Caterina, Lettere 367

367

A' magnifici Signori Difensori del Popolo e Comune di Siena

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi fratelli e padri in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi servi fedeli alla santa Madre Ecclesia acciò che siate membri legati coniunti col capo vostro sì come veri e fedeli cristiani, con zelo santo di vera e santa giustizia, volendo che la margarita della santa giustizia sempre riluca ne' petti vostri, levandovi da ogni amore propio, attendendo al bene universale della vostra città, e non propiamente al ben particolare di voi medesimi.

Però che colui che ragguarda solamente a sé vive con poco timore di Dio; non osserva la giustizia, anco la trapassa e commette molte ingiustizie; lassasi contaminare alle lusenghe degli uomini alcuna volta per denari, alcuna volta per piacere a coloro che gli dimandano il servizio, che sarà una ingiustizia ad averlo; alcuna volta, per fuggire la punizione del difetto che avrà commesso, sarà diliberato, colà dove la verga della giustizia debba venire sopra di lui. Costui à fatto come iniquo uomo: degno sarebbe che quella medesima disciplina che doveva venire in colui che egli à diliberato per denari, venisse sopra di lui. E' povarelli che non commettaranno, delle mille parti l'una, tanto difetto, lo' sarà data dura punizione senza alcuna misericordia. Terrà occhio spesse volte l'uomo miserabile, posto a governare la città (e non governa anco sé medesimo), che le povarelle e povarelli sieno rubbati, non tenendo lo' punto di ragione; ma terranno occhio ch'ella sia data a colui che non l'à.

Non me ne maraviglio, se questi cotali commettono ingiustizia, perché essi si veggono fatti crudeli a lor medesimi, vivendo in tanta immondicia che, dal porco che s'involle nel loto a loro, non à cavelle; in tanta superbia, che per la superbia loro non possono sostenere che lo' sia detta la verità. Mordono, con rimproverio, il prossimo loro, con guadagni inliciti, e con molti altri infiniti mali de' quali io taccio per non attediarvi di parole. Per questo non mi maraviglio che manchino nella santa e vera giustizia.

E però Idio à permesso e permette che noi riceviamo tante discipline e tante fadighe, che mai non credo che fussino vedute simili, poi il mondo fu mondo, cioè per questo modo. Chi n'è cagione? L'amore propio, donde escono le ingiustizie, e caggiono nella irreverenzia della santa Chiesa: di figliuoli fedeli, diventano infedeli. Questo aviamo veduto e vediamo manifestamente, che egli è così.

E però vi dissi che volevo che fuste giusti, rilucesse nel petto vostro la margarita della giustizia: ché altrimenti non compireste il desiderio mio, che desidero che siate servi fedeli alla santa Chiesa, obedienti a papa Urbano VI - sì come veri e fedeli cristiani -, il quale è veramente papa, vicario di Cristo in terra.

Ora m'avvedrò, carissimi padri, se sarete figliuoli, o no. Nel tempo del grande bisogno, si vedrà se il figliuolo sarà amatore del padre, provedendo a sovvenire alla sua necessità, secondo che gli sarà possibile.

Ora vediamo il padre nostro e la santa Chiesa in tanto bisogno, che mai non l'ebbe simile, per li malvagi e iniqui uomini i quali erano posti nel giardino della santa Chiesa per dilatare la fede, ed essi son quelli che l'ànno tutta contaminata, seminando scisme e grandissime eresie. Noi cristiani, e figliuoli a così dolce padre, e giusto, cioè papa Urbano VI, ci doviamo mettere ciò che si può, per confondere e distruggere questa bugia. Eziandio se bisogna morire, moriamo, ché il morire ci sarà vita. Non dormite più, ché non è tempo da dormire, ma destatevi dal sonno, per onore di Dio, bene della santa Chiesa, e utilità vostra.

Neuno sacrificio potete donare al vostro Creatore che tanto gli sia piacevole, quanto questo, e non vi paia duro; ché non v'è paruto duro né malagevole, di tanto tempo quanto è passato, avere servito contra Dio e contra ogni ragione, a quelli che erano membri allora fetidi, ribelli alla santa Chiesa: del quale servizio non aveste né avete altro che danno dell'anima, del corpo, e della sustanzia temporale con molta vergogna, confusione di mente, e vituperio, rimanendone 'l vermine della coscienzia. In tutto questo non pensaste, ma liberamente abandonaste voi medesimi per volere essere trovati fedeli a quello che promesso avavate, la quale fede osservare non si doveva, perché non si osservava senza colpa; e colpa in neuno modo si debba commettere.

