Caterina, Lettere 167

167

A monna Nella donna che fu di Nicolò Buonconti da Pisa.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi bagnata per santo desiderio nel sangue di Cristo crucifisso; nel quale sangue l'anima si purifica da ogni colpa di peccato, e truovavi el caldo de la divina carità, vedendo che per amore fu sparto.

Unde l'anima s'inebbria d'amore, e sente l'odore della pazienzia; e per l'amore che à trovato nel sangue si spoglia d'ogni amore proprio di sé, e porta con mansuetudine ogni avversità e tribulazione del mondo, trapassandole con vera pazienzia. E le prosperità e delizie e stati del mondo e l'amore di figliuoli sì trapassa, con uno vero e santo timore, amandole come cosa prestata, e non come cosa sua; e così debba fare ogni persona che à in sé ragione. Facendo così, non offende Dio e gusta l'arra di vita etterna in questa vita, con una carità fraterna col prossimo suo; e tutto questo truova l'anima nella memoria del sangue. E veramente così è, però che, mentre che noi terremo a mente con ansietato desiderio el benefizio del sangue, saremo grati e cognoscenti, e rendarenli el debito dell'affetto della carità e de le vere e reali virtù.

Ché per altro non offende tanto la creatura, se non perché non à la memoria del sangue e degli altri benefizii, e però non è grato; e non essendo grato non si cura delle virtù.

Adunque, carissima madre, poiché c'è di tanta necessità la memoria di questo sangue, strignetevi con l'umile e immaculato Agnello, bagnandovi nel sangue dolcissimo suo. Altro non vi dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



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Agli Anziani di Lucca.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimi e carissimi fratelli in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi pieni de la divina grazia, lume di Spirito santo, considerando me che senza questo lume non potiamo andare.

Sapete, fratelli carissimi, che noi siamo in via pellegrini e viandanti (He 11,13 1P 2,11). In questa tenebrosa vita noi siamo ciechi per noi medesimi: come dunque potrà andare el cieco per la via che è molto dubbiosa, senza guida, che egli non caggia? Adunque c'è bisogno d'avere el lume e la guida che c'insegni. Ma confortatevi, fratelli carissimi, che non ci bisogna dubbitare, ché Dio, per la sua infinita bontà, ci à dato el lume del cognoscimento che cognosce che la virtù e 'l servire al suo Creatore gli dà vita; e 'l vizio, el peccato e l'amore proprio di sé medesimo, e la superbia in cercare o tenere e possedere le cose del mondo e gli stati suoi ingiustamente - cioè con poco timore e onore di Dio - bene vede che questo gli dà la morte, e fallo degno dell'etterna dannazione.

Dico che ci è data la guida, cioè l'unigenito Verbo incarnato Figliuolo di Dio, che c'insegna per che modo doviamo andare per questa via cotanto lucida. Sapete che egli dice: «Io so' via verità e vita (Jn 14,6): chi va per me non va per le tenebre, ma va per la luce» (Jn 8,12). Egli è verità che non à in sé bugia. E che via à fatta questo dolcissimo maestro? À fatta una via d'odio e d'amore: odio à avuto e dispiacimento del peccato, sì e per sì-fatto modo che ne fece vendetta sopra el corpo suo, con molte pene, strazii, scherni e rimproverii, morte e passione, non per sé - ché in sé non era veleno di peccato -, ma solo in servigio della creatura, per sodisfare alla colpa commessa: rendegli el lume della grazia e tollegli la tenebre che per lo peccato era entrata nell'anima.

Insegnaci dunque la via d'andare con odio e dispiacimento del vizio e del peccato; e perché l'amore proprio è quella tenebre unde viene ogni tenebre, spiritualmente e temporalmente, colui che ama sé per sé non si cura del danno del fratello suo e del vitoperio e offesa di Dio, perché non raguarda altro che a sé medesimo d'amore sensitivo e non ragionevole. E questa è la cagione che eziandio gli stati del mondo non bastano: perché non s'attende a l'onore di Dio e alla giustizia santa altro che a sé medesimo.

