Caterina, Orazioni 8

ORAZIONE VIII.

8O Dio etterno, o Dio etterno, abbi pietà di noi. E se tu dici, alta ed etterna Trinità, che la pietà, la quale germina misericordia, t'è propria - perché la misericordia t'è propria, la quale non è senza la pietà, però che per pietà hai tu misericordia di noi - io el confesso, per ciò che per pietà solamente desti el Verbo del tuo Figliuolo a la morte per la nostra redenzione; la quale pietà procedette dalla fonte de l'amore (Jr 31,3) col quale tu avevi creata la tua creatura. E perché ella molto ti piaceva, avendo ella perduto el vestimento della innocenzia, tu ti movesti a rivestirla della grazia tua riducendola allo stato di prima; non le tollesti però el potere offendere, ma conservastile el libero arbitrio e la legge perversa che sempre impugna contra lo spirito; la quale legge, seguitandola, è atta a cadere nella colpa del peccato (Rm 7,21-23 Ga 5,17).

Poi che tu, Dio etterno, se' tanto pietoso (2Ch 30,9), unde viene che l'uomo è tanto crudele a se medesimo? ché maggiore crudeltà non può usare che uccidere se medesimo con la colpa del peccato mortale. Egli è pietoso alla sensualità, con la quale pietà usa grande crudeltà contra l'anima e contra lo corpo, però che el corpo del dannato sarà punito insieme con l'anima (Mt 10,38).

Veggo che questo non procede se non da l'essere privato del lume, per che non ha cognosciuta la pietà tua inverso di noi; unde tu mostri che la pietà tua non giovarebbe cavelle a l'uomo senza la pietà sua. E per questo si manifesta che tu creasti l'uomo senza sé, ma senza lui non il vuogli salvare.

Tu vuogli, misericordioso e pietoso Padre, che l'uomo raguardi la smisurata pietà tua inverso di noi, acciò ch'egli impari ad essere pietoso in prima a se medesimo e poi al proximo suo, sì come dice el glorioso Pavolo: «ogni carità comincia da se medesima» (1Co 13,1-3). Sì che tu vuogli che l'anima raguardi la pietà tua, acciò che se levi dalla crudeltà sua e pigli el cibo che l'ha a nutricare e darle vita (Dial LI).

O Idio etterno, o fuoco e abisso di carità, l'occhio tuo è sopra di noi; e acciò che la tua creatura vegga che egli è così, cioè che tu hai posto sopra di noi gli occhi della pietà e misericordia tua o gli occhi della tua giustizia, secondo l'operazioni nostre (Ps 33,16-17), tu l'hai dato l'occhio de l'intelletto acciò che vegga; unde apparisce manifestamente che ogni male ci seguita de l'essere privati del lume e ogni bene ci seguita del lume, perché non si può amare quello che non si cognosce e neuna cosa si può cognoscere senza el lume. O Dio etterno, o pietoso, o misericordioso Padre, abbi pietà e misericordia di noi, però che noi siamo ciechi senza veruno lume, e massimamente io, misera miserabile, e però sempre son stata crudele a me medesima. Con quello occhio della pietà, col quale tu hai creato noi e tutte le cose, raguarda la necessità del mondo e provedelo. Tu ci desti l'essere di non cavelle; illumina dunque questo essere che è tuo. Tu ci desti al tempo del bisogno la luce de gli apostoli; ora in questo tempo che maggiormente aviamo bisogno del lume risuscita un Paulo che illumini tutto el mondo, col velame della misericordia tua chiude e cuopre l'occhio della giusticia e apre l'occhio della pietà; col vincolo della carità lega te medesimo e con esso placa l'ira tua.

O dolce e soave lume, o principio e fondamento della nostra salute, perché col lume tuo vedesti la nostra necessità, però in esso lume vediamo l'etterna bontà tua e cognoscendola l'amiamo. O unione e legame di te creatore nella creatura e della creatura in te creatore! (Let7) Con la fune della tua carità l'hai legata e col tuo lume l'hai dato lume, unde se ella apre l'occhio de l'intelletto con volontà di cognoscere te ella ti cognosce, però che il lume tuo entra in ciascuna anima che apre la porta della volontà, perché egli sta all'uscio de l'anima e subbito che gli è aperto entra dentro (Ap 3,20), sì come il sole che percuote nella finestra chiusa e come ella è aperta entra in casa. Così si conviene che l'anima abbi volontà di cognoscere, con la quale volontà apra l'occhio de l'intelletto e allora tu, vero sole, entri ne l'anima e illuminila di te.

E poi che tu se' intrato, che adoperi tu, lume di pietà, dentro ne l'anima? Caccine la tenebre e da'le la luce (2Co 4,6), tra'ne l'umido de l'amore proprio e rimane il fuoco della tua carità; fa' 'l cuore libero, perché nel lume tuo ha cognosciuto quanta libertà tu ci hai data traendoci della servitudine del demonio, nella quale l'umana generazione era venuta per la sua crudeltà (Jn 8,31-36 2Co 3,17); und'ella odia la cagione della crudeltà, cioè la pietà verso la propria sensualità, e però diventa pietoso alla ragione e crudele contra la sensualità serrando le potenzie de l'anima. Chiude la memoria alle miserie del mondo e a' vani diletti, tirandone volontariamente el ricordamento d'esse, e aprela a' benefici tuoi ripensandoli con buona sollicitudine; chiude la volontà sì che ella non ami veruna cosa fuore di te, ma ami te sopra tutte le cose e ogni cosa in te secondo la volontà tua, e solamente vuole seguitare te. Alora veramente è pietoso a sé, e sì come egli è pietoso a sé, così al prossimo suo, disponendo di dare la vita del corpo per salute de l'anime. In tutte le cose usa l'atto della pietà con prudenzia perché ha veduto con quanta prudenzia tu hai adoperato in noi tutti e tuoi misteri.

