Caterina, Lettere 88

88

Al vescovo di Fiorenza, cioè a quello da Ricasole.

Al nome di Gesù Cristo che per noi fu crucifisso.

A voi, reverendissimo e carissimo padre in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava di Dio e vostra, e di tutti e' servi di Dio, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue, sparto con tanto ardentissimo amore per noi; bene che presunzione sia, voi mi perdonarete e ponretelo all'amore e al desiderio che io, misera miserabile, ò de la salute vostra e d'ogni creatura, e singularmente di voi, che sete padre di molte pecorelle.

E però vi prego dolcissimamente che vi destiate e leviate dal sonno de la negligenzia, imparando dal dolce maestro de la verità, che à posta la vita come pastore vero per le pecorelle (Jn 10,11) che volontariamente udiranno la voce sua (Jn 10,3), cioè coloro che saranno osservatori de' comandamenti suoi. E se ci cadesse cogitazione nel cuore: «Io non posso seguitare questa perfezione, ché mi sento debile e flagile e imperfetto; per la illusione del dimonio e per la flagilità de la carne e per le lusenghe e inganni del mondo so' indebilito», e veramente, riverendo padre, è così, ché colui che seguita questo diventa debile, e sì pavoroso e timoroso di timore servile, che, come fanciullo, teme dell'ombra sua; ma se è savio fugge a la madre, ine diventa sicuro e perde el timore. Così questo cotale teme più l'ombra de la creatura, che è ombra sua, uomo come egli; in tanto abonda questo timore che non si cura, per non dispiacere a le creature e non perdare lo stato suo, che 'l suo Creatore sia offeso, o d'offendarli. Ma la inestimabile bontà à posto rimedio contra ogni nostra debilezza con la sua ineffabile carità. Ella è quella dolcissima madre che à per nutrice la profonda umilità; ella nutrica tutti e' figliuoli de le virtù: neuna può avere vita se non è conceputa e parturita da questa madre de la carità; e così dice quello inamorato di Pavolo, contando molte virtù, che nulla li vale senza la carità (1Co 13,1-3).

Adunque seguitate quelli veri pastori che seguitâro Cristo crocifisso - che furono uomini come voi -: e potente è ora come allotta, ché egli è incommutabile. Ma eglino tenevano le vestigie sue, ché, cognoscendo la debilezza loro, fuggivano umili, abbattuta la superbia dell'onore e amore proprio di sé; fuggivano a la madre de la vera carità: ine perdevano ogni timore, non temevano di correggiare e' sudditi loro, però che tenevano a mente la parola di Cristo: «Non temete colui che può uccidare el corpo, ma me» (Mt 10,28 Lc 12,4-5). Non mi maraviglio, però che l'occhio loro e 'l gusto non si pasceva di terra, ma dell'onore di Dio e de la salute de le creature. Volendo servire e ministrare le grazie spirituali e temporali, come di grazia avevano ricevuto, di grazia davano (Mt 10,8), non vendendo per pecunia né per simonia, ché facevano come buoni ortolani e lavoratori, posti nel giardino de la santa Chiesa. Non attendevano a giuochi né a grossi cavalli né a la molta ricchezza, né a spendare quello de la Chiesa nel disordenato vivere, e quello che die essare de' povari; ma stavano, come fortificati da questa madre, al vento e all'acque de le molte battaglie, a divellare e' vizii e piantare le virtù. Perdevano sé e raguardavano el frutto che portavano a Dio; erano privati de l'amore proprio, amavano Dio per Dio - perché è somma bontà e degno d'amore -, e sé per Dio - donando l'onore a Dio e la fadiga al prossimo -, e 'l prossimo per Dio - non raguardando ad utilità che possa da lui ricevare, se non solo che possa avere e gustare Dio -.

Oimé oimé oimé, disaventurata l'anima mia, non fanno oggi così, ché, perché amano d'amore mercennaio, amano loro per loro e Dio per loro e 'l prossimo per loro; in tanto abonda questo perverso amore - el quale più tosto si debbe chiamare odio mortale, perché ne nasce la morte (oimé, piangendo el dico!) -, che non si curano de le immundizie, né di mercatare e vendare la grazia de lo Spirito santo.

Vegono e' ladri che furano l'onore di Dio e dannolo a loro, oimé, e non lo impiccaranno per correggimento; vede el lupo infernale portarne la pecora, e chiude gli occhi per non vederlo. E questa è la cagione che non vede e non corregge: o per amore proprio di sé, unde nasce el disordenato timore; o perché si sente in quelli medesimi vizii, e' quali gli legano la lingua e le mani, che nol lassano correggiare né gastigare el vizio.

