sai d'avere provato, e udito del tuo glorioso padre Domenico, che nel principio de l'Ordine, essendo i frati in necessità in tanto che, essendo venuta l'ora del mangiare e non avendo che, il diletto mio servo Domenico, col lume della fede sperando che Io provedarei, disse: «Figliuoli, ponetevi a mensa».

Obbedendolo i frati, a la parola sua posonsi a mensa. Allora Io, che proveggo a chi spera in me, mandai due angeli (164r) con pane bianchissimo, in tanto che n'ebbero in grandissima abondanzia per più volte.

Questa fu providenzia non con mezzo d'uomini ma fatta dalla clemenzia dello Spirito santo.

Alcuna volta proveggo moltiplicando una piccola quantità, la quale non era bastevole a loro, sì come tu sai di quella dolce vergine santa Agnesa, la quale da la sua puerizia infino a l'ultimo servì a me con vera umilità, con esperanza ferma, intanto che non pensava di sé né della fameglia sua con dubbitazione. Unde ella con viva fede, per comandamento di Maria, si mosse, povarella senza veruna sustanzia temporale, a fare il monasterio. Sai che era luogo di peccatrici. Ella non pensò: come potrò io fare questo? Ma sollicitamente con la mia providenzia ne fece luogo santo, monasterio ordinato a religiose. Ine congregò nel principio da diciotto fanciulle vergini senza avere cavelle, se non come Io le provedevo; tra l'altre volte avendo Io sostenuto che tre dì erano state senza pane, solo con l'erba. E se tu mi dimandassi: perché le tenesti a quello modo? con ciò sia cosa che di sopra mi dicesti che tu non manchi a' servi tuoi che sperano in te, e che egli ànno la loro necessità. In questo mi pare che lo' mancasse il loro bisogno, perché pure dell'erba non vive il corpo della creatura, parlando comunemente e in generale di chi non è perfetto; che se Agnesa era perfetta ella, non erano l'altre in quella perfezione. Io ti rispondarei che Io el feci e permissi per farla inebriare della providenzia mia; e a quelle che anco erano imperfette, per lo miracolo che poi seguitò, avessero materia di fare il principio e fondamento loro nel lume della santissima fede. In quella erba o in altro, a cui divenisse uno simile caso o per veruno altro modo, davo e do una disposizione a quel corpo umano, in tanto che meglio starà con quella poca de l'erba, o alcuna volta senza cibo, che inanzi non faceva col pane e co' l'altre cose che si dànno e (164v) sono ordinate per la vita de l'uomo. E tu sai che egli è così, ché l'ài provato in te medesima.

Dico ch'Io proveggo col moltiplicare. Ché, essendo ella stata questo spazio del tempo che Io t'ò detto, vollendo ella l'occhio della mente sua col lume della fede a me, disse: «Padre e Signore mio, sposo etterno, ed à'mi tu fatte trare queste figliuole delle case de' padri loro perché elle periscano di fame? Provede, Signore, a la loro necessità». Io ero colui che la facevo adimandare: piacevami di provare la fede sua, e l'umile sua orazione era a me piacevole. Distesi la mia providenzia in quello che con la mente sua stava dinanzi da me, e costrinsi per spirazione la creatura nella sua mente, che le portasse cinque panuccioli. E manifestandolo a lei nella mente sua, disse vollendosi a le suoro: «Andate figliuole mie, rispondete alla ruota e tollete quel pane». Arrecandolo elle, si posero a mensa. Io le diei tanta virtù nello spezzare il pane che ella fece, che tutte se ne saziarono a pieno, e tanto ne levarono di su la mensa, che pienamente un'altra volta n'ebbero abondantemente a la necessità del corpo loro.

Queste sono delle providenzie che Io uso co' miei servi, a quegli che so' poveri volontariamente; e non pure volontariamente ma per spirito, (Mt 5,3) però che senza la spirituale intenzione nulla lo' varrebbe: sì come a' filosofi che per l'amore che avevano alla scienzia e volontà d'impararla, spregiavano le ricchezze e facevansi poveri volontariamente, cognoscendo di cognoscimento naturale che la sollicitudine delle mondane ricchezze gli aveva a impedire di non lassarli giognere al termine loro della scienzia, il quale ponevano per uno loro fine dinanzi a l'occhio de l'intelletto loro. Ma perché questa volontà della povertà non era spirituale, fatta per gloria e loda del nome mio, però non avevano vita di grazia né perfezione, ma morte (165r) etternale.



