Caterina, Lettere 341

341

A missere Angelo, nuovamente eletto vescovo Castellano.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi alluminato d'uno vero e perfettissimo lume, a ciò che nel lume di Dio vediate lume, però che vedendo conosciarete la sua verità; cognoscendola, l'amarete: e così sarete sposo della verità.

Senza questo lume andaremo in tenebre: non saremo fedeli ma infedeli sposi della verità, perché questo lume è quello mezzo che fa l'anima fedele; dilongala dalla bugia della propria sensualità, e falla corrire per la via di Cristo crocifisso, el quale è essa verità; fa el cuore maturo, stabile e non volubile - cioè a dire che per fadiga non si muove con impazienzia, né per consolazione con disordinata allegrezza -: in ogni cosa è ordinato e pesato ne' costumi suoi, tutto el suo operare è fatto con prudenzia e con lume di grande discrezione. E sì come prudentemente adopera, così prudentemente parla, e prudentemente tace, dilettandosi più d'udire le cose necessarie, che parlare senza bisogno. Questo perché è? perché con lume à veduto nel lume che il dolce Dio eterno si diletta di poche parole e di molte operazioni.

Senza el lume non l'averebbe cognosciuto: e però averebbe fatto tutto el contrario, parlando molto e facendo poco. El cuore suo andarebbe a vela, ché nella allegrezza sarebbe leggiero con vanità di cuore, e nella amaritudine si trovarebbe con disordinata tristizia. In ogni male è atto a cadere quelli el quale è privato del lume; e così colui che nel lume della verità eterna à veduto lume è disposto e atto a venire a grande perfezione, e vienvi se con sollecitudine e odio santo di sé, e amore della virtù, essercita la vita sua, ma in altro modo no. Anco, sarebbe tutta imperfetta e corrotta la vita sua; corrotta la vita, sarebbero corrotte tutte le sue operazioni: della ragione averebbe fatta serva, e della sensualità donna; ciò che Dio gli desse, pigliarebbe in morte.

In qualunque stato si fusse, non rendarebbe a Dio il debito suo, né al prossimo, né a sé: cioè di rendare a Dio l'onore d'amarlo schiettamente senza rispetto di sé, ma solo perché egli è degno d'essere amato, perché egli è somma ed eterna bontà. A sé non rendarebbe odio (il quale si debba rendare odiando la propria sensualità, con aggravare le colpe sue passate e presenti con vero dispiacimento - dolendosi più dell'offesa di Dio che della pena propria che gli seguita doppo la colpa -), e al prossimo la benivolenzia d'amarlo strettamente come sé medesimo, servirlo e aitarlo in ciò che egli può, per trarlo fuore delle mani delle demonia. Costui non si pascerebbe alla mensa dell'affocato desiderio de l'onore di Dio e del cibo de l'anime; a la quale mensa Dio ci richiede che continovamente stiamo a prendere questo cibo: massimamente e' pastori della santa Chiesa, a' quali Dio à commessa la cura de l'anime, dieno cercare.

Questi debbono essere pastori veri, seguitando el buono e santo pastore, el quale dispose e dié la vita per le pecorelle sue (Jn 10,11), e colla pena della croce compì l'obbedienzia del Padre e la salute nostra. Mai non rifiutò labore né fatiga, né allentò mai el desiderio d'essa nostra salute né per lo demonio, né per detto delli Giuderi, che gridavano: «Descende della croce» (), né per nostra ingratitudine. Noi doviamo seguitare le vestigie sue: a questo v'invito, carissimo padre.

Nuovamente Dio v'à messo in questo giardino della santa Chiesa, e postovi el peso delle anime, a ciò che facciate sì come facevano i dolci e santi pastori, quando anticamente la Chiesa di Dio abondava d'uomini virtuosi, e' quali con lume dell'intelletto si spechiavano in questa verità dinanzi, alora che si ponevano non delizie né richezze, con adornamento di casa, con molti donzegli, né con grossi cavagli, come fanno oggi, che tanto sono summersi in questo e negli altri defetti che dell'anime non si curano. Dico che non facevano così essi, ma il loro obiecto era Cristo crocifisso; e cognoscendo col lume la fame di questo dolce Verbo - la quale egli ebbe verso la nostra salute - se ne innamoravano per sì-fatto modo, che il sostenere e dare la vita era a loro grande allegrezza; i loro famegli erano i poveri, la loro richezza era l'onore di Dio, la salute delle pecorelle, e la essaltazione della santa Chiesa. Non si ristavano mai d'offerire dinanzi a Dio dolci e amorosi e penosi desiderii, dando loro la dottrina, con essemplo di buona e santa vita; crescendo nello stato, non enfiavano per superbia, ma più perfettamente s'aumiliavano, però che el lume lo' faceva chinare el capo, cognoscendo la gravezza e il peso che ricevuto avevano in avere cura dell'anime.