Venne questo dolce Gesù, e àvi insegnata la via d'avere in odio e in dispiacimento questo amore proprio, tanto è pericoloso. Àcci dato el lume dell'amore de la sua verità, però che l'amore di Dio e della virtù santa è uno lume che ci tolle ogni tenebre d'ignoranzia; donaci vita e tolleci la morte, dacci una fortezza, sicurtà e fermezza contra ogni avversario e nemico nostro, però che, come dice santo Paulo, «se Dio è con noi, chi sarà contra a noi?» (Rm 8,31). Non dimonio né creatura ci potrà tòllare questo bene e vero lume, che ci à a conservare la grazia nell'anima e anco lo stato e la signoria sua. Egli è potente, lo Dio nostro dolce, a volerci e poterci conservare e trare de le mani de' nemici nostri, pur che voi attendiate a l'onore suo e alla essaltazione della santa Chiesa, la quale è la essaltazione vostra: in altro non riceve l'anima vita se none in essa Chiesa. Questo dolce Gesù, el quale s'è fatto a noi via, ed è insegnatore e nostro conducitore, non mirò mai altro se non a l'onore del Padre e alla salute nostra, e prese per sposa la santa madre Ecclesia; ine misse el frutto e 'l caldo del sangue suo, quasi per medicina delle nostre infermità: ciò sono e' sacramenti della Chiesa, che ànno ricevuta vita nel sangue del Figliuolo di Dio, el quale fu sparto con tanto fuoco d'amore. E pensate che, nel fuoco della sua carità, egli à sì fermata questa sua sposa in sé (e tutti coloro che a essa stanno appoggiati e fannosi suoi figliuoli legittimi, che eleggono inanzi cento migliaia di volte la morte prima che mutare el passo senza lei), che non sarà dimonio né creatura che le possi tòllare che ella non sia. Etternalmente dura questa venerabile e dolcissima sposa.

E se voi mi diceste: E' pare che ella venga sì meno, e non pare che possa aitare sé, non tanto ch'e' figliuoli suoi, dicovi che non è così, ma e' pare bene all'aspetto di fuore: or raguarda dentro e trovara'vi quella fortezza de la quale el nemico suo è privato. Voi sapete bene che Dio è colui che è forte, e ogni fortezza e virtù procede da lui; questa fortezza non è tolta alla sposa, né questo aiutorio forte e fermo, che non l'abbi; ma e' nemici suoi che fanno contra lei ànno perduta questa fortezza e aiutorio, però che, come membri putridi, tagliati sono dal capo loro, unde subbito che 'l membro è tagliato, sì è indebilito. Stolto dunque e matto è colui el quale è uno piccolo membro e vuole fare contra uno grande capo, e spezialmente quando vede che prima verrebbe meno el cielo e la terra, che venisse meno la virtù sua di questo capo.

E se diceste: «Io non so: io veggo pur le membra che prosperano e vanno inanzi»; aspetta un poco, ché non debba andare né può andare così, però che dice lo Spirito santo nella Scrittura santa: «Invano e indarno s'affadiga colui che guarda la città che ella non venga meno, se Dio non la guarda» (Ps 126,1).

Adunque non può durare che ella non venga meno, e non sia destrutta l'anima e 'l corpo, però che sono privati di Dio, per grazia, che la guarda: perché ànno fatto contra la dolce Sposa sua, dove si riposa Dio che è essa fortezza. Non c'inganni dunque veruno timore servile, però che 'l timore servile fu quello che ebbe Pilato, el quale, per paura di non perdere la signoria, uccise Cristo, e per la sua ignoranzia perdé lo stato dell'anima e del corpo. Ma se avesse mandato inanzi el timore di Dio, non cadeva in tanto inconveniente.

Adunque io vi prego, per l'amore di Cristo crucifisso, fratelli carissimi e figliuoli della santa Chiesa, che sempre stiate fermi e perseveranti in quello che avete cominciato, e non vi muova né dimonio né creature che sono peggio che dimoni, le quali drittamente ànno preso l'offizio loro: che non lo' basta el male loro, sì vanno invitando e ritraendo coloro che vogliono essere e sono stati figliuoli. Non vi movete per veruno timore di perdere la pace e lo stato vostro, né per minacce che questi dimoni facessero a voi, però che non vi bisogna; ma confortatevi, con uno santo e dolce ringraziamento, ché Dio v'à fatta grazia e misericordia, però che non sete sciolti dal capo, da colui che è forte, e non sete legati nel membro debile e putrido, tagliato da la sua fortezza.

Guardate guardate che questo legame voi non faceste: prima elegete ogni pena, e vadi sempre inanzi el timore dell'offesa di Dio oltre a ogni altra pena: non vi bisognarà poi temere. Ma io godo ed essulto in me della buona fortezza che per infine a qui avete avuta, d'essere stati forti e perseveranti e obedienti alla santa Chiesa. Ora, udendo el contrario, mi contristai fortemente, e però ci venni, da parte di Cristo crucifisso, per dire a voi che questo non doveste fare per veruna cosa che sia. E sappiate che, se questo faceste per conservarvi e avere pace, voi cadereste nella maggiore guerra e ruina che aveste mai, l'anima e 'l corpo: or non cadete in tanta ignoranzia, ma siate figliuoli veri e perseveranti.