Non vorrei, carissimo e reverendissimo e dolcissimo mio padre in Cristo Gesù, che questo divenisse a voi, ma pregovi che siate pastore vero a ponare la vita per loro (Jn 10,11). Però dissi che io pregavo e desideravo con grande desiderio che vi levaste dal sonno della negligenzia: chi dorme non vede e non sente; ed è bisogno di molto vedere e di molto sentire però che avete a rendare ragione di loro, e sete in mezzo de' nemici: del corpo, del dimonio e de le delizie del mondo. La necessità de la vostra salute v'invita a destarvi, e con lume seguitare la vita e' santi modi de' veri pastori: acostatevi a questa dolce madre de la carità, la quale vi torrà ogni timore e strettezza di cuore; daravi fortezza e larghezza e libertà di cuore, in Dio fortificato e conformato; e faràvi una cosa con lui, però che Dio è carità (1Jn 4,8): chi sta in carità sta in Dio, e Dio in lui (1Jn 4,16).

Adunque, padre, poi che aviamo veduto che la carità fortifica, e tolleci la debilezza, e' nemici sono molti che ci assediano, non è da indugiarci a intrare in questa fortezza, seguitando la via de la verità e degli altri pastori. Non aspettate el dì di domane, ma pregovi, per l'amore di Cristo crocifisso, che vi rechiate inanzi la brevità del tempo, ché non sapete se avrete el dì di domane: ricordivi che voi dovete morire e non sapete quando.

Non dico più, padre, se non che perdoniate a me misera miserabile, che, perché sete padre de' povari, e perché mi pregaste e facestemivi promettare che la prima limosina che mi venisse a le mani io vi richiedessi, però io m'ardisco e richeggio voi, sì come padre de' povari, e per adempire la promessa che io vi feci: ò per le mani una grandissima limosina, cioè del monisterio di Santa Agnesa, del quale altra volta vi scrissi, e sono buone e santissima fameglia e in grande bisogno; ma tra gli altri è questo che, essendo el monisterio di fuore, s'è ordenato che torni dentro per cagione de le brighe e guerre, ma vuole per lo comincio cinquanta fiorini d'oro per la parte del monisterio, e gli altri mette el comune. Io vi scrivo la necessità loro: ora vi prego e vi strengo che isforziate el potere quanto potete. Dio sia nell'anima vostra.

Permanete ne la santa carità di Dio. Gesù Gesù.



89

A Bartalo Usimbardi e a Francesco sarto predetto da Fiorenza.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figliuoli in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi grati e cognoscenti de' benefizii ricevuti dal vostro Creatore, a ciò che in voi si notrichi la fonte de la pietà.

Questa gratitudine vi farà solliciti a essercitarvi a la virtù, però che, come la ingratitudine fa l'anima pigra e negligente, così questa dolce gratitudine le dà fame del tempo, in tanto che non passa ora né punto che ella non lavori. Da questa gratitudine procede ogni vera virtù: chi ci dà carità? chi ci fa umili e pazienti? solo la gratitudine. E perché vede el grande debito che à con Dio, s'ingegna di vivere virtuosamente, però che cognosce che Dio non ci richiede altro. E però, figliuoli miei dolci, recatevi con grande sollicitudine a memoria e' molti beneficii ricevuti da lui, acciò che perfettamente acquistiate questa madre de le virtù.

Ebbi in questi dì le vostre lettere, cioè una da Bartalo, una da Francesco, e una da monna Agnesa, le quali viddi volentieri. Rispondovi, de la spesa del privilegio, che ogni cosa à pagato el sangue di Cristo crocifisso, e però neuno denaio ci bisogna, ma voglio che vi costi lagrime cordiali e orazione per la santa Chiesa e per Cristo in terra, e che voi preghiate ogni dì strettamente Dio per lui. E bene confesso che se noi dessimo el nostro corpo ad ardere, non potremmo satisfare a tanta grazia quanta Dio ci à fatta, ché in questa vita aviamo la certezza de la nostra salute, se noi avremo viva fede, e saremo grati e cognoscenti: ma el nostro dolce Dio non ci richiede più che noi potiamo fare. Siatemi virtuosi, e brigate di crescere per modo che io me n'avegga.

Mandovi per sere Jacomo Manni, portatore de questa lettera, el privilegio con la bolla papale, in sul quale è monna Pavola del monasterio da santo Giorgio, e monna Andrea sua serva; e setevi su voi quattro, cioè Bartalo e monna Orsa, e Francesco e monna Agnesa. E però, quando l'avete ricevuto, fatene levare i vostri nomi per carta al vescovado come bisogna; e il privilegio darete a monna Pavola quando sarà tornata, che ora è qua.