Ora è il tempo: in quanto è maggiore necessità che fusse già grandissimi tempi o mai nella Chiesa di Dio; in quanto il mondo più abonda de' vizii, tutto è avelenato, in tanto che non si truova dove altri possa posare el capo altro che in Cristo crocifisso. Non voglio che allentiate el santo desiderio che avete e che dovete avere, di fare il debito nell'offizio vostro, né per inganno di demonio, che vi volesse fare vedere che il meglio fosse conformarvi con li costumi degli altri, o che tempo non fusse di correggiare li vizii delli sudditi vostri, e massimamente le immondizie e ribaldarie le quali truovansi ne' cherici (propriamente sareste uno demonio, perché vi scordareste dalla volontà di Dio, e conformarestevi con la sua); né per detto di creatura che volesse dire: «Discende di questa croce, non volere portare affanno, però che te ne seguitarà pena e forse la morte. Se tu sostieni, e' sudditi ti credaranno, e possiderai in pace el benefizio tuo». Col timore santo risponda al timore servile, e alle creature che con queste parole spaventano la sensualità: «Or non so' io mortale? or non posso io rivocare questa morte? Sì bene: nel dì de la resurrezione. Ma la morte etternale, la quale per questo mi seguirebbe, non posso io mai reparare: agiungervi sì, cruciando il corpo il dì della resurrezione. Adunque meglio m'è di ponere la vita, e seguitare Cristo crocifisso»; e con fede viva credere in verità che per lui potrete ogni cosa. Né voglio che voi lasciate, per ingratitudine loro, mai di subvenirli e procacciare la vita loro, iuxta il vostro potere.

Siatemi vero e perfetto ortolano in divellere li vizii e piantare le virtù in questo giardino: per questo v'à Dio ora, di nuovo, posto e chiamato. Siate adunque tutto virile a rendare il debito vostro. Son certa che se arete vero lume, el farete compitamente; altrementi, no. E però vi dissi che io desiderava di vedervi alluminato d'uno vero e perfettissimo lume.

Pregovi per amore di Cristo crocifisso e di quella dolce madre Maria, che vi studiate di compire di voi la volontà di Dio e il desiderio mio, e allora reputarò beata l'anima mia. Non è più tempo da dormire, ma da destarsi dal sonno della negligenzia, e levarsi dalla cechità della ignoranzia; e realmente sposare la verità coll'anello della santissima fede, non tacendola per veruno timore, ma largo e liberale, disposto a dare la vita, se bisogna; tutto ebbro del sangue de l'umile e immaculato Agnello, traendolo delle mamille de la dolce Sposa sua, cioè della santa Chiesa, la quale vediamo tutta smembrata. Ma spero nella somma ed eterna bontà di Dio che le rendarà e' membri sani e non infermi, odoriferi e non putridi; e fabricarannosi questi membri sopra le spalle de' veri servi di Dio amatori della verità, con molti labori e sudori e lagrime, e umile e continova e fedele orazione. Altro non vi dico. Confortatevi in croce con Cristo dolce Gesù.

Umilemente mi vi racomando.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

Siate uno padrone in cotesta città ad annunziare virilmente la verità di papa Urbano VI, sommo e vero pontifice; e in tutto vi studiate di mantenergli nella fede, obedienzia e reverenzia della santa Chiesa e della sua Santità.



342

A don Roberto da Napoli, prete secolare.

Al nome di Gesù Cristo e di Maria dolce.

A voi, riverendo e caro padre, per reverenzia di quello dolcissimo sagramento, io Caterina serva e schiava de' servi di Dio, scrivo a voi e racomandomivi nel prezioso sangue del Figliuolo di Dio, con desiderio di vedervi unito e transformato nel fuoco de la divina carità, el quale fuoco unì Dio con l'uomo, e tennelo confitto e chiavellato in croce.

O inestimabile e dolcissima carità, quanto è dolce l'unione che tu ài fatta con l'uomo! Bene ài dimostrato lo ineffabile amore per molte grazie e benefizii fatti a le creature, spezialmente per lo benefizio de la incarnazione del Figliuolo, cioè di vedere la somma altezza venire a tanta bassezza quanto è la nostra umanità. Bene si die vergognare l'umana superbia di vedere Dio tanto umiliato nel ventre de la gloriosa vergine Maria, la quale fu quello campo dolce dove fu seminato el seme de la parola incarnata del Figliuolo di Dio.

Veramente, carissimo padre, questo benedetto e dolce campo di Maria!: fece in lei questo Verbo inestato ne la carne sua, come el seme che si gitta ne la terra, che per lo caldo del sole germina e trae fuore el fiore e 'l frutto, e 'l guscio rimane a la terra. Così veramente per lo caldo e fuoco de la divina carità che Dio ebbe all'umana generazione, gittando el seme de la parola sua nel campo di Maria, o beata e dolce Maria, ài donato el fiore del dolce Gesù. E quando produsse el frutto questo benedetto fiore? Quando fu inestato in sul legno de la santissima croce: allora ricevemmo vita perfetta. E perché dicemmo: «el guscio rimane a la terra», quale fu questo guscio? Fu la volontà dell'unigenito Figliuolo di Dio, el quale, in quanto uomo, era vestito del desiderio suo dell'onore del Padre e de la salute nostra. E tanto fu forte questo smisurato desiderio, che corse come innamorato, sostenendo pene e vergogne e vitoperio infino all'obbrobiosa morte de la croce. Considerando, venerabile padre, che questo medesimo fu in Maria, ed ella non poteva desiderare altro che l'onore di Dio e la salute de la creatura, però dicono e' dottori, manifestando la smisurata carità di Maria, che di sé medesima avrebbe fatto scala per ponare in croce el figliuolo suo, se altro modo non avesse avuto. E tutto questo era perché la volontà del figliuolo era rimasa in lei.

