Catechesi 79-2005 20486

Mercoledì, 2 aprile 1986

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1. La creazione, sul cui fine abbiamo meditato nella catechesi precedente dal punto di vista della dimensione “trascendentale”, esige anche una riflessione dal punto di vista della dimensione immanente. Ciò è reso oggi particolarmente necessario dal progresso della scienza e della tecnica, che ha introdotto significativi mutamenti nella mentalità di molti uomini del nostro tempo. Infatti “molti nostri contemporanei sembrano temere che, se si fanno troppo stretti i legami tra attività umana e religiosa, venga impedita l’autonomia degli uomini, della società delle scienze” (Gaudium et Spes
GS 39).

Il Concilio ha affrontato questo problema, che è strettamente collegato con la verità di fede circa la creazione e il suo fine, proponendone una spiegazione chiara e convincente. Ascoltiamola.

2. “Se per autonomia delle realtà terrene intendiamo che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una esigenza legittima, che non è postulata dagli uomini del nostro tempo, anche è conforme al volere del Creatore. Infatti è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; tutto ciò l’uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o arte. Perciò la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Iddio.

“Anzi, chi si sforza con umiltà e perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza avvertirlo viene come condotto dalla mano di Dio, il quale mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quelle che sono. A questo punto ci sia concesso di deplorare certi atteggiamenti mentali, che talvolta non mancano nemmeno tra i cristiani, derivati dal non aver sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, e che, suscitando contese e controversie, trascinarono molti spiriti a tal punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro.

“Se invece con l’espressione «autonomia delle realtà temporali» si intende che le cose create non dipendono da Dio, e che l’uomo può adoperarle così da non riferirle al Creatore, allora nessuno che creda in Dio non avverte quanto false siano tali opinioni. La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce. Del resto tutti coloro che credono, a qualunque religione appartengano, hanno sempre inteso la voce e la manifestazione di lui nel linguaggio delle creature. Anzi, l’oblio di Dio priva di luce la creatura stessa” (Gaudium et Spes GS 36).

3. Fin qui il testo conciliare. Esso costituisce uno sviluppo dell’insegnamento che la fede offre sulla creazione, e opera un confronto illuminante tra questa verità della fede e la mentalità degli uomini del nostro tempo, fortemente condizionata dallo sviluppo delle scienze naturali e dal progresso della tecnica. Cerchiamo di raccogliere in una sintesi organica i pensieri principali contenuti nel paragrafo 36 della costituzione Gaudium et Spes.

A) Alla luce della dottrina del Concilio Vaticano II la verità circa la creazione non è soltanto una verità di fede, basata sulla rivelazione dell’Antico e del Nuovo Testamento. Essa è anche una verità che unisce tutti gli uomini credenti “a qualunque religione appartengano”, tutti coloro cioè che nel “linguaggio delle creature intendono la voce e la manifestazione del Creatore”.

B) Questa verità, pienamente manifestata nella rivelazione, è tuttavia di per sé accessibile alla ragione umana. Lo si può dedurre dall’insieme dell’argomentazione del testo conciliare e in particolare dalle frasi: “La creatura . . . senza il Creatore svanisce”, “l’oblio di Dio priva di luce la creatura”. Queste espressioni (almeno in modo indiretto) indicano che il mondo delle creature ha necessità della Ragione Ultima, e della Causa Prima. È in forza della loro stessa natura che gli esseri contingenti hanno bisogno, per esistere, di un appoggio nell’Assoluto (nell’Essere necessario), che è Esistenza per sé (“Esse subsistens”). Il mondo contingente e fugace “svanisce senza il Creatore”.

C) In relazione alla verità, così intesa, circa la creazione, il Concilio opera una distinzione fondamentale tra l’autonomia “legittima” e quella “illegittima” delle realtà terrene. Illegittima (cioè non conforme alla verifica della rivelazione) è l’autonomia che proclami l’indipendenza delle realtà create da Dio Creatore, e sostenga “che le cose create non dipendono da Dio, e che l’uomo può adoperarle così da non riferirle al Creatore”. Un tale modo d’intendere e di comportarsi nega e rifiuta la verità circa la creazione; e, il più delle volte - se non addirittura per principio - tale posizione viene sostenuta proprio a nome dell’“autonomia” del mondo, e dell’uomo nel mondo, della conoscenza e dell’azione umana. È però bene aggiungere subito che nel contesto di un’“autonomia” così intesa è l’uomo che viene in realtà privato della propria autonomia nei confronti del mondo, e finisce per trovarsi di fatto ad esso sottomesso. È un tema sul quale ritorneremo.

D) L’“autonomia delle realtà terrene” intesa in questo modo è - secondo il testo citato della costituzione Gaudium et Spes - non soltanto illegittima, ma anche inutile. Infatti le cose create godono di una autonomia loro propria “per volontà del Creatore”, che è radicata nella loro stessa natura, appartenendo al fine della creazione (nella sua dimensione immanente). “Infatti è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine”. L’affermazione se si riferisce a tutte le creature del mondo visibile, si riferisce in modo eminente all’uomo. Infatti l’uomo, nella stessa misura in cui cerca di “scoprire, usare e ordinare: in modo coerente le leggi e i valori del cosmo non soltanto partecipa in maniera creativa l’autonomia legittima delle cose create, ma realizza in modo corretto l’autonomia che gli è propria. E così si incontra con la finalità immanente della creazione, e indirettamente anche con il Creatore: “viene come condotto dalla mano di Dio, il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quelle che sono” (Gaudium et Spes GS 36).