Tu, lume, fai el cuore schietto e non doppio, largo e none stretto, in tanto che vi cape ogni creatura che ha in sé ragione per affetto di carità; con carità ordinata cerca la salute di tutti, e perché lume non è senza prudenzia e sapienzia, dispone il corpo suo alla morte per la salute de l'anima del proximo suo, e non pone l'anima per colpa - però che non è licito a l'uomo di commettere una minima colpa per salvare tutto el mondo, se possibile gli fusse, però che per utilità della creatura, che non è cavelle per sé, non si debba offendere il Creatore, il quale è ogni bene - ma per lo corpo del proximo pone la sustanzia temporale. Tanto è aperto questo cuore che a veruna persona è ficto, ma ogni uno el può intendere perché non dimostra una cosa in faccia e in lingua avendone dentro un'altra. Questi dimostra veramente essere spogliato del vestimento vecchio e vestito del nuovo (Col 3,9-10) della volontà tua. Sì che la crudeltà nostra, Padre etterno, procede perché noi non vediamo la pietà tua che tu hai usata ne l'anime nostre, ricomprandole del prezioso sangue de l'unigenito tuo Figliuolo.

Volle, volle misericordioso Padre, l'occhio della pietà sopra la sposa tua e sopra el vicario tuo; nascondelo sotto l'ale della misericordia tua (Ps 16,8), acciò che gl'iniqui superbi non gli possano nuocere, e a me concede grazia che io distilli el sangue e coli le mirolla dell'ossa mie in questo giardino della santa chiesa. Se io raguardo in te, veggo che niuna cosa è nascosta all'occhio tuo; questo non vedono gli uomini del mondo obfuscati dalla nuvila de l'amore proprio; che se essi el vedessero non sarebbero tanto crudeli all'anime loro, ma nella pietà tua diventerabbero pietosi. E però necessario ci è il lume, el quale io con tutto l'affetto supplico che tu doni a tutte le creature che hanno in loro ragione. Nel Verbo usasti pietà e giustizia, giusticia sopra el corpo suo e pietà sopra le tue creature. O bontà infinita, come non si dissolve il cuore de l'uomo, e come non esce il cuore mio per la bocca? Perché la nuvila ha offuscato l'occhio della mente mia, che non lassa te, anima mia, vedere questa ineffabile pietà. Quale padre fu mai che per lo servo desse il figliuolo proprio alla morte? (Rm 8,32) Solo tu, Padre etterno; la carne nostra della quale vestisti el Verbo sostenne e noi ne riceviamo el frutto, se noi voliamo. Così vuoi che patisca la nostra sensualità acciò che l'anima riceva frutto in te. O dottrina fondata in verità! E perciò disse la tua Verità: «Io sono via verità e vita» (Jn 14,6). Se noi voliamo seguitare la pietà tua, ci conviene di debito andare per quella via che tu andasti di grazia. Io mi richiamo di me a te, Verità etterna, che tu faccia giustizia di me che so' crudele a l'anima e pietosa alla propria sensualità.

"Peccavi domino, miserere mei".

O pietosa crudeltà, la quale conculchi la sensualità in questo tempo finito acciò che tu exalti l'anima in etterno! Unde procede la pazienzia? unde la fede, la speranza e la carità? Della detta pietà, la quale parturisce misericordia. Chi scioglie l'anima da se medesima e legala con teco? Questa pietà acquistata col lume. O pietà dilettevole, o pietà che se' uno unguento, tu spegni l'ira e la crudeltà ne l'anima. Questa pietà, Padre pietoso, ti prego che tu doni a tutte le tue creature e specialmente a quelli che tu m'hai dati ch'io ami di singulare amore; fagli pietosi, acciò che usino perfetta pietà e perfetta crudeltà con la quale essi uccidano la perversa volontà loro. Questa pietosa crudeltà parbe che tu Verità c'insegnasse quando dicesti: «Chi viene a me e non ha in odio padre, madre, moglie e figliuoli, frategli e suoro, e anco l'anima sua non può essere el mio discepolo» (Lc 14,26); questo ultimo pare malagevole - quegli altri spesso fanno e servi del mondo, ben che non per amore della virtù - ma egli non è malagevole: più malagevole è all'uomo escire della natura sua che seguitarela. La natura nostra è ragionevole, adunque doviamo seguitare la ragione.

O verità etterna, tu odore sopra ogni odore; tu larghezza sopra ogni larghezza; tu pietà sopra ogni pietà; tu giustizia sopra ogni giustizia. Anco, tu se' fonte di giustizia che a ciascun rendi secondo l'opere sue (Ps 61,13), unde giustamente permetti che lo iniquo uomo sia incomportabile a se medesimo, perché si pone a desiderare la cosa che è meno di sé, desiderando e mondani diletti e ricchezze, però che tutte le cose create sonno meno che l'uomo, fatte in servicio suo, non acciò che egli se ne faccia servo. Solo tu se' maggiore di noi, e però te doviamo desiderare, te cercare e servire. E giustamente fai gustare al giusto vita etterna in questa vita con pace e quiete de l'anima sua, perché ha posto l'affetto suo in te, che se' vera e somma quiete; e a quelli che virilmente hanno corso per questa vita mortale giustamente e con misericordia lo' dài vita etterna.

