Catechesi 79-2005 14123

Mercoledì, 14 dicembre 1983

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1. Deus in adiutorium meum intende . . .: “O Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio aiuto”.

Il tempo di Avvento, che stiamo vivendo, fa salire spontanea alle nostre labbra questa invocazione di salvezza, nella quale rivive l’implorante attesa che attraversa tutto l’Antico Testamento e continua nel Nuovo. Perché noi siamo stati salvati nella speranza, dice san Paolo (cfr
Rm 8,24), e “aspettiamo dalla fede, per virtù dello Spirito, la giustificazione che speriamo” (Ga 5,5). Anche le parole conclusive dell’intera Sacra Scrittura, che abbiamo ascoltato poc’anzi, sono un grido di invocazione per la venuta e la manifestazione del Signore Gesù Salvatore: “Vieni Signore Gesù!” (Ap 22,20).

La salvezza! È la grande aspirazione dell’uomo. La Sacra Scrittura ne dà testimonianza ad ogni pagina e invita a scoprire dov’è la salvezza vera per l’uomo, chi è il suo liberatore e redentore.

2. La prima e fondamentale esperienza di salvezza il popolo di Dio l’ebbe nella liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. La Bibbia la chiama redenzione, riscatto, liberazione, salvezza. “Io sono il Signore! Vi sottrarrò ai gravami degli Egiziani, vi libererò dalla loro schiavitù e vi redimerò con braccio teso . . . Io vi prenderò come mio popolo e diventerò il vostro Dio” (Ex 6,6-7).


Fu questa la prima forma di redenzione-salvezza sperimentata collettivamente dal popolo di Dio nella storia. E la memoria di questa salvezza sarà il tratto distintivo della fede d’Israele. Per questo Israele l’ha sempre veduta come la garanzia di tutte le promesse di salvezza fatte da Dio al suo popolo, e la prima comunità cristiana l’ha subito messa in rapporto con la persona e l’opera di Cristo. Sarà lui il grande liberatore, il novello Mosè che guida dalla servitù alla libertà dei figli di Dio, dalla morte alla vita, dal peccato alla riconciliazione e alla pienezza della misericordia divina.

Il secondo grande evento di salvezza nella Bibbia è la liberazione dei deportati a Babilonia: i due eventi, della liberazione dall’Egitto e da Babilonia, vengono dai profeti intrecciati, e l’uno è messo in connessione con l’altro. Si tratta di una seconda redenzione o meglio di una continuazione e di un compimento della prima, e l’autore è di nuovo Dio, il Santo d’Israele, il liberatore e Redentore del suo popolo. “Ecco, verranno giorni, dichiara Geremia, nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda” (Jr 33,14).

L’appellativo di Salvatore e Redentore dato a Dio è dominante nella teologia dei profeti, per i quali l’esperienza della redenzione già ottenuta diventa pegno e garanzia sicura della salvezza futura, che ancora si attende. Per questo tutte le volte che Israele si trova in momenti critici invoca Dio per sperimentarne l’intervento liberatore. Egli sa che fuori di Dio non c’è Salvatore (Is 43,11 Is 47,15 Jr 4,4 Os 13,4); per questo ama invocarlo con la grande preghiera davidica: “Ti amo, Signore, mia forza, / Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore; / mio Dio, mia rupe in cui trovo riparo; / mio scudo e baluardo, / mia potente salvezza” (Ps 18,2-3).

3. Nella predicazione profetica l’annuncio-promessa della salvezza e della redenzione vengono a coincidere sempre più chiaramente con una persona: questi sarà il nuovo Davide, il pastore buono del suo popolo. Ecco come ne parla Geremia: “Ecco verranno giorni, dice il Signore, nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele starà sicuro nella sua dimora: questo sarà il nome con cui lo chiameranno: Signore-nostra-giustizia” (Jr 23,5-6). Viene anche prendendo corpo progressivamente l’idea che la redenzione sarà anzitutto un fatto spirituale. Essa toccherà il popolo nel suo intimo, lo purificherà, lo trasformerà nella mente e nel cuore. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo . . .” (Ez 36,25-26).

La grande speranza messianica viene così espressa in termini di redenzione, di giustizia, di dono dello Spirito, di purificazione dei cuori, di liberazione dai peccati individuali e sociali.