4. Occorre aggiungere che con il problema della “legittima autonomia delle realtà terrene” si collega anche il problema, oggi molto sentito, dell’“ecologia”, cioè la preoccupazione per la protezione e la preservazione dell’ambiente naturale.

Il dissesto ecologico, che suppone sempre una forma di egoismo anticomunitario, nasce da un uso arbitrario - e in definitiva nocivo - delle creature, di cui si violano le leggi e l’ordine naturale, ignorando o disprezzando la finalità che è immanente all’opera della creazione. Anche tale modo di comportarsi deriva da una falsa interpretazione dell’autonomia delle cose terrene. Quando l’uomo adopera queste cose “così da non riferirle al Creatore” - per usare ancora le parole della costituzione conciliare - egli reca anche a se stesso danni incalcolabili.

La soluzione del problema della minaccia ecologica rimane in stretto rapporto con i principi della “legittima autonomia delle realtà terrene”, cioè in definitiva con la verità circa la creazione e circa il Creatore del mondo.

Ad un pellegrinaggio di Montmartre e a numerosi fedeli della Diocesi di Strasburgo

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Ai fedeli di espressione inglese

Ai gruppi di espressione spagnola

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Ai connazionali polacchi

Ai numerosi pellegrinaggi dalle Diocesi italiane

Un particolare saluto rivolgo ora al gruppo di sacerdoti dell’Arcidiocesi di Milano, che celebrano quest’anno il 25° anniversario della loro Ordinazione, ricevuta dall’allora Cardinale Montini. E altrettanta benevolenza esprimo ai Sacerdoti Salesiano di Torino e del Piemonte, che ricordano anche’essi 25 anni di Sacerdozio.

Nel congratularmi con voi, carissimi fratelli, per il felice traguardo, formo l’auspicio di un sempre più fruttuoso sacro ministero per il bene della Chiesa e delle anime a voi affidate.

Su di voi e sulla vostra attività invoco la divina assistenza e vi imparto la mia Benedizione.
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Il mio cordiale benvenuto va ora alle Suore appartenenti al “Movimento Internazionale delle Religiose aderenti al Movimento dei Focolari”, riunite in questi giorni al Centro Mariapoli di Rocca di Papa, per trattare il tema “il Vangelo e la spiritualità dell’Unità”. Seguendo gli esempi e gli insegnamenti dei vostri rispettivi fondatori e fondatrici, carissime sorelle, sarete in grado di corrispondere agli ideali della vostra vita consacrata operando, nel clima dell’unità e della carità, con totale dedizione a Cristo ed alla Chiesa. Con la mia Benedizione Apostolica.

Ai giovani

Un saluto particolare va a voi, giovani.Mi rallegro di questo cammino che vi ha condotto qui, al cuore della Chiesa, ed auspico che esso vi permetta di portare ai vostri amici ed alle vostre famiglie una decisa testimonianza del Cristo Risorto.

Guardate al Redentore, cogliendone la pienezza della carità e l’ampiezza della missione. Apritevi al cammino della vita con Lui con la stessa disponibilità di ascolto verso lo Spirito Santo, con lo stesso amore verso la Chiesa, con la stessa gratitudine verso la benevolenza divina, che furono presenti in Maria.

Il Signore vi accompagni sempre e vi conceda la letizia e la gioia pasquali. Da parte mia, vi assicuro del mio affetto e vi benedico di cuore.

Agli ammalati

Sono lieto di rivolgere ora una parola di benvenuto e di conforto a voi, ammalati. Carissimi, sappiate che non vi è mai donato con tanta abbondanza Gesù come quando vi viene offerta l’occasione di essere configurati alla sua Passione, sperimentando l’amore puro del dono di sé: “Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare”.

Mentre prego il Signore, perché guardi al vostro dolore, soprattutto quando esso vi potrebbe inclinare a cedere, Gli chiedo che vi sostenga con la sua grazia, affinché, come rivestite l’aspetto del Cristo sofferente, così brilli nei vostri cuori la luce del Risorto.

Nel suo nome benedico voi e quanti vi assistono.

Agli sposi novelli

Mi è caro salutare anche voi, sposi novelli, con l’augurio di una vita ricca della gioia di Gesù Risorto.

La vostra recente unione ha come fonte inesauribile l’amore di Dio, il quale vi dona pure l’energia spirituale per manifestare la bellezza, la grandezza e la santità, che distinguono il vincolo matrimoniale davanti alla comunità ecclesiale ed all’intera società.

Mentre domando alla Vergine Maria che, sotto la sua materna protezione, possiate condurre per lunghi anni una vita armoniosa e serena, di cuore vi do la mia Benedizione Apostolica, propiziatrice di ogni desiderato bene.