Ò inteso come Giannozzo è preso; non so quanto vi starà. Piacemi quello che voi, Francesco, me ne scrivete, cioè di non abandonarlo mai; e così vi comando, per parte di Cristo crocifisso, che molto spesso el visitiate, confortiate, e soveniate in ciò che v'è possibile: pensate che Dio non ci richiede altro se non che sopra el prossimo nostro manifestiamo l'amore che aviamo a lui. Io vel racomando strettamente, e diteli per mia parte che sia buono cavaliere ora che Dio l'à messo in campo; e il suo combattere sia la vera pazienzia, chinando per umilità el capo a la dolce voluntà di Dio. Molto el confortate per mia parte e di tutta questa fameglia, i quali tutti gli ànno grande compassione. Quando Dio el permettarà gli scriverò una lettera; diteli che faccia ciò che può per spacciarsi tosto, e non miri perché non abbi a pieno sua intenzione. Altro non vi dico.

Permanete ne la santa e dolce dilezione di Dio. Benedicete i fanciulli. Gesù dolce, Gesù amore.

Fatta a dì. viij. di maggio, in Roma.



90

A madonna Laudomia donna di Carlo delli Strozzi da Fiorenza.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissima suoro in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vera serva di Cristo crucifisso: el quale servire non è servire ma è regnare, e fa l'anima libera traendola della servitudine del peccato; tolleci la cechità e dacci perfetto lume; tolleci la morte e dacci la vita della grazia; dacci pace e quiete, privandoci d'ogni guerra; e vesteci e saziaci del vestimento della carità e del cibo dell'Agnello (el quale Agnello fu cotto e arrostito in su el legno della santissima croce, col fuoco dell'amore de l'onore del Padre e della salute nostra); e fa l'uomo sicuro, tollendoli ogni timore servile. Adunque bene è grande dolcezza e inestimabile dignità questo dolce servire a Dio: bene doviamo dunque con vera e perfetta sollicitudine servirli con tutto el cuore e con tutto l'affetto.

Ma attendete che questo signore non vuole compagnia, né essere servito a mezzo, ma a tutto; però che impossibile sarebbe di servire a Dio e al mondo. E così disse Cristo benedetto: «Neuno può servire a due signori; però che servendo all'uno, elli è in contempto all'altro» (Mt 6,24 Lc 16,13), perché non ànno conformità insieme. El mondo dà tutto el contrario che quello che noi aviamo detto: però che chi serve alla propria sensualità, delizie, stati e ricchezze, onori e diletti sensitivi, o figliuoli, o marito, o alcuna creatura, d'amore sensuale - cioè d'amarli per propria sensualità fuore di Dio -, elli gli dà la morte, cechità e nudità, perché el fa privare del vestimento della carità, e dàgli vergogna, perdendo la sua dignità. E à venduto el libero arbitrio suo al dimonio, e legatolo alla servitudine del peccato, ponendo l'affetto e l'amore suo in cosa che è meno di sé, e però pecca offendendo Dio: però che tutte le cose create sono fatte perché servano a noi, e noi per servire a Dio. Dandoci dunque a servire a loro fuor di Dio, offendendo divento servo e schiavo del peccato, che non è; e divento non cavelle, perché so' privato di Dio, che è Colui che è (Ex 3,14). Convienci dunque al tutto renunziare al mondo, e servire a Dio.

Ma perché è tanto contrario el mondo a Dio? Perché Cristo benedetto c'invita e c'insegna a servirlo con povertà volontaria; però che se l'uomo possiede le ricchezze attualmente, non le debba possedere mentalmente, cioè col desiderio, ma debbasi spogliare l'affetto d'ogni cosa terrena. El mondo ama superbia, e Dio umilità; e tanto gli piacque questa virtù, che noi vediamo che Dio s'è umiliato a noi, e il Figliuolo suo con grande umilità e pazienzia è corso infine all'oprobiosa morte della croce per noi. Elli c'invita e richiede la virtù della vera pazienzia, con speranza e fede viva: paziente, dico, a portare ciò che Dio ci concede, e per l'amore suo perdonare a chi ci offende. El mondo vuole tutto el contrario; però che vuole vendicare e stare con l'odio e rancore verso el prossimo suo. La speranza e la fede debba essere posta in Dio, che è cosa ferma e stabile, e non nelle creature; ma fidarsi ed essere fedele a Cristo crucifisso e non alla propria sensualità (e allora averà fede viva quando parturirà e' figliuoli vivi delle virtù di sante e buone operazioni). Dio ama giustizia, e 'l mondo ingiustizia; facciamo dunque, facciamo una santa giustizia di noi medesimi: quando el sentimento nostro sensitivo vuole ribellare al suo Creatore, levisi con affetto d'amore e col lume della conscienzia, e accusilo al signore, cioè al libero arbitrio; e leghilo col legame de l'odio; e col coltello del divino amore l'uccida.