Voi sapete bene che, se 'l padre à molti figliuoli, e solo l'uno rimanga fedele a lui, a colui darà la eredità.

Questo dico, che - se solo voi rimaneste - fermi state in questo campo e non vollete el capo adietro, ché per la grazia di Dio anco ce n'è rimaso un altro, ciò sono e' Pisani vostri vicini, che, colà dove voi vogliate stare fermi e perseveranti, mai non vi verranno meno, ma sempre v'aitaranno e difendaranno da chi vi volesse fare ingiuria, infine alla morte. Oimé, dolcissimi fratelli, quale sarà quello dimonio che possa impedire questi due membri, che sono legati, per non offendere Dio, nel legame de la carità, appoggiati e stretti nel capo suo? non veruno.

Aviamo dunque a cercare el lume, del quale io prego la somma etterna Verità che n'adempi e vesta l'anima vostra, però che se questo sarà in voi, non temo che facciate el contrario di quello che io vi prego e dico da parte di Cristo, cioè di fare altro per lo tempo avenire che abbiate fatto per lo tempo passato. Non dico più.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio.



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1) A don Nicoloso di Francia monaco di Certosa nel monasterio di Belriguardo.

2) A frate Matheo Talomei da Siena dell'ordine de' Predicatori, in Roma.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vero combattitore in questo campo della battaglia, sì che mai non volliate el capo adietro per alcuna cosa che sia, ma, come cavaliere virile, state a ricevere e' colpi senza timore servile, ché, essendo voi armato, e' colpi non vi nociaranno.

E' ci conviene armare con l'arme della fortezza, unita con l'ardentissima carità, però che, per amore del sommo e etterno bene, ci doviamo disponere a portare volontariamente ogni pena e fadiga. Questa è una arme di tanto diletto e fortezza che né dimonia, con diverse e molte tentazioni, né le creature, con molte ingiurie e beffe e scherni che facessero di noi, non ci possono tòllere la fortezza né el diletto che riceve l'anima ne la dolcezza della carità; anco, l'anima che è armata così dolcemente percuote loro, però che 'l dimonio - trovando l'arme della fortezza nell'anima, ne le battaglie che elli le dà - vede che con allegrezza le riceve, per odio santo che à di sé medesima, e per desiderio che à di conformarsi in croce con Cristo, e portare pene e fadighe per lo suo amore. E vede che con dilezione d'amore del suo Creatore le spregia, cioè che la volontà non consente ad alcuna sua illusione; e però di questa fortezza che el dimonio truova e vede in quella anima, n'à pena, e vedesene rimanere sconfitto; e l'anima si rimane piena de la divina grazia, tutta affocata d'amore, e inanimata a la battaglia a combattere per Cristo crucifisso. Sì che vedete, carissimo figliuolo, che voi percotarete loro.

E dicovi che percotarete el mondo con tutte le sue delizie, e le creature che vi volessero perseguitare, in qualunque modo si fusse, con la dilezione della carità sostenendo con vera e santa pazienzia. E con la pazienzia e con la carità lo' gittarete carboni acesi, cioè uno amore sopra e' capi loro, che per forza d'amore si placarà l'ira e la persecuzione loro. Molto c'è dunque necessaria questa arme, però che in altro modo non potremmo resistere.

La battaglia non potiamo noi fuggire, mentre che siamo nel corpo mortale, in qualunque stato la persona si sia; e ciascuno le porta in diversi modi, secondo che piace alla bontà di Dio di darle. Se la persona non è armata, riceve el colpo della impazienzia, e riceve el colpo del diletto di consentire volontariamente a' colpi de le molte battaglie che el dimonio gli dà; e così ne rimane morto, rimanendo ne la colpa del peccato mortale. Ma se elli è armato, neuno colpo gli può nuocere, come detto è.

E se voi mi diceste: «Io non la posso avere questa arme», o: «A che modo potrei fare d'averla?», io vi rispondo che non è alcuna creatura che abbi in sé ragione, che non la possi avere, se elli vuole, mediante la divina grazia. Però che la colpa e la virtù si fa con la volontà; e tanto quanto la volontà de l'uomo consente al peccato o ad adoperare una virtù, tanto è peccato e virtù. Però che, senza la volontà, né il peccato sarebbe peccato, né la virtù sarebbe virtù: cioè che l'anima non ricevarebbe colpa né da l'atto del peccato né da alcuna cogitazione, se la volontà non vi consente; né le buone cogitazioni né l'atto de la virtù darebbe vita di grazia, se la volontà non consente a ricevarle con affetto d'amore.

