Caterina, Lettere 147

147

A Sano di Maco, essendo ella in Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Dilettissimo e carissimo fratello e figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi e confortovi nel prezioso sangue suo, il quale sparse in sul legno della santissima croce, costretto solo dal legame della sua ardentissima carità, la quale avea a la creatura.

Così dice la bocca de la dolce prima Verità che, per la smisurata carità che aveva Dio a l'umana natura, mandò esso Padre celestiale il suo diletto Figliuolo, acciò che non perisse la creatura sua, ma salvassesi el mondo per lui. O inefabile e inistimabile carità di Dio, che, per salvare il suo ribello e a lui disobediente, diede sé medesimo a essere creatura, a esser spregiato, infamato e vituperato, schernito e a l'ultimo vituperosamente morto come malfattore! Con-ciò-sia-cosa-ch'egli non avesse fatto né detto cosa di nessuna riprensione; ma noi eravamo quelli che avamo comessa la colpa, per la quale egli portò la pena, per nostro amore. Bene m'amasti, dolcissimo amore Gesù, e in questo m'insegni quanto mi debbo amare me medesimo e i fratelli miei, e' quali tu tanto amasti, non avendo bisogno di noi come noi di te.

E però, dilettissimo e carissimo fratello e figliuolo in Cristo Gesù, sempre si conviene che l'anime nostre sieno mangiatrici e gustatrici dell'anime de' nostri fratelli, e di nullo altro cibo ci dobiamo mai dilettare, sempre aiutandoli con ogni solecitudine, dilettandoci di ricevare pene e tribulazioni per amore di loro: però che questo fu il cibo del nostro dolce Salvatore. Ben vi dico che 'l nostro Salvatore me ne dà a mangiare. Altro non vi dico.

Permanete etc. Gesù dolce etc.



148

A Piero marchese dal monte Sante Marie, quando era Sanatore di Siena.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

A voi, reverendissimo e carissimo padre e figliuolo: io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi e conforto nel prezioso sangue del Figliuolo di Dio, con desiderio di vedervi cavaliere virile e non timoroso: l'uomo non debba temere quando si vede l'arme forte.

O carissimo figliuolo, noi vediamo che Dio à armato l'uomo d'una arme che è di tanta fortezza che né dimonio né creatura el può offendare: questa è la libera volontà de l'uomo, e per questa libertà Dio dice: «Io ti creai senza te, ma io non ti salvarò senza te». Vuole dunque Dio che noi adoperiamo l'arme la quale ci à data, e che facciamo, con essa, resistenzia a' colpi che noi riceviamo da' nemici nostri.

Tre nemici singulari abbiamo: el mondo, la carne e 'l dimonio. Ma non temiamo, ché la divina providenzia ci à armati sì bene che non ci bisogna temere. Buona è l'arme, ottimo è l'aiutatore: l'aiutatore è Dio, ed è sì-fatto che neuno è che possa fare resistenzia a lui; in tanto quanto l'anima raguarda sì dolce e forte aiutatore, non può cadere in debilezza per neuna sua fragilità la quale si sentisse. Questo parbe che vedesse el dolce inamorato di Paulo, quando dice: «Ogni cosa potrò per Cristo crucifisso, che è in me che mi conforta» (Ph 4,13); ché, quando Paulo sentiva la molestia e lo stimolo della carne, egli si conforta, none in sé, che si vede debile, ma in Cristo Gesù, e ne la buona arme forte, la quale Dio à data, della forte libertà; e però dice: «Ogni cosa potrò», ché né dimonio né creatura mi può constrignare a uno peccato mortale se io non voglio.

Ché, se l'uomo non si trae questa arme di dosso e mettela in mano del dimonio, cioè per consentimento di volontà, mai non è vinto. Ché, perché le tentazioni e illusioni de le dimonia e de la carne e del mondo vengano e gittino le saette avelenate (e la carne e' pensieri e movimenti ladii; e 'l dimonio con le variate tentazioni frodi ed inganni suoi; e 'l mondo con la pompa, vanità e superbia), la libertà, che è donna, se non consente a questi disordenati intendimenti, none offende mai, però che 'l peccato sta solo nella volontà: questo ci à dato Dio per grazia e non per debito.