Un nuovo appello affinché non si desista “dall’impegno di preservare, nel contesto dei popoli medio-orientali e della comunità internazionale, un Libano sovrano ed indipendente, fondato sul sereno vivere insieme e sulla collaborazione di tutti i suoi gruppi” è lanciato questa mattina dal Santo Padre al termine dell’udienza generale in Piazza San Pietro. Queste le sue parole.

Anche nei giorni di Pasqua, la popolazione libanese ha vissuto ore di incertezza e di ansietà, sotto l’incubo di bombardamenti e di combattimenti, in atto o in minaccia tra diversi gruppi. Il mio pensiero e la mia preghiera sono andati costantemente a tutti i libanesi, specialmente alle famiglie più povere e ignare di complicazioni politiche, che pagano duramente con la perdita delle case, dei propri campi e, ancor più, dei figli, travolte in una vicenda che non le vede protagoniste, ma vittime.

A questa realtà umana si rivolge la sollecitudine della Santa Sede, tesa a scongiurare nuovi scontri o massacri. È il motivo per cui, due settimane prima di Pasqua, ho inviato in missione a Beirut e a Damasco monsignor Achille Silvestrini, segretario del Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa. La visita ha voluto significare un atto di buona volontà, la testimonianza di una presenza nella quale la popolazione libanese possa scorgere un incoraggiamento e un aiuto morale a risollevarsi. Non si può, infatti, desistere dall’impegno di preservare, nel contesto dei popoli medio-orientali e della Comunità internazionale, un Libano sovrano e indipendente, fondato sul sereno vivere insieme e sulla collaborazione di tutti i suoi gruppi, nel rispetto della identità religiosa e culturale di ciascuno e nella comune appartenenza a una tradizione che, un tempo, rese il Libano conosciuto e ammirato.

Io credo che sia possibile trovare un accordo tra i cristiani, e tra questi e gli altri gruppi di convinzione e tradizioni islamiche, per una equilibrata, giusta e stabile intesa nazionale, che permetta di assicurare allo Stato libanese il suo ruolo interno e internazionale. Vi invito a pregare con me perché il Signore aiuti la Nazione libanese, tanto provata, ad affrettare - con l’impegno di tutti - l’attuarsi di questa speranza così largamente invocata.


Mercoledì, 9 aprile 1986

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1. Il Simbolo della fede parla di Dio “Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili”; non parla direttamente della creazione dell’uomo. L’uomo appare, nel contesto soteriologico del Simbolo, in riferimento all’Incarnazione, come è evidente in modo particolare nel Simbolo niceno-costantinopolitano, quando si professa la fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio, il quale “per noi uomini” e per la nostra salvezza discese dal cielo . . . e “si è fatto uomo”.

Dobbiamo tuttavia ricordare che l’ordine della salvezza non soltanto presuppone la creazione, ma anzi prende inizio da essa. Il Simbolo della fede ci rimanda, nella sua concisione, all’insieme della verità rivelata circa la creazione, per scoprire la posizione davvero singolare ed eccelsa che è stata data all’uomo.

2. Come abbiamo già ricordato nelle catechesi precedenti, il libro della Genesi contiene due narrazioni della creazione dell’uomo. Dal punto di vista cronologico è anteriore la descrizione contenuta nel secondo capitolo della Genesi, è invece posteriore quella del primo capitolo. Nell’insieme le due descrizioni si integrano a vicenda, contenendo entrambe elementi teologicamente molto ricchi e preziosi.

3. Nel libro della Genesi
Gn 1,26 leggiamo che al sesto giorno Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”.

È significativo che la creazione dell’uomo sia preceduta da questa sorta di dichiarazione con cui Dio esprime l’intenzione di creare l’uomo a sua immagine, anzi “a nostra immagine”, al plurale (in sintonia col verbo “facciamo”). Secondo alcuni interpreti, il plurale indicherebbe il “Noi” divino dell’unico Creatore. Questo sarebbe quindi, in qualche modo, un primo lontano segnale trinitario. In ogni caso la creazione dell’uomo, secondo la descrizione di Genesi 1, è preceduta da un particolare “rivolgersi” a se stesso, “ad intra”, di Dio che crea.

4. Segue quindi l’atto creatore. “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gn 1,27). Colpisce in questa frase il triplice uso del verbo “creò” (“barà”), che sembra testimoniare una particolare importanza e intensità dell’atto creatore. Questa stessa indicazione sembra doversi trarre anche dal fatto che, mentre ogni giorno della creazione si conclude con l’annotazione: “Dio vide che era cosa buona” (cfr Gn 1,27 Gn 1,3), dopo la creazione dell’uomo, il sesto giorno, è detto che “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gn 1,31).

5. La descrizione più antica, la “jahvista” di Gen 2 non usa l’espressione “immagine di Dio”. Questa appartiene esclusivamente al testo posteriore, che è più “teologico”. Ciò nondimeno la descrizione jahvista presenta, anche se in modo indiretto, la stessa verità. È detto infatti che l’uomo, creato da Dio-Jahvè, mentre ha potere di “imporre il nome” agli animali (cfr Gn 2,19-20), non trova tra tutte le creature del mondo visibile “un aiuto che gli fosse simile”; e cioè constata la sua singolarità. Benché non parli direttamente dell’“immagine” di Dio, il racconto di Genesi 2 ne presenta alcuni elementi essenziali: la capacità di autoconoscersi, l’esperienza del proprio essere nel mondo, il bisogno di riempire la propria solitudine, la dipendenza da Dio.