E se tanto s'è fatto in servizio del dimonio, quanto maggiormente ora dovete sforzare ogni vostro potere! Dovete servire, per Cristo crocifisso, e per debito al vicario suo, Cristo in terra, papa Urbano VI, il quale dovete tenere per sommo pontefice. E chi tiene il contrario, è eretico riprovato da Dio, membro del diavolo. E neuno sia, che vadi vacillando o zoppicando con la mente sua, per illusione del dimonio, a detto di veruna creatura, dicendo: «Forse che è; e forse che non è». Non così, per l'amore di Dio! ma affermativamente, con amore cordiale, tenete che il nostro padre è papa Urbano VI, a malgrado di chi dice il contrario. Lui dovete obedire e sovvenire: e, se bisogna, morire per questa verità. Al frutto dell'adiutorio che farete, m'avvedrò che in voi sia il fiore della santissima fede, d'essere servi fedeli alla santa Chiesa e al dolce e giusto padre vostro; il quale confesso e confessarò inanzi a tutto il mondo infino alla morte, che papa Urbano VI è veramente papa, vero e sommo pontefice. Oimé, non indugiate più a sovvenire questa dolce Sposa di Cristo. Spero, per la infinita bontà di Dio, che egli vi farà fare quello che v'è debito e dovere. Altro non vi dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio.

So che egli ama voi cordialmente come figliuoli. Amate e reverite lui come caro padre. Gesù dolce, Gesù amore.

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A Stefano Maconi sopradetto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti levato dalla tiepidezza del cuore tuo, acciò che non sia vomicato dalla bocca di Dio, udendo quello rimproverio: «Maladetti tiepidi! Che almeno fuste voi stati pur ghiacci! » (Ap 3,15-16).

Questa tiepidezza procede dalla ingratitudine, la quale ingratitudine esce dal poco lume che non si dà a vedere el crociato e consumato amore di Cristo crocifisso, e gl'infiniti beneficii da lui ricevuti; però che se in verità gli vedessimo, el cuore nostro ardarebbe (Lc 24,32) di fuoco d'amore: saremmo affamati del tempo, essercitandolo con molta sollicitudine in onore di Dio e salute de l'anime. A questa solicitudine t'invito, carissimo figliuolo, che ora di nuovo ci cominci a lavorare.

Mandoti una lettera che io scrivo a' Signori, e una alla Compagnia della Vergine Maria: vedile e comprendile; e poi le darai. Poi sia con etc., con ciascuno di per sé, come fatto ti viene; e parla loro pienamente sopra questo fatto che si contiene nelle lettere, pregando ciascuno di loro per parte di Cristo crocifisso e mia, che con ogni sollicitudine adoperino quanto a loro è possibile co' Signori, e con chi l'à a fare, che si facci quello che si die verso la santa Chiesa e 'l vicario di Cristo, papa Urbano VI. Molto gli grava, per mia parte, che lo' piaccia affadigarsi in questo fatto per onore di Dio e utilità della città, spiritualmente e temporalmente. Fa' che tu sia fervente, e non tiepido, in questa operazione, e in stimolare e' frategli e maggiori tuoi della Compagnia, che faccino la loro possibilità in quello ch'io scrivo. Se sarete quello che dovete essere, mettarete fuoco in tutta Italia, non tanto costì. Altro non ti dico.

Permane nella santa etc.

Conforta etc. Tutti questi tuoi fratelli e suoro ti confortano in Cristo; e tutti t'aspettiamo. Gesù dolce, Gesù amore.



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Al detto Stefano Maconi essendo essa a Roma (e questa fu l'ultima a lui).

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dolcissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo, con desiderio di vederti specchio di virtù, a ciò che con l'essemplo della vita, con la dottrina della parola, e con la continua e umile orazione, tu sia uno strumento a trare l'anime dalle mani del dimonio e riducerle alla Verità, Cristo dolce Gesù, come Dio ci richiede; a ciò che si renda buona ragione del talento (Mt 25,19) che elli ci à dato ad essercitare la virtù e la vita de l'anima. E senza essa saremmo privati della vita della grazia, e in questa vita gustaremmo l'arra dell'inferno.

Oh quanto è piacevole e utile la virtù! La quale virtù s'acquista col mezzo de l'orazione fatta nella casa del cognoscimento di noi (nel quale cognoscimento troviamo el fuoco della divina carità; e trovianci la miseria, ignoranzia e ingratitudine nostra, unde trovaremo e traremo la vena de l'umiltà per lo cognoscimento che avaremo di noi) e nella smisurata bontà di Dio, la quale troviamo in questa casa. Per pruova e per fede nutricaremo l'affetto nel fuoco della sua carità: alora sarà l'orazione nostra umile fedele e continua, fatta per amore con la memoria del sangue de l'umile Agnello, e così verremo a perfettissima virtù.

E non mi maraviglio se, per lo cognoscimento che l'anima à di sé, ella viene a perfettissimo amore e virtù, però che in neuno luogo troviamo tanto questo fuoco divino, quanto in noi. Però che tutte le cose create sonno fatte da Dio per la creatura che à in sé ragione; e la creatura à creata per sé, acciò che amasse e servisse lui con tutto el cuore, con tutto l'affetto e con tutte le forze sue (Lc 10,27). E però l'anima che tanto si vede essere amata non può difendersi che non ami, però che così è la condizione dell'amore.