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CAPITOLO CL.

Doh, raguarda, carissima figliuola, quanta vergogna ai miseri uomini amatori delle ricchezze, che non seguitano il cognoscimento che lo' porge la natura per aquistare il sommo ed etterno Bene, lo' fanno questi filosofi che, per amore della scienzia, cognoscendo che e' l'era impedimento, le gittavano da loro.

E questi delle ricchezze si vogliono fare dio. E questo il manifesta che egli è così, che e' si dogliono più quando perdono la ricchezza e sustanzia temporale che quando perdono me, che so' somma e etterna ricchezza. Se tu raguardi bene, ogni male n'escie di questo disordinato desiderio e volontà della ricchezza, (1Tm 6,10; § 33 ,107) e' n'escie la superbia, volendo essere il maggiore; la ingiustizia in sé e in altrui; avarizia, ché per l'appetito della pecunia non si cura di robbare il fratello suo né di tollere quello della Chiesa, che è acquistato col sangue del Verbo unigenito mio Figliuolo. Escene rivendarie delle carni del prossimo suo e del tempo: come sono gli usurai, che come ladri vendono quello che non è loro. E n'escie golosità per li molti cibi e disordinatamente prenderli; e disonestà: che se eglino non avessero che spendere, spesse volte non starebbero in conversazione di tanta miseria.

Quanti omicidi, odio e rancore verso il loro prossimo, e crudeltà con infidelità verso di me, presumendo di loro medesimi, come se per loro virtù l'avessero acquistate, non vedendo che per loro virtù non le tengono né l'acquistano, ma solo per mia! Perdono la speranza di me sperando solo nelle loro ricchezze.

Ma la speranza loro è vana, ché non avedendosene ella viene meno: o egli le perde in questa vita per mia dispensazione e sua utilità, o egli le perde col mezzo della morte. Allora cognosce che vana e non stabile ella era. Ella impoverisce e uccide l'anima, fa l'uomo crudele a se medesimo, tollegli la dignità dello infinito e fallo finito, ciò è che (165v) il desiderio suo, che debba essere unito in me che so' Bene infinito, egli l'à unito e posto per affetto d'amore in cosa finita.

Esso perde il gusto del sapore de la virtù e de l'odore della povertà; perde la signoria di sé facendosi servo delle ricchezze. è insaziabile perché ama cosa meno di sé; però che tutte le cose che sono create sono create per l'uomo, (Ps 8,7) perché gli servano e non perché egli se ne faccia servo, e l'uomo die servire a me che so' suo fine.

A quanti pericoli, a quante pene si mette l'uomo per mare e per terra, per acquistare la grande ricchezza, per tornare poi nella città sua con delizie e stati, e non si studia né cura d'acquistare le virtù né di sostenere un poca di pena per averle, che sono la ricchezza de l'anima. Eglino sono tutti ammersi, e 'l cuore e l'affetto, che debba servire me, eglino l'ànno posto nelle ricchezze, con molti guadagni inliciti carica la coscienzia loro.

Vedi a quanta miseria e' si recano, di cui e' si sono fatti servi: non di cosa ferma né stabile ma mutabile, ché oggi sono ricchi e domane sono povari; ora sono in alto, ora sono a basso; ora sono temuti e avuti in reverenzia dal mondo per la loro ricchezza, e ora è fatto beffe di loro avendola perduta. Con rimproverio e vergogna e senza compassione essi sono trattati, perché si facevano amare ed erano amati per le ricchezze e non per virtù che fussero in loro. Che se egli si fussero fatti amare e fussero stati amati per le virtù che fussero state in loro trovate, non sarebbe levata la reverenzia né l'amore perché la sustanzia temporale fusse perduta, e non la ricchezza delle virtù.