E la volontà de l'uomo è sì forte, che né dimonio né creatura né alcuna cosa creata la può muovere, né fare consentire né a peccato né a virtù, più che si voglia. Questo ci mostrò Paulo, quando disse: «Né fame né sete né persecuzioni né fuoco né coltello, né cose presenti né future, né angeli né demonia mi partiranno da la carità di Dio, se io non vorrò». In queste parole el glorioso di Paulo ci mostra quanta è la forza de la volontà che Dio ci à data per sua misericordia, sì che neuno può dire: «Io non posso», né avere scusa di peccato. Possono bene venire e' ladii e molti pensieri nel cuore - a' quali neuno può resistere che non venghino -, ma el venire non è peccato; ma el ricevarli con volontà, questo è peccato, e a questo si può resistere di non aconsentire.

Poi, dunque, che sì grande tesoro aviamo che neuno può essere vento se elli non vuole, non è da schifare e' colpi, ma è da dilettarsi di stare sempre in battaglia, mentre che viviamo. Chi vedesse quanto è el frutto della battaglia, non sarebbe neuno che con desiderio non l'aspettasse. Chi non à battaglia, non à vittoria; e chi non à vittoria, sì è confuso. Sapete quanto bene ne viene per la battaglia? L'uomo à materia, nel tempo delle grandi battaglie, di levarsi da la negligenzia, e d'essere più sollicito a essercitare el tempo suo, e di non stare ozioso; e singularmente all'essercizio dell'orazione, ne la quale orazione umilemente ricorre a Dio, che vede che è sua fortezza, e dimandali l'aiutorio suo. E anco à materia di cognoscere la debilezza e fragilità della passione sensitiva sua; unde per questo concepe uno odio verso el proprio amore, e con vera umilità dispregia sé medesimo, e fassi degno de le pene e indegno del frutto che seguita doppo le pene.

E anco cognosce la bontà di Dio in sé, sentendo che la buona volontà, la quale elli à che non consente, l'à da Dio; e però concepe amore nella bontà sua con uno santo ringraziamento, perché si sente conservato nella buona volontà. Nelle battaglie s'acquistano le grandi virtù, e ogni virtù riceve vita da la carità, e la carità è notricata da la umilità; e come già aviamo detto che nel tempo delle battaglie l'anima à materia di cognoscere più sé medesima e la bontà di Dio in sé, dico che in sé cognosce sé essere fragile, unde elli s'aumilia; e in sé cognosce ne la buona volontà la bontà di Dio, unde viene ad amore e a carità.

Adunque bene è da godere nel tempo delle battaglie, e non venire mai a confusione, però che alcuna volta el dimonio, non potendoci ingannare co' lamo del diletto, ci vuole pigliare co' lamo della confusione - volendoci fare vedere che nel tempo delle battaglie siamo reprovati da Dio, e che l'orazione e gli altri essercizii spirituali non ci vagliono -, dicendo nella mente nostra: «Questo che tu fai, non ti vale: tu debbi fare la tua orazione e l'altre cose col cuore schietto e con mente quieta, e non con tanti disonesti e variati pensieri. Meglio t'è dunque di lassarle stare». E tutto questo fa el dimonio perché noi gittiamo a terra e' santi essercizii e l'umile orazione, che è ell'arme con che noi ci difendiamo, o vogliamo dire uno legame che lega e fortifica la volontà, e cresce e notrica la fortezza con l'ardentissima carità, con che l'anima resiste a' colpi, come detto è. E però el dimonio s'ingegna, con questo lamo, che noi la gittiamo a terra; però che potrebbe, perduto questo, a mano a mano avere di noi quello che elli vuole.

Adunque mai per neuna battaglia doviamo venire a confusione, né lassare alcuno essercizio; eziandio se avessimo peccato attualmente, a confusione di mente non si debba venire - però che doviamo credere che subbito che l'uomo si ricognosce e à dolore e dispiacimento de la colpa comessa, Dio el riceve a misericordia -, ma con speranza e con fede viva credere in verità che Dio non vi porrà maggiore peso che voi potiate portare; però che tanto ci molestano le demonia quanto Dio permette, e più no. E doviamo essere certi che Dio sa può e vuole deliberarci, quando elli vedrà che sia el tempo che faccia per la salute nostra di tollarci le tentazioni e ogni altra fadiga; però che ciò che elli ci dà e permette, el fa per nostra salute o per acrescimento di perfezione.

Or con questo lume de la fede e vera speranza passarete questo e ogni altro inganno del dimonio; e con profonda umilità, inchinando el capo a passare per la porta stretta, seguitando la dottrina di Cristo crucifisso, acquistarete el dono della fortezza e della carità, de la quale aviamo detto che è l'arme con che noi ci difendiamo. Con che s'acquista questa arme? col lume della santissima fede, come detto è. Sì che la fede con ferma speranza e con la carità - ché altrimenti, non sarebbe fede viva - ci darà lume in cognoscere la nostra fortezza, Cristo dolce Gesù, e la debilezza de' nemici. E la speranza ci farà certi che elli è così, aspettando che ogni fadiga sarà remunerata, e ogni colpa sarà punita. E la carità ci fortifica, facendoci forti contra ogni avversario.