Tu se' etterna e infinita bontà, che neuno ti può comprendere né pienamente cognoscere se non è quanto tu ne dài a cognoscere (Mt 11,27), e tanto ne dài quanto noi disponiamo el vassello de l'anima nostra a ricevere.

O dolcissimo amore, io non t'amai mai in tutto el tempo della vita mia. Io ti racomando e figliuoli miei, e quali tu hai posti sopra le spalle mie acciò che io gli desti, che sempre dormo. Tu, Padre pietoso e benigno, gli desta acciò che l'occhio de l'intelletto loro sempre veghi in te.

"Peccavi domino, miserere mei." Dio, intende al nostro adiutorio; signore, affrettati d'aitarci (Ps 69,2).

Amen.



ORAZIONE IX.

9Trinità etterna, o alta ed etterna Trinità! Tu Trinità etterna ci desti el dolce a amoroso Verbo. O dolce e amoroso Verbo, Figliuolo di Dio, sì come la natura nostra è debile e atta ad ogni male, così la natura tua è forte e atta ad ogni bene. L'uomo è debile perché ha ricevuta la natura debile dal padre suo, ché il padre non può dare al figliuolo altra natura che di quella che egli ha in sé, ed è inchinevole al male per la rebellione della fragile carne sua, la quale anco ha ricevuta dal padre suo; sì che la natura nostra è debile e atta a ogni male perché tutti siamo discesi e generati dal primo padre Adam, tutti siamo esciti d'una medesima massa (Rm 5,12); el quale perché si partì dalla somma fortezza di te, Padre etterno, diventò debile, e perché fu ribello a te però trovò rebellione in se medesimo (Dial XX), unde, essendo partito dalla somma bontà e fortezza tua, si trovò debile e atto ad ogni male.

O Verbo, etterno Figliuolo di Dio, la natura tua è forte e atta ad ogni bene perché l'hai ricevuta dall'etterno e omnipotente Padre tuo. Egli t'ha data la natura sua, cioè la deità; veruno male non fu né poté essere in te perché la natura che tu ricevesti dalla deità neuno difetto poté patire. Tu, dunque, tu dolce Verbo hai fortificata la debile natura nostra per l'unione che tu hai fatta in noi. Per questa unione è fortificata la natura nostra, però che in virtù del sangue tuo si tolle questa debilezza nel santo battesmo (Jn 1,7); e quando siamo gionti a l'età della discrecione siamo fortificati dalla dottrina tua (Col 1,22-23 1Co 1,23-25), però che l'uomo che la seguita in verità, vestendosene perfettamente, tanto diventa forte e atto al bene che quasi perde la rebellione della carne contra lo spirito; perché quella anima è perfettamente unita nella dottrina tua, e il corpo con l'anima, e però vuole seguitare l'affetto de l'anima. Unde viene a tanto che quelle cose che prima le solevano piacere, cioè le miserie e diletti del mondo, alora al tutto le dispiaccino, e quello che innanzi le soleva parere malagevole e duro, ciò è di seguitare le virtù, ora gli sonno dolci e dilettevoli. Dunque bene è la verità che tu, Verbo etterno, tollesti la debilezza della natura nostra con la fortezza della natura divina, la quale tu ricevesti dal Padre, e questa fortezza hai data a noi, come ditto è, col mezzo del sangue e della dottrina.

O etterno sangue - etterno dico perché se' unito con la natura divina - l'uomo che con lume ha cognosciuta la fortezza tua si parte dalla debilezza sua; el quale lume non s'acquista mai senza l'odio della propria sensualità, ma più tosto si perde eciandio el naturale (Dial XLVI). O sangue dolce, tu fortifichi l'anima, tu l'allumini, in te diventa angelica. Tu la obumbri per sì fatto modo col fuoco della tua carità che al tutto dimentica sé, e veruna cosa può vedere altro che te; unde eciandio la fragile carne sente l'odore delle virtù, in tanto che 'l corpo insieme con l'anima pare che gridino a te in ogni loro exercizio; e questo è mentre che sta con lo santo desiderio aumentandolo continuamente, che se egli l'allentasse risuscitarebbe la rebellione della carne più viva che mai.

O dottrina di verità, che tanta fortezza dài a l'anima vestita di te che in neuna cosa viene meno, né in adversità né in pena, ma d'ogni battaglia ha vittoria: forte è mentre che seguita te che se' proceduto dalla somma fortezza; che se ella non ti seguitasse non gli varrebbe cavelle la fortezza tua. Misera me che mai non ho seguitata te, vera dottrina, unde io so' tanto debile che in ogni minima tribolacione vengo meno.

"Peccavi domino, miserere mei."

ORAZIONE X.