O come è grave a portare a loro nella coscienzia questi pesi! Egli è sì grave che in questo cammino della peregrinazione non può corrire né passare per la porta stretta. (Mt 7,13 Lc 13,24) Così vi disse la mia Verità nel santo Evangelio, che egli era più impossibile a uno ricco intrare a vita etterna che a uno camello per una cruna d'aco. (Mt 19,24 Mc 10,25 Lc 18,25) Ciò sono coloro che con disordinato e miserabile affetto posseggono (166r) o desiderano la ricchezza. Però che molti sono quegli che sono povari, sì come Io ti dissi, e per affetto disordinato possegono tutto il mondo con la loro volontà, se eglino il potessero avere. Eglino non possono passare per la porta, però che ella è stretta ed è bassa, unde se non gittano il carico a terra e ristringano l'affetto loro nel mondo e chinino il capo per umilità, non ci potranno passare. Ed egli non ci è altra porta che gli conduca a vita se non questa. (Mt 7,13-14) Ècci la porta larga che gli mena a l'etterna dannazione, e come ciechi non pare che veggano la loro ruina, ché in questa vita gustano l'arra de l'inferno. Però che in ogni modo ricevono pena: desiderando di volere più che non possono avere, non avendo ànno pena. E se egli perdono, perdono con dolore: con quella misura n'ànno dolore che egli la possedevano con amore. Perdono la dilezione del prossimo e non si curano d'aquistare veruna virtù.

O fracidume del mondo! non le cose del mondo in loro, però che ogni cosa creai buona e perfetta, ma fracido è colui che con disordinato amore le tiene e cerca.

Mai non potresti con la lingua tua narrare, figliuola mia, quanti sono i mali che n'escono. E' veggonne e pruovanne tutto dì, e non vogliono vedere né cognoscere il danno loro.



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CAPITOLO CLI.

Òttene toccato alcuna cosa perché meglio cognosca il tesoro della povertà volontaria per spirito. Chi el cognosce? I diletti povaregli servi miei, che per potere passare questo cammino e intrare per la porta stretta, ànno gittato a terra il peso delle ricchezze.

Alcuno le gitta attualmente e mentalmente, e questi sono quegli che osservano i comandamenti e consigli attualmente e mentalmente. E gli altri osservano i consigli solo mentalmente, spogliandosi l'affetto della ricchezza, ché non la possiede con disordinato amore ma con ordine e timore santo: fatto n'è non possessore ma distributore (166v) a' poveri. Questo è buono, ma il primo è perfetto, con più frutto e meno impaccio, in cui si vede più rilucere attualmente la providenzia mia. Della quale, insiememente commendando la vera povertà, Io ti compirò di narrare. L'uno e l'altro ànno chinato il capo facendosi piccoli per vera umilità. (Mt 18,3) E perché in un altro luogo di questo secondo, se ben ti ricorda, alcuna cosa te ne parlai, § 47 però ti dirò solo di questo primo.

Io t'ò mostrato e detto che ogni male danno e pena, in questa vita e ne l'altra, esce de l'amore proprio delle ricchezze.

Ora ti dico, per contrario, che ogni bene pace riposo e quiete esce della povertà. Mirami pure l'aspetto dei veri povarelli, con quanta allegrezza e giocondità stanno: mai non si contristano se non de l'offesa mia la quale tristizia non affligge ma ingrassa l'anima. Per la povertà ànno aquistata la somma ricchezza; per lassare la tenebre truovansi perfettissima luce; per lassare la tristizia del mondo posseggono allegrezza; per li beni mortali truovano gl'immortali: ricevono massima consolazione. Le fadighe e il sostenere l'è uno refrigerio, con giustizia e carità fraterna con ogni creatura che à in sé ragione: non sono accettatori delle creature.

In cui riluce la virtù della santissima fede e vera speranza? dove arde il fuoco della divina carità? In loro, che con lume della fede che egli ebbero in me, somma ed etterna ricchezza, levarono la speranza loro dal mondo e da ogni vana ricchezza, e abracciarono la sposa della vera povertà con le serve sue. E sai quali sono le serve della povertà? La viltà e il dispregio di sé e la vera umilità, che servono e notricano l'affetto e l'amore della povertà ne l'anima.