Tenete a mente, padre, e non v'esca mai del cuore né de la memoria né dell'anima vostra, che sete stato offerto e donato a Maria. Pregatela ch'ella v'appresenti e doni al dolce Gesù figliuolo suo, ed ella come dolce madre e benigna, madre di misericordia, vi rapresentarà. E non siate ingrato né scognoscente, però ch'ella none schifa le petizioni, anco l'acetta graziosamente. Siate fedele, non raguardando per neuna illusione di dimonia né per detto di neuna creatura, ma virilmente corrite, pigliando quello affetto dolce di Maria, cioè che sempre cerchiate l'onore di Dio e la salute dell'anime. E così vi prego, quanto fosse possibile a voi, di studiare la cella dell'anima e del corpo: ine vi studiate, per amore e per santo desiderio, di mangiare e parturire anime nel conspetto di Dio; e quando fuste richiesto nell'atto de le confessioni non ci commettete negligenzia neuna, ma con perfetta sollecitudine vi studiate di trargli de le mani de le dimonia. Questo sarà el segno vero che siamo veri figliuoli, però che a questo modo seguitiamo le vestigie del padre.

Ma sappiate che a questo affetto del grande e smisurato desiderio non potremo pervenire senza el mezzo de la santissima croce, cioè del crociato e affettuoso amore del Figliuolo di Dio, però ch'egli è quello mare pacifico che dà bere a tutti quelli che ànno sete e desiderio di Dio, e dà pace a tutti coloro che so' stati in guerra e voglionsi pacificare con lui. Questo mare gitta fuoco che riscalda ogni cuore freddo, e tanto el riscalda fortemente, che ogni amore servile perde; solo rimane in perfetta carità e in santo timore di none offendare el Creatore suo. E non temete, e non voglio che voi temiate, la 'nsidia e le battaglie de le dimonia che venissero per robbare e tòllare la città dell'anima vostra. Non temete, ma, come cavaliere posto nel campo de la battaglia con l'arme e col coltello de la divina carità - che è quello bastone che flagella el dimonio -, sappiate che a non volere perdare l'arme con la quale ci conviene difendare, ce la conviene tenere niscosta ne la casa dell'anima nostra per vero cognoscimento di noi medesimi, ché quando l'anima cognosce sé medesima none essare - ma sempre operatore di quella cosa che non è, cioè del vizio e del peccato - subbito diventa umiliata a Dio e a ogni creatura per Dio, e cognosce ogni grazia e ogni benefizio da lui; vede in sé traboccare tanta bontà di Dio che, per amore di lui e odio di sé, cresce in tanta giustizia di sé medesimo che volentieri, non tanto che ne vogli fare vendetta, ma egli sempre desidera che tutte le creature, eziandio gli animali, ne faccino vendetta di lui.

Ogni creatura giudica migliore di sé: nascene uno odore di pazienzia, che non è neuno peso sì grande né tanto amaro che con buona pazienzia, per amore e giustizia, elli non porti. E non vede sé, colui che è anegato in questo amore; non vede pene né ingiurie che gli sieno fatte - solo vede e raguarda all'onore di Dio e a la salute de le creature -: eziandio non tanto le cose amare, ma le cari e dolci e le consolazioni di Dio, per odio di sé, reputandosi indegno di tanta visitazione e consolazione quanta riceve da Dio. Per umilità grida spesse volte nel conspetto suo la parola di santo Pietro: «Parteti da me ch'io so' peccatore! » (Lc 5,8), allora Cristo più perfettamente si congiogne con l'anima, allora è diventato gustatore e mangiatore dell'anime. Or così vi prego da parte di Cristo crocifisso che facciate voi.

Permanete nel santo e vero cognoscimento di voi medesimo.



343

A Renaldo da Capova.

Al nome di Gesù Cristo crucifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere in voi uno vero e perfettissimo lume, cioè el lume de la santissima fede, però che senza el lume andaremmo in tenebre, e da la tenebre saremmo offesi. Convienci dunque avere il lume: or vediamo quale è quella cosa che ce 'l tolle; e che fa l'anima che à in sé questo lume; e che frutto ne riceve. Se noi ci volliamo a vedere perché si perde l'occhio corporale, vediamo che si perde con coltello che percuote l'occhio, o con pietra o con terra, o per disordenato caldo - sì come sono quelli che sono abaccinati, che col caldo e lustro del baccino perdono il vedere, seccandosi la pupilla dell'occhio -; e in molti altri e diversi modi si perde la luce. Or vediamo quale è questo caldo e questo lustro che acieca l'occhio dell'intelletto, e disecca la pupilla de la santissima fede: è l'amore proprio, col lustro del piacere e parere umano. Quale è il coltello? è l'odio de la virtù. Le pietre sono li vizii, con le quali pietre percuote l'occhio, facendolo infedele a Dio e fedele al mondo, pigliando la terra con la mano del libero arbitrio - cioè con l'affetto terreno posto in cose transitorie, le quali in tutto offuscano l'occhio dell'intelletto -: subito che esso intelletto s'à posto dinanzi a sé la terra, apparisce la notte, e così è continuamente offeso da la tenebre. E bene che molte siano le cagioni che ci privano del lume, ma queste sono le principali.