Tanto fu pazzo e ineffabile l'amore suo verso di noi che, essendo noi fatti nemici per la colpa commessa, egli ci volse fare amici; e però ci mandò el Verbo del suo Figliuolo acciò che pagasse il bando nel quale la creatura era incorsa, mostrandoci nel prezzo la grande dignità nostra e la gravezza della colpa. Ben si debba adunque consumare e dissolvere la durizia del cuore della creatura che à in sé ragione, usandola: cioè che con lume di ragione e con la santissima fede raguardi in sé tanto amore, e il grande prezzo pagato per lei. Ma chi vive senza ragione, mai non il può vedere né cognoscere; non cognoscendo, non ama; e non amando, non gli è possibile di venire a veruna virtù, però che ogni virtù à vita da l'amore acquistato nell'affetto della carità. La quale carità, poi che aviamo acquistata in noi, doviamo usarla nel prossimo nostro spiritualmente e temporalmente, secondo la sua necessità e secondo che Dio ministra a noi, con ansietato desiderio della salute di tutto quanto el mondo per onore di Dio, dilettandoci di sostenere pene e fadighe e la morte, se bisogna, per gloria e loda del nome di Dio: e così ci conformaremo col dolce Agnello.

Oggi è quello tempo, carissimo figliuolo, che Dio ci richiede questo sacrificio: ché vediamo il mondo in tanta tenebre, e specialmente la dolce Sposa di Cristo; e però voglio che sia sollecito di darglili. E perché senza il mezzo delle virtù non potresti, però dissi ch'io desideravo di vedervi specchio di virtù; e così voglio che con ogni studio t'ingegni d'essere. Non dico più qui.

Ieri ricevetti una tua lettera, nella quale etc. A questa ti rispondo breve: delle indulgenzie che scrivi ch'io ti promissi, ti rispondo che tu non aspetti da me né quello né niun altro servigio, se tu non ti vieni per esse. Non dico che io ti dineghi la tua necessità spiritualmente, ché questo più che mai intendo di fare: e della dottrina, e di quello desiderio che Dio infonderà ne l'anima mia, offerendoti nel suo dolce cospetto con maggiore sollicitudine che mai, in quanto più veggio el bisogno, considerando lo stato tuo, el quale tu dici che a te è spiacevole. Quando in verità ti spiacerà, io me n'avedrò: ché attualmente te ne levarai.

Alora dimostrarai di cognoscere il tuo stato; ché infino a qui poco pare che l'abbi cognosciuto. Spero nella dolce bontà di Dio che, come un poco à cominciato a levare il panno d'in su l'occhio tuo, così in tutto el levarà via, e rimarrai con chiaro vedere del tuo stato, e tosto, purché tu non facci resistenzia o e' miei peccati non lo impediscano.

Rispondoti al fatto di misser Matheo. A me incresce e duole d'ogni pena e amaritudine che egli à sostenuta per la ignoranzia e negligenzia mia. Sappi che la sua pena è più mia che sua: Dio mi dia grazia che tosto si levi a lui e a me. Se quella lettera etc. Abbiate pazienzia etc.

Intesi per una lettera che mi mandò l'Abbate, la quale contava delle piante che egli à piantate nel suo e mio giardino - e è per piantare anco più -, tra le quali pare che sia tu con altri compagni, e setevi obligati.

Mostra etc. Ònne grandissima allegrezza di vedervi escire della imperfezione e andare alla perfezione, ma molto mi maraviglio che tu ti sia obligato senza farne sentire cavelle. Non è senza misterio: prego la divina dolce bontà che ne facci quello che sia suo onore e salute tua. Altro non voglio né desiderai mai, dal primo dì ch'io ti cognobbi, e che tu escisti del loto, per infino al dì d'oggi, e questo desiderio spero d'avere infino all'ultimo, per la bontà di Dio. Se tu ài sentito che lo Spirito santo t'abbi chiamato ed eletto a cotesto stato, ài fatto bene di non averli fatto resistenzia; e io ne sarò consolata, quando ti senti chiamare, che tu risponda. Molte cose t'avarei a dire, le quali non posso né voglio scrivere. Neri è a Napoli, ché 'l mandai con l'Abbate Lisolo. Credo che stieno con assai fadighe, specialmente mentali, per tante offese quante vegono fare a Dio. Altro non dico.

Permane etc.

Conforta tutti cotesti figliuoli, e singularmente Petro; e digli che, perch'io dica che Dio si diletta di poche parole e di molte operazioni, io non gli pongo però silenzio che egli non parli e scriva a me quello che sia sua pace e consolazione; anco, alcuna volta n'ò avuta ammirazione che egli non à scritto. Gesù dolce, Gesù amore.



