Catechesi 79-2005 29186

Mercoledì, 29 gennaio 1986

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1. La verità che Dio ha creato, che cioè ha tratto dal nulla tutto ciò che esiste al di fuori di lui, sia il mondo che l’uomo, trova una sua espressione già nella prima pagina della Sacra Scrittura, anche se la sua piena esplicitazione si ha soltanto nello sviluppo successivo della rivelazione.

All’inizio del libro della Genesi si incontrano e “racconti” della creazione. A giudizio degli studiosi della Bibbia il secondo racconto è il più antico, ha carattere più figurativo e concreto, si rivolge a Dio chiamandolo con il nome di “Jahvè”, e per questo motivo è indicato come “fonte jahvista”.

Il primo racconto, posteriore in quanto a tempo di composizione, si presenta più sistematico e più teologico; per designare Dio ricorre al termine “Elohim”. In esso l’opera della creazione è distribuita lungo una serie di sei giorni. Poiché il settimo è presentato come il giorno in cui Dio si riposa, gli studiosi hanno tratto la conclusione che questo testo abbia avuto origine in ambiente sacerdotale e cultuale. Proponendo all’uomo lavoratore l’esempio di Dio Creatore, l’autore di Gen 1 ha voluto ribadire l’insegnamento contenuto nel Decalogo, inculcando l’obbligo di santificare il settimo giorno.

2. Il racconto dell’opera della creazione merita di essere spesso letto e meditato nella liturgia e fuori di essa. Per quanto riguarda i singoli giorni, si riscontra tra l’uno e l’altro una stretta continuità e una chiara analogia. Il racconto inizia con le parole: “In principio Dio creò il cielo e la terra”, cioè tutto il mondo visibile, ma poi nella descrizione dei singoli giorni ritorna sempre l’espressione: “Dio disse: Sia . . .”, oppure un’espressione analoga. Per la potenza di questa parola del Creatore: “fiat”, “sia”, sorge gradatamente il mondo visibile: la terra è all’inizio, “informe e deserta” (caos); in seguito, sotto l’azione della parola creatrice di Dio, essa diviene idonea alla vita e si riempie di esseri viventi, le piante e gli animali, in mezzo ai quali, alla fine, Dio crea l’uomo “a sua immagine” (
Gn 1,27).

3. Questo testo ha una portata soprattutto religiosa e teologica. Non si possono cercare in esso elementi significativi dal punto di vista delle scienze naturali. Le ricerche sull’origine e sullo sviluppo delle singole specie “in natura” non trovano in questa descrizione alcuna norma “vincolante”, né apporti positivi di interesse sostanziale. Anzi, con la verità circa la creazione del mondo visibile - così come è presentata nel Libro della Genesi - non contrasta, in linea di principio, la teoria dell’evoluzione naturale, quando la si intenda in modo da non escludere la causalità divina.

4. Nel suo insieme l’immagine del mondo si delinea sotto la penna dell’autore ispirato, con le caratteristiche delle cosmogonie del tempo, nella quale egli inserisce con assoluta originalità la verità circa la creazione di ogni cosa ad opera dell’unico Dio: è questa la verità rivelata.

Ma il testo biblico, se da una parte afferma la totale dipendenza del mondo visibile da Dio, che in quanto Creatore ha potere pieno su ogni creatura (il cosiddetto “dominium altum”), dall’altra mette in rilievo il valore di tutte le creature agli occhi di Dio. Al termine di ogni giorno infatti ricorre la frase: “E Dio vide che era cosa buona”, e al giorno sesto, dopo la creazione dell’uomo, centro del cosmo, leggiamo: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gn 1,31).

La descrizione biblica della creazione ha carattere ontologico, parla cioè dell’ente, e nello stesso tempo assiologico, rende cioè testimonianza al valore. Creando il mondo come manifestazione della sua bontà infinita, Dio lo creò buono. Tale è l’insegnamento essenziale che traiamo dalla cosmogonia biblica, e in particolare dalla descrizione introduttiva del Libro della Genesi.

5. Questa descrizione, insieme con tutto ciò che la Sacra Scrittura dice in diversi luoghi circa l’opera della creazione e circa Dio Creatore, ci permette di porre in risalto alcuni elementi: 1) Dio ha creato il mondo da solo. La potenza creatrice non è trasmissibile: “incommunicabilis”; 2) Dio ha creato il mondo di propria volontà, senza alcuna costrizione esteriore né obbligo interiore. Poteva creare e non creare; poteva creare questo mondo o un altro; 3) Il mondo è stato creato da Dio nel tempo, quindi esso non è eterno: ha un inizio nel tempo; 4) Il mondo creato da Dio è costantemente mantenuto dal Creatore nell’esistenza. Questo “mantenere” è, in un certo senso, un continuo creare (“Conservatio est continua creatio”).

6. Da quasi duemila anni la Chiesa professa e proclama invariabilmente la verità che la creazione del mondo visibile e invisibile è opera di Dio, in continuità con la fede professata e proclamata da Israele, il popolo di Dio dell’antica alleanza. La Chiesa spiega e approfondisce questa verità, utilizzando la filosofia dell’essere e la difende dalle deformazioni che sorgono di quando in quando nella storia del pensiero umano.