Or così facciamo, carissima suoro, però che, facendo così, saremo servi fedeli; ed essendo servi, saremo signori. Avete veduto in quanta eccellenzia e utilità ne viene l'anima, di questo servire; e senza esso non potiamo avere el fine per lo quale noi fummo creati. E anco aviamo veduto quanto è pericoloso e a quanta viltà e miseria si conduce l'anima che serve al mondo e a le delizie e diletti suoi. Aviamo ancora veduto per che cagione non ànno conformità insieme: perché sono molto variati l'uno da l'altro. Cristo ama la virtù, e odia il peccato; e tanto l'amò e odiò che, per vestircene noi, si spogliò sé della vita, fabricando le iniquitadi nostre sopra al corpo suo, con molti fragelli e pene, vergogna e vituperio, e nell'ultimo la penosa morte della croce. Poi, dunque, che tanto gli dispiace el peccato, dovianlo fuggire e odiarlo infine alla morte; però che in altro modo non offende l'anima se non in amare quello che Dio odia, e in odiare quello che elli ama.

Or leviamo dunque el santo desiderio, e con affetto d'amore serviamo a Dio, spogliando el cuore d'ogni vanità e amore disordenato di figliuoli, di marito, e di ricchezze; e possedetele e amatele come cose prestate a voi, però che ogni cosa v'è dato in presta e per uso; e tanto vi bastano quanto piace a Dio che ve l'à date. Cosa sconvenevole è di possedere la cosa che non è sua per sua; ma la divina grazia è nostra, e dovianla possedere per nostra. Bene è nostra la cosa che dimonio né creatura ce la può tòllere se noi non vogliamo; e bene è ignorante colui che esso medesimo si priva di così grande tesoro. Or non ce ne facciamo caro, poiché n'è sì grande divizia. E a ciò che meglio el potiate avere e conservare, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crucifisso, e bagnatevi nel sangue prezioso suo. Non dico più.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



91

A monna Agnesa predetta.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti crescere in uno desiderio santo e in una pazienzia vera, per sì-fatto modo che mai non ti scordi da la dolce volontà di Dio, ma con una allegrezza ti sappi conformare in ogni tempo che Dio ti dà; e con allegrezza annegarti nel sangue di Cristo crucifisso; e ine fare il tuo riposo e ogni tua abitazione.

In questo glorioso sangue ricevarai el lume, però che nel sangue si consuma la tenebre; ricevarai nel sangue la vita de la grazia, però che nel sangue ci tolse la morte; e gustarai nel sangue el fuoco dell'ardentissima carità, però che per amore fu sparto; e anco l'amore fu quello che 'l tenne confitto e chiavellato in croce: non erano sufficienti e' chiovi, se l'amore non l'avesse tenuto; ma l'amore el tenne. Di questo amore voglio che tu ti vesta, e, volendotene vestire, ti conviene bagnare nel sangue di Cristo crucifisso; e così voglio che tu facci.

Sia sollicita all'orazione santa, al luogo e al tempo suo, quando tu puoi; però che ella è quella madre che notrica i figliuoli de le virtù. Altro non ti dico.

Permane ne la santa e dolce dilezione di Dio.

Racomandaci a Bartalo e a monna Orsa, e benedimmi Bastiano. Di Francesco non ti dare pena veruna, che io non n'ò pena veruna, io, perché io cognosco i modi suoi, e so che a lui stesso ne 'ncresce, e so bene che elli ama e per amore fa ciò che può; ma bene ti prego che tu preghi lui che non si dia fadiga quando vede che io nol soddisfo come vorrebbe, ché alcuna volta, per lo molto avere a fare, non posso; ma quando io potrò, farò a lui e a te come all'anima mia. Gesù dolce, Gesù amore.



92

A uno spirituale in Firenze, el quale dubitava molto della vita ch'ella teneva, e singularmente del mangiare ch'ella non faceva, und'egli con presunzione pare che la giudicava.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Dilettissimo e carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva inutile di Gesù Cristo, mi vi racomando, con disiderio di vederci uniti e trasformati in quella dolce etterna e pura verità, la quale verità tolle da noi ogni falsità e bugia.

Io, carissimo padre, cordialmente vi ringrazio del santo zelo e gelosia che avete all'anima mia, in ciò che mi pare che siate molto sospeso, udendo la vita mia. So' certa che non vi muove altro che il disiderio dell'onore di Dio e della mia salute, temendo voi l'assedio e le illusioni delle dimonia. Di questo timore, padre, che voi avete, singularmente nell'atto del mangiare, io non mi maraviglio: ch'io vi prometto che - non tanto che ne temiate voi - ma io stessa triemo per timore dello 'nganno delle dimonia; se non ch'io mi confido nella bontà di Dio e isconfidomi di me, sapendo che di me io non mi posso fidare.

