Catechesi 79-2005 11184

Mercoledì, 11 gennaio 1984

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1. La festa liturgica del Battesimo di Gesù, che abbiamo da poco celebrato, ci ricorda l’avvenimento che inaugurò la vita pubblica del Redentore, cominciando a manifestarne il mistero davanti al popolo.

Il racconto evangelico mette in luce il legame che, fin dall’inizio, esiste tra la predicazione di Giovanni Battista e quella di Gesù. Ricevendo quel Battesimo di penitenza, Gesù manifesta la volontà di stabilire una continuità tra la sua missione e l’annuncio che il Precursore aveva fatto della prossimità dell’avvento messianico. Egli considera Giovanni Battista come colui che conclude la stirpe dei profeti e che è “più di un profeta” (
Mt 11,9), poiché è stato incaricato di aprire la strada al Messia.

In questo atto del Battesimo appare l’umiltà di Gesù: lui, il Figlio di Dio, pur essendo consapevole che la sua missione trasformerà profondamente la storia del mondo, non comincia il suo ministero con propositi di rottura col passato, ma si pone nell’alveo della tradizione giudaica, rappresentata dal Precursore. Questa umiltà è particolarmente sottolineata nel Vangelo di san Matteo, che riporta le parole di Giovanni il Battista: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?”. Gesù risponde lasciando capire che in quel gesto si rispecchia la sua missione di stabilire un regime di giustizia, ossia di santità divina, nel mondo: “Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia” (Mt 3,14-15).

2. L’intenzione di compiere nell’umanità un’opera di santificazione, anima il gesto del Battesimo e fa comprendere il suo significato profondo. Il Battesimo amministrato da Giovanni Battista era un Battesimo di penitenza, in vista della remissione dei peccati. Esso conveniva a coloro che, riconoscendo le loro colpe, volevano convertirsi e tornare a Dio. Gesù, assolutamente santo e innocente, si trova in una situazione diversa. Egli non può farsi battezzare per la remissione dei suoi peccati; se entra in un Battesimo di penitenza e di conversione, è per la remissione dei peccati dell’umanità. Già nel Battesimo comincia a realizzarsi quanto era stato annunciato circa il servo sofferente nell’oracolo del libro di Isaia (Is 53,4-12): il servo vi era rappresentato come un giusto che portava il peso dei peccati dell’umanità e si offriva il sacrificio per ottenere il perdono divino ai peccatori.

Il Battesimo di Gesù è dunque un gesto simbolico, che significa l’impegno nel sacrificio per la purificazione dell’umanità. Il fatto che in quel momento il cielo si sia aperto, ci fa comprendere che tra Dio e gli uomini comincia ad operarsi la riconciliazione. Il peccato aveva provocato la chiusura del cielo; Gesù ristabilisce la comunicazione tra il cielo e la terra. Lo Spirito Santo discende su Gesù per guidarne tutta la missione, che consisterà nell’instaurare l’alleanza tra Dio e gli uomini.

3. Come ci è raccontato dai Vangeli, il Battesimo mette in evidenza la filiazione divina di Gesù: il Padre lo proclama il suo Figlio prediletto, nel quale egli si è compiaciuto. È chiaro l’invito a credere nel mistero dell’Incarnazione, e in particolare nel mistero dell’Incarnazione redentrice perché orientata verso il sacrificio che otterrà la remissione dei peccati e offrirà al mondo la riconciliazione. Non deve sfuggire, infatti, che Gesù, più tardi, presenterà questo sacrificio come un Battesimo, quando chiederà a due dei suoi discepoli: “Potete essere battezzati col Battesimo con cui io sarò battezzato?” (Mc 10,38). Al Giordano il suo Battesimo è solo figurativo; sulla croce egli riceverà il Battesimo che purificherà il mondo.

Mediante questo Battesimo, espresso prima nelle acque del Giordano e realizzato poi sul Calvario, il Salvatore ha posto il fondamento del Battesimo cristiano. Il Battesimo che si pratica nella Chiesa deriva dal sacrificio di Cristo. E il sacramento col quale, a chi diventa cristiano ed entra nella Chiesa, viene applicato il frutto di questo sacrificio: la comunicazione della vita divina con la liberazione dallo stato di peccato.