Il magistero della Chiesa ha confermato con particolare solennità e vigore la verità che la creazione del mondo è opera di Dio nel Concilio Vaticano I, in risposta alle tendenze del pensiero panteistico e materialistico del tempo. Quei medesimi orientamenti sono presenti anche nel nostro secolo in alcuni sviluppi delle scienze esatte e delle ideologie atee.

Nella costituzione “Dei Filius” del Concilio Vaticano I leggiamo: “Questo unico vero Dio, nella sua bontà e onnipotente virtù, non per aumentare la sua beatitudine, né per acquistare, ma per manifestare la sua perfezione mediante i beni che distribuisce alle creature, con decisione sommamente libera, simultaneamente fin dall’inizio del tempo trasse dal nulla l’una e l’altra creatura, la spirituale e la corporale, cioè l’angelica e la materiale, e poi la creatura umana, quasi dell’una e dell’altra partecipe, essendo costituita di spirito e di corpo” (Conc. Later. IV, c. I, De fide catholica)(Conc. Vat. I, Const. Dei Filius, c. I: Denz-Schonm. DS 3002).

7. Secondo i “Canones” aggiunti a questo testo dottrinale, il Concilio Vaticano I ribadisce le seguenti verità: 1) L’unico, vero Dio è Creatore e Signore “delle cose visibili e invisibili” (Denz-Schonm DS 3021); 2) È contro la fede l’affermazione che esista soltanto la materia (materialismo) (Denz-Schonm. DS 3022); 3) È contro la fede l’affermazione che Dio s’identifichi essenzialmente con il mondo (panteismo) (Denz-Schonm. DS 3023); 4) È contro la fede sostenere che le creature, anche quelle spirituali, sono una emanazione della sostanza divina, o affermare che l’Essere divino col suo manifestarsi o evolversi diventi ogni cosa (Denz-Schonm. DS 3024); 5) È contro la fede la concezione secondo cui Dio è l’essere universale ossia indefinito che determinandosi costituisce l’universo distinto in generi, specie e individui (Denz-Schonm DS 3024); 6) È parimente contro la fede negare che il mondo e le cose tutte in esso contenute, sia spirituali che materiali, secondo tutta la loro sostanza sono state da Dio create dal nulla (Denz-Schonm DS 3025).

8. Occorrerà trattare a parte il tema della finalità a cui mira l’opera della creazione. È infatti un aspetto che occupa molto spazio nella rivelazione, nel magistero della Chiesa e nella teologia. Basti per ora concludere la nostra riflessione rifacendoci ad un testo molto bello del Libro della Sapienza in cui si inneggia a Dio che per amore crea l’universo e lo conserva nell’essere: “Tu ami tutte le cose esistenti / e nulla disprezzi di quanto hai creato; / se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata. / Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? / O conservarsi se tu non l’avessi chiamata all’esistenza? / Tu risparmi tutte le cose, / perché tutte son tue, Signore, amante della vita” (Sg 11,24-26).

Ai gruppi di espressione francese

Ai gruppi di fedeli di espressione inglese

A fedeli di espressione spagnola

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Ai suoi connazionali polacchi

Ai pellegrini provenienti dalle diverse diocesi italiane

Va ora il mio saluto ai religiosi, alle religiose ed ai laici, che sono convenuti a Roma da varie nazioni, per partecipare alla XII Settimana di Spiritualità della Famiglia Salesiana, durante la quale è stato approfondito il testo della laicità come dimensione di specifico apostolato.

Mentre vi invito a perseverare nel vostro impegno di formazione giovanile, con la consueta dedizione, che caratterizza i Figli di Don Bosco, vi esorto a rispondere alle attese dei giovani presentando Cristo come risposta autentica e favorendo quelle forme di apostolato secolare, che sono consone all’essere comunitario della Chiesa ed alle esigenze dell’evangelizzazione del mondo attuale.

Vi accompagni la mia Benedizione Apostolica.
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Saluto il gruppo di giovani del Pontificio Seminario regionale “Pio XII” di Fano. Carissimi, vivete l’offerta di voi a Gesù, interamente e semplicemente, mediante l’impegno quotidiano dello studio e della preghiera, affinché egli vi conceda di perseverare in quel cammino vocazionale, che vi condurrà, quali sacerdoti, ad essere il dono di Cristo alla sua Chiesa. Vi affido alla Vergine Maria. Ella abbia cura di voi. Da parte mia, di cuore vi benedico.
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La presenza del Comandante Generale della Marina, insieme con l’Ammiraglio Fontana ed i marinai, che, durante un tratto della mia visita pastorale a Genova, mi hanno egregiamente accompagnato, è lieta l’occasione per esprimere nuovamente il mio affetto e la mia stima per quella città.

Mentre ringrazio per questo gesto di cortesia, che ricambio con l’augurio di serena operosità e di cristiano benessere, imparto a voi ed alle vostre famiglie la mia Benedizione Apostolica.