Perché mi mandaste domandando s'io credeva potere essere ingannata, o vero s'io credeva non potere essere ingannata - dicendo che, s'io nol credo, che questo è inganno di dimonio - e io vi rispondo che, non tanto di questo che è sopra la natura del corpo, ma di questo e di tutte l'altre mie operazioni, per la mia flagelità e per l'astuzia del dimonio io sempre temo, pensando di potere essere ingannata; però ch'io conosco e vegio che 'l dimonio perdette la beatitudine ma non la sapienzia, con la quale sapienzia o vero astuzia, come dissi, conosco che mi potrebe ingannare. Ma io mi rivolgo poi e apogiomi all'albore della santissima croce di Cristo crocifisso, e ine mi voglio conficare; e non dubito che, s'io starò confitta e chiavellata con lui per amore e con profonda umilità, che le dimonia non potranno contra di me, non per mia virtù ma per la virtù di Cristo crocifisso.

Mandastimi dicendo che singularmente io pregassi Dio ch'io mangiassi. E io vi dico, padre mio, e dicovelo nel cospetto di Dio, che in tutti quanti e' modi ch'io ò potuto tenere, sempre mi so' sforzata, una volta o due el dì, di prendare el cibo; e ò pregato continovamente e prego Dio e pregarò, che mi dia grazia che in questo atto del mangiare io viva come l'altre creature, s'egli è sua volontà, però che la mia ci è. E dicovi, che assai volte - quand'io ò fatto ciò ch'io ò potuto, e io entro dentro da me a conosciare la mia infermità e Idio, che per singularissima grazia m'abi fatto correggiare el vizio della gola - dogliomi molto ch'io, per la mia miseria, non l'ò corretta per amore.

Io, per me, non so che altro rimedio ponarci, se no ch'io prego voi che preghiate quella somma etterna verità che mi dia grazia, s'egli è più suo onore e salute dell'anima mia, che mi faccia prendare el cibo, se li piace. E io so' certa che la bontà di Dio non ispregiarà le vostre orazioni. Pregovi che, quello rimedio che voi ci vedete, che voi me lo scriviate, e, pure che sia onore di Dio, io el farò volontieri. E anco vi prego che voi non siate legiero a giudicare, se voi non sete bene dichiarato nel cospetto di Dio. Altro non vi dico etc.



93

A monna Orsa donna di Bartalo Usimbardi e a monna Agnesa donna di Francesco sarto da Firenze.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime figliuole in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi perseverare nel santo desiderio, a ciò che mai non volliate el capo adietro: per ciò che non ricevareste el frutto, e trapassareste la parola del nostro Salvatore, che dice che noi non volliamo el capo indietro a mirare l'arato (Lc 9,62).

Adunque siate perseveranti, e raguardate none a quello che è fatto, ma a quello che avete a fare. E che aviamo a fare? a rivoltare continuamente l'affetto nostro verso Dio, spregiando el mondo con tutte le sue delizie, e amando la virtù; portando con vera pazienzia ciò che la divina bontà permette ad noi, considerando che ciò che dà, dà per nostro bene, a ciò che siamo santificati in lui; e nel sangue trovaremo che elli è così la verità. Di questo glorioso sangue che ci manifesta tanto dolce verità, ce ne doviamo empire la memoria, a ciò che non stiamo mai senza el suo ricordamento; e così voglio che facciate voi, carissime figliuole, però che in questo modo perseverrete infine a la morte, e nell'ultimo de la vita vostra ricevarete l'etterna visione di Dio. Non dico più qui.

Riprendoti dolcemente, carissima figliuola, ché tu non ài tenuto a mente quello che io ti dissi, di non rispondere a persona che di me ti dicesse veruna cosa che ti paresse meno che buona; non voglio che tu facci più così, ma voglio che l'una e l'altra risponda in questo modo a chi vi narrasse e' difetti miei: che non ne narrano tanti, quanti molti più ne potrebbero narrare. Dite a loro che si muovano a compassione dentro ne' cuori loro dinanzi a Dio, come el mostrano con la lingua, pregando tanto la divina bontà per me che io corregga la vita mia. Poi di' a loro che il sommo giudice è quello che punirà ogni mio difetto, e remunerrà ogni fadiga che per lo suo amore si porterà.

Verso di monna Paula non voglio che pigli veruno sdegno, ma pensa che ella facci come la buona madre che vuole provare la figliuola, se ella à virtù o no.