Che modo ci à a fuggire la tenebre, e acquistare el lume? Con quello medesimo modo che l'uomo l'à perduto, con quello el può riavere; non con quello medesimo affetto, ma con quello medesimo atto e con quella medesima mano del libero arbitrio, el quale arbitrio non ci può legare né demonio né creatura, se esso medesimo con la propria volontà none el lega.

Quale è quello baccino caldo, el quale ci doviamo ponere dinanzi all'occhio dell'intelletto nostro? è Cristo crucifisso, el quale nel baccino de la nostra umanità tenne il grande calore, manifestando a noi el fuoco e l'abisso de la inestimabile carità di Dio, col lustro de la deità etterna, natura divina intrisa e impastata col fuoco e con la natura nostra. Questo obiecto di questo dolce Verbo Cristo crucifisso gitta tanto calore e lume che disecca l'umido dell'amore proprio, e col lume suo dissolve la tenebre, ricevendo uno lume spirituale infuso nell'intelletto. Subbito che el lume è dentro nell'anima, comincia a tòllere da sé quella cosa che le tolle el lume, e ponere in sé quella che le dà lume. E però piglia el coltello de l'odio del vizio, e con le pietre dell'amore de le virtù percuote l'occhio suo: cioè che l'occhio si pone sopra le virtù a raguardare la eccellenzia loro, e quanto elle sono piacevoli a Dio, e utili a sé. Subbito che l'à vedute, viene uno vento sottile d'una fame de l'onore di Dio e salute dell'anime, con uno desiderio di seguitare la dottrina de la verità.

Questo desiderio è vento sottile che trae la terra dell'occhio, purificandolo continuamente con la umile continua e fedele orazione, ne la quale orazione tira a sé la clemenzia de lo Spirito santo, el quale dirizza l'affetto in uno amore ordinato. El quale affetto trae a sé el cielo e la terra, cioè che col lume vede che il cielo dell'anima e la terra - cioè il vasello del corpo del prossimo suo - si debba ponere ne la pupilla de la fede; e nell'affetto suo essere fedele, per onore di Dio, in cercare la salute dell'anime, e subvenire al corpo ne la sua necessità, quanto gli è possibile. Or per questa via, mutando el libero arbitrio l'affetto, riàe la luce sua. Molti sono gli altri modi, ma questi sono gli principali.

Vediamo ora che fa questo lume de la fede nell'anima. Fa questo, che parturisce uno figliuolo d'amore; e poi che è parturito ne la dottrina di Cristo crucifisso, elli el nutrica ne la dilezione de la carità del prossimo, però che senza essa questo figliuolo verrebbe meno, perciò che l'amore del Creatore non si può conservare senza l'amore de la creatura per Dio. Ma perché dissi che parturiva uno figliuolo d'amore? Perché tanto s'ama la cosa quanto si cognosce, e tanto si cognosce quanto si vede, e tanto è perfetto il vedere quanto è perfetto il lume, e l'uno nutrica l'altro, sì come fa la madre che parturisce il figliuolo, e notricalo al petto suo; poi, cresciuto, el figliuolo nutrica la madre de la fadiga sua, e così l'uno subviene all'altro.

Così el figliuolo de la divina carità nutrica el lume, dando nell'anima e' dolci e penosi desiderii nel conspetto dolce di Dio, seguitando le vestigie di Cristo crucifisso - e non reputa di sapere altro che Cristo crucifisso -, unto di vera umilità, gloriandosi negli obbrobrii e ne le pene di Cristo crucifisso, dilettandosi di portare pene di corpo e di mente per qualunque modo Dio glili concede: in tutto è paziente. Chi l'à fatto? La fede, però che con lume cognobbe nel sangue di Cristo che Dio non voleva altro che la nostra santificazione; e ciò che dà, tribolazioni consolazioni e tentazioni, dà solo per questo fine: a ciò che noi siamo santificati in lui. E però il fedele è paziente, perciò che non si debba né può dolere del suo bene.

El fedele umile non vuole investigare gli occulti misterii di Dio in sé né in altrui, né le cose visibili né ne le invisibili; ma solo cerca di cognoscere sé, e in ogni cosa cognoscere e vedere l'etterna voluntà di Dio, gustandovi dentro el fuoco de la sua carità. Elli non si vuole levare in alto come il superbo e presuntuoso, che, prima che elli abbi cognosciuto sé e sia entrato nella valle de l'umilità, si vuole ponere a investigare e' fatti di Dio, pensando e dicendo: «Perché à fatto Dio così? Perché à dato questo a me, e non a colui?».

Questo presuntuoso vuole ponere legge a Dio, colà dove elli debba cognoscere e considerare ne le diverse cose la grandezza sua, sì come fa l'umile fedele, che ogni cosa vede e considera ne la grandezza e potenzia sua.