10Alta ed etterna Trinità, o Trinità, etterna deità, amore, noi siamo arbori di morte e tu se' arbore di vita. O deità etterna, che è a vedere, nel lume tuo, l'arbore puro della tua creatura la quale tu hai tratta di te, somma purità, con pura innocencia! E l'hai unita e piantata ne l'umanità, la quale tu formasti del limo della terra. Hai fatto questo arbore libero; tu hai dato i rami a questo arbore, ciò sonno le potenzie de l'anima, la memoria, lo 'ntelletto e la volontà. Che frutto hai posto nella memoria? Di ritinere. Ne l'intelletto? Frutto di discernere. E nella volontà? Frutto d'amare. O arbore posto in tanta purità dal tuo piantatore! Ma questo arbore, perché si partì dalla innocencia, per la disobediencia cadde e d'arbore di vita diventò arbore di morte, unde non produceva frutti altro che di morte (Rm 7,5); per la qual cosa tu, alta ed etterna Trinità, sì come ebbro d'amore e pazzo della tua creatura, vedendo che questo arbore non poteva fare frutto altro che di morte perché era separato da te vita, gli desti el rimedio con quello medesimo amore con che tu l'avevi creato, innestando la deità tua ne l'arbore morto della nostra umanità. O dolce e soave innesto: tu somma dolcezza ti se' degnato d'unirti con la nostra amaritudine; tu splendore, con le tenebre; tu sapiencia, con la stoltizia; tu, vita, con la morte, e tu infinito con noi finiti. Chi ti constrinse a questo per renderli la vita, avendoti essa tua creatura fatta tanta ingiuria? Solamente l'amore, come detto è; unde per questo innesto si dissolve la morte (Ep 2,4-5).

E bastava alla tua carità d'avere fatta con lei questa unione? No. E però tu, Verbo etterno, inaffiasti questo arbore col sangue tuo (Dial XXX). Questo sangue per lo calore suo el fa germinare, se l'uomo col libero arbitrio innesta sé in te e teco unisce e lega el cuore e l'affetto suo, legando e fasciando questo innesto con la fascia della carità, e seguitando la dottrina tua, però che 'l Padre non potiamo né doviamo seguitare, perché in lui non cadde pena e poi ci doviamo conformare e innestare in te per la via delle pene e de' crociati e santi desideri, sì che per te, vita, produciamo frutto di vita, se noi ci voliamo innestare in te; e così si vede che tu creasti noi senza noi, ma non ci vuogli salvare senza noi.

Quando noi siamo innestati in te, allora e rami che tu hai dati all'arbore nostro menano i frutti loro: la memoria s'empie del continuo ricordamento de' benefici tuoi, lo 'ntelletto se specola in te per cognoscere la verità e la volontà tua perfettamente, e la volontà vuole amare e seguitare quello che lo 'ntelletto ha veduto e cognosciuto. E così l'uno ramo porge de' frutti a l'altro; per lo cognoscimento che l'uomo ha di te meglio cognosce sé e odia se medesimo, ciò è la propria sensualità.

O amore, inestimabile amore, admirabili sono le cose che tu hai operate nella tua creatura che ha in sé ragione. E se tu, Dio etterno, nel tempo che l'uomo era arbore di morte el restituisti in arbore di vita, innestando te vita ne l'uomo - benché molti per li loro difetti non producano altro che frutti di morte, perché non innestano sé in te, vita etterna - così ora puoi provedere alla salute di tutto el mondo, el quale oggi veggo non innestarsi in te. Anco ogni uno quasi si sta nella morte sua della propria sensualità, e neuno ne viene alla fonte dove sta el sangue per innaffiare l'arbore suo.

O, tra noi è vita etterna non cognosciuta da noi, ignoranti creature: o miserabile, o cieca anima mia, dove è il grido? dove sonno le lacrime che tu debbi spandere nello conspetto del Dio tuo che continuamente t'invita (Dial XVIII)? Dove è il cordiale dolore degli arbori che stano piantati nella morte, dove sonno gli ansietati desideri nel conspetto della divina pietà? Non ci sonno in me, perché anco non ho perduta me medesima, che se io mi fusse perduta e solo avessi cercato Dio e la gloria e loda del nome suo, el cuore r



m'escierebbe per la bocca e l'ossa distillarebbero le mirolla; ma io non produssi mai altro che frutto di morte perché non mi so' innestata in te.

Quanto è il lume, quanta è la dignità che riceve l'anima innestata in verità in te? O ismisurata larghezza: la memoria porge che noi siamo tenuti e obligati d'amare te e seguitare la dottrina e le vestigie del Verbo unigenito tuo Figliuolo; ma senza el lume della fede noi non potiamo seguitare questa dottrina e vestigie di Cristo, unde lo 'ntelletto si ferma e specula in esso lume per cognoscere, e subbito la volontà ama quello che lo 'ntelletto ha veduto e cognosciuto; e così l'uno ramo porge frutto di vita all'altro.

E unde trai, o arbore, questi frutti di vita, che per te se' sterile e morto? Da l'arbore della vita, che se tu non ti fussi innestato in esso neuno frutto potresti producere per tua virtù perché tu se' non cavelle.

O verità etterna, amore inestimabile, sì come tu producesti a noi frutti di fuoco d'amore di lume e obbediencia pronta - per la quale obbediencia corristi come innamorato all'obrobriosa morte della croce e destici questi frutti in virtù dello innesto della tua deità nella umanità nostra, e per lo innesto che tu facesti del corpo tuo nel legno della croce - così l'anima innestata in te in verità a neun'altra cosa attende se non all'onore di te e salute de l'anime. Ella diventa fedele, prudente e paciente.

Vergognati, uomo, vergognati che per li tuoi difetti ti privi di tanto bene e fa'ti degno di tanto male. El tuo bene a Dio non fa utilità né il tuo male gli nuoce. Ben si diletta che la fattura sua produca frutto di vita (Jn 15,8), acciò che ne riceva frutto infinito e pervenga al fine per lo quale tutti ci ha creati.

"Peccavi domino, miserere mei." Unisce, verità etterna, e innesta questi in te, e quali tu m'hai dati che io ami di singulare amore (Jn 17,9), sì che essi producano frutti di vita. Veggo, infinita bontà, che sì come tu mandi la rugiada del lume sopranaturale (Is 26,19) ne l'anima unita in te, dandole pace e quiete di conscienzia, così con la rugiada de' servi tuoi levarai la guerra e le tenebre e renderai pace e lume alla sposa tua: e io così supplico a te, pietoso benigno e dolce Dio.