6. Tra questi elementi, vi è pure l’indicazione che uomo e donna sono uguali quanto a natura e dignità. Infatti, mentre nessuna creatura poteva essere per l’uomo “un aiuto che gli fosse simile”, egli trova un tale “aiuto” nella donna creata da Dio-Jahvè. Secondo Genesi 2, 21-22 Dio chiama all’essere la donna, traendola dal corpo dell’uomo: da “una delle costole” dell’uomo. Ciò indica la loro identità nell’umanità, la loro somiglianza essenziale pur nella distinzione. Poiché tutti e due partecipano della stessa natura, hanno entrambi la stessa dignità di persona.

7. La verità circa l’uomo creato a “immagine di Dio” ritorna anche in altri passi della Sacra Scrittura, sia nella stessa Genesi (“Ad immagine di Dio egli ha fatto l’uomo”: Gn 9,6), sia in altri Libri Sapienziali. Nel Libro della Sapienza (Sg 2,23) è detto: “Dio ha creato l’uomo per l’immortalità; lo fece ad immagine della propria natura”. E nel Libro del Siracide (Si 17,1 Si 17,3) leggiamo: “Il Signore creò l’uomo dalla terra e ad essa lo fa ritornare di nuovo . . . Secondo la sua natura li riveste di forza, e a sua immagine li formò”.

L’uomo, dunque, è creato per l’immortalità, e non cessa di essere immagine di Dio dopo il peccato, anche se viene sottomesso alla morte. Porta in sé il riflesso della potenza di Dio, che si manifesta soprattutto nella facoltà dell’intelligenza e della libera volontà. L’uomo è soggetto autonomo, fonte delle proprie azioni, pur mantenendo le caratteristiche della sua dipendenza da Dio, suo creatore (contingenza ontologica).

8. Dopo la creazione dell’uomo, maschio e femmina, il Creatore “li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci . . . e sugli uccelli . . . e su ogni essere vivente»” (Gn 1,28). La creazione a immagine di Dio costituisce il fondamento del dominio sulle altre creature del mondo visibile le quali sono state chiamate all’esistenza in vista dell’uomo e “per lui”.

Del dominio di cui parla Genesi 1,28 partecipano tutti gli uomini, ai quali il primo uomo e la prima donna hanno dato origine. Vi allude anche la redazione jahvista (Gn 2,24), alla quale avremo ancora occasione di tornare. Trasmettendo la vita ai propri figli, uomo e donna donano loro in eredità quell’“immagine di Dio”, che fu conferita al primo uomo nel momento della creazione.

9. In questo modo l’uomo diventa una espressione particolare della gloria del Creatore del mondo creato. “Gloria Dei vivens homo, vita autem hominis visio Dei”, scriverà sant’Ireneo (Adv. Haer., IV,20,7). Egli è gloria del Creatore in quanto è stato creato a immagine di lui e specialmente in quanto accede alla conoscenza vera del Dio vivente. In questo trovano fondamento il particolare valore della vita umana, come anche tutti i diritti umani (oggi messi tanto in rilievo).

10. Mediante la creazione a immagine di Dio, l’uomo è chiamato a diventare, tra le creature del mondo visibile, un portavoce della gloria di Dio, e, in un certo senso, una parola della sua Gloria.

L’insegnamento sull’uomo, contenuto nelle prime pagine della Bibbia (Gn 1), s’incontra con la rivelazione del Nuovo Testamento circa la verità di Cristo, che quale Verbo eterno, è “immagine del Dio invisibile”, e insieme “generato prima di ogni creatura” (Col 1,15). L’uomo creato a immagine di Dio acquista, nel piano di Dio, una speciale relazione con il Verbo, eterna immagine del Padre, il quale nella pienezza dei tempi si farà carne. Adamo - scrive san Paolo - “è figura di colui che doveva venire” (Rm 5,11). Infatti, “quelli che . . . da sempre ha conosciuto (Dio Creatore) li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli” (Rm 8,29).

11. Così dunque la verità circa l’uomo creato a immagine di Dio non determina soltanto il posto dell’uomo in tutto l’ordine della creazione, ma parla già anche del suo legame con l’ordine della salvezza in Cristo, che è l’eterna e consostanziale “immagine di Dio” (2Co 4,4): immagine del Padre. La creazione dell’uomo a immagine di Dio, già dall’inizio del Libro della Genesi rende testimonianza alla sua chiamata.

Questa chiamata si rivela pienamente con la venuta di Cristo. Proprio allora, grazie all’azione dello “Spirito del Signore”, si apre la prospettiva della piena trasformazione nell’immagine consostanziale di Dio, che è Cristo (cfr 2Co 3,18). Così l’“immagine” del libro della Genesi (Gn 1,27) raggiunge la pienezza del suo significato rivelato.