Molti sono che, senza umilità e senza studio in cognoscere i defetti loro, assottiglieranno lo intelletto, e con l'occhio tenebroso vorranno vedere la profondità de la santa scrittura, e vorrannola 'sponere e intendere a loro modo: studieranno l'Apocalipse non con umilità né col lume de la fede - ma con infedelità s'avviluppano in quello di che non sanno riuscire; e così trae de la vita la morte, e del lume tenebre. La mente che debba essere piena di Dio, ed ella è piena di fantasie; e 'l frutto che ne li seguita è la confusione e la tenebre de la mente. Questo gli adiviene perché inanzi che elli scendesse volse salire. Oh isvergognata la vita nostra, che non cognosciamo ancora noi medesimi! Né io osservo la legge che m'è posta, e voglio ponere la legge e cognoscere le secrete cose di Dio! Nella profundità del pozzo de la vera umilità potremo cognoscere e raguardare queste stelle de' misterii suoi. Così fa il fedele, che elli si getta in terra cercando la bassezza, e allora Dio el fa bene alto; e non va cercando ragioni come possa essere, però che la fede santa el fa chiaro e certo di quello che il demonio o la propria passione gli mettesse in dubbio. Elli si specchia con lo specchio dell'orazione continua, cioè che continuamente si specchia ne la verità, e da la verità trae el santo e vero desiderio, col quale desiderio gitta incenso dell'orazione umile. Questa fede fa il cuore schietto, che schiettamente confessa i defetti suoi, e non gli occulta per vergogna né per timore di pena; ma con odio de la colpa, con la santa confessione getta fuore el fracidume suo, né per rimproverio che ne li fusse fatto non lassa però. Questo fa la fede; or vediamo che frutto ci dà.

El frutto suo è in questa vita la plenitudine de la grazia, e, nell'altra, vita etterna. Cui à posto Dio che ce la ministri? La speranza. In cui virtù? In virtù del sangue de l'umile Agnello. Questa è quella speranza umile che non spera in sue virtù proprie, né si dispera per veruna colpa che fusse caduta nell'anima sua, ma spera nel sangue, e caccia la disperazione, giudicando maggiore la misericordia di Dio - la quale truova nel sangue - che la miseria sua.

O speranza dolce, sorella de la fede, tu se' quella che con le chiavi del sangue diserri vita etterna; tu guardi la città dell'anima dal nemico de la confusione; tu non allenti e' passi tuoi - perché il demonio con la gravezza de le colpe commesse volesse confondere l'anima in disperazione -: non allenti, ma tutta virile perseveri ne la virtù, e ne la bilancia poni el prezzo del sangue; tu poni la corona de la vittoria in capo a la perseveranzia: perché tu sperasti d'averla in virtù del sangue, però l'ài. Tu se' quella che leghi el demonio de la confusione, suggellandola col suggello de la fede; tu rispondi a uno sottile inganno che elli usa con l'anima per tenerla in continua tenebre e afflizione. Questo è che alcuna volta l'anima averà confessato el difetto suo schiettamente, che per malizia non à riservato cavelle; e il demonio allora - per impacciarli la mente, e perché l'anima con ardore di cuore non riceva el frutto de la confessione - gli vorrà fare vedere che elli non sia bene confessato de' difetti suoi, dicendo: «Tu non gli ài detti tutti; e quelli che ài detti, non gli ài aperti per quello modo che tu debbi», con molte altre passioni e cogitazioni che il demonio manda nell'anima. Se allora l'anima non si leva con prudenzia e con speranza, ella permane in una tiepidezza, in tremore e affanno di mente, e in una tenebre, legandosi i piedi del santo desiderio, allacciandosi nel laccio de la confusione, come detto è; ella è privata dell'allegrezza, ed è fatta incomportabile a sé medesima.

Che modo ci à a riparare che non venga a disperazione? Non c'è altro remedio se non che col lume de la fede raguardi la conscienzia sua, la quale gli mostra che voluntariamente né con malizia non à lassato veleno di colpa nell'anima che non l'abbi sputato con la confessione. Con umilità confessi d'averli bene detti imperfettamente, non agravando la colpa quanto la poteva agravare: questa confessione vuole essere condita con la speranza, sperando nel sangue di Cristo che quello che manca da la parte sua, elli sarà quelli che el compirà.

L'altro remedio è che con lume raguardiate quanto sete ineffabilmente amato da Dio, el quale amore non dispregia el testimonio de la buona conscienzia, né sosterrebbe che nell'anima rimanesse cosa che fusse in offesa sua. Con questa fede amore e speranza s'annieghi ne la misericordia di Dio, discredendo a sé medesima; e con semplicità di cuore dire i difetti suoi, e non gravarsi più; lassare stare el pensiero di sé e pensare ne la misericordia di Dio, la quale à ricevuta e riceve continuamente. E se pur la battaglia e molestia ritorna, gittisela doppo le spalle quanto ad afflizione, e dinanzi se la ponga per umiliazione e cognoscimento di sé, col frutto de la vera e perfetta speranza: sperando, ché il sostenere, e passare per la via de la croce, è più piacevole a Dio, e più abbondantemente ricevarà el frutto del sangue. Questo è el remedio, carissimo fratello, che vi dà l'etterna verità contra la infermità vostra.

Ora aviamo veduto quale è quella cosa che tolle el lume, e quale è quella cosa che il rende; e veduto quello che fa la fede - come ella abbatte la superbia e tolle la presunzione -, e il frutto che dà la fede, cioè la speranza. Poi che veduto l'aviamo meno che una minima sprizzarella, prego e stringo voi e me in Cristo dolce Gesù che noi passiamo con questo glorioso lume questo mare tempestoso, con ferma speranza e con vero cognoscimento di noi; gittando a terra ogni nostro volere e parere e piacere, per vera umilità; cercando di vestirci de la dottrina di Cristo crucifisso con vere e reali virtù. So' certa che avendo questo dolce lume voi el farete, altrimenti no.