Con questa fede e speranza, accesi di fuoco di carità, saltavano e saltano i veri servi miei delle ricchezze e del proprio sentimento, sì come il glorioso Matheo apostolo lassò le grandi ricchezze saltando il banco, e seguitò (167r) la mia Verità (Mt 9,9 Mc 2,14 Lc 5,27ss.) che v'insegnò il modo e la regola, insegnandovi amare e seguitare questa povertà. E non ve la insegna con parole solamente ma con esemplo; unde, dal principio della sua natività infino a l'ultimo della vita, in esemplo v'insegnò questa dottrina. Egli la sposò per voi questa sposa della vera povertà, con ciò sia cosa che egli fusse somma ricchezza per l'unione della natura divina, unde egli è una cosa con meco e Io con lui, che so' etterna ricchezza.

E se tu il vuogli vedere umiliato e in grande povertà, raguarda Dio essere fatto uomo, vestito della viltà de l' umanità vostra.

Tu vedi questo dolce e amoroso Verbo nascere in una stalla, essendo Maria in camino, per mostrare a voi viandanti che voi dovete sempre rinascere nella stalla del cognoscimento di voi, dove trovarete nato me, per grazia, dentro ne l'anima vostra. Tu il vedi stare ine in mezzo degli animali, in tanta povertà che Maria non à con che ricoprirlo. Ma essendo tempo di freddo, col fiato de l'animale, e col fieno ricoprendolo, sì riscaldava. (Lc 2,4-8) Essendo fuoco di carità, vuole sostenere freddo ne l'umanità sua. In tutta la vita, mentre che visse nel mondo volse sostenere, e senza discepoli e co' discepoli; unde alcuna volta per la fame sgranellavano i discepoli le spighe e mangiavano le granella. (Mt 12,1 Mc 2,23 Lc 6,1) E ne l'ultimo della vita sua, nudo e spogliato e fragellato alla colonna e asetato, sta in sul legno della croce in tanta povertà che la terra e il legno gli venne meno, non avendo luogo dove riposare il capo suo, ma convennesi che sopra la spalla sua riposasse il capo. E, come ebbro d'amore, vi fa bagno del sangue suo, uperto il corpo di questo Agnello che da ogni parte versa. (Jn 19,30-34) Essendo in miseria dona a voi la grande ricchezza; stando in sul legno stretto della (167v) croce egli spande la larghezza sua a ogni creatura che à in sé ragione; assaggiando l'amaritudine del fiele egli dà a voi perfettissima dolcezza; stando in tristizia vi dà consolazione; stando confitto e chiavellato in croce egli vi scioglie dal legame del peccato mortale; essendosi fatto servo v'à fatti liberi e tratti della servitudine del dimonio; essendo venduto v'à ricomperati di sangue; dando a sé morte, à dato a voi vita.

Bene v'à dato dunque regola d'amore, mostrandovi maggiore amore che mostrare vi potesse, dando la vita per voi che eravate fatti nemici a lui e a me sommo ed etterno Padre. Questo non cognosce lo ignorante uomo che tanto m'offende e tiene a vile sì fatto prezzo.

Àvvi data regola di vera umilità umiliandosi a l'obrobriosa morte della croce, e di viltà sostenendo gli obrobri e grandi rimproverii, e di vera povertà. Unde parla di lui la Scrittura lamentandosi in sua persona: «Le volpi ànno tana, gli uccelli ànno nido, e il Figliuolo della Vergine non à dove posare il capo suo». (Mt 8,20 Lc 9,58) Chi el cognosce questo? Quelli che à il lume della santissima fede. In cui truovi questa fede? Nei povaregli per spirito, che ànno presa la sposa reina della povertà, per che ànno gittato da loro le ricchezze che davano tenebre d'infedelità.