Dunque a combattere, carissimo figliuolo, ponendoci el sangue dinanzi de l'umile e immaculato Agnello, che ci farà essere forti e inanimare a la battaglia; in altro modo non tornaremmo a la città nostra di vita etterna con la vittoria. E però vi dissi che io desideravo di vedervi vero combattitore, mentre che siamo nel campo della battaglia, sì come cavaliere virile; e così vi prego che facciate, e sempre con la verga della vera obedienzia.

O carissimo figliuolo, parmi che lo Sposo eterno voglia che voi vi gloriate insieme col glorioso Paulo: egli si gloria nelle molte tribolazioni; fra l'altre, dello stimolo che egli ebbe poi che fu preso e battuto cotante volte da' Giuderi. E voi con lui insieme,vi gloriate, figliuolo carissimo, e abiatele in debita reverenzia, riputandovi indegno del frutto e degno della pena. Ora è il tempo nostro di sostenere per gloria e loda del nome suo: non dubitate, né voglio che veniate meno sotto la disciplina dolce di Dio. Confortatevi, ché tosto verrà l'aurora. Voi chiamerete, e saràvi risposto in verità. Anegatevi anegatevi nel sangue dolce di Cristo crucifisso, dove ogni cosa amara diventa dolce, e ogni grande peso leggiero. Altro non vi dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

Gridate in cella, e la verità eterna udirà el grido vostro, e io, ignorante e misera vostra madre, farò il simile: e così sarà subvenuto a' vostri bisogni. Non mancate in isperanza, ché a voi non mancherà la divina Providenzia.



170

A Pietro marchese predetto.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

A voi, carissimo padre in Cristo Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, mi vi racomando nel prezioso sangue del Figliuolo di Dio, con desiderio di vedervi vero servo e cavaliere di Cristo, combattendo sempre virilmente contra e' vizii e i peccati, non con negligenzia ma con vera e santa sollicitudine, sì che, venendo quello punto dolce de la morte, torniamo con la vittoria ne la città vera di Ierusalem, visione di pace, dove noi non trovaremo la carne che voglia ribellare a lo spirito.

Ma attendete, padre, che a volere la vita durabile, c'è bisogno di lassare la carne, prima che venga la morte e che la carne abbandoni noi, cioè lassare gli appetiti e i desiderii e i sentimenti carnali. Oimé, non ve ne fate invitare a lassargli, però ched e' non ci à tempo, e non è neuna cosa che faccia l'uomo bestiale quanto questo perverso vizio; e grande stoltizia è de la creatura, che si tolle tanta dignità per tanto trista cosa e diventa animale bruto. Adunque stirpiamo e combattiamo contra a questo vizio e contra ad ogni altro, con l'odore de la santa continenzia e onestà, con lo scudo de la santissima croce, e riparare a' colpi: sì che siate vero giudice e signore ne lo stato che Dio v'à posto, e drittamente rendiate el debito al povero e al ricco secondo che richiede la santa giustizia, la quale sempre sia condita con misericordia. Non dico più qui.

Manifestovi uno caso che è avenuto al monasterio di Santo Michele Angelo da Vico; però che uno giovano, el cui nome vi dirà la lettera che la badessa del detto monasterio vi manda, el quale già è buono tempo l'à stimolate, e a tanto è venuto che egli vi si entra ogni ora che gli piace, avendo smurata una finestra del monasterio, minacciando quelle che non vogliono el male, di mettere fuoco nel monasterio e ardervele dentro, secondo che esse ànno detto a me. Per la quale cosa vi prego e costringo che voi ci poniate quello remedio che vi pare, e più convenevole, sì che si ponga remedio a tanta abominazione. Non vorrei però che egli perdesse la vita, ma d'ogni altra pena io sarei molto consolata. Non dico più sopra questa materia.

Lo Spirito santo v'allumini, di questo e d'ogni altra cosa. Laudato sia Gesù.



171
A Nicolò Soderini, essendo de' Priori di Firenze al tempo che si fece la lega.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce, madre del Figliuolo di Dio.

A voi, dilettissimo e carissimo fratello e figliuolo in Cristo Gesù: io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi membro legato e unito nel legame della vera carità, sì e per sì-fatto modo che participiate di questo vero amore che, poi che sete fatto capo e posto in signoria, voi siate quello mezzo che aitiate a legare tutti e' membri de' vostri cittadini, sì che non stieno a tanto pericolo e dannazione dell'anima e del corpo.