Non voglio, figliuolo mio dolce in Cristo Gesù, che temiate per veruna cosa che sentiste, poi che Dio ci à fatta tanta grazia che egli è nostro aitatore et àcci data buona arme, e più, che egli è rimaso morto e vincitore in sul campo della battaglia. Morto è; e morendo in su' legno della santissima croce è vincitore, però che la morte ci à data la vita, ed è tornato a la città del Padre etterno, con la vittoria della sposa sua, cioè dell'anima nostra, la quale Dio sposò prendendo la natura umana: ben si die l'uomo muovare e aprire l'occhio del cognoscimento e raguardare tanto fuoco d'amore! Sconfitti sono e' nemici e tratti siamo de le mani delle dimonia, che possedevano e tenevano l'anima come sua; sconfisse el mondo e la superbia umiliandosi a l'uomo; sconfitto è el corpo suo sostenendo morte, pena, obrobio, rimproverio, ingiurie, strazii, scherni e villanie per noi. Bene ci potiamo adunque confortare, poi ch'e' nemici sono sconfitti.

Seguitiamo le vestigie sue, cacciando el vizio con la virtù, la superbia con l'umilità, la impazienzia con la pazienzia, la ingiustizia con la giustizia, la immundizia con la perfetta umilità e continenzia, la vana gloria con la gloria e onore di Dio, che, ciò che noi facciamo e adoperiamo, sia a gloria laude ed onore del nome del nostro Gesù. Faccisi una dolce e santa guerra contra questi vizii, e tanto quanto noi raguardaremo el dolce sangue, tanto più sarà inanimata l'anima a fare più grossa guerra, vedendo che per lo peccato el padre è rimaso morto. E farà come 'l figliuolo, che vede el sangue del padre, che cresce in odio verso el nemico che l'à morto. Così fa l'anima che raguarda el sangue del suo Creatore: cresce e concepe in sé uno odio e dispiacimento verso el nemico suo che l'à morto.

E se voi mi diceste «Chi l'à morto?», vediamo che solo el peccato è cagione della morte di Cristo, e l'uomo è quello che commette el peccato; adunque si può dire che noi siamo coloro che abbiamo morto el Figliuolo di Dio: ogni ora che pecchiamo mortalmente el possiamo dire. Doviamo dunque fare vendetta di noi medesimi, cioè delle perverse cogitazioni vizii e peccati, ché el maggiore nemico che abbia l'uomo è esso medesimo. Quando l'anima raguarda el suo Padre e la sua sensualità che l'à morto, non si può saziare di farne vendetta, per sì-fatto modo che egli è contento di vederli sostenere ogni pena e tormento, sì come suo nemico mortale.

Or così voglio che facciate voi, e acciò che questo voi potiate bene fare, io voglio che poniate dinanzi da voi la memoria del sangue del Figliuolo di Dio, sparto con tanto fuoco d'amore, el quale sarà a voi uno continuo baptesmo di fuoco, el quale purifica e scalda sempre l'anima nostra in tollendole ogni freddezza di peccato. Raguardate figliuolo el dolce Agnello in su la croce, che vi s'è fatto cibo, mensa e servidore.

Troppo sarebbe grande ignoranzia se fussimo negligenti a pascerci di questo dolce cibo.

Se mai ci fusse caduta negligenzia, io v'invito a perfetta sollicitudine per le dolci e graziose novelle, cioè del buono desiderio che io ò udito del giudice d'Arborea, profferendosi in avere e in persona graziosamente a dare la vita per Cristo, sì che io godo ed essulto, vedendo la disposizione santa, e 'l tempo abreviare. Non dico più. Perdonate alla mia ignoranzia. Ringraziovi molto dell'affettuoso amore e limosina che faceste a frate Iacopo. Dio vi remuneri di sé. Benedicete e confortate Nieri e tutti gli altri.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio.



149

A misser Piero Gambacorti, signore di Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Venerabile padre in Cristo dolce Gesù, la vostra indegna figliuola Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrive a voi, racomandandovisi nel prezioso sangue del Figliuolo di Dio, con desiderio di vedervi l'affetto e il desiderio vostro spogliato e sciolto dalle perverse delizie e diletti disordenati del mondo, le quali sono cagione e materia che parte e divide l'anima da Dio. Però ch'egli è di bisogno che l'anima, ch'è legata con Cristo crocifisso, somma e etterna bontà, sia sciolta e tagliata dal secolo; e colui che à legato l'affetto suo nel secolo è tagliato da Cristo, però che 'l mondo non à neuna conformità con Cristo, come disse la prima Verità: «Neuno può servire a due signori contrarii; però che, se serve a l'uno, è in contempto a l'altro» (Mt 6,24 Lc 16,13).