Questa reina, ella à il reame suo che non v'à mai guerra, ma sempre à pace e tranquillità. Ella abbonda di giustizia, perché quella cosa che commette ingiustizia è separata da lei. Le mura della città sua, elle sono forti, perché 'l fondamento non è fatto sopra la terra, né in rena, che ogni piccolo vento il cacci a terra, (Mt 7,24-25 Lc 6,48) ma sopra la viva pietra, (1P 2,4 Ep 2,20) Cristo dolce Iesu unigenito mio Figliuolo.

Dentro v'è luce senza tenebre, àvi fuoco senza freddo, perché la madre di questa reina è l'abisso della divina carità. L'adornamento di questa (168r) città è la pietà e la misericordia, perché n'à tratto il tiranno della ricchezza che usava crudeltà. Ine v'è una benivolenzia con tutti i cittadini ciò è la dilezione del prossimo. Egli v'è la longa perseveranzia con la prudenzia, che non va né governa la città sua imprudentemente, ma con molta prudenzia e sollicita guardia. Unde l'anima che piglia questa dolce reina della povertà per sposa si fa signore di tutte queste ricchezze, e non può essere dell'uno che non sia de l'altro. Guarda già che la morte de l'appetito delle ricchezze non cadesse in quella anima: allora sarebbe divisa da quello bene, e trovarebbesi di fuore della città in somma miseria. Ma se ella è leale e fedele a questa sposa, sempre in etterno le dona la ricchezza sua.

Chi vede tanta eccellenzia? L'anima in cui riluce il lume della fede. (Oraz VII 79-87) Questa sposa riveste lo sposo suo di purità, tollendo via la ricchezza che 'l faceva immondo; privalo delle gattive conversazioni e dàgli le buone; tra'ne la marcia della negligenzia, gittando fuore la sollicitudine del mondo e delle ricchezze; tra'ne l'amaritudine e rimane il dolce; taglia le spine e rimanvi la rosa; vota lo stomaco de l'anima d'omori corrotti del disordinato amore e fallo leggiero e, poi che egli è votio, l'empie del cibo delle virtù che dànno grandissima soavità. Ella gli pone il servo de l'odio e de l'amore acciò che purifichi il luogo suo: unde l'odio del vizio e della propria sensualità spazza l'anima e l'amore delle virtù l'adorna, (Mt 12,44) tra'ne ogni dubitazione privandola del timore servile e dàlle sicurtà con timore santo.

Tutte le virtù, tutte le grazie e piaceri e diletti che l'anima sa desiderare, e più che non sa desiderare, truova l'anima che piglia per sposa la reina della povertà. Non teme di briga, ché non è chi le faccia guerra; non teme di fame né di caro, perché la fede vidde e sperò in me, suo Creatore unde procede ogni ricchezza e providenzia, che (168v) sempre gli pasco e gli notrico. E trovossi mai uno vero mio servo, sposo della povertà, che perisse di fame? No, ché si sono veduti di quelli che sono abondati nelle grandi ricchezze, confidandosi nelle ricchezze loro e non in me, e però perivano. Ma in questi non manco Io mai perché non mancano in speranza, e però gli proveggo come benigno e pietoso padre, e con quanta allegrezza e larghezza sono venuti a me, avendo cognosciuto col lume della fede che, dal principio infino a l'ultimo del mondo, ò usato e uso e usarò in ogni cosa la providenzia mia, spiritualmente e temporalmente, come detto è. Fogli Io bene sostenere, sì com'Io ti dissi, per fargli crescere in fede e in speranza e rimunerarli delle loro fadighe, ma non lo' manco mai in veruna cosa che lo' bisogni. In tutto pruovano con dolcezza l'abisso della mia providenzia, gustandovi il latte della divina dolcezza, e però non temono l'amaritudine della morte, ma con ansietato desiderio corrono, come morti al proprio sentimento di loro e delle ricchezze, abracciati con la sposa de la vera povertà, come inamorati e vivi nella volontà mia, a sostenere caldo freddo e nudità, fame e sete, strazi e villanie, e a la morte, con desiderio di dare la vita per amore della Vita, cioè di me, che so' loro vita, e il sangue per amore del sangue.