E però vi dissi che io desideravo di vedere in voi el lume della santissima fede, e così vi prego che vi studiate d'averlo in voi. Pensate che Dio è più atto a perdonare che voi non sete stato a peccare. Sperate, e siate fedele al sangue e a la santa Chiesa, e a la verità del sommo pontefice. Altro non vi dico.

Permanete ne la santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



344

A frate Ramondo da Capova, singolare padre dell'anima sua, de l'ordine de' Predicatori, in Genova.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Caterina, schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedere in voi il lume della santissima fede, il quale lume ci mostra la via della verità; e senza questo lume niuno nostro essercizio, desiderio, né operazione verrebbe a frutto, né a quel fine per lo quale cominciassimo ad aoperare, ma ogni cosa verrebbe imperfetta.

Lenti saremmo nella carità di Dio e del prossimo: la ragione è questa, che pare che tanto sia l'amore quanto la fede, e tanta la fede quanto l'amore. Chi ama sempre è fedele a colui cui egli ama, e fedelmente il serve infino alla morte. A questo m'avveggo io che in verità non amo Dio né le creature per lui, ché se in verità io l'amasse io sarei fedele per sì-fatto modo che mi metterei alla morte mille volte il dì, per gloria e loda del nome suo, se tanto bisognasse; e non mi mancarebbe fede, perché per amore di Dio e della virtù e della santa Chiesa mi metterei a sostenere. Unde io crederei che Dio fosse el mio adiutorio e il mio difenditore, sì come egli era di quelli gloriosi martiri che con allegrezza andavano al luogo del martirio.

Se io fossi fedele non temerei, ma terrei di fermo che quello Dio è per me che per loro; e non è infermata la potenzia né la sapienzia e bontà sua a potere, sapere e volere provedere alla mia necessità. Ma perché io non amo, però non mi confido in lui, ma in me; el timore sensitivo e servile mi dimostra che tiepido sia l'amore, e offuscato il lume della fede con la infedelità nel mio Creatore, e col fidarmi di me. Confesso, e non lo nego, che questa radice anco non è dibarbicata dell'anima mia; e però sono impedite l'operazioni che Dio mi facesse fare e mettesse nelle mani, che non giungono a quel fine lucido e fruttuoso per che Dio le fa cominciare.

Oimé, oimé, Signore mio, guai a me! Troverommi io d'ogni tempo in ogni luogo e in ogni stato così? Chiuderò io con la mia infidelità la via alla providenzia tua? Sì bene, se già tu per la tua infinita misericordia non mi disfai e rifai di nuovo. Adunque disfammi e rompi la durizia del cuore mio, acciò che io non sia strumento che guasti le tue operazioni.

E voi prego, carissimo padre, che ne preghiate Dio strettamente, acciò che io insieme con voi ci anneghiamo nel sangue de l'umile Agnello, il quale sangue ci farà forti e fedeli: sentiremo il fuoco della divina carità, saremo facitori con la grazia sua e non disfacitori né guastatori. Così dimostraremo d'essere fedeli a Dio - e di confidarci ne l'adiutorio suo, e non nel nostro né in quello degli uomini -; con questa medesima fede ameremo la creatura, perché come la carità del prossimo procede dalla carità di Dio, così la fede in comune e in particulare, cioè de l'amore che generalmente dobiamo avere ad ogni creatura - questa è una fede generale -, così è una fede particulare di quelli che s'amano di più stretto amore: come questo? Che, oltre all'amore comune, Dio à posto tra noi uno amore stretto particulare, il quale amore dimostra la fede; e tanta ne dimostra, che non può l'uno credere né imaginare che l'altro voglia altro che 'l suo bene; e con sollicitudine il cerca con grandissima instanzia nel conspetto di Dio e delle creature, cercando sempre in lui la gloria e loda di Dio e utilità sua, strignendo l'adiutorio divino che come egli agiugne i pesi, così agiunga fortezza e lunga perseveranzia. Questa fede porta colui che ama, e per veruna cosa la diminuisce mai, né per detto di creatura, né per illusione del dimonio, né per mutazione di luogo; e chi fa altrimenti, segno è che ama Dio e 'l prossimo suo imperfettamente.

Parmi, secondo che io intesi per la lettera vostra, che molte e diverse battaglie e cogitazioni vi sieno venute, per inganno del dimonio e per la propria passione sensitiva, parendovi che vi fosse posto maggiore peso che non poteste portare; e non vi pareva essere da tanto che io vi dovesse misurare con la misura mia, unde stavate in dubitazione che in me non fosse diminuito l'affetto e la carità inverso voi. Ma voi non ve ne avedavate: e voi eravate quello che manifestavate che io l'aveva cresciuto, e voi scemato, però che di quello amore che io amo me, di quello amo voi, credendo con fede viva che quello che manca dalla vostra parte, compirà Dio per la bontà sua. Ma non m'è venuto fatto, però che voi avete saputo gittare a terra la soma; benché e' ci sieno dimolte pezze per ricoprire la infedele fragilità, ma non sì-fatte che io non vegga de' punti assai, e buono mi parrà se non saranno veduti altro che per me. Sì che io vi mostro l'amore cresciuto in me verso voi, e non iscemato.