O carissimo padre, quanto è perverso questo legame! Certo è che l'uomo ch'è legato nella perversità del peccato, egli è come colui che à legate le mani e i piei, e non si può muovare. Così l'anima à legate le mani che non può muovare neuna operazione a Cristo, né i piei de l'affetto: non si muove a fare neuna buona operazione che sia fondata in grazia. Oimé oimé, quanto è cosa pericolosa el peccato ne l'anima! di quanto bene priva la creatura, e di quanto male la fa degna! Falla degna della morte, e tollele la vita; tollele el lume, e dàlle la tenebre; tollele la signoria, e dàlle la servitudine. Però che colui che abonda nel peccato è servo e schiavo del peccato, à perduta la signoria di sé e lassasi possedere a l'ira e agli altri difetti.

Or che sarebbe, padre carissimo, se noi signoreggiassimo tutto 'l mondo, e non signoreggiassimo e' vizii e peccati che sono in noi? Eglino ci tolleno el lume della ragione, che non ci lassa vedere in quanto stato di dannazione egli sta, e in quanta sicurtà sta l'anima ch'è legata col dolce Gesù. Egli à perduto la vita della grazia, perché s'è tagliato dalla vera vita, sì come el tralcio ch'è tagliato dalla vite, che è secco e non fa frutto; così la creatura, tagliata dalla vera vite, è secca e putrida, degna del fuoco etternale.

Oimé dolente! questa è la grande cechità: che, non essendo né dimonia né creatura che possa legare l'uomo a uno peccato mortale, esso medesimo si lega. Adunque destianci dal sonno della negligenzia e ignoranzia; tagliate questo perverso legame! Tutto questo adiviene perché 'l peccato e 'l mondo non ànno conformità con Cristo crocifisso, ché 'l mondo cerca onore, diletti e signorie, e Cristo benedetto elesse vitoperio e strazii, villanie, e ne l'ultimo l'obrobiosa morte della croce. Volse essere servo e obediente, non trapassatore della legge né della volontà del Padre, ma sempre cercando l'onore suo e la salute nostra: or seguitiamo le vestigie sue.

Con questo dolce e vero legame vi prego e voglio che siamo legati, e acciò che questo meglio potiate fare, aprite l'occhio del conoscimento di voi medesimo, e vedarete voi non esser cavelle, ma sempre operatore di miseria e d'iniquità. E così nascerà in voi una vena di giustizia santa, con vera e profonda umilità: giustamente darete a Dio quello che è suo, e a voi darete quello ch'è vostro. Poi riguardarete nell'abisso de la ismisurata sua carità, vedendo come l'Agnello svenato con pazienzia e mansuetudine à portate le nostre iniquità. O amore inestimabile, con quanta pazienzia ài dato la vita, e presti el tempo, e aspetti la creatura che corregga la vita sua! E in questo modo, conoscendo in voi la bontà di Dio come adopera, sarete legato e unito col vincolo della carità, el quale è dolce e soave sopra ogni dolce. Non v'indugiate, ché 'l tempo è breve e 'l punto della morte ne viene che non ce n'avediamo.

Pregovi, per l'amore di Cristo crocifisso, che ne lo stato vostro voi teniate l'occhio dirizzato verso la santa e divina giustizia. Non per piacimento di neuna creatura né per odio, ma solo per divina giustizia punire el difetto quando si truova; e singularmente el vostro peccato, quando el trovate, punitelo e vituperatelo quanto potete: e guardate che non chiudiate li occhi per non volerlo vedere, ché molto ne sareste ripreso da Dio. Siate siate solicito quanto potete, con affettuoso amore. Tutte le vostre operazioni sieno legate in Cristo Gesù: questo è quello legame che l'anima mia desidera, considerando me che senza questo non potete avere la vita della grazia. Non dico più qui.

Ricevetti una vostra lettara, la quale viddi con affettuoso amore, unde io conosco che non mia virtù né mia bontà - perché so' piena di peccato e di miseria -, ma solo l'amore e bontà vostra e di coteste sante donne vi mosse umilimente a scrivare a me, pregandomi ch'io debba venire costà. Per la qual cosa io volontariamente verrei adempire el desiderio vostro e loro; ma per ora io mi scuso, ché la impossibilità del corpo mio non mi lassa, e anco vego che per ora io sarei materia di scandolo. Ma spero nella bontà di Dio che, se vedrà che sia suo onore e salute dell'anime, mi farà venire con pace e con riposo senza altre mormorazioni; e io sarò apparecchiata al comandamento della prima verità, e ubidire anco al vostro.

Permanete etc. Cristo vi rimuneri della sua dolcissima grazia.

Racomandomi con affettuoso amore a coteste donne che preghino Dio per me, che mi faccia umile e suggetta al mio Creatore. Amen. Lauldato sia Gesù Cristo crocifisso.