Sapete che il membro che è tagliato dal capo suo, egli non può avere in sé vita, perché non è legato con quello unde egli aveva la vita. Così vi dico ch'è l'anima che è partita da l'amore e da la carità di Dio: ciò è di quelli e' quali non seguitano el loro Creatore, ma più tosto el perseguitano con molte ingiurie e peccati mortali, e' quali manifestamente si veggono per segni e modi che noi vediamo apparire e fare tutto dì; e voi mi potete intendere. Or chi siamo noi, miseri miserabili, iniqui e superbi, noi che facciamo contra el capo nostro? Oimé oimé, la superbia e la grandezza nostra col vedere cieco ci mostra el fiore dello stato e delle signorie, e non vediamo el vermine che è intrato sotto a questa pianta che ci dà el fiore, che rode; e tosto verrebbe meno, se egli non s'argomenta. Conviensi dunque argomentare col lume della ragione della vera e dolce umilità, la quale virtù coloro che la possegono sempre sono essaltati, e così per lo contrario, come disse Cristo, sempre i superbi sono umiliati (
Lc 14,11 Mt 23,12 Lc 18,14). Questi cotali non possono avere vita, però che sono membri tagliati dal dolce legame della carità.

O che peggio potiamo avere che essere privati di Dio? Bene potremmo avere assai legame e, fatta lega, legati con molte città e creature: che, se non c'è el legame e l'aiutorio di Dio, che ci vaglia nulla. Sapete che invano s'affadiga colui che guarda la città, se Dio non la guarda (Ps 126,1). Che faremo dunque, disaventurati a noi, ciechi e ostinati ne' difetti nostri, poi che Dio è colui che guarda e conserva la città e tutto l'universo, e io mi so' ribellato da lui, che è colui che è? E se io dicessi: «Io non fo contra lui»; dico che tu fai contra lui quando fai contra el vicario suo, la cui vece tiene. Vedi che tu se' tanto indebilito, per questa ribellione fatta che quasi non ci à forza veruna, perché siamo privati della nostra fortezza. Oimé, fratello e figliuolo carissimo, aprite l'occhio a raguardare tanto pericolo e tanta dannazione d'anima e di corpo; pregovi che none aspettiate la ruina e 'l divino iudizio, però che 'l vermine potrebbe tanto crescere che 'l fiore darebbe a terra. L'odore di questo fiore già è mortificato, perché siamo stati ribelli a Cristo: sapete che l'odore della grazia non può stare in colui che fa contra el suo Creatore.

Ma el remedio ci è, se 'l vorremo pigliare, e di questo vi prego quanto so e posso, in Cristo dolce Gesù, che 'l pigliate, voi e gli altri cittadini, e fatene ciò che potete da la parte vostra. Umiliatevi e pacificate i cuori e le menti vostre, però che per la porta bassa non si può tenere col capo alto, però che noi ce 'l romparemmo: egli ci conviene passare per la porta di Cristo crucifisso, che s'aumiliò a noi stolti e con poco cognoscimento. E se voi v'aumiliarete, dimandarete con pace e mansuetudine la pace al nostro capo, Cristo in terra.

Vogliate dimostrare che siate figliuoli, membri legati e non tagliati, e trovarete misericordia e benignità, essaltazione nell'anima e nel corpo. Sapete che la necessità ci debba strignare a farlo, se non ci strignesse l'amore. Non può stare el fanciullo senza l'aiutorio del padre, però che non à in sé virtù né potenzia veruna per sé - ciò che egli à, à da Dio -: conviengli dunque stare in amore del padre, ché, se egli sta in odio e in rancore, l'aiutorio suo gli verrà meno; venendoli meno l'aiutorio, conviene che venga meno egli. Adunque è, e con sollicitudine, da andare e dimandare l'aiutorio del padre, cioè di Dio: conviencelo adimandare e avere dal vicario suo, però che Dio gli à data nelle mani sue la chiave del cielo, e a questo portinaio ti conviene fare capo, però che quello che egli fa è fatto, e quello che egli non fa, non è fatto. Così disse Cristo a santo Pietro: «Cui tu legarai in terra, sarà legato in cielo, e cui tu sciogliarai in terra, sarà sciolto in cielo» (Mt 16,19).