Ad alcuni gruppi di espressione francese

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Ai fedeli di lingua inglese

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Ai pellegrini di lingua tedesca

Ai fedeli di lingua spagnola

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Ai fedeli di lingua polacca

Ad alcuni gruppi italiani

Saluto ora cordialmente il gruppo di pellegrini della comunità parrocchiale di S. Lucia in Magliano dei Marsi, guidati dal Vescovo del luogo Monsignor Biagio Terrinoni. Essi sono giunti per rendere omaggio alla Sede di Pietro e chiedere una benedizione per loro e per la sacra immagine della “Madonna del Ravone”, titolo sotto il quale, in quelle zone, è recentemente fiorito nel popolo il culto alla Vergine Madre di Dio.

Desidero esprimere, cari fratelli, il mio compiacimento per questo vostro attestato di sincera devozione a Maria Santissima, che si pone tra i consolanti segni di ripresa del culto mariano, ai quali oggi stiamo assistendo. Auguro fecondi e salutari incrementi a questa nuova devozione, in uno spirito di piena comunione ecclesiale e di ferventi opere di carità e giustizia. E ben volentieri benedico tutti voi e la sacra icona che avete qui portato.
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Saluto anche con vivo affetto il gruppo di alunni liceali del Seminario di Verona, guidato dal Vicerettore. Vi ringrazio per essere venuti e vi rivolgo il mio caldo augurio che la vostra attuale esperienza, condotta nella luce della verità e della carità, vi valga a chiarire con gioiosa certezza il senso spirituale ed ecclesiale del vostro futuro. Vi accompagna la mia Benedizione.

Ai giovani

Desidero ora porgere un affettuoso benvenuto a tutti i giovani che partecipano a questa Udienza, provenienti in gran parte da Parrocchie e da Scuole d’Italia. Saluto in particolare le numerose alunne dei corsi Regionali e delle classi elementari della Scuola San Giovanni Bosco di Via Appia in Roma; il folto gruppo degli alunni ed insegnanti delle Scuole Elementari della Valle di Comino; gli Allievi e i Professori dell’Istituto Tecnico Statale Commerciale “Gaetano Filangieri” di Formia; gli alunni della Scuola Media Cattolica “San Massimiliano Kolbe” di Legnano e della Scuola Media “Dante Alighieri” di Sammichele di Bari con i rispettivi accompagnatori.

A voi tutti, carissimi giovani, che recate nei vostri cuori fervidi ideali di fede, di giustizia e di progresso, io dico in questo clima pasquale: “Cercate le cose di lassù”, sappiate cioè dare un senso veramente cristiano alla vostra vita e alla realtà che vi circonda e nella quale siete coinvolti. Guardate alla luce del Vangelo il vostro Studio, il vostro lavoro e anche il vostro divertimento, in maniera da essere testimoni attendibili del Cristo morto e risorto, e da saper diffondere sempre e dappertutto il senso cristiano della vita e la gioia pasquale, che ne è il segno distintivo.

Agli ammalati

Rivolgo poi un pensiero benedicente agli ammalati, fra i quali desidero menzionare il gruppo dell’associazione Volontari della Sofferenza dell’Arcidiocesi di Udine.

Voi siete qui in prima fila in questa piazza, ma lo siete anche e soprattutto nel mio cuore, per l’affetto che nutro per ciascuno di voi che soffrite. In questo tempo pasquale, abbiate davanti agli occhi l’episodio dei due discepoli di Emmaus, ai quali il Signore risorto, fattosi compagno di viaggio, rivela il senso cristiano del dolore: “Non bisognava che il Cristo sopportasse queste cose per entrare nella sua gloria?”. Tutti siamo chiamati alla gloria, ma ciò avviene per la via della sofferenza, la quale, se unita a quella di Gesù, conduce certamente alla salvezza e alla gioia della trasfigurazione con Cristo.

Agli sposi novelli

Anche agli sposi novelli, qui presenti, che hanno da poco consacrato il loro amore col vincolo sacro del matrimonio, rivolgo i miei saluti e i miei auguri per una felice vita coniugale in un amore sempre crescente e nella fedeltà cristiana. La vostra nascente famiglia sia illuminata dalla presenza di Dio, che non nega la forza e la gioia a chi vive secondo i suoi comandamenti. Il Signore vi mantenga nell’entusiasmo e nella freschezza di sentimenti che nutrite in questi giorni l’uno per l’altra. A conferma di questi auspici vi benedico di cuore.



Mercoledì, 16 aprile 1986

16486

1. L’uomo creato a immagine di Dio è un essere insieme corporale e spirituale, un essere cioè che, per un aspetto, è legato al mondo esteriore e per l’altro lo trascende. In quanto spirito, oltre che corpo, egli è persona. Questa verità sull’uomo è oggetto della nostra fede, così come lo è la verità biblica circa la sua costituzione a “immagine e somiglianza” di Dio; ed è verità costantemente presentata, nel corso dei secoli, dal magistero della Chiesa.

La verità circa l’uomo non cessa di essere nella storia oggetto di analisi intellettuale, nell’ambito sia della filosofia che di numerose altre scienze umane: in una parola, oggetto dell’antropologia.