Ai Giovani

Il mio discorso si rivolge ora a voi, giovani e ragazzi, per rinnovarvi l’invito ad un solidale impegno per la pace. Questo è l’anno internazionale della pace. Lo scorso 25 gennaio, nella Basilica di san Paolo, ho lanciato un appello a tutti i cristiani e a tutte le persone di buona volontà perché si uniscano in un movimento mondiale di preghiera per la pace. Tra tutte le utili iniziative a favore della pace, questa è la prima e più necessaria: la pace, infatti, comincia dalla conversione del cuore, e la conversione si ottiene pregando.

Carissimi giovani, pregate per la pace e impegnatevi ad essere costruttori di pace per un domani più giusto e più umano.

Agli ammalati

Anche a voi, carissimi malati, rivolgo il mio affettuoso saluto e il mio augurio.

Desidero oggi invitarvi ad offrire le vostre preghiere e le vostre vite per la pace del mondo. La pace si costruisce, senz’altro, con l’apporto concreto di persone sane, attive, che possano muoversi ed industriarsi in suo favore. Ma occorre anche, e soprattutto, meritarla. E perciò nulla, è per questo spiritualmente fecondo del dono nascosto, ma a Dio gradito, delle proprie sofferenze. Lasciatevi sostenere da questi pensieri che, se accettati, serviranno a dare uno scopo nobilissimo al vostro soffrire, su cui di cuore imparto l’Apostolica Benedizione.

Agli sposi novelli

Agli sposi novelli il mio cordiale saluto. Celebrando il Matrimonio cristiano, voi avete promesso di impostare la vostra unione nella concordia e nella pace, come condizione fondamentale per una armoniosa vita di coppia e di famiglia. In questo diventate veramente segno di Dio. Il Dio dell’amore, infatti, che ha benedetto il vostro patto, è il Dio della vita, per la quale vi ha scelti ad essere suoi collaboratori, e perciò stesso si rivela il Dio della pace. Egli ci insegna che ogni esistenza fiorisce solo se desiderata ed accolta in un’atmosfera di pace. Di questa grazia fa dono a quanti, come voi, se ne assumono l’impegno come dimensione della propria ed altrui vita. Vi siano di stimolo e di sostegno tali verità, poiché grande è l’opera che vi attende e che ridonderà, se ben compiuta, a beneficio della comunità degli uomini. Vi accompagni la mia Benedizione.

Dolore per la tragedia dello “Shuttle”, partecipazione allo strazio dei familiari e sentita solidarietà alla Nazione americana sono stati espressi dal Santo Padre al termine dell’udienza generale. Queste le parole del Papa.

Profondo dolore ha suscitato nel nostro animo, nell’animo di tutti, la notizia dell’improvvisa tragedia che si è consumata ieri nei cieli di Cape Canaveral, ove la navetta spaziale Challenger si è disintegrata.

Nell’esprimere accorata partecipazione allo strazio dei familiari dei sette astronauti periti nell’incidente e sentita solidarietà alla Nazione americana, elevo a Dio una fervorosa preghiera perché accolga nel suo abbraccio le anime di questi coraggiosi pionieri del progresso della scienza e dell’uomo.




Mercoledì delle Ceneri, 12 febbraio 1986

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Cari fratelli e sorelle.

1. Prima di esporre un breve pensiero suggerito dall’odierna liturgia del Mercoledì delle ceneri, desidero manifestare la mia viva riconoscenza a Dio, che ha sostenuto i miei passi sulle vie della nobile nazione indiana e mi ha concesso di visitare in 14 città di quell’immenso Paese asiatico tanti fratelli e sorelle nella fede e in pari tempo di rafforzare il dialogo con le religioni non cristiane del luogo. Ringrazio i vescovi, i sacerdoti, le suore e i religiosi per l’impegno con cui hanno preparato i cristiani a questi incontri di fede e di gioia; esprimo il mio deferente ringraziamento alle autorità civili; sono riconoscente inoltre ai rappresentanti delle altre religioni per la cortese accoglienza; ringrazio in particolare il buon popolo indiano, del quale ho apprezzato il tradizionale senso di ospitalità e di religiosità.

Mi riservo di ritornare su questo argomento la prossima Udienza Generale, dopo il corso di esercizi spirituali.

2. Il “Mercoledì delle ceneri” è tradizionalmente contrassegnato da due pratiche care alla pietà cristiana: l’imposizione delle ceneri e il digiuno: due gesti che toccano il corpo, ma che raggiungono lo spirito. Due gesti significativi, che rappresentano una realtà interiore. Digiunare dai cibi, digiunare dalle passioni, digiunare dalla vanità del mondo che passa, per una più chiara presa di coscienza della nostra condizione di peccatori, di creature bisognose di Dio: bisognose di convertirci a lui, che è la nostra vera gioia. Dio, bene infinito e che non passa. Questo è dunque un “tempo salutare”, nel quale siamo invitati a rientrare in noi stessi, per riscoprire i valori veri sui quali deve poggiare la nostra vita.