4. Nel corso dei secoli, sotto la guida di Dio, l’attesa del popolo è venuta dunque precisandosi nella speranza di una liberazione definitiva, capace di attingere le radici profonde dell’essere umano e di introdurlo a una vita nuova fatta di “giustizia e pace nello Spirito Santo” (Rm 14,17). Nei Salmi, e in tutta la preghiera del popolo di Dio, l’invocazione di questa salvezza diventa esperienza quotidiana. La salvezza viene da Dio; inutile e nocivo nutrire una fiducia presuntuosa nelle forze umane; il Signore stesso è la salvezza; lui libererà il suo popolo da tutti i suoi peccati. Un Salmo, che porta come titolo “canto delle ascensioni”, raccoglie in preziosa sintesi tutta la fede e la speranza della redenzione dell’Antico Testamento ed è diventato l’emblema stesso dell’attesa della redenzione. È il “De profundis”. Nella Chiesa è invalso l’uso di recitarlo per i defunti, ma dobbiamo appropriarcelo anche noi, pellegrini sulla via dell’incontro con Cristo, in questo Avvento dell’Anno Santo della Redenzione: “Dal profondo a te grido, o Signore: / Signore, ascolta la mia voce . . .” (Ps 130).

Che il Signore ascolti questa voce e faccia sentire ad ogni cuore che lo invoca il conforto dell’onnipotenza salvatrice del suo amore.

Ai membri del Coro Greco-Bizantino


Ai gruppi di lingua inglese

Ai giovani “Re Magi” austriaci

Ai Superiori, alunni ed ex alunni del Collegio-Seminario “Corpus Christi” di Valencia


Ad un gruppo di giuristi provenienti dal Brasile e da altre nazioni

A gruppi di pellegrini polacchi

Ai vari gruppi di fedeli italiani

Saluto ora tutti i gruppi provenienti dalle parrocchie, scuole ed Associazioni religiose di varie parti d’Italia. A tutti voi, che siete venuti a Roma, a questa città della fede, della carità e dell’unità nello spirito della penitenza riconciliatrice, auguro pienezza di grazie ed ogni conforto.
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Saluto, in particolare, il gruppo di militari delle scuole delle Trasmissioni, che sono qui venuti insieme ai loro ufficiali e Sottufficiali. Carissimi, vi ringrazio per la vostra presenza e vi assicuro la mia preghiera per voi e per le vostre famiglie.
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Mi rivolgo ora a voi, cari giovani, così numerosi. In particolare, al gruppo di 1.000 studenti dell’Istituto Tecnico per il Turismo “Cristoforo Colombo”, di Roma; ai 700 tra allievi, insegnanti e familiari della Scuola Media “Giosuè Carducci” di Foligno; ai 600 tra alunni, genitori ed insegnanti del Ginnasio-Liceo “Cornelio Tarico”, di Roma.

Voi tutti siete venuti, in quest’anno Santo della Redenzione, a questo luogo venerato, in cui l’Apostolo Pietro ha reso la sua suprema testimonianza al Signore Gesù, rinunciando, per Lui, alla stessa vita. In questo tempo di Avvento, in cui tutto vi ricorda il Natale ormai vicino, io vi chiedo di avere il coraggio di avvicinarvi, come Pietro, al Signore, di lasciarvi scrutare ed interrogare dalla Sua parola e guidare dai Suoi esempi.

Vi accompagni sempre la mia Apostolica Benedizione.
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A voi inoltre, cari malati, che come Cristo portate nei vostri cuori e nei vostri corpi i segni del dolore e della infermità, rivolgo la stessa parola confortatrice di Gesù Cristo, il quale assicura a quanti piangono e soffrono che saranno consolati. Vi chiedo quindi di accettare con fede e con gioia la vostra sofferenza, convinti che, uniti a Cristo nella Sua offerta redentrice al Padre, anche le vostre pene sono uno strumento efficace per il bene della Chiesa e anche per la conversione dei lontani.

E sia con voi l’incoraggiamento della mia Benedizione.
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Infine, un pensiero per voi, sposi novelli, che avete appena iniziato un nuovo capitolo della vostra vita. Il vostro amore, la vostra reciproca donazione, la necessaria e vicendevole comprensione siano il segno, in un mondo che sovente non ama, dell’amore vero, saldo ed incrollabile che Cristo ha per la Sua Chiesa, Voi, mariti e mogli, siate infatti, in forza del sacramento del matrimonio, segni dell’alleanza, di quel patto imperituro che Dio ha stabilito con il suo popolo, per sempre. Alimentati da questa certezza e da questo spirito, vi invito a rendere gioiosa testimonianza della vostra fede cristiana ogni giorno della vostra vita.

Vi accompagni la mia Apostolica Benedizione.



Mercoledì, 21 dicembre 1983

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1. Il testo biblico che abbiamo ascoltato, carissimi fratelli e sorelle, ci è ben noto. Esso è tratto dal libro di Isaia. Questo grande profeta, che ci ha guidato per tutto il tempo dell’Avvento, è stato chiamato il quinto evangelista per la lucidità e la chiarezza con la quale ha “salutato da lontano” (cfr
He 11,13) la figura e l’opera del Redentore.