150

A frate Francesco Tedaldi di Fiorenza nell'isola di Gorgona, monaco certosino.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dolcissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi costante e perseverante nella virtù infino a la morte; però che la perseveranzia è quella virtù che è coronata.

Ella porta el fiore e la gloria della vita de l'uomo; ella è compimento d'ogni virtù - tutte l'altre le sono fedeli -; ella non esce mai della navicella della religione, ma sempre vi naviga dentro infino che giogne a porto di salute; ella non è sola, ma accompagnata: tutte le virtù le sono compagne, ma singularmente due, cioè la fortezza e la pazienzia; e ella è lunga e perseverante.

Perché è detta lunga questa perseveranzia? Perché tiene, dal principio che l'anima comincia a volere Dio infino all'ultimo, che mai non si lassa scortare, per veruno inconveniente che venga. Non la scorta la prosperità per disordinata allegrezza né leggerezza di cuore, né consolazione spirituale, né verun'altra cosa che a consolazione s'appartenga; e non la scorta la tribulazione, né ingiuria, scherni o villania che le fusse fatta o detta: non per peso né gravezza de l'Ordine né per grave obbedienzia che gli fusse imposta.

Tutte queste cose non la scortano per impazienzia - ma con pazienzia persevera nelle fadighe sue -: non per battaglie o molestie di dimonio, con false e varie cogitazioni, o con disordinato timore o infedelità che gli mettesse verso el suo prelato.

Non la scortano, però che non è senza el lume, ma el lume della fede sempre leva inanzi; unde la perseveranzia risponde al disordinato timore dicendo: «Io spero per Cristo crocifisso ogni cosa potere, e perseverare infino a la fine». Alla infedelità risponde la perseveranzia all'affetto de l'anima, con fede di perseverare, dicendo: «Per veruno tuo vedere né parere non voglio diminuire la reverenzia debita, né la subiectione la quale io debbo avere e portare al prelato mio». Ella piglia uno giudicio santo nella dolce volontà di Dio acciò che non le venga giudicato la volontà della creatura, però che il lume l'à mostrato che, facendo altrimenti, essofatto sarebbe scortata, e non sarebbe longa la reverenzia né l'obbedienzia né l'amore.

E però el lume le mostra, acciò che l'amore non allenti nel tempo che 'l dimonio, sotto colore di fare meglio e più pace sua, gli mostra che si ritraga dalla conversazione del prelato suo e della presenzia d'esso - o di chiunque avesse dispiacere che egli più s'accosti e più conversi -: sforzando sé medesimo, ricalcitrando al suo falso parere, acciò che la infedelità non se gli notrichi ne l'anima e non sia scortata dallo sdegno. O dolcissimo, dilettissimo e carissimo figliuolo - caro mi sete quanto l'anima mia -, la lingua non potrebbe narrare quanti sono gli occulti inganni che 'l dimonio dà sotto colore di bene, per scortare la via della longa perseveranzia; e massimamente sopra questa ultima della quale io ora v'ò detto, perché da questo, se egli nel fa cadere, el potrà poi pigliare in ogni altra cosa.

Se 'l suddito a qualunque obbedienzia si sia perde la fede di chi l'à a guidare - cioè che egli seguiti quello che gli detta la infidelità -, il dimonio à il fondamento dove si debba ponere l'edificio delle virtù, e però si pone egli ine. Però che colui che, per sua ignoranzia in non resistere, si lassa tòllere questo principio, non è pronto all'obedienzia: egli è atto a giudicare gli atti e l'operazioni secondo la sua infermità e non secondo la verità; egli è impaziente e molte volte cade ne l'ira; generagli tedio e rincrescimento in ogni sua operazione. Veramente questa infedelità è uno veleno che atosca tanto il gusto de l'anima che la cosa buona gli pare gattiva, e l'amara dolce; el lume gli pare tenebre, e quello che già vidde in bene gli pare vedere in male: sì che drittamente ella è uno veleno. Ma voi direte a me, figliuolo mio: «Chi camparà l'anima da questo? o per che modo? Ché io non vorrei cadere in questo, se io potesse». Dicovelo: la virtù piccola della vera umilità è quella che tutti questi lacci rompe e fracassa; e tra'ne l'anima non diminuita, ma cresciuta, però che el lume le mostra che elle erano permesse dalla divina bontà per farla umiliare, o per crescerla in essa virtù. Unde con affetto d'amore l'à presa, umiliandosi e concolcando il suo parere continuamente sotto a' piedi dell'affetto: per questo modo risiste continuamente.