370

Al papa Urbano VI.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Santissimo e dolcissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, indegna e miserabile figliuola, con grande desiderio desidero di vedere in voi una prudenzia con uno lume dolce di verità, per sì-fatto modo che io vi vegga seguitare el glorioso santo Gregorio; e con tanta prudenzia vi vega governare la santa Chiesa e le pecorelle vostre, che già mai non bisogni stornare veruna cosa la quale sia ordinata e fatta dalla vostra Santità, eziandio la minima parola, a ciò che nel conspetto di Dio e degli uomini sempre apparisca una fermezza fondata in verità, sì come debba fare il vero santo pontefice.

Di questo prego la inestimabile carità di Dio che ne vesta l'anima vostra, però che mi pare che il lume e la prudenzia siano a noi di grandissima necessità, spezialmente alla Santità vostra, e a qualunque altro fusse nel luogo vostro, massimamente a' tempi che corrono oggi. Perché io so che avete desiderio di trovarla in voi, però ve 'l rammento, manifestandovi el desiderio de l'anima mia.

Ò sentito, padre santissimo, della risposta che à fatta l'empio Prefetto, drittamente empito d'ira e di irreverenzia, agli ambasciadori romani; sopra la quale risposta pare che debano fare Consiglio generale, e poi debbono venire a voi e' caporioni, e certi altri buoni uomini. Pregovi, padre santissimo, che, come avete cominciato, così perseveriate di ritrovarvi spesso con loro; e con prudenzia legarli col legame de l'amore. E così vi prego che ora, in quello che essi vi diranno, fatto il Consiglio, con tanta dolcezza gli riceviate quanta più potete, mostrando a loro quello che è di necessità, secondo che parrà alla Santità vostra.

Perdonatemi, ché l'amore mi fa dire quello che forse non bisogna di dire, però che io so che dovete cognoscere sì la condizione de' figliuoli vostri romani - che si tragono e si legano più con dolcezza che con altra forza o asprezza di parole -, e anco cognoscete la grande necessità, che è a voi e alla santa Chiesa, di conservarvi questo popolo all'obedienzia e reverenzia della vostra Santità, però che qui è il capo e il principio della nostra fede. E pregovi umilmente che con prudenzia miriate di sempre promettere quello che vedete essere a voi possibile di pienamente atenere, acciò che non ne seguiti poi danno, vergogna e confusione.

E perdonatemi, dolcissimo e santissimo padre, perché io vi dica queste parole. Confidomi che l'umilità e benignità vostra è contenta che elle vi sieno dette, non avendole a schifo né a sdegno perché elle escano di bocca d'una vilissima femina: però che l'umile non raguarda a chi lili dice, ma attende a l'onore di Dio, e alla verità, e alla salute sua.

Confortatevi, e per neuna mala risposta che questo ribello alla Santità vostra abbi fatta o facesse non temete, ché Dio provederà in questo e in ogni altra cosa, sì come governatore e subvenitore della navicella della santa Chiesa e della Santità vostra. Siatemi tutto virile, con uno timore santo di Dio; tutto essemplario nelle parole, ne' costumi e in tutte le vostre operazioni: tutte appariscono lucide nello conspetto di Dio e degli uomini, sì come lucerna posta in sul candelabro della santa Chiesa, alla quale raguarda e debba raguardare tutto il popolo cristiano.

Anco vi prego che di quello che Leone vi disse voi ci poniate rimedio, però che tutto dì questo scandalo cresce più, non solamente per quello che fu fatto a l'ambasciadore senese, ma per altre cose che tutto dì si veggono, le quali ànno a provocare ad ira e' cuori debili degl'uomini. Non avete oggi bisogno di questo, ma di persona che sia strumento di pace e non di guerra. E poniamo che egli el facci con buono zelo di giustitia, sonno molti che la fanno con tanto disordine e con tanto empito d'ira, che escono fuore de l'ordine e della ragione. E però prego la Santità vostra strettamente che conscenda alla infermità degli uomini a procurare d'uno medico che sappi meglio curare la infermità di lui. E non aspettate tanto che la morte ne venga, ché io vi dico che se altro rimedio non ci si pone, la infermità cresce a possa.

Ricordivi della ruina che venne in tutta Italia per lo non provedere a' gattivi rettori, che governavano per sì-fatto modo che essi sonno stati cagione d'avere spogliata la Chiesa di Dio. Questo so che voi el cognoscete; vega ora la Santità vostra quello che è da fare. Confortatevi confortatevi dolcemente, ché Dio non despregia el vostro desiderio e l'orazioni de' servi suoi. Altro non vi dico.

Permanete etc. Umilemente v'adimando la vostra benedizione. Gesù dolce, Gesù amore.