Una raccolta di vaticini e di profezie di Isaia viene chiamata comunemente “libro dell’Emmanuele” (Is 6-12) perché vi campeggia la figura di un bambino mirabile, il cui nome, “Emmanuele”, è pieno di mistero in quanto significa “Dio con noi”. Questo bambino viene annunciato come un segno dal profeta Isaia al re Acaz in un momento di estremo pericolo per la casa regnante e per il popolo, mentre il re e la nazione stanno per essere sopraffatti dai nemici.

Il re è diffidente e non intende rivolgersi a Dio; egli ha piani umani che desidera effettuare: “Non chiederò (un segno) e non tenterò Jahvè”. Allora Dio annuncia ad Acaz il castigo, ma conferma al tempo stesso la sua fedeltà alle promesse verso la discendenza di Davide: “Il Signore stesso vi darà un segno: Ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio che chiamerà Emmanuele” (Is 7,12-14).

È un segno di salvezza e un pegno di liberazione per i credenti; si legge infatti nel libro di Isaia: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia” (Is 9,1-2). “Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio; sulle sue spalle è il segno della sovranità, ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace” (Is 7,5-7).

E la profezia continua come in un crescendo: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto dalle sue radici. Su di lui si poserà lo Spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore” (Is 11,1-2). Si tratta dello Spirito del Messia che da lui, come da fontana inesauribile, si riverserà su tutti quelli che credono in lui (cfr Jn 7,38). Grazie a questo Spirito, la conoscenza del Signore riempirà tutta la terra “come le acque ricoprono il mare” (Is 11,9). Per questo il profeta può cantare: “Attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza” (Is 12,3 Jn 4,13-14).

2. Un’altra raccolta del libro di Isaia (Deuteroisaia) contiene vaticini rivolti agli esuli in Babilonia, e a loro annuncia il ritorno ad opera della potenza di Dio, che è l’unico dominatore della storia, lui che è il creatore a cui sottostanno tutti gli esseri animati e inanimati. È il cosiddetto “liber consolationis”, libro della consolazione (Is 40-55), che ha chiari legami con il libro dell’Emmanuele. Se là dominava la figura dell’Emmanuele, qui campeggia la figura misteriosa del “Servo di Jahvè”.

In quattro carmi successivi si descrive progressivamente il volto misterioso di questo operatore di salvezza, suscitato da Dio, che ristabilirà l’alleanza e porterà la giustizia con metodi pacifici. La sua descrizione ci è familiare: “Ecco il mio servo, il mio eletto . . . ho posto il mio spirito su di lui . . . porterà il diritto alle nazioni. Non griderà né alzerà il tono . . . non verrà meno e non si abbatterà finché non avrà stabilito il diritto sulla terra” (Is 42,1-4).

Nel secondo carme (Is 49,1-6) la missione del servo appare già proiettata oltre i confini della sua gente; annuncia la salvezza per tutti i popoli, “fino all’estremità della terra”. Nel terzo canto (Is 50,4-9) una marea montante di ostilità lo aggredisce mentre egli svolge docilmente la missione ricevuta da Dio. Nel quarto canto (Is 52,13-53, 12) la vicenda si risolve in una vittoria apparente dell’opposizione e delle forze ostili al servo, uno scacco che lascia sconcertati e delusi i contemporanei che lo giudicano “castigato, percosso da Dio e umiliato” (Is 53,4).

In realtà, preparato dalla sua pazienza e umiltà, egli ha offerto la vita per gli altri, si è dato in sacrificio di espiazione per le colpe degli uomini suoi fratelli, realizzando così il disegno di Dio di dare la salvezza al mondo. “È stato trafitto per i nostri delitti . . . per le sue piaghe noi siamo guariti . . . Il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti” (Is 53,5-6). Per questo, dice il Signore, “il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità” (Is 53,11).


3. Secondo la fede della Chiesa la figura radiosa dell’Emmanuele e quella sofferente ma vittoriosa del Servo di Jahvè sono due immagini complementari della stessa persona e trovano il loro compimento in Gesù, il cui volto è stato delineato profeticamente prima del suo apparire nella storia.

Noi ci prepariamo con particolare fervore in questi giorni dell’anno della Redenzione ad accogliere la sua Persona nella nostra vita. Non dobbiamo aver paura a spalancargli le porte. È venuto nella debolezza della nostra carne “per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga, zelante nelle opere buone” (Tt 2,14). “Da ricco che era - è ancora san Paolo che parla - si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2Co 8,9).