2. Che l’uomo sia spirito incarnato, se si vuole, corpo informato da uno spirito immortale, lo si ricava già in qualche modo dalla descrizione della creazione contenuta nel Libro della Genesi e in particolare dal racconto “jahvista”, che fa uso, per così dire, di una “messa in scena” e di immagini antropomorfiche. Leggiamo che “il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (
Gn 2,7). Il seguito del testo biblico ci permette di comprendere chiaramente che l’uomo, creato in questo modo, si distingue dall’intero mondo visibile, e in particolare dal mondo degli animali. L’“alito di vita” ha reso l’uomo capace di conoscere questi esseri, di imporre loro il nome e riconoscersi diverso da loro (cfr Gn 2,18-20). Benché nella descrizione “jahvista” non si parli dell’“anima”, tuttavia è facile dedurne che la vita donata all’uomo nell’atto della creazione è di natura tale da trascendere la semplice dimensione corporale (quella propria degli animali). Essa attinge, al di là della materialità, la dimensione dello spirito, nella quale sta il fondamento essenziale di quell’“immagine di Dio”, che Genesi 1, 27 vede nell’uomo.

3. L’uomo è una unità: è qualcuno che è uno con se stesso. Ma in questa unità è contenuta una dualità. La Sacra Scrittura presenta sia l’unità (la persona) che la dualità (l’anima e il corpo). Si pensi al Libro del Siracide che dice ad esempio: “Il Signore creò l’uomo dalla terra e ad essa lo fa ritornare di nuovo” e più oltre: “Discernimento, lingua, occhi, orecchi e cuore diede loro (agli uomini) perché ragionassero. Li riempì di dottrina e d’intelligenza e indicò loro anche il bene e il male” (Si 17,1 Si 17,5-6).

Particolarmente significativo è, da questo punto di vista, il Salmo 8 (Ps 8,5-7) che esalta il capolavoro umano, rivolgendosi a Dio con le seguenti parole: “Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani. Tutto hai posto sotto i suoi piedi”.

4. Si sottolinea spesso che la tradizione biblica mette in rilievo soprattutto l’unità personale dell’uomo, servendosi del termine “corpo” per designare l’uomo intero (cfr Ps 145,21 Jn 3,1 Is 66,23 Jn 1,14). L’osservazione è esatta. Ma ciò non toglie che nella tradizione biblica sia pure presente, a volte in modo molto chiaro, la dualità dell’uomo. Questa tradizione si riflette nelle parole di Cristo: “Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna” (Mt 10,28).

5. Le fonti bibliche autorizzano a vedere l’uomo come unità personale e insieme come dualità di anima e di corpo: concetto che ha trovato espressione nell’intera Tradizione e nell’insegnamento della Chiesa. Questo insegnamento ha recepito non soltanto le fonti bibliche, ma anche le interpretazioni teologiche che di esse sono state date sviluppando le analisi condotte da certe scuole (Aristotele) della filosofia greca.

È stato un lento lavorio di riflessione, culminato principalmente sotto l’influsso di san Tommaso d’Aquino - nei pronunciamenti del Concilio di Vienne (1312), dove l’anima è chiamata “forma” del corpo: “forma corporis humani per se et essentialiter” (DS 902). La “forma”, come fattore che determina la sostanza dell’essere “uomo”, è di natura spirituale. E tale “forma” spirituale, l’anima, è immortale. È quanto in seguito, ha ricordato autorevolmente il Concilio Lateranense V (DS 1513): l’anima è immortale, diversamente dal corpo che è sottomesso alla morte (cfr DS 1440). La scuola tomista sottolinea contemporaneamente che, in virtù dell’unione sostanziale del corpo e dell’anima, quest’ultima, anche dopo la morte, non cessa di “aspirare” a unirsi al corpo. Il che trova conferma nella verità rivelata circa la risurrezione del corpo.

6. Benché la terminologia filosofica, utilizzata per esprimere unità e la complessità (dualità) dell’uomo, sia talvolta oggetto di critica, è fuor di dubbio che la dottrina sull’unità della persona umana e insieme sulla dualità spirituale-corporale dell’uomo è pienamente radicata nella Sacra Scrittura e nella Tradizione. E nonostante si esprima spesso la convinzione che l’uomo è “immagine di Dio” grazie all’anima, non è assente, nella dottrina tradizionale, la persuasione che anche il corpo partecipi, a suo modo, alla dignità dell’“immagine di Dio”, così come partecipa alla dignità della persona.

7. Nei tempi moderni una difficoltà particolare contro la dottrina rivelata circa la creazione dell’uomo, quale essere composto di anima e corpo, è stata sollevata dalla teoria dell’evoluzione. Molti cultori delle scienze naturali che, con metodi loro propri, studiano il problema dell’inizio della vita umana sulla terra, sostengono - contro altri loro colleghi - l’esistenza non soltanto di un legame dell’uomo con l’insieme della natura, ma anche la derivazione delle specie animali superiori. Questo problema, che sin dal secolo scorso, ha occupato gli scienziati, coinvolge vasti strati dell’opinione pubblica. La risposta del magistero è stata offerta dall’enciclica Humani generis di Pio XII nell’anno 1950. In essa leggiamo: “Il magistero della Chiesa non ha nulla in contrario a che la dottrina dell’“evoluzionismo”, in quanto esso indaga circa l’origine del corpo umano derivante da una Materia preesistente e viva - la fede cattolica infatti ci obbliga a tenere fermo che le anime sono state create immediatamente da Dio - sia oggetto di investigazione e discussione da parte degli esperti . . .” (DS 3896).