è vero che un altro modo c'è a risistere, il quale non esce però di questo: cioè che giamai non fugga el luogo della presenzia, però che egli non fuggirebbe il sentimento dentro, anco el trovarebbe sempre vivo; perché a fuggire non si stirpa, ma con la impugnazione. E però la perseveranzia, che l'à veduto col lume, sta ferma e perseverante nel campo della battaglia: non schifa colpo di veruna tentazione. Piglia bene l'arme de l'umile continua e fedele orazione, la quale orazione è una madre vestita di fuoco e inebriata di sangue, che notrica al petto suo i figliuoli delle virtù. Unde di bisogno è che l'anima virtuosa participi e vestasi di questo medesimo fuoco, e l'affetto sia inebriato del sangue. Quale sarà quello dimonio, o quale creatura, o noi medesimi dimoni - cioè la propria sensualità nostra -, che possino resistere a così-fatta arme? Quale sarà quello lacciuolo che possa legare l'umilità? Neuno ne sarà che resistere ci possa che la perseveranzia, per lo modo che detto aviamo, non basti infino all'ultimo, quando la carità metterà in possessione l'anima nella vita durabile, dove è ogni bene senza veruno male. Ine riceverà il frutto d'ogni sua fadiga: questa fa l'anima forte che mai non indebilisce; fa il cuore largo e non stretto, che vi cape ogni creatura per Dio, in tanto che tutte reputa che siano l'anima sua.

Adunque levatevi su, figliuolo; attaccatevi al petto di questa madre orazione - se voi volete essere perseverante con vera umilità -, e non la lassate mai, sì che compiate la volontà di Dio in voi, il quale vi creò per darvi vita etterna, e àvi tratto del loto del secolo perché corriate morto per la via della perfezione.

O quanto sarà beata l'anima mia quand'io sentirò d'avere uno figliuolo che viva morto; e nella morte della propria volontà e parere perseveri infino a la morte corporale! Se questo non fusse non mi reputarei beata, ma molto dolorosa; e però fugo questo dolore con grande sollecitudine, nel cospetto di Dio, dove io vi tengo per continua orazione. E però dico: con desiderio io desidero di vedervi costante e perseverante nella virtù infino alla morte. E così vi prego e stringo da parte di Cristo crocifisso, che giamai non perdiate tempo, ma sempre v'annegate nel sangue de l'umile Agnello. L'amaritudine vi paia uno latte; e il latte delle proprie consolazioni, per odio santo di voi, vi paia amaro.

Fugite l'ozio quanto la morte. La memoria s'empia de' beneficii di Dio e della brevità del tempo; lo 'ntelletto si specoli nella dottrina di Cristo crocifisso; e la volontà l'ami con tutto el cuore e con tutto l'affetto e con tutte le forze vostre (Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,27), acciò che l'affetto e tutte le vostre operazioni siano ordinate e dirizzate ad onore e gloria del nome di Dio e in salute de l'anime. Spero nella sua infinita misericordia che a voi e a me darà grazia che voi el farete.

Ò ricevuta grande consolazione dalle lettere che ci avete mandate, io e gli altri, perché grande desiderio aviamo di sapere novelle di voi. Parmi che 'l dimonio non abbi dormito né dorma sopra di voi; della quale cosa ò grande allegrezza, perché veggo che per la bontà di Dio la battaglia non è stata a morte, ma a vita.

Grazia, grazia al dolce Dio etterno che tanta grazia ci à fatta! Ora si vuole cominciare a cognoscere voi non essere; ma l'essere e ogni grazia posta sopra l'essere ricognoscere da colui che è (Ex 3,14). A lui si renda grazia e gloria, perché così vuole egli: che a lui diamo el fiore e nostro sia el frutto.

Di quello che scrivete di Barduccio etc.

Permanete nella santa e dolce etc. Gesù dolce, Gesù amore.



151

A madonna Nella donna che fu di Nicolò Buonconti da Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù: io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, iscrivo a voi nel suo sangue prezioso, con disiderio di vedervi fondata in vera e perfetta pazienzia, ché in altro modo non potremo piacere a Dio, ma gusteremo in questa vita l'arra dello 'nferno.

O vera, o dolce pazienzia, la quale se' quella virtù che non se' mai vinta, ma sempre vinci tu! Tu sola se' quella che mostri se l'anima ama el suo Creatore o no, tu ci dai speranza della gloria. Tu solvi l'odio e il rancore del cuore, tu togli il dispiacere del prossimo. Tu privi l'anima della pena, e i gravi pesi delle tribulazioni sì fai leggieri; l'amaritudini per te diventano dolci. E in te pazienzia, virtù reale, acquistata colla memoria del sangue di Cristo crocifisso, troviamo la vita.