371

Certi misterii nuovi che Dio adoperò nell'anima de la santa sua sposa Caterina la domenica de la Sessagesima, sì come di sopra si fa menzione, e' quali essa significò al detto maestro Ramondo.

Essendo io ansietata di dolore per cruciato desiderio, el quale s'era nuovamente conceputo nel conspetto di Dio (perché el lume dell'intelletto s'era speculato ne la Trinità eterna, e in quello abisso si vedeva la dignità de la creatura che à in sé ragione, e la miseria ne la quale l'uomo cade per la colpa del peccato mortale, e la necessità de la santa Chiesa, la quale Dio manifestava nel petto suo; e come neuno può tornare a gustare la bellezza di Dio né l'abisso de la Trinità, senza el mezzo di questa dolce Sposa - però che tutti ci conviene passare per la porta di Cristo crucifisso (Jn 10,7-9), e questa porta non si truova altrove che ne la santa Chiesa -), vedeva che questa Sposa porgeva vita, perché tiene in sé vita tanta che neuno è che la possa uccidere; e che ella dava fortezza e lume; e che neuno è che la possa indebilire né darle tenebre, quanto in sé medesima; e vedeva che il frutto suo mai non manca, ma sempre cresce.

Allora diceva Dio eterno: «Tutta questa dignità, la quale lo intelletto tuo non potrebbe comprendere, è data a voi da me. Raguarda con dolore e amaritudine, e vedrai che a questa Sposa non si va se non per lo vestimento di fuore, cioè per la substanzia temporale; ma tu la vedi bene vòta di quelli che cerchino el mirollo d'essa, cioè el frutto del sangue. El quale frutto, chi non porta el prezzo de la carità con vera umilità e col lume de la santissima fede, nol participarebbe in vita, ma in morte; e farebbe come el ladro, che tolle quello che non è suo - però che il frutto del sangue è di coloro che portano el prezzo dell'amore, però che ella è fondata in amore, e è esso amore -.

E per amore voglio - diceva Dio eterno - che ognuno le dia, secondo che io do a ministrare a' servi miei in diversi modi, sì come ànno ricevuto. Ma io mi doglio che io non truovo chi ci ministri, anco pare che ognuno in tutto l'abbi abandonata; ma io sarò remediatore». E crescendo el dolore e il fuoco del desiderio, gridava nel conspetto di Dio dicendo: «Che posso fare, o inestimabile fuoco?». E la sua benignità rispondeva: «Che tu di nuovo offeri la vita tua; e mai non dare riposo a te medesima. A questo essercizio t'ò posta e pongo, te e tutti quelli che ti seguitano e seguitaranno. Attendete voi adunque a mai non allentare, ma sempre crescere i desiderii vostri, ché io attendo bene, io, con affetto d'amore, a sovenire voi de la grazia mia corporale e spirituale. E acciò che le menti vostre non siano occupate in altro, ò proveduto dando uno stimolo a quella che io ò posto che vi governi, e con misterii e con nuovi modi l'ò tratta e posta a questo essercizio: ella con la substanzia temporale serve la Chiesa mia, e voi con la continua, umile e fedele orazione, e con quelli essercizii che saranno necessarii, e' quali saranno posti a te e a loro da la mia bontà, ad ognuno secondo el grado suo. Dispone adunque la vita e il cuore e l'affetto tuo solo in questa Sposa, per me, senza te.

Raguarda in me, e mira lo sposo di questa Sposa, cioè el sommo pontefice, e vedi la santa e buona intenzione sua, la quale intenzione è senza modo; e come è sola la Sposa, così è solo egli. Io permetto che co' modi e' quali egli tiene senza modi, e col timore che egli dà a' sudditi, egli spazzi la santa Chiesa, ma altri verrà che con amore l'acompagnerà e riempirà. E adiverrà di questa Sposa come adiviene dell'anima: che in prima entra in essa el timore, e spogliala de' vizii, poi l'amore la riempie e veste di virtù. Tutto questo sarà col dolce sostenere: dolce è e sarà a quelli che in verità si notricano al petto suo. Ma fa' questo, che tu dica al vicario mio che giusta al suo potere si pacifichi, e dia pace a chiunque la vuole ricevere.

E a le colonne de la santa Chiesa di' che, se vogliono remediare a le grandi ruine, faccino questo: che essi s'uniscano insieme, e siano uno mantello a ricoprire i modi che appaiono defettuosi del padre loro (Gn 9,23). E pongansi una vita ordinata, e allato a loro persone che temino e amino me, e ritruovinsi insieme, gittando a terra loro medesimi. E facendo così, io che so' lume lo' darò quello lume che sarà necessario a la santa Chiesa. E veduto che ànno fra loro quello che si debba fare, con vera unità, prontamente, arditamente e con grande deliberazione el referiscano al vicario mio. Egli allora sarà constretto di non resistere a le loro buone volontadi, però che egli à santa intenzione».