Si può dunque dire che, dal punto di vista della dottrina della fede, non si vedono difficoltà nello spiegare l’origine dell’uomo, in quanto corpo, mediante l’ipotesi dell’evoluzionismo. Bisogna tuttavia aggiungere che l’ipotesi propone soltanto una probabilità, non una certezza scientifica. La dottrina della fede invece afferma invariabilmente che l’anima spirituale dell’uomo è creata direttamente da Dio. È cioè possibile secondo l’ipotesi accennata, che il corpo umano, seguendo l’ordine impresso dal Creatore nelle energie della vita, sia stato gradatamente preparato nelle forme di esseri viventi antecedenti. L’anima umana, però, da cui dipende in definitiva l’umanità dell’uomo, essendo spirituale, non può essere emersa dalla materia.

8. Una bella sintesi della creazione sopra esposta si trova nel Concilio Vaticano II: “Unità di anima e di corpo - vi si dice - l’uomo sintetizza in sé, per la stessa sua condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, così che questi attraverso di lui toccano il loro vertice” (Gaudium et Spes GS 14). E più avanti: “L’uomo, però, non sbaglia a riconoscersi superiore alle cose corporali e a considerarsi più che soltanto una particella della natura . . . Infatti, nella sua interiorità, egli trascende l’universo” (Gaudium et Spes GS 14). Ecco, dunque, come la stessa verità circa l’unità e la dualità (la complessità) della natura umana può essere espressa con un linguaggio più vicino alla mentalità contemporanea.

Ai fedeli di lingua francese

Ai fedeli di espressione inglese

Ai fedeli di lingua spagnola

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Ai fedeli polacchi

Ai pellegrini italiani

Saluto cordialmente il Vescovo ed i pellegrini della Diocesi di Treviso, qui convenuti, insieme col Presidente della Regione, il Sindaco ed altre autorità, per restituire la visita che ho fatto alla terra di San Pio X nel giugno dello scorso anno.

Vi ringrazio per la vostra presenza, che mi riconduce con la memoria alla vostra Marca Gioiosa e vi esorto a tendere sempre verso i grandi ideali del programma pastorale di San Pio X: la santificazione dei sacerdoti, fondata su concreti impegni di vita spirituale e su una profonda pietà eucaristica; la catechesi organica e permanente, unica ed insostituibile via per lo sviluppo e la conservazione della fede nel popolo; l’unità di tutta la Chiesa, mediante una comunione viva nella dottrina, unita ad una tenace ed affettuosa ricerca di quanto essa insegna con la sua predicazione nel corso dei tempi.

Carissimi fedeli di Treviso, vivete questo triplice impegno, tanto profondamente radicato nelle vostre tradizioni, e tanto essenziale per la vita di tutto il Popolo di Dio. E’ dalla catechesi, infatti, che dovete trarre luce e forza per attuare la vostra vocazione ecclesiale e per orientare efficacemente i vostri sforzi verso un ordine sociale fondato sulla verità, realizzato nella giustizia, vitalizzato dall’amore, garantito nella libertà.

Continuate a rafforzare quella fattiva collaborazione tra il ministero sacerdotale e l’azione dei laici che ha sempre caratterizzato la vita delle vostre parrocchie e che ha consentito alle vostre popolazioni di trovare proprio nella Chiesa gli orientamenti più validi per la loro promozione spirituale ed umana.

A tutti voi rinnovo la mia Benedizione Apostolica.
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Saluto i partecipanti al convegno della Confcommercio della Confederazione Italiana del Commercio, del Turismo e dei Servizi, associazione che celebra il quarantesimo anno di vita. Saluto il Presidente ed i rappresentanti di tutte le federazioni associate, con i loro dirigenti.

Mi compiaccio con voi per lo sviluppo ottenuto dalla federazione in questi quarant’anni. Infatti ad essa aderiscono oltre un milione di operatori del Commercio, del Turismo e dei Servizi, dei quali rappresenta le aspirazioni, le esigenze ed i progetti. La vostra numerosa presenza qui è da sola una testimonianza viva della validità e della operosità del vostro sodalizio.

Il vostro lavoro, che si esercita nell’intero mondo del terziario, è una qualificata presenza, di cui il ritmo della vita moderna fa sentire sempre più la necessità.

Nelle attività che riguardano più specificamente il vostro settore, voi lo sapete bene, vi sono dei valori che si rifanno allo sviluppo economico e culturale dell’uomo. Essi interpellano intimamente la coscienza umana.

Auspico per tutti voi che sappiate con intelligenza impegnare le vostre forze, i vostri interessi al servizio della società, alla crescita dell’uomo. Vi invito a far in modo che tra i vostri programmi vi sia l’aspirazione a contribuire alla promozione ed all’elevazione della società stessa, accettando la fatica del vostro lavoro non soltanto per ottenere un profitto materiale, ma anche per raggiungere un prezioso servizio. Il vostro “banco” di lavoro sia ogni giorno testimone della vostra generosa disponibilità per il servizio di chi vi incontra. Il vostro serio impegno etico nella professione diverrà così un valido contributo per superare quelle difficoltà che le differenze e gli interessi contrastanti tra cittadini e categorie di persone possono portare alla società civile.