Poi che egli è tanto forte questo vicario, e di tanta virtù e potenzia che serra e apre la porta di vita eterna, noi membri putridi, figliuoli ribelli al padre, saremo sì stolti che facciamo contra lui? Bene vediamo che senza lui non potiamo fare. Se tu se' contra la santa Chiesa, come potrai participare el sangue del Figliuolo di Dio, ché la Chiesa non è altro che esso Cristo? Egli è colui che ci dona e ministra e' sacramenti, e' quali sacramenti ci danno vita per la vita che ànno ricevuta dal sangue di Cristo. Ché prima che 'l sangue ci fusse dato, né virtù né altro erano sufficienti a darci vita eterna. Come dunque siamo tanto arditi che noi spregiamo questo sangue? E se dicessi: «None spregio el sangue»; dico che non è vero, ché chi spregia questo dolce vicario spregia el sangue: ché chi fa contra l'uno, fa contra all'altro, però che essi sono legati insieme. Come mi dirai tu che, se tu offendi uno corpo, che tu none offendi el sangue che è nel corpo? non sai tu che egli è uno corpo mistico, che tiene in sé el sangue di Cristo? Intendi che adiviene come del figliuolo e del padre: che, assai offendesse el padre el figliuolo, che 'l figliuolo abbi mai ragione sopra di lui; e non può mai offendarlo, né debba offendare, che non sia in pericolo di morte e in stato di dannazione. Egli è sempre debitore a lui, per l'essere che egli gli à dato: non pregò mai el figliuolo el padre che gli desse della substanzia della carne sua, e non di meno el padre, mosso per amore che egli à al figliuolo prima che egli abbi l'essere, sì gli 'l dà. O quanto maggiormente noi ignoranti, ingrati e scognoscenti figliuoli, potiamo patire d'offendere el nostro vero padre, con-ciò-sia-cosa-che egli ci abbi amati senza essere amato, ché per amore ci creò (e anco ci recreò a grazia nel sangue suo, dando la vita con tanto fuoco d'amore che, ripensandolo, la creatura patirebbe inanzi fame e sete e ogni necessità, infine alla morte, prima che ribellasse o facesse contra el vicario suo, per lo quale c'è porto el frutto del sangue di Cristo); e tutto ci à dato per grazia e non per debito.

Or non più, fratelli miei: non più dormite in tanto poco lume e cognoscimento; traiamo el vermine della superbia e dell'amore proprio di noi medesimi; uccidianlo col coltello de l'odio e dell'amore, con amore di Dio e reverenzia della santa Chiesa, con odio e dispiacimento del peccato e difetto commesso contra Dio e contra lei. Allora avarete fatto uno innesto, piantati e innestati nell'arbore de la vita: torràvi la morte e renderàvi la vita; privati sarete della debilezza - ché già abbiamo detto che sete fatti debili perché siamo privati di Dio, che è nostra fortezza, per la ingiuria che facciamo alla Sposa sua -: dunque, facendo questa unione con odio e dispiacimento della divisione avuta, sarete fatti forti nelle grazie spirituali - le quagli doviamo participare, volendo la vita della grazia - e nelle temporali, sì e per sì-fatto modo che neuno v'offendarà. Meglio v'è di stare in pace e in unione, eziandio non tanto col capo vostro ma con tutte le creature, però che noi non siamo giudei né saracini, ma cristiani, bagnati e ricomprati nel sangue di Cristo.

Stolti a noi, che ci andiamo ravollendo per appetito di grandezza e, per timore di non perdare stato, pigliamo e facciamo l'offizio delle dimonia (andando invitando l'altre creature a fare quello male medesimo che fate voi, sì come dimonio): ché, quando egli erano angeli, quelli che caddero si legaro insieme e ribellaro a Dio e, volendo essere alti, diventaro bassi. Non voglio, e così vi prego, che voi non facciate el simile: volendo fare contra la Sposa di Cristo, v'andiate legando insieme. Facendo così, quando credeste essere legati e inalzati, voi sareste più sciolti e abbassati che mai.

Non più così, fratelli carissimi; legatevi nel legame dell'ardentissima carità, dimandate di tornare a pace e a unione col capo vostro, acciò che non siate membri tagliati. Voi avete uno padre tanto benigno che, volendo tornare all'amenda, non tanto che egli vi perdoni, ma egli v'invita a pace, none obstante la ingiuria che à ricevuta da voi, bene che forse non vi pare avere fatta ingiuria ma ricevuta; se questo è, è per poco lume che è in voi, e questo è el grande pericolo, ed è la cagione che l'uomo non si corregge né torna all'amenda, perché non vede la colpa sua: non vedendola, non l'agrava per odio e dispiacimento; adunque ci conviene vedere acciò che cognosciamo e' difetti nostri, sì che, cognoscendoli, gli correggiamo.