È un tempo di riflessione e di approfondimento, nel quale ciascuno deve impegnarsi in una coraggiosa revisione di vita, che gli consenta di prendere coscienza dei vari punti in cui la propria condotta non è in sintonia col Vangelo. Lo scopo, in definitiva, è di dare alla propria vita un’impronta più cristiana riaffermando il primato dello spirito nei confronti di una materia spesso troppo invadente.

In particolare, la Quaresima che oggi inizia c’invita ad ascoltare umilmente queste severe parole dell’apostolo Giacomo: “Purificate le vostre mani, o peccatori, e santificate i vostri cuori, o irresoluti. Gemete sulla vostra miseria, fate lutto e piangete; il vostro riso si muti in lutto e la vostra allegria in tristezza. umiliatevi davanti al Signore, ed egli vi esalterà” (
Jc 4,8-10).

Non sfuggiamo a questo richiamo. Siamo tutti coinvolti. E anzi saremo tanto più accetti al Signore, quanto più sentiremo tale richiamo come indirizzato a noi. La Quaresima c’invita a riflettere in modo particolare sulla nostra fragilità, sul nostro “essere polvere” e sulla precarietà di quei beni terreni, sui quali sarebbe vano voler fondare la nostra felicità, che viceversa si trova soltanto nel nostro rapporto di sincerità e di amicizia con Dio, bene veramente sommo e assoluto. La Quaresima ci esorta a dolerci e a pentirci perché ci siamo allontanati da Dio. Ci esorta a tornare a lui. Ci invita a prendere coscienza degli effetti dolorosi e anzi tragici di questo distacco da lui.

3. La Quaresima ci suggerisce sentimenti di salutare afflizione. Ci fa ricordare che Gesù chiama “beati gli afflitti” (Mt 5,4) e minaccia, viceversa, la dannazione per coloro che adesso sono “sazi” e “ridono” (cfr Lc 6,25). Perché questo? Perché il dolore, vissuto come pentimento ed espiazione, porta alla salvezza e alla beatitudine; mentre la gioia stolta di chi non sa elevare lo sguardo al di là di questo mondo, porterà al “pianto” amaro e inconsolabile della perdizione eterna (cfr Mt 8,12 Mt 13,42).

La Quaresima è occasione propizia per interrogarci sulla qualità e sul motivo delle nostre gioie. Per chiarire se esse nascono da una tensione e conversione verso Dio, oppure da un illusorio appagarci e adagiarci in prospettive secolaristiche e terrene.

La Quaresima ci invita a dolerci, sperando nella misericordia del Padre e facendo nostra l’opera redentrice del Figlio. Il dolore, allora, è mitigato dalla speranza che, ascoltando il Vangelo e compiendo opere di penitenza, otterremo il perdono divino e allontaneremo i meritati castighi. Li allontaneremo per noi e per il prossimo.

Il cristiano, come ci esorta san Paolo (1Th 5,16), deve essere sempre lieto. Ma la letizia cristiana non è fuga dalle proprie responsabilità.

Non è uno stordirsi nei piaceri fugaci del presente. La letizia cristiana è aver ritrovato la propria dignità perduta, dopo essere rientrati in se stessi e aver accolto la parola di Cristo. La Quaresima è il tempo adatto per compiere questo recupero, questo ritrovamento del nostro “io” autentico. Ritrovamento che si compie in un serio ascolto dell’invito evangelico alla conversione. In un esercizio fervente delle opere di misericordia, che ci dispongono a ricevere misericordia.

4. La tradizione spirituale c’insegna che le principali opere del periodo quaresimale sono tre: la preghiera, l’elemosina e il digiuno. La preghiera vuol richiamarci a un più intenso rapporto con Dio. L’elemosina significa una più generosa attenzione ai fratelli bisognosi. Il digiuno rappresenta un più fermo proposito di disciplina morale e di purificazione interiore.

Si tratta evidentemente di aspetti essenziali della vita cristiana e - come tali - necessari in ogni tempo. Esistono tuttavia i tempi “forti”, che ci sono presentati dallo svolgersi dell’anno liturgico: momenti nei quali siamo esortati a un impegno più intenso e - a questo scopo - ci vengono offerti, dai riti e dai testi sacri, una maggiore luce e una grazia più abbondante.

Sono tempi nei quali possiamo e dobbiamo accelerare il cammino o - se lo avessimo abbandonato - propizi per riprenderlo con frutto e buoni risultati. Approfittiamo allora di questo “tempo favorevole” (cfr 2Co 6,2). Di questo tempo di misericordia.

Ai pellegrini di lingua francese


Ai gruppi di lingua inglese

Ai fedeli di lingua tedesca
Ai fedeli di lingua spagnola

Ai pellegrini polacchi

Ai giovani

Un affettuoso saluto rivolgo a voi, Giovani, presenti a questo incontro, che si svolge proprio all’inizio del periodo liturgico della Quaresima, e in tale prospettiva desidero porgervi l’invito a prepararvi con particolare fervore alla celebrazione del Mistero Pasquale, ravvivando anzitutto gli impegni di carattere religioso, da voi assunti nel Battesimo; in tal modo, il periodo quaresimale, vissuto nello spirito di penitenza e di riconciliazione con Dio, con se stessi e con gli altri, rappresenterà un autentico cammino interiore per l’approfondimento della fede in Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, “il quale è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione”.