"Peccavi domino, miserere mei." Amen.

ORAZIONE XI.

11O Maria, Maria, tempio della Trinità! o Maria, portatrice del fuoco! Maria, porgetrice di misericordia, Maria germinatrice del fructo, Maria ricomperatrice de l'umana generacione, perché sostenendo la carne tua in nel Verbo fu ricomprato el mondo: Cristo ricomprò con la sua passione e tu col dolore del corpo e della mente.

O Maria mare pacifico, Maria donatrice di pace, Maria terra fruttifera. Tu, Maria, se' quella pianta novella della quale aviamo el fiore odorifero del Verbo unigenito Figliuolo di Dio, però che in te, terra fruttifera, fu seminato questo Verbo. Tu se' la terra e se' la pianta. O Maria carro di fuoco, tu portasti el fuoco nascosto e velato sotto la cennere della tua umanità.

O Maria vassello d'umilità, nel quale vassello sta e arde el lume del vero cognoscimento (Let23), col quale tu levasti te sopra di te, e però piacesti al Padre etterno, unde egli ti rapì e trasse a sé amandoti di singulare amore. Con questo lume e fuoco della tua carità e con l'olio della tua umilità traesti tu e inchinasti la divinità sua a venire in te, benché prima fu tratto da l'ardentissimo fuoco della sua inestimabile carità a venire a noi.

O Maria, perché tu avesti questo lume, però non fusti stolta ma prudente, unde con prudenzia volesti investigare da l'angelo come fusse possibile quello che t'annunciava. E non sapevi tu che questo era possibile a l'onipotente Dio? Certo sì, senza veruna dubitazione. Dunque perché dicevi "quoniam virum non cognosco" (
Lc 1,34)? Non perché tu mancassi in fede, ma per la tua profonda umilità, considerando la indignità tua; ma non che tu dubitassi che questo fusse possibile appo Dio. Maria, fusti tu conturbata nella parola de l'angelo per paura? Non pare, se io raguardo nel lume, che per paura tu fussi conturbata, benché tu mostrassi alcuno atto d'ammirazione ed alcuna conturbazione. Adunque, di che ti maravigli? Della grande bontà di Dio la quale tu vedevi; e considerando te medesima, quanto tu ti cognoscevi indegna a tanta grazia eri stupefatta; dunque nella considerazione della indegnità e infermità tua e della ineffabile grazia di Dio diventasti admirata e stupefatta. Così adimandando tu con prudenzia dimostri la profonda umilità tua; e, come detto è, non avesti timore, ma admirazione della smisurata bontà e carità di Dio per la bassezza e piccolezza della vertù tua (Lc 1,48).

Tu, o Maria, se' fatta libro nel quale oggi è scritta la regola nostra. In te oggi è scritta la sapienzia del Padre etterno, in te si manifesta oggi la fortezza e libertà de l'uomo. Dico che si mostra la dignità de l'uomo però che se io raguardo in te, Maria, veggo che la mano dello Spirito santo ha scritta in te la Trinità, formando in te el Verbo incarnato, unigenito Figliuolo di Dio: scripseci la sapienzia del Padre, ciò è esso Verbo; hacci scritto la potencia, però che fu potente a fare questo grande misterio; e hacci scritto la clemencia d'esso Spirito santo, ché solo per grazia e clemenzia divina fu ordinato e compito tanto misterio.

Se io considero il grande consiglio tuo, Trinità etterna, veggo che nel lume tuo vedesti la dignità e nobilità de l'umana generacione; unde, sì come l'amore ti constrinse a trare l'uomo di te, così quello medesimo amore ti constrinse a ricomprarlo, essendo perduto. Ben dimostrasti che tu amasti l'uomo prima che egli fusse, quando tu el volesti trare di te solo per amore; ma magiore amore gli mostrasti dando te medesimo, rinchiudendoti oggi nel vile saccuccio della sua umanità. E che più gli potevi dare, che dare te medesimo? Unde veramente tu gli puoi dire: «Che t'ho io dovuto o potuto fare che io non l'abbi fatto?» (Is 5,4).

Così veggo che ciò che la sapiencia tua vide in quel grande ed etterno consiglio che fusse da fare per la salute de l'uomo, la clemencia tua volse e la potencia tua l'ha ogi adempito, sì che nella salute nostra s'accordò in quello consiglio la potencia, la sapiencia e la clemencia tua, o Trinità etterna; in quello consiglio la grande misericordia tua voleva fare misericordia a la fattura tua, e tu, Trinità etterna, volevi compire in lei la verità tua di darle vita etterna, ché per questo l'avevi creata, acciò che participasse e godesse di te. Ma a questo la giusticia tua contradiceva, allegando nel grande consiglio che, sì come la misericordia t'è propria, così la giusticia, la quale giusticia tua permane in etterno; unde, perché la tua giusticia non lassa veruno male impunito, sì come neuno bene inremunerato, non si poteva salvare perché non poteva satisfare a te della colpa sua.

Che modo trovasti, Trinità etterna, acciò che s'adempisse la tua verità e facessi misericordia a l'uomo, e che fusse satisfatto alla giusticia tua? Che rimedio ci hai dato? O ecco atto remedio: tu disponesti di darci el Verbo de l'unigenito tuo Figliuolo, e che pigliasse la massa della carne nostra che t'aveva offeso acciò che, sostenendo egli in essa umanità, fusse satisfatto a la tua giusticia, non in virtù de l'umanità ma in virtù della deità unita in essa (2Co 5,18-19). E così fu fatto e fu adempita la verità tua e saziata la giusticia e la misericordia.