Ma che dicerò io, che la vostra ignoranzia fosse tanta che voi desse luogo a uno de' minimi di quelli pensieri? E potreste voi mai credere che io volesse altro che la vita dell'anima vostra? E dove è la fede che sempre solete e dovete avere? E la certezza che n'avete avuta, ché, prima che la cosa si faccia, ella si vede e determina nel conspetto di Dio: non tanto questo che è così grande fatto, ma ogni minima cosa. Se foste stato fedele non sareste andato tanto vacillando, né caduto in timore verso Dio né verso me misera; ma, come figliuolo fedele pronto all'obedienzia, sareste andato, e fatto quello che si fosse potuto fare; e se non foste potuto andare ritto foste andato carpone; se non potavate andare come frate foste andato come peregrino; se non ci à danari, foste andato per limosina. Questa obedienzia fedele avrebbe lavorato più nel conspetto di Dio e nel cuore degli uomini che non farebbono tutte le prudenzie umane; e' miei peccati ànno impedito che io non l'ò veduta in voi. So' bene certa che, benché e' ci fosse la passione, pure aveste buona e santa intenzione e rispetto. E per meglio compire la voluntà di Dio e di Cristo in terra papa Urbano VI non vorrei però che voi non foste andato, ma che foste andato subitamente per quel modo e per quella via che v'era posta innanzi.

Il dì e la notte n'era io costretta da Dio di questo e di molte altre cose, le quali, per la poca sollicitudine di chi l'à a fare, ma massimamente per le mie iniquità che impediscono ogni bene, vanno vòte. E così ci vediamo annegare, e crescere l'offese di Dio con molto suplicio; e io vivo stentando. Dio per la sua misericordia mi tragga di questa tenebrosa vita. Vediamo nel reame di Napoli essere peggio questa ultima ruina che la prima; e disposto ad esservi tanti mali che Dio vi ponga il suo remedio. Egli per la sua pietà manifestava bene la ruina e i remedii che si dovessino pigliare, ma, come io dissi, l'abundanzia de' miei difetti impedisce ogni bene. Sopra queste materie averò molto che dirvi, se già io non ricevessi grandissima grazia, cioè che, prima che io vi rivedesse, fossi levata dalla terra. Sì che io dico che in tutto vorrei che foste andato; pongomene in pace, perché so' certa che niuna cosa è fatta senza misterio, e anco perché io ne scaricai la conscienzia mia, facendo ciò che io potei perché al re di Francia si mandasse.

Facci la clemenzia dello Spirito santo egli; ché noi per noi siamo gattivi lavoratori.

De l' andare ritto al re d'Ungaria, secondo che disse frate Petruccio, piacque assai al santo padre; e diliberato avea che voi con altri compagni andaste. Ora non so la cagione per che egli à levato che non si vada, ma vuole che voi vi stiate per coteste parti e adoperiate quello bene che si può. Pregovi che ne siate sollicito: abandonate voi medesimo e ogni proprio piacere e consolazione; e gittinsi mughia sopra questi morti, e con le funi del santo desiderio e de l'umile orazione si leghino le mani della divina giustizia, el dimonio e l'appetito sensitivo.

Chi offera sé morto faccia l'offizio de' morti. Noi siamo offerti morti nel giardino della santa Chiesa, e a Cristo in terra padrone di questo giardino: il morto non vede, non ode e non sente cosa che gli sia fatta; voi che dovete essere morto, ma non sete però, isforzatevi d'uccidervi col coltello de l'odio e de l'amore, acciò che non udiate gli scherni villanie e rimproverii che 'l mondo e i persecutori della santa Chiesa vi volessino dire o fare. L'occhio non vegga le cose impossibili a fare, né tormento che potesse venire; ma vegga col lume della fede che per Cristo crocifisso ogni cosa potrete, e che Dio non porrà maggiore peso che si possa portare. Ma ne' grandi pesi dobiamo godere, perché allora ci dà Dio il dono della fortezza.

Con l'amore del sostenere si perda el sentimento sensitivo, e così morti morti ci nutrichiamo in questo giardino: quando io il vedrò, reputerò beata l'anima mia.

Io vi dico, dolcissimo padre, che, vogliamo noi o no, il tempo d'oggi c'invita a morire; adunque non mi state più vivo: terminate le pene nella pena, e crescete il diletto del santo desiderio nella pena - acciò che la vita nostra non passi altro che con crociato desiderio -; e voluntariamente diamo il corpo nostro a mangiare alle bestie, cioè voluntariamente, per amore della verità, gittarci nelle lingue e nelle mani degli uomini bestiali, sì come ànno fatto gli altri che ànno lavorato, morti, in questo giardino dolce, e inaffiatolo col sangue loro, ma prima con le lagrime e sudori. Ma io (dolorosa la vita mia!) perché non ci ò messa l'acqua, ò rifiutato di metterci el sangue. Non voglio più così; ma rinovellisi la vita nostra, e cresca il fuoco del desiderio.