La mia Benedizione Apostolica accompagna i vostri propositi.

Agli ammalati

Anche a voi, Fratelli e Sorelle infermi, si rivolge il mio speciale saluto, che accompagno con l’umile domanda che eleviate al Signore la vostra fervida e feconda preghiera per la Chiesa e per l’umanità, e con l’invito ad unirvi profondamente in questo periodo quaresimale a Gesù Cristo, nel quale la Chiesa contempla adempiuta ed attualizzata la profezia del Libro di Isaia concernente il Servo di Dio che addossa su di sé le colpe degli altri e per loro soffre tormenti e morte ignominiosa.

Offrite a Lui, a Cristo, “Uomo dei dolori che ben conosce il patire”, le vostre sofferenze, la vostra malattia, le vostre pene per la elevazione dei cuori e delle menti.

A questo mio auspicio unisco la mia Benedizione Apostolica, pegno di copiosi favori e conforti celesti.

Agli sposi novelli

Anche a voi, Sposi Novelli, che in questi giorni avete consacrato definitivamente il vostro vicendevole amore nel sacramento del Matrimonio, si rivolge il mio beneaugurante pensiero.

Che nella vostra casa, nella vostra famiglia sia sempre raggiante la gioia “pasquale”, la gioia portata dalla Redenzione di Cristo, che si è offerto al Padre per gli uomini in un gesto di suprema donazione.

Il vostro mutuo affetto, la comprensione, la fede nella Divina Provvidenza, la speranza pur in mezzo alle difficoltà, la disponibilità verso gli altri siano a fondamento della vostra vita matrimoniale, tenendo come modello la santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, alla cui protezione vi affido.

Vi benedico con tutto il cuore.

Del momento che sta vivendo il popolo di Haiti, Giovanni Paolo II parla al termine dell’udienza generale di questa mattina. Queste le parole del Papa.

Vi invito a pregare con me per il popolo di Haiti, che vive un momento delicato ed importante della sua storia. E’ un popolo buono, che aspira meritatamente a condizioni di vita umane e giuste, affrancandosi da sofferenze e privazioni che sono tra le più gravi nel mondo e che durano da troppo tempo.

Nell’ondata di emozioni che ha scosso il Paese, i Vescovi hanno rivolto un nobile appello a tutti gli haitiani, dicendo: “Questa è l’ora della riconciliazione e del perdono, non della divisione e dell’odio. Dopo aver tanto sofferto, dobbiamo lavorare per ricostruire la nostra patria nella fraternità, nella solidarietà, nell’unione”.

Faccio mie queste parole ed invio un saluto affettuoso a questo caro popolo, chiedendo al Signore che lo guidi sulla via della pace, della prosperità e della concordia nazionale.




Mercoledì, 26 febbraio 1986

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1. Desidero anche questa volta esprimere gratitudine alla Divina Provvidenza per aver guidato le vie del mio servizio pastorale nell’India. Il viaggio o, meglio, il pellegrinaggio, svoltosi dall’1 al 10 febbraio corrente fu una risposta ai concordi inviti del Governo e dell’Episcopato. Per tale invito, come pure per tutto ciò che è stato fatto per la preparazione di questo servizio del Papa in India e per facilitarne lo svolgimento, esprimo un cordiale ringraziamento.

Desidero manifestare questa gratitudine alle numerose persone e alle vaste cerchie della società, le quali (a prescindere dalla loro appartenenza a una determinata confessione) mi hanno riservato molto interesse e benevolenza durante i percorsi lungo le strade. Se si prende in considerazione che i cattolici in India costituiscono una piccola percentuale di quella gigantesca società (circa 12 milioni e mezzo, 1,7%), tale circostanza è molto significativa.

2. Il pellegrinaggio papale è stato un andare incontro al passato storico, grande e molto differenziato, dell’India, che risale al terzo millennio avanti Cristo. Questo passato non è soltanto una storia nel senso etnico, oppure una manifestazione delle diverse forme di sistemi socio-politici. Prima di tutto è un grande patrimonio di valore spirituale, nel senso religioso, morale e culturale. Per un cristiano l’incontro con questo patrimonio culturale è importante soprattutto perché riguarda il riconoscimento del primato dello spirito nella vita umana e delle esigenze di natura morale.