O Maria, io veggo questo Verbo dato a te essere in te, e non di meno non è separato dal Padre, sì come la parola che l'uomo ha nella mente che, benché ella sia proferta di fuore e comunicata ad altri, non si parte però né è separata dal cuore. In queste cose si dimostra la dignità de l'uomo, per cui Dio ha operate tante e sì grandi cose.

In te ancora, o Maria, si dimostra oggi la fortezza e libertà de l'uomo perché, doppo la deliberazione di tanto e sì grande consiglio, è mandato a te l'angelo ad annunciarti el misterio del consiglio divino e cercare la volontà tua, e non discese nel ventre tuo il Figliuolo di Dio prima che tu el consentissi con la volontà tua. Aspettava alla porta della tua volontà che tu gli aprissi (Ap 3,20), ché voleva venire in te; e giammai non vi sarebbe intrato se tu non gli avessi aperto dicendo: «Ecco l'ancilla del Signore, sia fatto a me secondo la parola tua» (Lc 1,38).

Dunque manifestamente si dimostra la fortezza e libertà della volontà, ché né bene né male veruno si può fare senza essa volontà; e non è demonio né creatura che possa constringerla a colpa di peccato mortale se ella non vuole, né ancora può essere constretta ad adoperare veruno bene più che ella si voglia, sì che la volontà de l'uomo è libera, ché neuno la può constrignere a male né a bene se ella non vuole (Si 15,18; Let69).

Picchiava, o Maria, a la porta tua la Deità etterna, ma se tu non avessi aperto l'uscio della volontà tua non sarebbe Dio incarnato in te. Vergognati, anima mia, vedendo che Dio oggi ha fatto parentado con teco in Maria. Oggi t'è mostrato che benché tu sia fatta senza te non sarai salvata senza te; unde, come detto è, oggi bussa Dio a la porta della volontà di Maria e aspetta che ella gli apra.

O Maria, dolcissimo amore mio, in te è scritto el Verbo dal quale noi aviamo la dottrina della vita; tu se' la tavola che ci porgi quella dottrina. Io veggo questo Verbo, subbito che egli è scritto in te, non essere senza la croce del santo desiderio, ma subbito che egli fu conceputo in te gli fu innestato ed annexo il desiderio di murire per la salute de l'uomo, per la quale egli era incarnato; unde grande croce gli fu a portare tanto tempo quello desiderio el quale egli avarebbe voluto che subbito se fusse adempito (Let16).

A te ricorro, Maria, e a te offero la petizione mia per la dolce sposa di Cristo dolcissimo tuo figliuolo e per lo vicario suo in terra: che gli sia dato lume sì che con discrecione tenga il modo debito atto per la reformacione della santa Chiesa. Uniscasi ancora il populo insieme, e conformisi el cuore del populo col suo, sì che mai non si levi contra el capo suo. Pare a me che tu, Dio etterno, abbi fatto di lui una ancudine, ché ogni uno el percuote con la lingua e con l'uopere quanto può.

Anco ti prego per quelli che tu hai messi nel desiderio mio con singulare amore: che tu arda e cuori loro sì che sieno carboni none spenti ma accesi ed affocati nella carità tua e del proximo, sì che nel tempo del bisogno essi abbino le navicelle loro ben fornite per loro e per altrui. Io ti prego per quelli e quali tu m'hai dati, benché io non lo' sia cagione di veruno bene, ma sempre di male, perché io lo' so' none specchio di virtù ma di molta ignorancia e di negligencia.

Ma oggi io adimando arditamente perché egli è il dì delle gracie e so che a te, Maria, neuna cosa è dinegata.

O Maria, oggi la terra tua ha germinato a noi el Salvatore (Is 45,8).

"Peccavi Domino" tutto il tempo della vita mia, "peccavi Domino"; "miserere mei", dolcissimo ed inestimabile amore.

O Maria, benedetta sia tu tra tutte le femine (Lc 1,42) "in seculum seculi", ché oggi tu ci hai dato della farina tua. Oggi la deità è unita ed impastata con l'umanità nostra sì fortemente che mai non si poté separare, né per morte né per nostra ingratitudine, questa unione; anco sempre fu unita la deità, eciandio col corpo nel sepolcro e con l'anima nel limbo, e insieme con l'anima e con lo corpo in Cristo. Per sì fatto modo fu contratto e congionto questo parentado, che sì come mai non fu diviso, così in perpetuo mai non si discioglierà. Amen.

ORAZIONE XII.

12O Dio eterno, alta ed eterna grandezza, tu sei grande ma io son piccola, e però la bassezza mia non può agiognere all'altezza tua, salvo in quanto l'affetto e l'intelletto con la memoria si levano su dalla bassezza della mia umanità, e col lume il quale tu m'hai dato in lo tuo lume, te cognoscano. Ma se io raguardo in la tua altezza, ogni elevazione la quale possa fare l'anima mia in te è come notte oscura assimigliata alla luce del sole, o vero quanto è differente la luce della luna dalla ruota del sole, per che io, bassezza mortale, non posso agiognere alla tua grandezza immortale. Ben posso gustare te per affetto d'amore, ma non ti posso vedere in la essenzia tua.