Adesso tocca a noi avvicinarci per attingere alle fonti della salvezza (cfr Is 12,3).

Ai piccoli cantori europei



Ad un coro tirolese dell’Abbazia Premonstratense di Wilten

Ai polacchi

Ai gruppi di lingua italiana

Rivolgo ora il mio saluto ai pellegrini italiani, con speciale pensiero ai gruppi parrocchiali ed alle associazioni, ma anche ai singoli qui convenuti di loro iniziativa. A tutti va il mio più cordiale benvenuto.

E saluto in modo particolare gli Italiani emigrati in Germania, che attraverso il collegamento di radio Stoccarda sono in ascolto.

Ad esse, alle loro Famiglie, ai loro bambini, invio un augurio affettuoso di felice Natale e la mia Benedizione, che li sostenga nelle difficoltà della lontananza e li conforti nel loro lavoro.
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Porgo ora il mio saluto ai giovani.

Carissimi, in questi giorni di preparazione al Santo Natale la Chiesa ci ha ripetuto insistentemente: “Preparate la via al Signore”. La via del Signore è una via di pace, di amore, di onestà. Oggi il Signore si rivolge a voi, come un tempo si era rivolto ad Abramo, a Mosè, a Maria, perché voi prepariate la via del Signore. Accogliete l’invito di Gesù nella vostra mente, nel vostro cuore e fate vedere che Egli è vivo in voi, testimoniatelo col vostro comportamento affinché tutti gli uomini, illuminati da Cristo, camminino nella via della pace e dell’amore. Vi benedico di cuore.
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La mia parola anche a voi, cari fratelli ammalati.

La vostra sofferenza, alla luce dell’Incarnazione, acquista un valore ed un’importanza grande. La vita umana è sempre dono di Dio, segno del suo amore e della sua bontà, ma essa è facilmente messa a repentaglio e distrutta dall’egoismo, dalle guerre, dalle varie forme di violenza. Carissimi, offrite il vostro dolore affinché Cristo, luce del mondo, illumini tutti gli uomini ed essi camminino fedelmente nella via dell’amore e della pace. Vi benedico di tutto cuore.
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Cari sposi novelli, l’imminente solennità del Santo Natale, ci presenta la dolce figura della Madonna, la madre di Gesù Salvatore, che fu annunziato dai Profeti, atteso dalle genti e che Lei, Maria, porto in grembo con tanto amore, dopo aver accolto la proposta che Dio Le fece, per mezzo dell’Angelo.

A voi, cari sposi novelli, il Signore chiede di essere suoi collaboratori nel trasmettere la vita e di educare con amore i figli, che sono dono di Dio, agli autentici valori che Cristo propone. Siate nel mondo testimoni di fede e di amore; la grazia del Sacramento ricevuto vi sorregga sempre e faciliti il vostro cammino; vi benedico di cuore.

A tutti il mio cordiale augurio di un lieto e Santo Natale.



Mercoledì, 28 dicembre 1983

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1. Il mistero del Natale ha fatto risuonare nei nostri orecchi il cantico, col quale il cielo vuol far partecipare la terra al grande avvenimento dell’Incarnazione: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2,14).

La pace è annunciata per la terra. Non è una pace che gli uomini riescano a conquistare con le loro forze. Essa viene dall’alto, come un meraviglioso dono di Dio all’umanità. Non possiamo dimenticare che, se tutti dobbiamo lavorare per l’instaurazione della pace nel mondo, prima di tutto dobbiamo aprirci al dono divino della pace, ponendo la nostra completa fiducia nel Signore.

Secondo il cantico di Natale, la pace promessa alla terra è legata all’amore che Dio porta agli uomini. Gli uomini sono chiamati “uomini della benevolenza”, perché ormai la benevolenza divina appartiene ad essi. La nascita di Gesù è la testimonianza irrecusabile e definitiva di questa benevolenza, che non sarà mai più ritirata dall’umanità.

Questa nascita manifesta la divina volontà di riconciliazione: Dio desidera riconciliarsi il mondo peccatore, perdonando e cancellando i peccati. Già nell’annuncio della nascita l’angelo aveva espresso questa volontà riconciliatrice, indicando il nome che doveva portare il bambino: Gesù, ossia “Dio salva”. “Egli infatti, commenta l’angelo, salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,21). Il nome rivela il destino e la missione del bambino, unitamente alla sua personalità: egli è il Dio che salva, colui che libera l’umanità dalla schiavitù del peccato e che perciò ristabilisce le relazioni amichevoli dell’uomo con Dio.