Raguarda gli apostoli povarelli e gli altri gloriosi martiri, Pietro Pauolo Stefano, e Lorenzo che non pareva che stesse sopra il fuoco ma sopra fiori di grandissimo diletto, quasi stando in motti col tiranno, dicendo: «Questo lato è cotto: vòllelo e comincialo a mangiare». Col fuoco grande della divina carità spegneva il piccolo nel sentimento de l'anima sua. Le pietre a Stefano parevano rose: chi n'era cagione? L'amore, col quale avevano preso per sposa la vera e santa povertà, avendo lassato il mondo per gloria e loda del nome mio, e presala per sposa col lume della santissima fede, con ferma speranza e pronta obedienzia.

Fattisi obedienti a' comandamenti e a' consigli che lo' dié la mia Verità, attualmente e mentalmente come (169r) detto è, la morte ànno in desiderio e la vita in dispiacere e in impazienzia, non per fuggire labore né fadiga, ma per unirsi in me che so' loro fine. E perché non temono la morte, che naturalmente l'uomo teme? Perché la sposa della povertà, la quale egli à presa, l'à fatto sicuro tollendogli l'amore di sé e delle ricchezze, unde con la virtù à conculcato l'amore naturale e ricevuto questo lume e amore divino che è sopranaturale. E come potrà l'uomo che è in questo stato dolersi della morte sua? che desidera di lassare la vita, e pena gli è di portarla quando la vede tanto prolongare? Potrassi dolere di lassare le delizie e ricchezze del mondo, che l'à spregiate con tanto desiderio? Non è grande fatto ponto, ché chi non ama non si duole, anco si diletta quando lassa la cosa che odia. Sì che, da qualunque lato tu ti volli, truovi in loro perfetta pace e quiete e ogni bene; e ne' miseri che posseggono con tanto disordinato amore, sommo male e intollerabili pene, poniamo che a l'aspetto di fuore paresse il contrario, ma in verità egli è pure così.

E chi non avesse giudicato che Lazzaro povero fusse in somma miseria e il ricco dannato in grande allegrezza e riposo? E non di meno non era né fu così, ché sosteneva maggiore pena quello ricco con le sue ricchezze, che Lazzaro povarello crociato di lebbra; perché in lui era viva la volontà unde procede ogni pena e in Lazzaro era morta, e viva in me che nella pena gli davo refrigerio e consolazione. Essendo cacciato dagl'uomini, massimamente dal ricco dannato, né forbito né governato da loro, Io provedevo che l'animale che non à ragione leccasse le piaghe sue. E ne l'ultimo della loro vita vedete col lume della fede Lazzaro a vita etterna e il ricco ne lo'nferno. (Lc 16,19-22) Sì che i ricchi stanno in tristizia e i dolci miei povaregli in allegrezza. Io me gli tengo al petto mio, dandolo' del latte delle molte consolazioni. Perché tutto lassarono però tutto mi posseggono: lo Spirito santo si fa baglia de l'anime e de' corpicelli loro in qualunque (169v) stato siano. Agli animali gli fo provedere in diversi modi secondo che avaranno bisogno; agl'infermi solitari farò escire l'altro solitario della cella per andare a sovenirlo; e tu sai che molte volte t'adivenne ch'Io ti trassi di cella per satisfare alla necessità delle poverelle che avevano bisogno. Alcuna volta te la feci provare in te, usando in te questa medesima providenzia, sovenendo alla tua necessità; e quando mancava la creatura, non mancavo Io, tuo Creatore. In ogni modo Io gli provego. E unde verrà che l'uomo stando nelle ricchezze e in tanta cura del corpo suo con molti panni, e sempre starà infermiccio? e spregiando poi sé abracciando la povertà, il vestimento terrà solo per ricoprire il corpo suo, e diventerà forte e sano? e veruna cosa pare che gli sia nociva, ché a quel corpo non pare che gli faccia danno più né freddo né caldo né i grossi cibi. Da la mia providenzia gli viene, ché providi e tolsi ad avere cura di lui, perché tutto si lassò.

Adunque vedi, dilettissima figliuola, in quanto riposo e diletto stanno questi diletti miei poveregli.




Caterina, Dialogo 146