E però tu hai detto che l'uomo che vive non ti vede (
Ex 33,18-20): ciò è che l'uomo che vive in la propria sensualità e volontà non può vedere te (Jr 5,21 Mt 13,15) in l'affetto de la carità tua. E se vivendo con ragione te può vedere talmente, niente di manco non può in la essenzia mentre che vive nel corpo mortale (Dial LXXIX). Adunque l'è ben vero che la mia bassezza non può agiognere a l'altezza tua, ma solamente gustare e vedere nello specchio tuo (1Co 13,12); e questa visione è con perfezione di carità (Dial CLXVII), perché l'affetto della tua carità posso vedere perfettamente ma l'essenzia non, come detto è.

E quando ho possuto agiognere a l'affetto de la carità tua, la quale non come i veri gustatori posso pigliare avendo vigore nel corpo mortale? Quando fu tempo e venne la pienezza del tempo sacro (Ga 4,4), il quale pare tempo accettabile (2Co 6,2) quando l'anima mia cognosca essere annunziato in el tuo lume; allora quando venne il gran medico del mondo (Dial XIV), ciò è il tuo Figliuolo unigenito; quando lo sposo si unì alla sposa (Let143), ciò è la divinità in el Verbo alla umanità nostra, della quale unione fu mezzo Maria, la quale vestì te sposo eterno della sua umanità.

Ma questo amore e unione erano così occulti che pochi gli cognoscevano, per la qual cosa l'anima non considerava ancora bene l'altezza tua. Ma, come io veggo, l'anima venne a perfetta cognizione de l'affetto de la carità tua, in el lume tuo, in la passione di questo Verbo (Let 227), perché allora il fuoco ascoso sotto la cenere nostra cominciò a manifestarsi largamente e pienamente, aprendo (Jn 19,34) il suo corpo santissimo sul legno della croce. E acciò che l'affetto dell'anima fosse tratto alle cose alte, e l'occhio de l'intelletto speculasse nel fuoco, tu Verbo eterno hai voluto essere levato in alto unde ne hai mostrato nel tuo sangue l'amore: nel tuo sangue ne hai mostrata la misericordia e la larghezza tua. In questo sangue ancora hai mostrato quanto ti grava e pesa la colpa dell'uomo. In esso sangue hai lavata la faccia della sposa tua, ciò è dell'anima, con la quale ti sei unito per unione della natura divina nella nostra natura umana. In esso vestisti essa quando era spogliata, e con la morte tua le hai resa la vita (Let 81).

O passione desiderata! Ma tu Verità eterna dici che non si desidera, né è amata da chi ama se stesso, ma da chi si è spogliato di sé e si è vestito di te (Oraz XXI; Let 98), sorgendo con lume in lo tuo lume a cognoscere l'altezza della tua carità. O piacevole e tranquilla passione, la quale con tranquillità di pace fai corrire l'anima sopra l'unde del mare tempestoso! O dilettabile e molto dolce passione, o ricchezza dell'anima, o refrigerio delli afflitti, o cibo agli affamati, o porto e paradiso dell'anima, o vera allegrezza, o gloria e beatitudine nostra! L'anima che si gloria in te acquista il frutto suo. E chi è colui il quale si gloria in te? Non colui il quale ha sottomesso il lume della ragione all'affetto sensitivo, però che questi non vede altro che la terra.

O passione la quale tolli via ciascuna infirmità, pur che lo ammalato voglia essere curato, perché il tuo dono non ha tolto a noi la libertà! Ancora tu passione rendi la vita al morto; se l'anima si ammala per le tentazioni delle dimonia, tu la deliberi; s'ella vien perseguitata dal mondo, o vero impugnata dalla propria fragilità, tu sei refugio di lei, perché l'anima ha cognosciuto in te, non solamente l'opare del Verbo nella passione, le quali sono state finite, ma ancora ha gustato l'altezza della carità divina. Unde per te, passione, vuole intendere e cognoscere la verità, e inebriarsi e consumarsi nella carità di Dio per la tua infirmità, la quale pare infirmità per la umanità nostra la quale ha patito in te, ma non di meno l'altezza è grandissima per il misterio che venne da essa in virtù della deità, con la quale eleva sé all'altezza d'essa deità, e così perviene al suo fine perché altrimenti non potrebbe.

O passione, l'anima che s'è riposta in te è morta quanto alla sensualità, per la qual cosa gusta l'affetto della tua carità. O quanto è dolce e soave questa dolcezza, la quale gusta l'anima che entra sotto questa corteccia, dove ha trovato il lume e il fuoco della carità vedendo la unione mirabile della divinità fatta in la umanità nostra! E vede la umanità partirsi, non la deità. Raguarda anima mia e vedrai il Verbo in la nostra umanità fatta come nuvila, ma non riceve la deità lesione per la nuvila o vero tenebre della nostra umanità, ma sta ascoso dentro il sole e splendore divino sì come il cielo sereno alcuna volta sta ascoso sotto la nuvila. E chi mostra a noi questo? Perché, finita la pena, nel corpo del Verbo rimase la deità e, dopo la resurrectione, fece la umanità lucida ch'era all'ora scura, e fecela immortale che prima era mortale.

Tu adunque, passione, mostri la dottrina la quale dee seguitare la creatura che ha in sé ragione, unde errano coloro che vogliono più presto seguire i diletti che le pene, con ciò sia che neuno pervenga al Padre se non per lo Figliuolo, e te Verbo non possiamo seguitare se non ti gustiamo nell'affetto delle pene. E se l'anima non vuole patire le pene, gli le conviene patire per forza, ma se le vuole portare col sole del lume, allora l'affetto dell'anima è percosso da neuna fatiga, sì come la deità nel Verbo per neuno modo patì, perché volontariamente fu portatrice delle fatighe. Adunque manifestamente mostri che da poi il tempo accettabile della passione del Verbo, l'anima può cognoscere l'affetto della carità col lume della gratia, e con questo lume nel tempo finito venemo a cognoscere la essenzia tua nel tempo infinito; unde per questa infimitate di passione cognoscemo l'altezza tua, non perché li tuoi misteri siano infimi - anzi, sono sublimi - ma dico infimi per la passione della tua infima umanità.