La lingua non è sufficiente a narrare tanti misterii, né quello che lo intelletto vidde e l'affetto concepette.

Passandosi el dì, piena d'amirazione, venne la sera, e sentendo io che il cuore era tratto per affetto d'amore, tanto che resistenzia non gli potevo fare che al luogo dell'orazione io non andasse, e sentendo venire quella disposizione che fu al tempo de la morte, posimi giù con grande reprensione, perché con molta ignoranzia e negligenzia io serviva la Sposa di Cristo, e ero cagione che gli altri facessero quello medesimo. E levandomi con quella impronta che era dinanzi all'occhio dell'intelletto mio di quello che detto è, Dio pose me dinanzi a sé, bene che sempre io gli sia presente - perché contiene in sé ogni cosa -, ma per uno nuovo modo, come se la memoria, lo intelletto e la volontà non avessero a fare cavelle col corpo mio. E con tanto lume si speculava questa Verità, che in quello abisso allora si rinfrescavano i misterii de la santa Chiesa, e tutte le grazie ricevute ne la vita mia, passate e presenti, e il dì che in fede fu sposata l'anima mia. Le quali tutte si scordavano da me, per lo fuoco che era cresciuto, e attendevo pure a quello che si poteva fare, che io facesse sacrificio di me a Dio per la santa Chiesa, e per tòllere la ignoranzia e la negligenzia a quelli che Dio m'aveva messi ne le mani.

Allora le demonia con esterminio gridavano sopra di me, volendo impedire e allentare col terrore loro el libero e affocato desiderio. Questi percotevano sopra la corteccia del corpo; ma el desiderio più s'accendeva, gridando: «O Dio eterno, riceve el sacrificio de la vita mia in questo corpo mistico de la santa Chiesa. Io non ò che dare altro se non quello che tu ài dato a me: tolle el cuore, e priemelo sopra la faccia di questa Sposa».

Allora Dio eterno, vollendo l'occhio de la clemenzia sua, divelleva el cuore, e premevalo ne la santa Chiesa. E con tanta forza l'aveva tratto a sé, che se non che subbito - non volendo che 'l vasello del corpo fusse rotto - el ricerchiò de la fortezza sua, ne sarebbe andata la vita. Allora le demonia molto maggiormente gridavano, come se essi avessero sentito intollerabile dolore; e sforzavansi di lassarmi terrore, minacciandomi di tenere modo che questo così-fatto essercizio non potessi fare. Ma, perché a la virtù dell'umilitade, col lume de la santissima fede, lo 'nferno non può resistere, più s'univa e lavorava con ferri di fuoco; udendo parole nel conspetto de la divina maiestà tanto attrattive, e promesse per dare allegrezza, e perché in verità era così in tanto misterio, la lingua oggimai non è più sufficiente a poterne parlare.

Ora dico: grazia, grazia sia all'altissimo Dio eterno, che ci à posti nel campo de la battaglia, come cavalieri, a combattere per la Sposa sua con lo scudo de la santissima fede (Ep 6,16). El campo è rimaso a noi libero, con quella virtù e potenzia che fu sconfitto el demonio che possedeva l'umana generazione; el quale fu sconfitto none in virtù de l'umanità, ma in virtù de la deità. Non è dunque né sarà sconfitto el demonio per lo patire de' corpi nostri, ma ne la virtù del fuoco de la divina ardentissima e inestimabile carità.



372

Al missere Carlo della Pace dovendo venire in adiuto della santa Chiesa, el quale poi fu re di Puglia overo di Napoli.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi cavaliere virile che virilmente combattiate per gloria e loda del nome di Dio, e per la essaltazione e reformazione della santa Chiesa.

Ma attendete, carissimo fratello, che questo bene non potreste fare - d'essere virile e sovenire alla necessità della Chiesa santa - se prima non combatteste e faceste guerra co' principali tre nostri nemici, cioè col mondo, col dimonio, e con la fragile carne nostra, e' quali sono tre principali tiranni che uccidono l'anima, quanto a grazia, in qualunque stato si sia, se ella con la mano del libero arbitrio apre la porta della volontà e mettegli dentro.

El mondo ci percuote con le vane e disordinate allegrezze, ponendoci dinanzi all'occhio dell'intelletto nostro stati, onori, ricchezze e grandezze, con scelerati diletti; le quali cose tutte sonno vane e corruttibili, che tutte passano come il vento, e sonno mutabili senza veruna fermezza. Questo vediamo manifestamente, che l'uomo oggi è vivo e domane è morto; da la sanità viene a la infermità; ora è ricco e ora è povero; testé è in grande altezza, e poco stante è venuto in grande bassezza.