2. L’avvenimento che dà all’umanità un Dio Salvatore, supera di gran lunga le attese del popolo giudaico. Questo popolo aspettava la salvezza, attendeva il Messia, un re ideale del futuro che doveva stabilire sulla terra il regno di Dio. Per quanto la speranza giudaica avesse posto molto in alto questo Messia, egli non era che un uomo.

La grande novità della venuta del Salvatore consiste nel fatto che egli è Dio e uomo insieme. Quello che il giudaismo non aveva potuto concepire né sperare, cioè un Figlio di Dio fatto uomo, si realizza nel mistero dell’Incarnazione. Il compimento è molto più meraviglioso della promessa. Sta qui la ragione per cui non possiamo misurare la grandezza di Gesù soltanto con gli oracoli profetici dell’Antico Testamento. Quando egli realizza questi oracoli, è a un livello trascendente. Tutti i tentativi di chiudere Gesù nei limiti di una personalità umana, misconoscono ciò che vi è di essenziale nella rivelazione della nuova alleanza: la persona divina del Figlio che si è fatto uomo o, secondo la parola di san Giovanni, del Verbo che si è fatto carne ed è venuto ad abitare tra noi (Jn 1,14).

Qui appare la grandiosità generosa del piano divino di salvezza. Il Padre ha inviato il proprio Figlio, che è Dio come lui. Non si è limitato ad inviare dei servi, degli uomini che parlassero in suo nome, come i profeti. Ha voluto testimoniare all’umanità il massimo d’amore e le ha fatto la sorpresa di darle un Salvatore che possedeva l’onnipotenza divina.

In questo Salvatore, che è insieme Dio e uomo, possiamo cogliere l’intenzione dell’opera riconciliatrice. Il Padre non vuole soltanto purificare l’umanità liberandola dal peccato; vuole realizzare la più intima unione della divinità e dell’umanità. Nell’unica persona divina di Gesù la divinità e l’umanità sono unite nel modo più completo. Colui che è perfettamente Dio è perfettamente uomo. Ha realizzato in se stesso questa unione della divinità e dell’umanità, per potervi far partecipare tutti gli uomini. Perfettamente uomo, lui che è Dio, vuole comunicare ai suoi fratelli umani una vita divina che permetta loro di essere più perfettamente uomini, riflettendo in se stessi la perfezione divina.

3. Un aspetto della riconciliazione merita qui di essere sottolineato. Mentre l’uomo peccatore poteva temere per il suo avvenire le conseguenze della sua colpa e aspettarsi una vita umana diminuita, egli riceve invece da Cristo Salvatore la possibilità di un completo sviluppo umano. Non soltanto è liberato dalla schiavitù, nella quale l’imprigionavano le sue colpe, ma può acquisire una perfezione umana superiore a quella che possedeva prima del peccato. Cristo gli offre una vita umana più abbondante e più elevata per il fatto che, in Cristo, la divinità non ha compromesso in nessun modo l’umanità, ma l’ha portata a un grado supremo di sviluppo, con la sua vita divina egli comunica agli uomini una vita umana più intensa e completa.

Che Gesù sia il Dio Salvatore fatto uomo, significa dunque che ormai nell’uomo nulla è perduto. Tutto quello che era stato ferito, macchiato, dal peccato può rivivere e fiorire. Questo spiega come la grazia cristiana favorisca il pieno esercizio di tutte le facoltà umane, nonché l’affermazione di ogni personalità, sia di quella femminile che di quella maschile. Riconciliando l’uomo con Dio, la religione cristiana tende a promuovere tutto quello che è umano.

Possiamo, dunque, unirci al canto risonato sulla grotta di Betlemme, e professare con gli Angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”.

Ai pellegrini italiani


Saluto cordialmente il folto gruppo di pellegrini dell’Arcidiocesi di Gaeta, guidato dall’arcivescovo Monsignor Luigi Carli e ad alcuni sacerdoti.
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Con altrettanta cordialità, rivolgo il mio beneaugurante pensiero ai fedeli dell’Arcidiocesi di Udine, anch’essi presenti col loro Pastore Monsignor Alfredo Battisti, ed accompagnati da un gruppo di giovani.

Carissimi fratelli e sorelle! La celebrazione dell’Anno Santo, principale obiettivo della vostra visita a Roma, sia fonte della continua assistenza del Signore, in risposta ai vostri generosi propositi di crescita nell’amore di Dio e del prossimo. Con la mia Benedizione Apostolica.
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Ed ora un particolare saluto ai sacerdoti della Diocesi di Brescia che, insieme col Vicario Generale ricordano l’anniversario della loro Ordinazione Sacerdotale.