Voi dimandate che io preghi la divina bontà che vi dia del fuoco di Vincenzio, di Lorenzo, e di Paulo dolce, e di quello vezzoso Giovanni, poi dite che farete grandi fatti e così goderò. Bene dite la verità, ché senza questo fuoco non fareste cavelle, né piccola cosa, né grande; né io goderei in voi. E considerando me questo, che egli è così - e io l'ò veduto per pruova - m'è cresciuto uno stimolo, con grande sollicitudine nel conspetto dolce di Dio. E se voi mi foste appresso, in verità vi dimostrerei che egli è così; e dare'vi altro che parole. Rallegromi e voglio che vi rallegriate, ché, poi che il desiderio cresce, egli il vorrà compire in voi e in me, però che egli è accettatore de' santi e veri desiderii, pure che voi apriate l'occhio de l'intelletto col lume della santissima fede, acciò che cognosciate la verità della voluntà di Dio.

Cognoscendola, l'amerete; amando, sarete fedele e non sarà obumbrato el cuore vostro per veruno inganno di dimonio.

Essendo fedele, farete ogni grande fatto per Dio, e perfettamente si compirà quello che egli vi mette nelle mani, cioè che non sarà impedito dalla vostra parte che non venga a perfezione. Con questo lume sarete cauto, modesto e pesato nel parlare, nel conversare, e in tutte quante le vostre operazioni; senza questo lume sareste tutto il contrario ne' modi e ne' costumi vostri, e in contrario vi verrebbe ogni altra cosa.

Cognoscendo io che egli è così, dissi che io desiderava di vedere in voi il lume della santissima fede, e così voglio che voi abiate. E perché io voglio, e àmovi inestimabilemente per la vostra salute, e con grande desiderio desidero di vedervi nello stato de' perfetti, però vi pungo con molte parole, ma più volentieri farei di fatto; e uso rimproverii con voi, acciò che continuamente torniate a voi medesimo.

Sonmi ingegnata e ingegnerò di farvi ponere pesi che sieno da perfetti per onore di Dio, e per invitare la sua bontà che vi facci venire all'ultimo stato della perfezione, cioè di mettere il sangue nella santa Chiesa, voglia la serva della sensualità, o no. Perdetevi nel sangue di Cristo crocifisso, e portate i miei difetti e le parole con buona pazienzia; e quando vi fossino mostrati i difetti vostri, godete e ringraziate la divina bontà, che v'à posto chi lavora sopra di voi, e veghi nel suo conspetto per voi.

Di quello che mi scrivete etc. Voi mi raccomandate l'Ordine nostro e io il raccomando a voi, ché sentendo come le cose stanno me ne scoppia il cuore in corpo. La Provincia nostra comunemente si mostra pure obediente a papa Urbano ed al vicario dell'Ordine, il quale vicario vi dico che, per la verità, si porta molto bene; e con assai prudenti modi, secondo il tempo che corre oggi, si porta nell'Ordine e contra a quelli che iniquamente contradicono alla verità. E chi dicesse il contrario, per quel poco che io ne cognosca non sta verità nella bocca sua. El santissimo padre nostro gli à comandato e data piena autorità che absolva tutti quelli provinciali che sono rebelli alla verità sua. Tempo è da non dormire, ma con grande sollicitudine pregare il dolce Spagnuolo nostro che non dorma sopra l'Ordine suo, el quale Ordine fu sempre essaltazione della fede e ora n'è fatto contaminatore. Duolmene infino alla morte: non posso più se non di terminare la vita mia in pianto e in grandissima afflizione.

Di quello che mi scrivete, che Antecristo e' membri suoi vi cercano diligentemente per potervi avere, non dubitate: ché Dio è potente a tor lo' il lume e la forza acciò che non compino i desiderii loro. E anco dovete pensare che non sete degno di tanto bene; e però non ne dovete avere paura. Confidatevi, ché Maria dolce e la verità saranno per voi sempre. Io vile schiava, che so' posta nel campo dove è sparto il sangue per amore del sangue (e voi mi ci avete lassata, e setevi andato con Dio), non mi restarò mai di lavorare per voi. Pregovi che facciate sì che voi non mi diate materia di pianto, né di vergognarmi nel conspetto di Dio. Come voi sete uomo nel promettere di volere fare e sostenere per onore di Dio, non mi siate poi femina, quando veniamo a serrare il chiovo, ché io mi richiamerei di voi a Cristo crocifisso e a Maria.

Guardate che egli non facci poi a voi come all'abbate di santo Antimo, che, per timore e per non tentare Dio, si partì da Siena e venne a Roma, parendogli avere fuggita la prigione e stare sicuro; e egli fu messo in prigione con quella pena che voi sapete: così sono conci i cuori pusillanimi. Siatemi tutto virile, che morte vi venga.

Sappiate che io non sarei ora qui se si fosse potuto andare sicuro - ma e' non s'è potuto per mare né per terra -, ché diliberato era che io andassi a Napoli: pregate e fate pregare Dio e Maria che ne facci fare quello che sia suo onore. Frate Bartolommeo, il maestro, e frate Matteo e gli altri sono acconci a fare ciò che bisognerà per onore di Dio e utilità della santa Chiesa, e di sforzare le loro fragilità; essi e tutti gli altri e altre vi si raccomandano. La nonna vi benedice; e io v'adimando la vostra benedizione e pregovi che mi perdoniate di quello che non fosse onore di Dio e debita reverenzia vostra: l'amore me ne scusi.

Altro non vi dico.

Permanete etc. Gesù dolce, Gesù amore.




Caterina, Lettere 341