Bene se n'avede l'uomo savio e prudente, e però fa guerra con lui, traendone il cuore e l'affetto per disordinato amore; serragli la porta della volontà; usalo come cosa prestata, e non come sua cosa; tienle care, le sue cose, quanto elle vagliono, e non più; concepe odio alla propria sensualità quando le volesse tenere o desiderare fuore della volontà di Dio. Questi sconfige il nemico col coltello de l'odio del vizio e amore delle virtù; e con lo scudo della santissima fede ripara a' colpi de' movimenti de' vizii, quando venissero. Questi non dà luogo a la ingiustizia, che per guadagnare e acquistare lo stato, ricchezza o diletti mondani, faccia ingiuria al prossimo: no, però che egli l'à spregiato; e non leva il capo per superbia, riputandosi el maggiore e volendo signoreggiare il prossimo suo ingiustamente - però che egli è umiliato, perché à spregiato sé e 'l mondo - ma vuolsi fare il più minimo, e facendosi piccolo diventa grande (Lc 9,48).

In qualunque stato si sia, o suddito o signore, egli è tenuto e obligato di fare guerra con questo tiranno.

Non dico che, se attualmente vuole possedere lo stato suo nel mondo, che egli non possa, e vivere in grazia. Anco può, ché noi aviamo di David, che fu re, e di santo Lodovico, e nondimeno furono santissimi uomini. Questi tenevano il reame attualmente, ma non con disordinato affetto o desiderio; e però riluceva in loro la margarita della giustizia - con vera umilità e ardentissima carità -: a ciascuno rendevano il debito suo, al piccolo come al grande e al povero come al ricco. Non facevano come quelli che oggi regnano, ne' quali tanto abonda l'amore proprio di loro medesimi che di questo tiranno del mondo si vogliono fare dio. E da questo nascono le ingiustizie, omicidii e grandissime crudeltà, e ogni altro difetto.

Questi si mettono dentro nella città de l'anima il secondo nemico, del dimonio, e il terzo, cioè la fragile carne sua: in tanto che si fa servo e schiavo del dimonio e della carne, seguitando volontariamente le malizie e inganni suoi, e le varie e diverse cogitazioni; seguita gli appetiti suoi carnali, invollendo la mente e 'l corpo suo nel loto della immondizia. Se egli è uomo che abbi donna contamina lo stato del matrimonio con molta miseria: in quello sacramento none sta con debita reverenzia, né per quello fine che gli è ordinato da Dio, ma come smemorato, cieco de l'anima e del corpo, si conducerà anco a quello maladetto peccato contra natura, el quale pute a le dimonia, non che a Dio - la infinita sua carità e misericordia ve ne campi, di questo e degli altri defetti -. E non pensano i miserabili che già la scure è posta a la radice de l'arbore (Mt 3,10), e non resta se non di tagliare, pure che piaccia al sommo giudice; però che doviamo morire, e non sappiamo quando.

Ma quegli che teme Dio, non fa così, però che col lume della fede santa à veduto quanto e' gli è nocivo acordarsi con la volontà loro; e con esso medesimo lume vede che ogni bene è remunerato e ogni colpa punita e seguitandoli volontariamente offende, e doppo l'offesa seguita la punizione. E però si leva col coltello de l'odio e dispiacere, e tagliane ogni disordinata volontà, facendo il contrario che questi nemici vogliono. El mondo vorrebbe essere amato, ed egli lo spregia. El dimonio vorrebbe che la volontà sua consentisse a lui, e concepesse odio e dispiacimento verso il prossimo suo, e impissesi el cuore di laidi pensieri; ed egli vuole fare la volontà di Dio, stare nella dilezione del prossimo, perdonare a chi gli fa ingiuria, e impire la mente e memoria sua de' beneficii che à ricevuti dalla bontà di Dio. La fragile carne si vuole dilettare e satisfare agli appetiti suoi - la quale è una legge perversa nelle membra nostre che sempre impugna contra lo spirito -, ed egli fa tutto il contrario, ché la sottopone al giogo della ragione, affligendo e macerando il corpo suo. Saglie sopra la sedia della conscienzia, e tiensi ragione; unde, se è vergine, dà sentenzia di volersi conservare infino alla morte nello stato della virginità, el quale egli à eletto; el continente, la continenzia; e quello che è nello stato di matrimonio conserva lo stato suo senza colpa di peccato mortale, cioè che in neuno modo voglia machiare quello sacramento.

Con questo dolce odore di purità lavarà la immondizia della mente e del corpo suo con l'acqua della grazia, che con la buona e ordinata vita spegnerà lo incendio del disordinato fuoco. Farà compita guerra co' nemici suoi, e con vittoria fornirà la città dell'anima, tenendo chiusa la porta della volontà per non essere assalito da' nemici: e così chiusa col tesoro delle virtù, entra per la porta della dolce volontà di Dio, seguitando la dottrina di Cristo crocifisso, il quale dié la vita per la nostra salute con tanto fuoco d'amore.