Questa realtà culturale e morale si è riconfermata in grande misura nella storia moderna dell’India, particolarmente mediante la figura e l’opera del Mahatma Gandhi, il quale viene considerato come padre della nazione. Egli fu a capo del movimento per l’indipendenza dell’India e stimolò a superare la soggezione coloniale con il metodo della lotta morale, senza ricorrere alla violenza. Il metodo di Gandhi fu la fedeltà alla verità, e - nel nome della verità - l’impegno di proporre le giuste esigenze nei riguardi sia della propria gente, sia delle autorità coloniali. Bisogna aggiungere che il Mahatma Gandhi poneva tali esigenze prima di tutto a se stesso. E benché questo metodo di comportamento gli abbia procurato anche nemici - basti ricordare che morì per mano di un estremista indiano alla soglia dell’indipendenza - tuttavia la via da lui mostrata merita un alto riconoscimento per motivi etici. Non è difficile notare che proprio una tale via nella lotta per la giustizia dimostra un grande avvicinamento ai fondamentali principi evangelici. Il Padre dell’indipendenza dell’India indica la via a tutti coloro che - per i più nobili ideali - cercano di separare la lotta per la giustizia da ogni forma di odio.

3. Il servizio papale legato al viaggio in India ha avuto, in grado minore, il carattere di un dialogo istituzionale con le religioni professate dalla maggioranza degli Indiani (induisti 83% e musulmani 11%); questo dialogo è avvenuto prima di tutto sul terreno dei principi e dei valori che sono comuni, che cioè uniscono il cristianesimo e la Chiesa con le religioni dell’India in modo, per così dire, spontaneo.

Nondimeno non sono mancati gli incontri che hanno avuto il carattere del dialogo nel senso più stretto della parola. Li ricordo con profonda simpatia. L’omaggio al monumento funebre del Mahatma Gandhi al “Raj Ghat”, la visita del Dalai Lama, l’incontro allo stadio “Indira Gandhi” con i rappresentanti della cultura e delle tradizioni religiose indiane: indù, musulmani, sikh, buddisti, jainisti, parsi e cristiani delle varie confessioni. A Calcutta l’incontro con gli esponenti delle Comunità cristiane; e poi con i rappresentanti delle varie religioni e del mondo culturale e accademico. Ugualmente a Madras. A Cochin ho visitato il Catholicos della Chiesa Malankarese giacobita siro-ortodossa e a Kottayam ho incontrato il Catholicos della Chiesa Malankarese siro-ortodossa. A Cochin ho avuto inoltre un colloquio con i responsabili della “Church of South India” e con gli esponenti non cristiani del Kerala. Infine a Bombay ho incontrato il primate della Chiesa Anglicana, dottor Robert Runcie.

Il pellegrinaggio in India è stato quindi anche una provvidenziale occasione per proseguire il dialogo con tutti coloro che credono in Dio e curano di orientare la propria vita nella prospettiva della trascendenza. La ricerca dell’Assoluto e l’anelito alla pace sono ben evidenti nella spiritualità delle varie religioni presenti nell’India e sono ben espresse nel pensiero e nelle poesie di molte celebri personalità. Ho avuto incontri solo brevi e fugaci, ma tale dialogo è condotto avanti in modo costante e sistematico dai rispettivi organi dell’episcopato indiano. La Chiesa in India: una comunione tra tre chiese.

4. Benché il numero dei cattolici in India non sia grande (rispetto al numero complessivo della popolazione), tuttavia l’Episcopato indiano è uno dei più numerosi della Chiesa. Conta 122 vescovi. Ci sono 18 province ecclesiastiche, con 89 diocesi suffraganee. Questo si spiega a motivo dell’enorme territorio, con una grande popolazione, in cui sono sparsi i singoli gruppi ecclesiastici, diversi anche per numero. Come è noto i cattolici in India sono raggruppati - dal punto di vista ecclesiastico - in tre comunità: la Chiesa latina, la Chiesa orientale di rito siro-malabarese e quella di rito siro-malankarese.

5. Tutti i cattolici, anzi, tutti i cristiani in India collegano il loro inizio con il periodo apostolico e in particolare con la missione di san Tommaso. A lui si richiamano anche le Chiese ortodosse in India. Il luogo del martirio dell’apostolo è indicato nei pressi di Madras. Il nuovo impulso dell’evangelizzazione avvenne dopo un intero millennio con l’arrivo in India di san Francesco Saverio e dei nuovi missionari nel secolo XVI. Il punto centrale di quest’evangelizzazione si trova a Goa (ove riposano le spoglie di san Francesco Saverio). In tale modo si spiega questa duplicità del cattolicesimo in India: il rito orientale legato all’evangelizzazione più antica e il rito latino come frutto dell’evangelizzazione successiva (soprattutto dal secolo XVI).

Il problema ecumenico esiste in India non soltanto in relazione all’Ortodossia orientale (chiesa malankarese giacobita e chiesa malankarese siro-ortodossa) ma anche in relazione alle comunità sorte dopo la Riforma, che sono apparse nei tempi moderni (particolarmente in relazione con la presenza degli inglesi).