Confesso veramente che in me poca virtù à trovata, ma ò speranza nel mio Creatore che mi farà correggere e mutare modo. Confortatevi e non vi date più pena, però che ci trovaremo unite nel fuoco de la divina carità, la quale unione non ci sarà tolta né da demonio né da creatura. Altro non vi dico.

Permanete ne la santa e dolce dilezione di Dio.

Racomandateci a Bartalo e benedicete Bastiano e tutta l'altra fameglia. Gesù dolce, Gesù amore.



94

A frate Mateo di Francesco di Tato Talomei dell'ordine de' Predicatori.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi cercare Dio in verità, senza alcuno mezzo de la propria sensualità o d'alcuna altra creatura, però che col mezzo non potremmo piacere a Dio.

Dio ci dié el Verbo dell'unigenito suo Figliuolo, senza rispetto di propria utilità. Questo è vero, ché a lui non potiamo fare utilità alcuna, ma non adiviene così di noi, però che, perché noi non serviamo a Dio per propria utilità, nondimeno l'utilità è pur nostra: a lui ne torna il fiore, cioè l'onore, e a noi il frutto dell'utilità. Elli ci à amati senza essere amato, e noi amiamo perché siamo amati; elli ci ama di grazia, e noi amiamo lui di debito, perché siamo tenuti d'amarlo. Sì che così adiviene dell'utilità che noi non potiamo fare a Dio, come di non poterlo amare di grazia senza debito - perché noi siamo obligati a lui, e non elli a noi; però che prima che fusse amato ci amò, e però ci creò alla imagine e similitudine sua (Gn 1,26) -: ecco dunque che non potiamo fare utilità a lui, né amarlo di questo primo amore.

E io dico che Dio ci richiede che come elli ci à amati senza alcuno rispetto, così vuole essere amato da noi.

In che modo dunque il potremo avere, poiché elli cel richiede, e noi nol potiamo fare a lui? Dicovelo: con quello mezzo che elli ci à posto, unde doviamo amare lui liberamente, e senza alcuno rispetto d'alcuna propria nostra utilità: cioè doviamo essere utili non a lui, ché non potiamo, ma al prossimo nostro. Or con questo mezzo potiamo osservare quello che elli ci richiede per gloria e loda del nome suo; e per mostrare l'amore che noi gli aviamo doviamo servire e amare ogni creatura che à in sé ragione, e distendere la carità nostra a' buoni e a' gattivi e a ogni generazione di gente - così a chi ci diserve e sono scandalizzati in noi, come a chi ci serve -, però che Dio non è acettatore delle creature (Rm 2,11), ma de' santi desiderii; e la carità sua si distende a' giusti e a' peccatori.

è vero che alcuno ama come figliuolo, alcuno come amico, alcuno come servo e alcuno come persona ch'è partita da lui e à desiderio che torni (e questi sono gli iniqui peccatori che sono privati della grazia. Ma in che lo' mostra l'amore questo sommo Padre? in prestar lo' il tempo; e nel tempo lo' pone molti mezzi: o impedimento del peccato - tollendo lo' el luogo e 'l potere che non possino fare tanto male quanto vogliono -; o in molte altre cose, per far lo' odiare el vizio e amare la virtù, il quale amore della virtù lo' tolle la voluntà del peccato. E così, per lo tempo che Dio lo' dié per amore, di nemici sono fatti amici, e ànno la grazia e sono atti ad avere la eredità del padre).

Amore di figliuolo à a coloro che in verità el servono senza alcuno timore servile, e' quali ànno abnegata e morta la loro propria voluntà, e sono obedienti per Dio, infine a la morte, a ogni creatura che à in sé ragione; e non sono mercennai che 'l servino per propria utilità, ma sono figliuoli; e le consolazioni dispregiano, e de le tribulazioni si dilettano, e cercano pur in che modo si possino conformare con Cristo crocifisso e notricarsi delli obbrobii e de le pene sue. Costoro non cercano né servono Dio per dolcezza, né per consolazione spirituale né temporale che ricevano da Dio o da la creatura, però che non cercano Dio per loro né il prossimo per loro, ma Dio per Dio - in quanto è degno d'essere amato -, e loro per Dio - per gloria e loda del nome suo -, e il prossimo servono per Dio, facendoli quella utilità che gli è possibile.

Costoro seguitano le vestigie del Padre dilatandosi tutti ne la carità del prossimo, amando e' servi di Dio per amore che amano el loro Creatore; e amano gl'imperfetti perché venghino a perfezione, dando lo' el santo desiderio e continue orazioni. Amano gli iniqui che giacciono ne la morte del peccato mortale, perché sono creature ragionevoli create da Dio, e ricomprati d'uno medesimo sangue che ellino; unde lo' duole la loro dannazione, e per camparli si darebbero alla morte corporale. E' persecutori e i mormoratori e i giudicatori, che sono scandalizzati in loro, amano, sì perché sono creature di Dio - come detto è -, e sì perché sono strumento e cagione di ponere la virtù in loro, e fargli venire a perfezione; e spezialmente in quella reale virtù della pazienzia, virtù dolce che non si scandalizza né si turba, né dà a terra per alcuno vento contrario, né per alcuna molestia d'uomini.