O carissima madre, fra l'altre virtù questa c'è più necessaria, perché non possiamo questo mare passare sanza le molte tribulazioni, da qualunche lato noi ci volgiamo. Questo mare coll'onde sue, e'l dimonio ci percuote colle molte tentazioni; e più, ché quello che non può fare per sé medesimo, egli il fa per mezzo delle creature, ponendosi in su le lingue e ne' cuori degli servi suoi, e ponsi dinanzi all'occhio dello intelletto, faccendogli vedere quello che non è. E così concepe nel cuore diverse cogitazioni e dispiaceri verso del prossimo suo, e spesse volte di quegli che esso più ama. Poi che esso l'à dentro concepute, ed egli si pone in sulla lingua, e fagli partorire colla parola, e colla parola giugne all'effetto, per questo modo divide l'amante dalla cosa amata. Veggiamo le impazienzie, e i rancori e gli odii privarci dell'unità dell'amore.

Non è da credegli, anzi è da salire sopra alla sedia della coscienzia sua e tenersi ragione, e pararsi dinanzi a questa onda pericolosa dello odio e dispiacimento di noi, con aprire l'occhio dello intelletto, e conoscere Iddio e la sua bontà e la sua etterna volontà, che non cerca e non vuole se non la nostra santificazione, ché permette che il dimonio ci faccia tribulare e perseguitare dagli uomini solo perché in noi si pruovi la virtù dell'amore e della vera pazienzia etc., e l'amore imperfetto venga a perfezione: la virtù dell'amore si pruova e si fortifica col mezzo del prossimo nostro.

Insegnaci amare Iddio per Iddio - in quanto è somma ed etterna bontà e è degno d'essere amato - e sé per Dio, e 'l prossimo per Dio, non per propia utilità, non per diletto, non per piacere che truovi in lui, ma in quanto criatura amata e creata dalla somma bontà. Servi al prossimo e servilo di quello che a Dio non possiamo servire: perché a Dio non possiamo fare utilità, dobbialla fare al prossimo nostro. Ad questo modo si pruova la perfezione dell'amore: quando egli è così perfetto, non lascia d'amare e di servire, né per ingiuria né per dispiacere che gli sia fatto, né perch'egli non truovi diletto né piacere in lui, perché solo attende a piacere a Dio; sì che per questo fine concede Iddio tutte le tribulazioni che noi abbiamo. Il dimonio il fa per lo contrario, e fallo per rivocarci dall'affetto della carità. Ma noi come prudenti faremo contro alla intenzione del dimonio e seguiteremo la dolce volontà d'Iddio. El mondo à a perseguitare con tutto il suo potere con molti fragelli, colla poca fermezza e stabilità e colla povertà sua, ché è tanto povero che non può saziare l'affetto nostro, però che tutte le cose del mondo sono meno di noi e sono fatte in nostro servigio, e noi siamo fatti solo per Dio. Adunque solo Iddio serviamo con tutto il cuore e con tutto l'affetto (Mt 22,37 Mc 12,30 Lc 10,27), però che è quello bene che pacifica e sazia il cuore.

Poi ch'è tanto necessaria e utile questa pazienzia, conviencela acquistare. In che modo l'avremo? col lume, aprendo l'occhio dello intelletto e conoscere sé non essere, l'essere suo retribuire alla inestimabile carità d'Iddio: così conosce la sua bontà per l'essere e ogni grazia che è fondata sopra l'essere. Poi che à veduto sé essere amato da Dio, vede che per amore ci à dato el Verbo dell'unigenito suo Figliuolo, e il Figliuolo ci à data la vita. Poi ch'egli ci à data la vita con tanto fuoco d'amore, dobbiamo tenere di fermo che ogni fatica, da qualunche lato elle vengono, o prospere o avverse, sono date per amore e non per odio ma solo per nostro bene, perché abbiamo il fine per lo quale siamo creati.

Anche dobbiamo vedere quanta è grande la fatica: troviamo ch'ella è piccola - tanto è grande quanto è il tempo, e 'l tempo quanto una punta d'ago -: né per larghezza né per lunghezza non è nulla. Sicché le nostre fatiche sono piccole e finite: la fatica che è passata non abbiamo, perché è fuggito el tempo; quella ch'ella à d'avere, noll'abbiamo perché non siamo sicuri d'avere el tempo. Poi che abbiamo veduta la brievità sua, dobbiamo vedere quanto è utile; domandatene quello dolce innamorato di Pagolo appostolo, che dice: «Non sono condegne le passioni di questa vita a quella futura gloria la quale Iddio à apparecchiata a coloro che il temono, e che portono con buona pazienzia la disciprina santa che l'è conceduta dalla divina bontà» (Rm 8,18). Questo gusta l'arra di vita etterna in questa vita colla pazienzia sua.