6. Il programma della visita di dieci giorni si è svolto attraverso i principali nuclei locali della Chiesa cattolica in India. Iniziando da Delhi (la capitale dello Stato, al nord del paese, con una piccola percentuale dei cattolici; ma per l’occasione ci fu anche la partecipazione delle diocesi vicine), il cammino del pellegrinaggio si è diretto ad oriente, verso Calcutta, dove la percentuale dei cattolici è molto modesta. Tuttavia ad occidente di Calcutta, a Ranchi, si sviluppa una comunità, relativamente numerosa, della Chiesa; e a nord di Calcutta si trova un vasto terreno il cui centro è costituito dalla città di Shillong. In entrambi i territori si nota un regolare e dinamico sviluppo della Chiesa tra la popolazione indigena.

Di qui il cammino della visita si è diretto a sud. Prima, a sud-est ha raggiunto Madras. Qui, alla santa Messa, ha partecipato una folla di circa un milione di persone. E poi a sud-ovest è pervenuto allo stato di Kerala, dove i cattolici costituiscono una percentuale relativamente più grande degli abitanti di questa regione densamente popolata. Qui si distingue più chiaramente anche la duplicità dei riti, con la prevalenza di quello orientale: siro-malabarese e siro malankarese. La visita si è svolta attraverso i principali centri: Trichur, Ernakulam, Kottayam, Trivandrum. La visita nella regione del Kerala è stata preceduta dall’incontro con i fedeli a Goa e a Mangalore, a sud di Goa.

Come ultima tappa è rimasta la città di Bombay. Gli incontri principali si sono svolti in tre luoghi: Vasai (la comunità cristiana più antica nella regione), poi Bombay stessa (con alcuni incontri centrali) e Pune, il centro dei seminari, noviziati e studi per la regione occidentale dell’India.

7. È difficile enunciare i particolari. In ogni tappa il punto centrale è stato l’Eucaristia, oppure (eccezionalmente) la liturgia della Parola di Dio con l’omelia. Ciascun incontro è stato accuratamente preparato e ha visto una partecipazione molto numerosa. Alcuni elementi della nativa cultura indiana hanno trovato posto nella liturgia rinnovata.

Bisogna constatare che l’attività apostolica e sociale della Chiesa in India è molto più importante di quanto potrebbe indicare la situazione numerica della Chiesa stessa. Ne è testimonianza una vasta rete di scuole cattoliche di diverso grado, di ospedali e di altri centri di servizio sociale, dei quali oggi usufruisce in maggioranza la popolazione non cattolica.

8. In India esiste purtroppo ancora il fenomeno molto vasto della povertà, e perfino della miseria. Certamente questo è uno dei compiti più gravi per il Governo e per tutto il sistema democratico dell’India. Le iniziative da parte della Chiesa e della comunità cattolica sono limitate alle possibilità di questa porzione, piuttosto modesta, della Chiesa che è in India. Un avvenimento di importanza particolare, al di sopra della comune misura, è l’opera di madre Teresa a Calcutta e in varie altre località del Paese. Madre Teresa raggiunge non soltanto i poveri, ma veramente i più poveri tra i poveri, rendendo una testimonianza che, con la sua eloquenza arriva largamente nel mondo contemporaneo. Ma anche altre istituzioni ecclesiali e religiose sono molto meritevoli per quanto fanno a favore dei poveri.

9. Desidero esprimere la mia grande gioia per il servizio papale che mi è stato dato di compiere nei riguardi della Chiesa in India. Un’espressione particolare di questa letizia è stata la beatificazione del servo di Dio Kuriakose Elias Chavara, fondatore della Congregazione dei Carmelitani di Maria Immacolata, e di suor Alfonsa Muttathupandatu.

Inoltre la visita ha contribuito a rafforzare i legami collegiali con l’episcopato e i vincoli di unità dell’intera Chiesa dell’India con la Sede di san Pietro. A questo sono serviti tutti gli incontri, e in particolare quelli con il clero diocesano, con i religiosi e con i laici impegnati nell’apostolato, e alla fine il meraviglioso incontro con la gioventù a Bombay. Questa unità, in mezzo alla molteplicità e alla diversità, è la via per la quale Cristo stesso, buon pastore, conduce la Chiesa, sacramento di universale salvezza, radicata fin dai tempi apostolici in terra indiana. E lui non cessa di essere per tutti “Principe del secolo futuro”.

Ai pellegrini francesi

Ai fedeli di espressione inglese

Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini di lingua spagnola

Ai pellegrini polacchi

Ad un gruppo di seminaristi italiani

Saluto il gruppo di seminaristi della Congregazione dei Missionari della Fede, accompagnati dai loro sacerdoti assistenti, e provenienti da diverse parti del mondo. Vi auguro di cuore di poter approfondire fruttuosamente, sotto la guida dei vostri formatori, il senso della vostra scelta religiosa, così da seminare domani abbondantemente la Parola di Dio nelle anime.

Ai giovani

Una affettuosa parola di saluto rivolgo ora a tutti i giovani presenti all’Udienza ed, in special modo, agli alunni delle scuole di ogni ordine e grado. Tra questi desidero ricordare particolarmente gli alunni dell’istituto delle Suore di San Giuseppe al Casaletto; quelli dell’Istituto “Maria Rosa Molas” delle Suore di Nostra Signora della Consolazione, ed ancora quelli della Scuola Media Statale “Giovanni Battista Vico”.