Carissimi, riconoscenti a Cristo Eterno Sacerdote per l’ineffabile dono di cui vi ha insignito, prodigatevi generosamente in un ministero pastorale che, ad imitazione del Salvatore, sia tutto speso per il bene delle anime a voi affidate. Vi benedico di cuore ed estendo la Benedizione a tutti i vostri cari.
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Saluto poi tutti gli ammalati.

Carissimi, siete venuti a questo incontro sopportando i disagi del viaggio e della stagione inclemente. Dio ve ne renda merito! La ricorrenza liturgica dei Santi Innocenti vi aiuti a comprendere il senso della vostra sofferenza. Così leggiamo in una lettura della Liturgia delle Ore: “O meraviglioso dono della grazia! Quali meriti hanno avuto questi bambini per vincere in questo modo? Non parlano ancora e già confessano Cristo!”. Così è anche per voi: la sofferenza accettata ed offerta a Dio diventa dono di grazia, poiché, unita a quella di Cristo, redime il mondo, salvando l’umanità. Sempre vi accompagni la mia Benedizione.
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Sono presenti all’Udienza anche numerose coppie di sposi novelli: a tutti vada il mio saluto ed il mio augurio più cordiale.

La coincidenza del vostro matrimonio con le festività natalizie, vi aiuti a confrontarvi con il modello, sia pure unico ed insuperabile, della famiglia di Nazaret. Alla scuola di Maria e Giuseppe, ammirate che cos’è la vera ed autentica comunione d’amore, scopritene il carattere sacro ed inviolabile e insieme sforzatevi di vivere il meraviglioso progetto di educazione cristiana che vi permetterà, domani, di essere genitori aperti alle aspettative dei figli che Dio vorrà donarvi. Vi accompagni, nella vostra nuova casa, la mia preghiera e la mia propiziatrice Benedizione.

Ai fedeli di espressione francese

Dopo aver salutato i pellegrini inglesi, il Papa si rivolge a numerosi visitatori giapponesi. Questa la traduzione delle parole del Santo Padre.

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi pellegrini di “Don Bosco” di Tokyo, “Y. B. U.” di Kyoto ed altri pellegrini qui convenuti in questi giorni natalizi dalla cara terra giapponese!

Vi auguro di mantenere nella vita il tema dell’Anno Santo: “Aperite Portas Redemptori”. Sia questo il frutto del Vostro pellegrinaggio.


Ed anche Voi, carissimi di “Niiza Shonen-Shojo Gasshodan”, aprite i vostri cuori sia a Dio che agli uomini attraverso i vostri canti.

Sia lodato Gesù Cristo!

Ai fedeli di espressione spagnola

Ai polacchi

Ai giovani italiani

Rivolgo ora il mio saluto ai ragazzi e ai giovani italiani presenti a questa Udienza. Saluto i Gruppi di studenti, provenienti da varie Regioni. In particolare rivolgo un affettuoso pensiero ai membri delle organizzazioni giovanili ecclesiali della diocesi di Velletri e Segni, che sono venuti a Roma in pellegrinaggio per acquistare l’indulgenza del Giubileo e che in questi giorni sono impegnati a riflettere sul tema: la riconciliazione nella fraternità.

Carissimi, nel mistero del Natale si compendia il gesto d’amore più grande che Dio abbia fatto all’umanità. Da tale dono nasce un’immensa carica di speranza.

In quanto giovani, voi siete i primi depositari di questa speranza. Essa deve pertanto permeare i vostri desideri e le vostre ansie, sostenere la vostra vita di fede, e stimolarvi a scelte coraggiose in ordine alla vostra testimonianza di battezzati,

Io sostengo questo impegno ricordandovi nella mia preghiera, e donandovi la mia Benedizione.


Un appello a pregare il Signore affinché più forte e viva si faccia nel mondo la coscienza che ogni uomo va rispettato nella sua dignità di figlio di Dio viene elevato questa mattina dal Papa, nel corso della consueta celebrazione della parola. Queste le parole del Santo Padre.

Vi invito a pregare per quanti, in diverse parti del mondo, non hanno potuto godere in pace questo tempo natalizio. Nel Libano, nella città di Beirut, la battaglia si è riaccesa proprio alla vigilia di Natale, e, pure con intervalli di effimere tregue subito violate, ha continuato ad accumulare ogni giorno varie decine di morti, specialmente tra la popolazione civile.

Il pensiero va anche alle moltissime vittime di altri conflitti, come la guerra tra Iraq e Iran - di cui si parla poco mentre purtroppo è combattuta sanguinosamente tutti i giorni - e ad altre situazioni, per le quali non si è trovata una soluzione secondo giustizia, come in Afganistan dove un intero popolo soffre da quattro anni.