E se la fragilità nostra colla impazienzia volesse levare il capo contro al suo Creatore, e a non volere portare, consideri in sé medesimo, e vega dove induce la impazienzia: cominciandosi l'arra dello inferno in questa vita, giugne nell'ultimo nella etterna dannazione. Non vidi mai che per impazienzia si levassi niuna fatica: anzi cresce, perciò che tanto è fatica quanto la volontà s'affatica. Togli addunche via la volontà propia sensitiva e vesti te della dolce volontà d'Iddio, e è levata via la fatica. E questi sono i modi di venire a vera e perfetta pazienzia. Priegovi per l'amore del dolce Gesù Cristo crocifisso, che non vi dilunghiate da questi dolci e suavi modi, acciò che acquistiate la virtù della pazienzia, perché so ch'è ella a voi di grande necessità, e a ciascuna persona. Conoscendo il bisogno, dissi che io disiderava di vedervi fondata in vera e santa pacienzia.

Priegovi, carissima madre, che per rifriggerio delle vostre fatiche e infermità temporali voi vi pognate per obbietto quello isvenato e consumato Agnello, sicché il fuoco della sua carità riscaldi il cuore e l'anima vostra all'amore della pazienzia e consumi ogni freddo e umidore d'amore propio sensitivo, passione e tenerezza di voi medesima, e vegnate a perfetto conoscimento della bontà d'Iddio che v'à conceduta la necessità e la infermità per vostro bene e vostra santificazione, perché il tempo passato nel quale offendemo tanto Iddio con molta leggerezza e vanità di cuore si sconti e purghi in questo tempo finito.

Questo fa Iddio per sua misericordia, che colla pena finita, ricevendola con grande amore e vera pazienzia, ci perdona la pena infinita. Questo conoscimento santo troverrete nel cruciato amore dell'Agnello immaculato, el sangue suo vi sarà uno unguento che darà refreggerio e consolazione alla anima nelle vostre infermità. E dicovi che tanto è la dolcezza che l'anima vi truova che non tanto ch'ella schifi le fatiche ma le parebbe male agevole quando ne fusse privata. Addunque poi che è di tanto diletto e di tanta necessità alla salute nostra, non aspettiamo il tempo perché non siamo sicuri d'averlo; ma con vera e santa sollecitudine leviamo el desiderio nostro dalla propia sensualità e pognallo nel dolce Gesù benedetto crocifisso Cristo che è via e regola nostra. Altro non dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione d'Iddio dolce. Gesù dolce, Gesù amore.



152
A Giovanni Trenta e a monna sua donna da Lucca.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Fratello e figliuolo carissimo, Giovanni, in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava de' servi di Dio, vi benedico e confortovi nel prezioso sangue del Figliuolo di Dio. Con desiderio ò desiderato, caro figliuolo mio, di vedervi, voi e la famiglia vostra, spezialmente la sposa tua, in tanta unione e legame in virtù, sì e per sì-fatto modo che né dimonia né creatura nol possa rompare né separare da voi.

O figliuola e figliuolo mio carissimo, non vi paia malagevole e duro a fare una cosa piccola per Cristo crocifisso. O quanto sarebbe grande ignoranzia e miseria e fredezza di cuore, di vedere la somma etterna grandezza Cristo disceso a tanta bassezza quanta è la nostra umanità e non umiliarsi! Or non vedete voi Cristo povarello umiliato in uno presepio in mezzo degli animali, rifiutate ogni pompa e gloria umana? Unde dice santo Bernardo, commendando la profonda umiltà e povertà di Cristo, e a confondare la superbia nostra: «Vergognati, uomo superbo che cerchi onori e delizie e pompe del mondo. Tu credevi forse che 'l re tuo, agnello mansueto, avesse le grandi abitazioni e la gente onorevole». Non volse così la prima e dolce verità, anco elesse, per nostro essemplo e regola nostra, elesse ne la natività sua, la povertà tanto 'strema che non ebbe pannicello due invòllare, intanto che, essendo tempo di freddo, l'animale aciava sopra el corpo del fanciullo; nell'ultimo de la vita sua ebbe tanta necessità, ed el letto de la croce tanto 'stremo, che si lamenta che gli ucelli ànno el nido e la volpe tana, e'l figliuolo de la Vergine non à dove elli riposi el capo suo (
Lc 9,58).