Alora dispone la memoria a ritenere il beneficio del sangue de l'umile Agnello; l'intelletto a cognoscere e intendere la sua volontà - che non vuole altro che la sua santificazione, e ciò che dà o permette a noi sue creature dà per questa cagione -; e dispone la volontà ad amarlo con tutto il cuore e con tutto l'affetto suo.

Questi si può chiamare cavaliere virile, ché virilmente à conservata e guardata la città de l'anima sua da' nemici e malvagi tiranni che la volevano signoregiare; questi è atto a fare ogni gran cosa per Dio, cioè per gloria e loda del nome suo; e per la santa Chiesa può sicuramente pigliare la battaglia di fuore, poiché sì dolcemente à combattuto e vinto dentro. Ma se ben non combattessimo dentro, male combatteremmo di fuore, e però dissi che prima vi conveniva combattere dentro co' tre vostri nemici principali.

Ora dico a voi, carissimo e dolcissimo fratello in Cristo dolce Gesù, che vi studiate di vincerli, purificando la conscienzia vostra con la santa confessione, e vivere con ordine e desiderio delle virtù; dilettandovi d'udire e d'osservare la parola dolce di Dio; stando con la continua memoria della morte e del sangue pagato per noi; cercando la conversazione di quelli che temono Dio in verità, che sieno savi, discreti e con maturo consiglio; e in tutte le vostre operazioni ponere Dio dinanzi agli occhi vostri, acciò che giustamente rendiate a ciascuno il debito suo: a Dio la gloria, al prossimo la benivolenzia, e in voi dispiacimento del vizio e amore della virtù. Ordenate la famiglia vostra, quanto v'è possibile, che vivano con ordine e col timore santo di Dio, acciò che in verità potiate compire la volontà di Dio in voi.

Dio v'à eletto per colonna nella santa Chiesa, acciò che siate strumento ad estirpare la 'resia, confondere la bugia ed essaltare la verità, dissolvere la tenebre e manifestare la luce di papa Urbano VI, el quale è vero sommo pontefice, eletto e dato a noi da la clemenzia dello Spirito santo, a malgrado degli iniqui e malvagi uomini amatori di loro medesimi che dicono il contrario, e, come ciechi, non si vergognano di dire e fare contra loro medesimi, facendosi menzonieri e idolatri. Ché quella verità la quale essi annunziarono a noi, ora la diniegano; e quella reverenzia la quale essi gli fecero, a noi la vogliono tòllere. Mostrano i matti che 'l timore gli facesse idolatri, adorando e facendo reverenzia a papa Urbano, el quale è vero vicario di Cristo. Se egli non era, come ora essi dicono, come sostenere di cadere in tanta miseria e vergogna de l'anima e del corpo? Sì che vediamo che si fanno bugiardi e idolatri.

E non è grande tenebre questa, a vedere in tanta eresia contaminata la fede nostra? E non è grande miseria di vedere contaminare e fare contra la verità? Vedere l'Agnello essere perseguitato da' lupi, e vedere mettere l'anime nelle mani delle dimonia, e smembrare la dolce Sposa di Cristo? Quale cuore è sì duro che non amolli? Quale occhio è quello che non spanda fiume di lagrime? Quale signore si può tenere che non dia tutta la forza sua per sovenire a la fede nostra? Solo gli amatori di loro medesimi sonno quelli che non si sentono; indurati sono e' cuori loro per lo proprio amore, come quello di Faraone.

Non pare che la divina bontà voglia che 'l cuore vostro sia di sì-fatta durizia, e però vi chiama a sovenire a la Sposa sua: ammollisi dunque il cuore vostro, e siate virile, con sollicitudine e non con negligenzia.

Venite festinamente, e non tardate più; ché Dio sarà per voi. Non è da aspettare tempo, però che porta pericolo; adunque venite e nascondetevi nell'arca della santa Chiesa sotto l'ale del vostro padre, papa Urbano VI, el quale tiene le chiave del sangue di Cristo.

So che se sarete virile vi studiarete di compire la volontà di Dio, non curando di voi medesimo, altrimenti no: e però dissi ch'io desideravo di vedervi cavaliere virile; e così vi prego, per l'amore di Cristo crocifisso, che siate. Ché grande vergogna è a' signori del mondo, e spiacevole a Dio, di vedere tanta fredezza ne' cuori loro che per ancora altro che parole non ànno sovenuto a questa dolce Sposa. Male darebbero la vita per questa verità, quando della substanzia temporale e adiutorio loro umano le fanno caro: credo che grande reprensione n'avaranno. Non voglio che facciate così voi; ma con grande allegrezza diamo la vita, se bisogna.

Perdonatemi che troppo v'ò gravato di parole; l'amaritudine delle colpe e l'amore della santa Chiesa me ne scusi dinanzi a Dio e a voi. Altro non dico.

Permanete etc. Gesù etc.




Caterina, Lettere 367