In altre regioni come nel Salvador i morti per fatti di violenza sono computati per l’anno 1983 a più di seimila. Altrove neppure il calcolo è possibile, perché le persone sono fatte sparire nella completa clandestinità. Ad esse vanno aggiunte le vittime dei rapimenti, i detenuti, gli esiliati, i profughi.

È una catena dolorosa, che dobbiamo ricordare mentre l’anno sta per finire, pregando il Signore per tutte le famiglie che sono in lutto e chiedendo che più forte e più viva si faccia la coscienza che ogni uomo va rispettato nella sua dignità di figlio di Dio.





Mercoledì, 4 gennaio 1984

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1. Dopo aver concentrato il suo sguardo su Gesù nella celebrazione del Natale, la Chiesa ha voluto il primo giorno dell’anno fissarlo su Maria per festeggiarne la maternità divina. Nella contemplazione del mistero dell’Incarnazione, non si può infatti separare il figlio di Dio dalla Madre. Per questo, nella formulazione della sua fede, la Chiesa proclama che il Figlio “per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”.

Quando al Concilio di Efeso fu applicato a Maria il titolo di “Theotokos”, Madre di Dio, era intenzione dei Padri del Concilio di garantire la verità del mistero dell’Incarnazione. Essi volevano affermare l’unità personale di Cristo, Dio e uomo, unità tale che la maternità di Maria nei riguardi di Gesù era, per ciò stesso, maternità nei riguardi del Figlio di Dio. Maria è “Madre di Dio” perché suo Figlio è Dio; ella è madre solo nell’ordine della generazione umana, ma siccome il bimbo da lei concepito e messo al mondo è Dio, ella dev’essere chiamata “Madre di Dio”.

L’affermazione della maternità divina ci illumina sul senso dell’Incarnazione. Essa mostra come il Verbo, persona divina, è diventato uomo: lo è diventato per il concorso di una donna all’opera dello Spirito Santo. Una donna è stata associata, in maniera singolare, al mistero della venuta del Salvatore nel mondo. Per il tramite di questa donna, Gesù si congiunge alle generazioni umane che hanno preceduto la sua nascita. Grazie a Maria, egli ha una vera nascita e la sua vita sulla terra comincia in modo simile a quello di tutti gli altri uomini. Con la sua maternità, Maria permette al Figlio di Dio di avere – dopo il concepimento straordinario ad opera dello Spirito Santo – uno sviluppo umano e un inserimento normale nella società degli uomini.

2. Il titolo di “Madre di Dio”, mentre pone in evidenza l’umanità di Gesù nell’Incarnazione, attira altresì l’attenzione sulla dignità suprema accordata a una creatura. È comprensibile che nella storia della dottrina vi sia stato un momento in cui tale dignità incontrò qualche contestazione: poteva infatti sembrare difficile ammetterla, a motivo degli abissi vertiginosi su cui si apriva. Ma quando il titolo di “Theotokos” fu messo in discussione, la Chiesa reagì prontamente confermandone l’attribuzione a Maria, come verità di fede. Coloro che credono in Gesù che è Dio, non possono non credere altresì che Maria è Madre di Dio.

La dignità conferita a Maria mostra fin dove Dio ha voluto spingere la riconciliazione. Si deve ricordare, infatti, che, subito dopo il peccato originale, Dio aveva annunciato la sua intenzione di concludere un’alleanza con la donna, in modo da assicurare la vittoria sul nemico del genere umano: “lo porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (
Gn 3,15). Secondo questo oracolo, la donna era destinata a diventare l’alleata di Dio nella lotta contro il demonio. Essa doveva essere la madre di colui che avrebbe schiacciato la testa del nemico. Tuttavia nella prospettiva profetica dell’Antico Testamento, questo discendente della donna, che doveva trionfare sullo spirito del reale, sembrava non essere che un uomo.

Qui interviene la realtà meravigliosa dell’Incarnazione. Il discendente della donna, che realizza l’oracolo profetico, non è affatto un semplice uomo. Egli è, sì, pienamente uomo grazie alla donna di cui è figlio, ma è pure, nello stesso tempo, vero Dio. L’alleanza stretta agli inizi tra Dio e la donna assume una nuova dimensione. Maria entra in questa alleanza come la madre del Figlio di Dio. Per rispondere all’immagine della donna che aveva commesso il peccato, Dio fa sorgere un’immagine perfetta di donna, che riceve una maternità divina. La nuova alleanza supera di molto le esigenze di una semplice riconciliazione; essa eleva la donna a un’altezza che nessuno avrebbe potuto immaginare.