O miseri miserabili a noi, terrannosi e' cuori nostri, dolce fratello e suoro, che non si muovino e passino e rompino ogni illusione di demonia e detto di creatura? Virilmente vi date e con perfetta pace e unione a seguitare le vestigie del nostro dolce salvatore, el quale dirà a voi quella dolce parola: «Venite, figliuoli miei, che per lo mio dolcissimo amore avete lassati gli appetiti disordenati de la terra: io vi rempirò e donaròvi e' beni del cielo, darovi per uno cento e vita etterna possedarete.» Quando vi dà per uno cento la prima Verità? Quando egli infonde e dona la sua ardentissima carità nell'anima: questo è quello dolce cento, che senza esso non potremmo avere vita etterna, e con esso non ci può essare tolta la vita durabile.

Adunque io vi prego dolcemente che voi cresciate e non menoviate nel santo proponimento e buono desiderio el quale Dio v'à donato. Così desidera l'anima mia che facciate. Non dico più.

Dio vi doni la sua dolce etterna benedizione. Io, inutile serva, a tutti mi racomando; e io Giovanna pazza e tutte l'altre preghiamo che noi tutte moriamo infocate d'amore.



153

A monna Baccemea e monna Orsola, e altre donne da Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissime figliuole in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi bagnate e anegate nel sangue de lo svenato Agnello, considerando me che nel sangue aviamo la vita.

Però io voglio, dilettissime figliuole, che apriate l'occhio dell'intelletto a raguardare nel vasello del cognoscimento di voi, nel quale cognoscimento trovate voi essere uno vasello dove si riceve questo glorioso e prezioso sangue, perché nel sangue è unita la natura divina intrisa col fuoco della carità. E però l'anima che raguarda nel vasello del cognoscimento di sé, trovando questo sangue, el quale Dio à dato per lo mezzo del Figliuolo suo, e perché el sangue fu sparto solo per lo peccato, però vi truova el cognoscimento di sé; vedendosi defettuosa, nel sangue chiama la divina giustizia: ché per fare giustizia del peccato commesso, sparse el sangue suo. E cognosce allora l'anima che l'etterna volontà di Dio non cerca né vuole altro che la sua santificazione; però che, se elli avesse voluto altro che 'l nostro bene, non avarebbe data la vita. Adunque specchiatevi nel sangue, che 'l trovate nel vasello di voi medesime.

Aprite, aprite l'occhio dell'intelletto ne la potenzia del Padre etterno, el quale trovate in questo sangue per l'unione de la natura divina nella natura umana. Trovarete la sapienzia del Figliuolo - nella quale sapienzia cognosciarete la somma ed etterna sua bontà e la miseria vostra -, trovando la clemenzia dello Spirito santo, el quale fu quello legame che unì Dio ne l'uomo, e l'uomo in Dio, e tenne confitto e chiavellato questo Verbo in su' legno de la santissima croce; e così s'empirà e distenderà la volontà vostra ad amare.

Sì e per sì-fatto modo vi legarete con Cristo crocifisso, che né dimonio né creatura ve ne potranno mai separare; ma ogni contrario che a voi venisse vi fortificarà in amore e in unione con Dio e col prossimo vostro, però che ne' contrarii si pruova la virtù, e tanto quanto la virtù è più provata nell'anima, tanto è più perfetta questa unione fatta col suo Creatore. Sì che parendovi forse alcuna volta che le tribolazioni siano cagione di separarvi da l'unione di Dio e da la virtù, ed e' non è così; anco sono acrescimento di virtù e d'unione, ché l'anima savia, del sangue di Cristo crocifisso vestita, quanto più si vede perseguitare e scalcheggiare dal mondo, tanto più leva l'affetto dal mondo. E se elle sono battaglie che procedano dal dimonio, elle ci fanno umiliare e levare dal sonno de la negligenzia, e fannoci venire a perfetta sollicitudine. Torràvi, se sarete savie e prudenti, ogni ignoranzia, e conceparassi uno lume e uno cognoscimento; sì e per sì-fatto modo ricevarete grazia che non tanto che renda lume in voi, ma rendarallo di fuore nell'altre creature per essemplo e specchio di virtù, e così adempirete la parola del nostro Salvatore, che noi doviamo essere lucerna ardente, che renda lume e non tenebre.

Orsù, dilettissime figliuole, fate che io non vi senta più dormire, né tenebrose per amore proprio, ma con uno amore ineffabile, nel quale amore cerchiate voi per Dio, e'l prossimo per Dio, e Dio per Dio, in quanto è somma ed etterna bontà, degno d'essere amato e non offeso da noi. Altro non dico. Amatevi amatevi, dilettissime e carissime figliuole, insieme; legatevi nel legame de la vera e ardentissima carità.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.




Caterina, Lettere 147