Costoro sono quelli che 'l cercano senza mezzo, e l'amano in verità come legittimi e cari figliuoli; ed elli ama loro sì come vero padre, e manifesta loro il secreto de la sua carità, per far lo' avere la eredità etterna: unde corrono come ebbri del sangue di Cristo, arsi nel fuoco de la divina carità, de la quale sono alluminati perfettamente. Costoro non corrono per la via de le virtù a loro modo, anco a modo di Cristo crocifisso, seguitando le vestigie sue. E se lo' fusse possibile servire Dio e acquistare le virtù senza fadiga, non le vogliono.

Questi non fanno come i secondi, cioè l'amico e 'l servo, ché alcuna volta il loro servire è con alcuno rispetto. Talvolta è con rispetto di propria utilità; e per questo viene a grande amicizia - perché cognosce il suo bisogno e il suo benefattore, el quale vede che 'l può subvenire, e vuole - bene che prima fu servo, ché cognobbe il suo male, del quale male seguitava la pena: unde col timore de la pena caccia el vizio, e con l'amore abraccia la virtù - cioè servire il suo signore, cui elli à offeso -; e comincia a pigliare speranza ne la sua benignità, considerando che elli non vuole la morte del peccatore ma vuole che elli si converta e viva (Ez 33,11). Che se elli stesse pur nel timore, non sarebbe sufficiente ad avere la vita, né tornarebbe a perfetta grazia col signor suo, ma sarebbe servo mercennaio.

Né anco debba stare pur nell'amore del frutto e de la consolazione che riceve dal signore suo poi che è fatto amico; però che questo amore non sarebbe forte, ma verrebbe meno quando fusse ritratto da la dolcezza e consolazione e diletto di mente, o vero quando venisse alcuno vento contrario di persecuzione o tentazione dal demonio. Subbito allora verrebbe meno nelle tentazioni del demonio e molestie della carne, unde verrebbe a confusione per la privazione de la consolazione mentale; e ne la persecuzione e ingiurie che ci fanno le creature verrebbe a impazienzia.

Sì che vedete che questo amore non è forte, anco fa - chi ama di questo amore - come santo Pietro, il quale inanzi la Passione amava Cristo dolcemente, ma non era forte, e però venne meno al tempo della croce (Mt 26,69-74 Mc 14,66-71 Lc 22,56-60); ma poi si partì da l'amore della dolcezza, cioè doppo l'avenimento dello Spirito santo, e perdette il timore; e venne ad amore forte e provato nel fuoco de le molte tribulazioni. Unde, venuto ad amore di figliuolo, tutte le portava con vera pazienzia; anco corriva doppo loro con grandissima allegrezza, come se fusse andato a nozze e non a' tormenti, e questo era perché era fatto figliuolo. Ma se Pietro fusse rimaso solamente nella dolcezza e nel timore, che elli ebbe nella Passione e doppo la Passione di Cristo, non sarebbe venuto a tanta perfezione d'essere figliuolo e campione della Chiesa santa, gustatore e mangiatore dell'anime. Ma attendete il modo che Pietro tenne - con gli altri discepoli - per potere perdere il timore servile e l'amore debile de le proprie consolazioni, e ricevere lo Spirito santo, come l'era promesso da la prima dolce Verità: unde dice la Scrittura che si rinchiusero in casa, e ine stettero in vigilia e continue orazioni (Ac 1,13-14), e stettero diece dì.

Or questa è la dottrina che noi doviamo pigliare, e ogni creatura che à in sé ragione: cioè rinchiuderci in casa, e stare in vigilia e continua orazione, e stare diece dì; e poi ricevaremo la plenitudine dello Spirito santo, el quale, poi che fu venuto, gli alluminò della verità. E viddero il secreto della inestimabile carità del Verbo con la voluntà del Padre, che non voleva altro che la nostra santificazione; e questo ci à mostrato il sangue di questo dolce e amoroso Verbo, il quale è tornato a' discepoli, cioè venendo la plenitudine dello Spirito santo.