3. Siamo sempre stupiti che una donna abbia potuto mettere al mondo colui che è Dio, che abbia ricevuto la missione di allevarlo come ogni madre alleva suo figlio, che abbia preparato il Salvatore, con l’educazione materna, alla sua attività futura. Maria è stata pienamente madre e per questo è stata anche un’ammirabile educatrice. Il fatto, confermato dal Vangelo, che nella sua infanzia Gesù le era sottomesso (Lc 2,51), indica che la sua presenza materna ha influito profondamente sullo sviluppo umano del Figlio di Dio. È uno degli aspetti più impressionanti del mistero dell’Incarnazione.

Nella dignità conferita in modo singolarissimo a Maria, si manifesta la dignità che il mistero del Verbo fatto carne intende conferire a tutta l’umanità. Quando il Figlio di Dio si abbassò per diventare un uomo, simile a noi in tutte le cose, eccetto il peccato, elevò l’umanità al livello di Dio. Nella riconciliazione, operata tra Dio e l’umanità, egli non desiderava ristabilire semplicemente l’integrità e la purezza della vita umana, lesa dal peccato. Voleva comunicare all’uomo la vita divina e aprirgli il pieno accesso alla familiarità con Dio.

In questo modo Maria ci fa comprendere la grandezza dell’amore divino, non solo per lei, ma per noi. Ella ci introduce nell’opera grandiosa, con la quale Dio non si è limitato a guarire l’umanità dalle piaghe del peccato, ma le ha assegnato un destino superiore d’intima unione con lui. Quando veneriamo Maria come Madre di Dio, noi riconosciamo altresì la meravigliosa trasformazione che il Signore ha accordato alla sua creatura. Perciò ogni volta che pronunciamo le parole “Santa Maria, Madre di Dio”, noi dobbiamo avere davanti agli occhi della mente la luminosa prospettiva del volto dell’umanità, cambiato nel volto di Cristo.


A pellegrini italiani

Il mio cordiale saluto e il mio augurio si rivolge a ciascuno dei pellegrini delle diocesi di Caserta, di Ascoli Satriano e di Cerignola, di Castellaneta, dell’Abbazia nullius di Subiaco, che sono qui presenti numerosi, insieme con i loro vescovi.

Fratelli carissimi, una sola parola valga per tutte quelle che ho nel cuore: amate la Chiesa, che vi educa ai valori umani autentici e vi sostiene nel cammino di fede. Sappiate attingere in essa la forza di Gesù bambino nato per noi, forza che rende buona, attiva e lieta la vostra vita. In ciò vi sia di aiuto la Benedizione che volentieri imparto a voi e ai vostri cari.
* * *


Saluto poi i religiosi e le religiose. Carissimi, auspico di cuore che la vostra vita sia sempre, attraverso la generosa osservanza dei consigli evangelici e la fedeltà al vostro carisma, la manifestazione amorosa di Cristo che ha posto la sua dimora fra noi (Jn 1,14). A questo scopo vi assicuro la mia preghiera, mentre invoco su di voi e sulle vostre comunità la continua protezione del Signore, di cui vuol esser pegno la mia Benedizione.

Ad alcuni religiosi spagnoli

A fedeli polacchi


A gruppi giovanili italiani

Rivolgo un affettuoso saluto ai numerosi ragazzi e ragazze presenti a questo incontro. Carissimi! L’imminente festività liturgica dell’Epifania ci ricorda l’apparizione della stella ai Magi, i quali seguendola furono condotti dai loro lontani paesi all’adorazione del nato redentore; per voi la stella è la fede infusa nelle vostre anime col battesimo. Auspico di cuore che essa sia sempre la luce dei vostri passi.

Con la mia Benedizione Apostolica.

Agli ammalati

Il mio pensiero si rivolge ora a voi, carissimi infermi, e si estende a quanti soffrono nel mondo. Vi sono vicino con la mia preghiera e vi invito ad offrire, ad imitazione del Salvatore ed in unione con lui, le vostre sofferenze per la salvezza delle anime.

Vi benedico di cuore e con voi benedico quanti hanno merito nel curarvi e nell'assistervi.

Agli sposi novelli

Anche a voi, cari sposi novelli, il mio saluto, unito al fervido auspicio suggerito dalla recente celebrazione del Natale. Sia per voi sorgente di costante letizia spirituale e di reciproco amore la riflessione sulla santa Casa di Nazareth : scuola dove s'impara a conoscere la vita di Gesù, della Madonna e di San Giuseppe, vale a dire : la scuola del Vangelo. La grazia del sacramento nuziale vi aiuti ad imitare gli insegnamenti di quella santa Famiglia.

Con la mia Benedizione Apostolica, che estendo a tutti i vostri Cari.





Catechesi 79-2005 14123