A voi tutti il mio augurio, unito ad un pensiero benedicente.
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Saluto anche tutti i componenti della comunità “Casa Santa Chiara”. Siate i benvenuti. Mi compiaccio con voi per l’impegno che volontariamente e generosamente offrite a persone che si trovano in condizioni di particolare bisogno, condividendo con loro la vita quotidiana, promuovendo verso di loro, specialmente con il vostro esempio, una maggiore solidarietà della società ecclesiale e civile. Voi formate con loro una famiglia e sostenete, altresì, altre famiglie colpite da sofferenze nei loro membri più cari. A ciò vi porta la carità cristiana.

Il Signore sostenga la vostra fatica, conforti il vostro zelo. Di cuore vi benedico.

Ai giovani

Porgo ora il mio saluto ai ragazzi ed ai giovani presenti. Siamo nel tempo liturgico pasquale. Occorre credere che Cristo è risorto e soprattutto ricordare, rinnovare la coscienza che Egli è vivo, è - meglio - il Vivente che opera ancor oggi nella storia dell’uomo e nella vita della Chiesa. Vi invito per questo a fare esperienza personale e diretta con Lui, riscoprendo la forza dei sacramenti che vi hanno rigenerati come nuove creature e vi hanno introdotti nella Comunità dei redenti: il Battesimo, la Penitenza, l’Eucaristia, la Confermazione. Lasciatevi trasformare dall’incontro sconvolgente con il Risorto. Quella linfa di grazia, quel fremito di gioia, quell’abbondanza di luce che caratterizza il mistero pasquale faranno anche di voi, come ai tempi della Chiesa nascente, dei vari testimoni, “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”. Vi accompagni in questo impegno la mia Apostolica Benedizione.

Agli ammalati

La grazia pasquale tocca da vicino anche voi, cari ammalati, ai quali indirizzo il mio pensiero. La narrazione evangelica dei fatti della Passione, oggetto di meditazione nei giorni della Settimana Santa, ci ha fatto ripercorrere, ancora una volta, le tappe distintive di ogni umana sofferenza, ma sullo sfondo del disegno salvifico di Dio. In Gesù, “uomo dei dolori che ben conosce il patire”, ogni persona che - come voi, ora - attraversa un’esperienza delicata di malattia, è resa ormai certa di trovare l’amico fedele, comprensivo e premuroso nel farsi carico dei pesi altrui. Gesù si scopre anche come un sostegno sicuro. Ed in Lui si apre anche una prospettiva di speranza per cui la prova non è fine a se stessa. E’ questa la mia parola di conforto ed il mio auspicio per voi: stretti a Gesù sofferente, siate certi di camminare verso il premio dell’eredità riservata a quelli che, amandolo, hanno riposto tutta la fiducia in Lui. Di cuore vi benedico.

Agli sposi novelli

Un saluto particolare anche agli sposi novelli, venuti a questa Udienza. Il sacramento nuziale, con il quale Cristo ha benedetto e rafforzato la consacrazione già ricevuta nel Battesimo, vi ha ora costituiti anche testimoni dell’amore nuziale che Egli porta alla Chiesa, per la quale ha dato se stesso per renderla santa e farla comparire tutta gloriosa e immacolata. Pasqua è la festa della vita data per amore, Pasqua sia la festa alla quale ispirate tutte le vostre scelte. Mantenendo sempre viva questa visione di fede ed alta la consapevolezza a quale sublime grazia il Signore vi ha chiamato. E’ l’augurio che di cuore vi do e sul quale, propiziatrice, imparto la mia Benedizione Apostolica.

Con le seguenti parole pronunciate stamane al termine dell’udienza generale, il Santo Padre vuole esprimere e condividere l’angoscia e la viva preoccupazione per la soluzione che si è creata nel Mediterraneo.

Non posso non esprimere e condividere con voi, in questo momento, l’angoscia e la viva preoccupazione per la situazione che si è creata nel Mediterraneo, che a tutti voi è ben conosciuta. Un’angoscia e una preoccupazione che si aggiungono e aggravano seriamente quelle provocate dalle guerre e dai conflitti che già insanguinano da troppo tempo regioni più lontane, ma non meno care come l’Iran e l’Iraq, il Libano, l’Afganistan, la Cambogia per non parlare che di queste; dalla guerriglia; dal terrorismo sempre più esteso e organizzato. Mentre continuo ad elevare la mia invocazione al Dio della pace e della giustizia, invito tutti i cattolici e gli uomini di buona volontà ad unirsi alla mia preghiera perché Dio assista, soprattutto, quanti sono vittime innocenti di simili situazioni e perché dia ai responsabili delle sorti delle Nazioni la saggezza e la magnanimità necessarie, in un momento così cruciale, per conoscere e percorrere le vie di una giusta intesa fra i popoli. “Domine, dona nobis pacem!”.





Catechesi 79-2005 20486