A tutti voi, carissimi giovani, auguro di saper trarre il miglior frutto da questi anni di formazione corrispondendo volenterosamente alle cure dei vostri Insegnanti ed alle attese dei vostri genitori. Vi sia di stimolo nell’adempimento del vostro dovere il richiamo alla generosità ed al sacrificio, proprio del periodo quaresimale che stiamo vivendo.

Vi benedico di cuore!

Agli ammalati

Carissimi ammalati, vi saluto con tutto il mio affetto. I periodi della malattia possono diventare quasi dei ritiri spirituali. La rinuncia alle vostre solite attività e l’isolamento dalla vita sociale danno modo di pensare di più al Signore, di aumentare gli atti della nostra confidenza in lui, che permette la sofferenza solo per renderci più puri e più graditi a lui. La malattia può e deve essere intesa come un corso di Esercizi Spirituali, nei quali il predicatore non è un uomo, ma è Dio stesso, la cui volontà è sempre e solo rivolta al nostro bene. Vi accompagni il conforto di una mia larga Benedizione.

Agli sposi novelli

Anche a voi, cari sposi novelli, porgo il mio saluto. Il vostro segno d’amore è stato coronato dalla grazia divina: lei sola compete in definitiva - unitamente al vostro impegno responsabile - la facoltà di mantenere il vostro amore nella sua freschezza e nella sua bellezza. Ma ciò significa che dovrete sempre alimentare tale amore alle sue sorgenti spirituali. Non dimenticate dunque, cari sposi, l’importanza, anche per voi, di periodici momenti di più intenso ascolto di quell’amore infinito e sussistente, che è Dio stesso, e dal quale deriva ogni amore che veramente meriti questo nome.

Vi sono particolarmente vicino con la mia Benedizione.

L’auspicio che tutti i filippini ritrovino l’unità dei cuori nel perseguire il vero bene del Paese è espresso dal Papa durante l’udienza generale di questa mattina nell’aula Paolo VI. Ricordando i suoi recenti inviti alla preghiera per una soluzione pacifica e giusta della situazione nel Paese, Giovanni Paolo II pronuncia le seguenti parole.

Nei giorni scorsi ho espresso i miei sentimenti per il diletto popolo filippino, invitando alla preghiera perché in quella situazione difficile e preoccupante fosse raggiunta una soluzione pacifica e giusta, senza ricorso alla violenza.

Oggi, desidero ripetere a quelle popolazioni che continuo ad essere loro vicino con affetto ed auspico che tutti ritrovino l’unità dei cuori nel perseguire il vero bene del Paese.

Affido il mio voto a Maria Santissima, così venerata dal popolo filippino, chiedendoLe che lo protegga e lo sostenga nel non facile cammino della sua storia nazionale.

Al termine dell’udienza generale di questa mattina Giovanni Paolo II si incontra, in una sala attigua all’Aula Paolo VI, con i partecipanti al Seminario di studi organizzato dal “Jerusalem Hope Center for Interfaith Understanding and Reconciliation”. Al gruppo, composto da cristiani, ebrei e musulmani, il Papa rivolge le seguenti parole.

Ecco una nostra traduzione italiana le parole del Santo Padre.

Miei cari amici.

È per me un grande piacere darvi il benvenuto in Vaticano ed esprimere i miei più cordiali auguri per un buon esito del Congresso al quale prenderete parte sotto gli auspici del Centro di Speranza Gerusalemme per la comprensione e la riconciliazione inter–religiosa. Il fatto che la vostra delegazione composta da cristiani, ebrei e musulmani, si sia riunita per riflettere sul tema della riconciliazione tra coloro che credono nell’unico Dio è già in se stesso un motivo per rendere grazie insieme. Accentrando su Dio la vostra attenzione voi affermate che la vera riconciliazione tra i popoli è da trovarsi in lui. È Dio che continuamente riconcilia l’umanità con se stesso attraverso il perdono delle nostre colpe e la distribuzione dei suoi doni.

Sia la Bibbia che il Corano insegnano che il perdono e la giustizia sono due degli attributi più caratteristici di Dio. Egli, “l’Unico”, “il Misericordioso”, “il Pietoso”, concederà all’umanità queste qualità solo se apriamo i nostri cuori e gli permettiamo di farlo. Egli vuole che noi siamo misericordiosi gli uni nei confronti degli altri. Lungo questo sentiero ci sono nocive soluzioni da trovare per i conflitti politici, razziali e confessionali che hanno afflitto la famiglia umana nella storia.

Desidero incoraggiarvi nei vostri sforzi. Nel mondo d’oggi è più che mai importante che gli uomini di fede pongano al servizio dell’umanità le loro convinzioni religiose, trovate nella pratica giornaliera dell’ascolto del messaggio di Dio incontrandolo in un lavoro devoto. Le mie preghiere e le mie speranze sono con voi dal momento che voi continuate la vostra riflessione sul Dio del perdono e della giustizia, il Dio della pace e della riconciliazione.





Catechesi 79-2005 29186