E viene con la potenzia del Padre, con la sapienzia del Figliuolo, e con la pietà e clemenzia d'esso Spirito santo; sì che la verità di Cristo è adempita, el quale disse a' discepoli: «Io andarò, e tornarò a voi» (Jn 14,3). Unde allora tornò, perché non poteva venire lo Spirito santo senza il Figliuolo e senza il Padre, perché era una cosa con loro; sì che venne, come detto è, con la potenzia che è apropriata al Padre, e con la sapienzia che è apropriata al Figliuolo, e con la benivolenzia e amore che è apropriato allo Spirito santo. Bene lo mostrano gli appostoli, però che subbito per l'amore perdero il timore; unde con vera sapienzia cognobbero la verità, e con grande potenzia andavano contra gl'infedeli, e gittavano a terra gl'idoli, e cacciavano le dimonia. Questo non era con potenzia del mondo, né con fortezza di corpo, ma con forza di spirito e potenzia di Dio, la quale per divina grazia avevano ricevuta.

Or così adiverrà a coloro che sono levati dal bomico (2P 2,22) del peccato mortale e da la miseria del mondo, e cominciano a gustare il sommo bene, e però s'inamorano de la dolcezza sua. Ma, come detto è, a stare pur nel timore non camparebbe però lo 'nferno; ma farebbe come fa il ladro, il quale à paura delle forche, e però non fura; ma non che elli non furasse se non credesse patire la pena. Così anco adiviene dell'amare Dio per dolcezza: cioè che non sarebbe forte né perfetto, ma debile e imperfetto. E però non stanno fermi, ma tengono la via e 'l modo, con vera perseveranzia, di giugnere a la perfezione.

El modo di giugnervi è questo de' discepoli - come detto è -, cioè che come Pietro e gli altri si rinchiusero in casa, così ànno fatto e debbono fare coloro che sono gionti all'amore di padre, che sono figliuoli. Unde quelli che vogliono passare a questo stato debbono intrare e rinchiudersi in casa, cioè ne la casa del cognoscimento di loro medesimi, che è quella cella ne la quale l'anima debba abitare. Ne la quale cella truova un'altra cella, cioè la cella del cognoscimento della bontà di Dio in sé; unde del cognoscimento di sé trae una vera umilità, con odio santo dell'offesa che à fatta e fa al suo Creatore; e per questo viene a vera e perfetta pazienzia. E nel cognoscimento di Dio, che à trovato in sé, acquista la virtù de l'ardentissima carità, unde trae santi e amorosi desiderii; e per questo modo truova la vigilia e la continua orazione - cioè mentre che sta rinchiusa in così dolce e gloriosa casa quanto è el cognoscimento di sé e di Dio -. Vigilia, dico, non solamente dell'occhio del corpo, ma dell'occhio dell'anima: cioè che l'occhio dell'intelletto non si vegga mai serrare, ma sempre debba stare aperto nel suo obiecto e amore ineffabile, Cristo crocifisso; e ine truova l'amore e la colpa sua propria, però che per la colpa Cristo ci donò il sangue suo.

Allora l'anima si leva con grandissimo affetto ad amare quello che Dio ama, e a odiare quello che elli odia; e tutte le sue operazioni dirizza in Dio, e ogni cosa fa a gloria e a loda del nome suo. E questa è la continua orazione, de la quale dice Paulo: «Orate senza intermissione» (1Th 5,17). Or questa è la via di levarsi da essere solamente servo e amico - cioè dal timore servile e da l'amore tenero della propria consolazione -, e a essere vero servo, vero amico, e vero figliuolo: che essendo fatto vero figliuolo, non perde però che non sia servo e vero amico, ma è servo e amico in verità, senza alcuno rispetto di sé né d'altro che solo di piacere a Dio.

Dicemmo che stettero diece dì, e poi venne lo Spirito santo: così l'anima, che vuole venire a questa perfezione, le conviene stare diece dì, cioè ne' diece comandamenti della legge; e co' comandamenti della legge osservarà i consigli, però che sono legati insieme, e non s'osserva l'uno senza l'altro. (è vero che quelli che sono al secolo debbono osservare i consigli mentalmente per santo desiderio; e coloro che sono levati dal mondo gli debbono osservare mentalmente e attualmente). E così si riceve l'abondanzia dello Spirito santo, con vera sapienzia di vero e perfetto lume e cognoscimento, e con fortezza e potenzia: forte contra ogni battaglia; e potente principalmente contra sé medesimo, signoreggiando la propria sensualità.

Ma tutto questo non potreste fare se v'andaste svagolando con la molta conversazione, dilungandovi dalla cella, e con la negligenzia del coro. Unde considerando me questo, vi dissi, quando vi partiste da me, che studiaste di fuggire la conversazione, e visitare la cella, e non abandonare il coro né il refettorio - quanto fusse possibile a voi -, e la vigilia con l'umile orazione; e così adempirete el desiderio mio, ché vi dissi che io desideravo di vedervi cercare Dio in verità, senza alcuno mezzo. Altro non vi dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




Caterina, Lettere 88