O dolce ed eterno Iddio, infinita sublimità! Perché non potevamo elevare l'affetto, il quale era infimo, né 'l lume dell'intelletto alla tua altezza per la tenebre della colpa, però tu, sommo medico, ne hai donato il Verbo con l'esca della umanità, e hai preso l'uomo e hai preso il dimonio, non in virtù della umanità ma della divinità. E così facendo te piccolo hai fatto grande l'uomo, satollato di obbrobrii l'hai riempiuto di beatitudine, avendo tu patito fame l'hai satollato nell'affetto della tua carità, spogliandoti della vita hai vestito esso della grazia, riempiuto tu di vergogna hai reso a lui l'onore, essendo oscurato tu quanto all'umanità hai reso a lui il lume, essendo disteso tu sulla croce hai abbracciato esso; ed haili fatta una caverna nel costato tuo, nella quale avesse refugio dalla faccia dell'inimici, nella quale caverna può cognoscere la tua carità perché per essa mostri che li hai voluto dare più che potessi con finita operatione. Ivi ha trovato il bagno nel quale ha lavato la faccia dell'anima sua dalla lepra della colpa.

O dilettevole amore, o fuoco, o abisso di carità! O altezza incomprensibile, quanto più raguardo all'altezza tua nella passione del Verbo, tanto più la mia anima misera miserabile si vergogna perché non ti ha mai cognosciuto, e questo perché sempremai sono stata viva all'affetto della sensualità, e morta alla ragione. Ma piaccia oggi all'altezza della tua carità d'alluminare l'occhio dell'intelletto mio, e di coloro che m'hai dati per figliuoli, e di tutte quante le creature che hanno in sé ragione.

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O deità, amor mio, una cosa ti dimando: nel tempo che il mondo giaceva infermo tu gli mandasti il tuo unigenito Figliuolo come medico, la qual cosa so che facesti per amore. Mo veggo il mondo totalmente giacere nella morte, e in sì grande che l'anima mia manca in questa visione. Che modo li sarà, mo, per resuscitare un'altra volta questo morto (Dial CXL), essendo tu Dio impassibile, e che sei per venire non più a recomperare il mondo, ma a giudicarlo? A che modo, adunque, si rendarà la vita a questo morto? Io non credo, o infinita bontà, che a te ti manchino i remedii, anzi, confesso che né l'amore tuo manca, né la tua potentia è indebilita, ne' la tua sapienzia è diminuita; e però tu vuoli e puoi e sai mandare il remedio che bisogna, per la qual cosa supplico che, se piace alla tua bontà, che mi mostri questo rimedio, che l'anima mia sia inanimata a toglierlo virilmente.

(Risposta) è vero che lo tuo Figliuolo non è per venire più se non in maiestate, a giudicare, come detto è. Ma, come vedo, tu chiami cristi li tuoi servi, e con questo mezzo vuoi togliere la morte e rendere la vita al mondo. E in che modo? Che essi camminino virilmente per la via del Verbo, con sollicitudine e con affocato desiderio, procurando lo tuo onore e la salute dell'anime, per questo sostenendo pazientemente pene tormenti obbrobrii e rimproverii da qualunque gli siano fatti; con le quali pene finite, all'infinito desiderio loro tu li vuoi dare refrigerio, cioè esaudire i prieghi ed impire i desiderii loro. Ma se patesseno solamente corporalmente, senza il desiderio sopradetto, non gli bastarebbe, né a essi né a gli altri, sì come la passione nel Verbo, senza la virtù della deità, non arebbe satisfatto alla salute della generatione umana (Dial III).

O rimediatore ottimo, dànne adunque a noi di questi cristi, gli quali vivono continuamente in vigilie, in lacrime, in orationi per la salute del mondo. Tu gli chiami cristi tuoi perché sono conformati nel tuo unigenito Figliuolo. Ah, eterno Padre, concedine che non siamo ignoranti, ciechi o freddi, né di tanto oscuro vedere che non vediamo noi medesimi, ma dànne a cognoscere la volontà tua.

"Peccavi Domine miserere mei".

Ti ringratio, ti ringratio perché tu hai dato refrigerio all'anima mia, sì per la cognitione, che tu mi hai data, in che modo io possa cognoscere l'altezza della tua carità essendo ancora nel corpo mortale, sì anco per lo remedio che vedo ordinato da te per liberare il mondo dalla morte.

Adunque, non dormire più, o anima mia miserabile la quale hai dormito tutto il tempo della vita tua. O amore inestimabile, la pena corporale dei tuoi servi potrà per virtute del santo desiderio dell'anime loro, il quale desiderio potrà per la virtù del desiderio della tua carità. O misera anima mia, non abbracciatrice della luce ma della tenebre! Levati, levati su dalla tenebre, destati te medesima, apri l'occhio dell'intelletto e raguarda l'abisso in l'abisso della carità divina, perché se tu non vedi non puoi amare: quanto vedrai tanto amarai, et amando seguitarai, e vestirai te della volontà sua.

"Peccavi Domine, miserere mei." Amen.


Caterina, Orazioni 8