Noi non doviamo amare e' vizii che noi vedessimo nelle creature, ma doviamo amare e avere in reverenzia la creatura e l'autorità che Dio à posta ne' ministri suoi; de' peccati loro lassargli punire e gastigare a Dio, però che egli è quello sommo giudice che drittamente dà e' giudizii suoi, e a ogni uno rende el debito suo giustamente, secondo che à meritato, e con drittura. Troppo sarebbe sconvenevole che volessimo giudicare, noi che siamo caduti in quello medesimo bando. Pregovi che non vi lassiate più guidare a tanta simplicità, ma con cuore virile e virtuoso vi legate col vostro capo, sì che, venendo el punto della morte, dove la persona non si può scusare, noi potiamo participare e ricevare el frutto del sangue di Cristo.

Pregovi voi, Nicolò, per quello amore ineffabile col quale Dio v'à creato e ricomprato tanto dolcemente, che voi vi studiate, giusta al vostro potere - ché senza grande misterio non v'à Dio posto costì -, di fare che la pace e l'unione tra voi e la santa Chiesa si faccia, acciò che non siate pericolati voi e tutta la Toscana.

Non mi pare che la guerra sia sì dolce cosa che tanto la dovessimo seguitare, potendola levare. Or ècci più dolce cosa che la pace? certo no. Questo fu quello dolce testamento e lezione che Cristo lassò a' discepoli suoi; così disse egli: «Voi non sarete cognosciuti che siate miei discepoli per fare miracoli, né per sapere le cose future, né per mostrare grande santità in atti di fuore, ma se avarete carità e pace e amore insieme» (Jn 13,35).

Voglio dunque che pigliate l'officio degli angeli, che sono mezzo ingegnandosi di pacificarci con Dio; fatene ciò che potete, e non mirate per veruna cosa, né per piacere né per dispiacere. Attendete solo a l'onore di Dio e a la salute vostra; eziandio se la vita ne dovesse andare, non vi ritragga mai di dire la verità per veruno timore che 'l dimonio o le creature vi volessero mettare: ponetevi per scudo e per difesa el timore di Dio, vedendo che l'occhio suo è sopra di noi e raguarda sempre la intenzione e volontà de l'uomo, come ella è dirizzata in lui. Facendo così, adempirete el desiderio mio in voi, sì come io vi dissi che io desideravo che fuste membro unito e legato nel legame della carità, e non tanto in voi, ma cagione di legare tutti gli altri.

Fate lo' vedere, quanto potete, el pericolo e malo stato che sono, ché io vi prometto che, se voi non v'argomentate in ricevare la pace e dimandarla benignamente, voi cadarete nella maggiore ruina che cadeste mai. Temo che non si potesse dire quella parola che disse Cristo quando andava all'obrobiosa morte della croce per noi, miseri miserabili, scognoscenti di tanto benefizio, quando si volse dicendo: «Figliuole di Gerusalem, non piangete sopra me, ma sopra voi e' figliuoli vostri» (Lc 23,28). E lo dì di domenica d'olivo, quando scendeva del monte, disse «Gerusalem Gerusalem, tu godi che egli è oggi el dì tuo, ma tempo verrà che tu piagnarai» (Lc 19,41-44). Or non vogliate, per l'amore di Dio, aspettare questo tempo, ma ponete in voi la vera letizia, cioè de la pace e dell'unione. A questo modo sarete veri figliuoli, participarete e avarete la eredità del Padre etterno.

Non dico più, ché tanto è el duolo e la pena che io ne porto per lo danno dell'anime e de' corpi vostri, che, acciò che questo non fusse, io sosterrei con grande desiderio di dare mille volte la vita, se tanto potesse; sì che abbiatemi per scusata s'io abondo di parole, ché tosto el mandarei ad effetto se io potesse. Prego la divina providenzia che a voi, figliuolo, e a tutti gli altri, dia lume e cognoscimento e timore e amore santo di Dio, che vi tolga ogni tenebre e amore proprio e timore servile, che è quella cagione unde procede e viene ogni male.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio.

Mando a voi el portatore di questa lettera, predicatore unguanno costà, dell'ordine de' frati Minori, vero e buono servo di Dio, el quale v'aitarà a consigliare e dirizzare nella via della verità, e in tutte quelle cose che avete a fare per voi medesimo in particulare e per tutta la città in comune. Pregovi che pigliate e v'atteniate a' consigli suoi, e non sia veruna cosa sì secreta né occulta nella mente vostra che voi non gli 'l participiate e manifestiate a lui. Spero per la divina grazia che, per l'amore e affetto che egli à alla salute vostra e d'ogni creatura, che ricevarà lume da Dio, sì che drittamente vi consigliarà: di costui fate ragione che sia un altro io.

Benedicete e confortate monna Gostanza e tutta la famiglia.



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Caterina, Lettere 167