Il rito del Battesimo, rito di purificazione nell’acqua, evoca per noi il Battesimo di Gesù nel Giordano. In un certo modo riproduce quel primo Battesimo, quello del Figlio di Dio, in vista di conferire la dignità della filiazione divina ai nuovi battezzati. Non si deve, tuttavia, dimenticare che il rito battesimale produce attualmente il suo effetto in virtù del sacrificio offerto sulla croce. È la riconciliazione ottenuta sul Calvario che viene applicata a coloro che ricevono il Battesimo.

Ecco, dunque, la grande verità: il Battesimo, facendoci partecipi della morte e risurrezione del Salvatore, ci riempie di una vita nuova. Di conseguenza dobbiamo evitare il peccato o, secondo l’espressione dell’apostolo Paolo, “essere morti al peccato”, e “vivere per Dio in Cristo Gesù” (Rm 6,11).

In tutta la nostra esistenza cristiana il Battesimo è sorgente di una vita superiore, che conviene a coloro che, in qualità di figli del Padre in Cristo, devono portare in se stessi la somiglianza divina.

Ai fedeli di lingua spagnola


Ad un gruppo di giudici brasiliani

Ai pellegrini polacchi

Ai Direttori Diocesani dell’Apostolato della Preghiera

Desidero ora rivolgere un saluto cordiale ai pellegrini italiani, gruppi e singole persone.

Con particolare affetto saluto i Sacerdoti Direttori Diocesani dell’Apostolato della Preghiera, riuniti in questi giorni in un Convegno di studio sul tema del rapporto tra il Cuore Divino di Gesù e lo Spirito Santo, in funzione di una catechesi capillare della preghiera e della diffusione del Culto al Cuore di Gesù.

Cari Sacerdoti, voi siete impegnati a mantenere accesa nei fedeli la fiaccola della preghiera, mediante l’iscrizione a questo tipo di Apostolato, che comporta una speciale devozione al Cuore Santissimo di Gesù e l’offerta quotidiana delle preghiere e delle azioni secondo le intenzioni della Chiesa e del Sommo Pontefice. Vi esprimo il mio vivo compiacimento per questa vostra responsabilità diocesana e vi esorto a perseverare con coraggio e con fervore in tale attività, tanto importante per la vita della Chiesa.

Vi accompagno con la mia Benedizione.

Ai giovani

Ed ora un particolare saluto ai giovani. Carissimi, due giorni fa abbiamo celebrato la festività del Battesimo del Signore. Gesù volle presentarsi davanti a Giovanni Battista come tutti gli altri e, nell’uscire dalle acque, si sentì una voce dal cielo: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”. Nel mondo cominciava la nuova era dell’evangelizzazione propriamente detta, l’epoca della nuova alleanza fatta di amore, di amicizia tra Dio e gli uomini, di pacificazione universale degli uomini tra di loro: un’opera ancora in corso, che ha bisogno del vostro contributo. Cari giovani, portate nel mondo la pace di Gesù perché di questa il mondo ha bisogno.

Agli ammalati

Saluto poi tutti gli ammalati che hanno voluto essere qui presenti nonostante l’inclemenza della stagione. Mentre vi ringrazio, carissimi, per il vostro spirito di sacrificio, per il vostro coraggio, per la manifestazione della vostra fede, io vi chiedo nel nome del Signore di offrire a Lui la vostra sofferenza, per la pacificazione degli uomini, per il ritorno a Dio di quanti Lo ignorano, non credono e Lo combattono; perché sulla terra non vi sia più guerra, soprattutto perché al mondo venga risparmiata la prova di un conflitto atomico. L’offerta del vostro dolore contribuisce in non piccola misura a ottenere da Dio misericordia per l’umanità. Vi benedico di cuore.

Agli sposi novelli

Un saluto, infine, alle coppie dei novelli sposi, così numerosi anche in questa Udienze di gennaio. Nell’iniziare la vostra vita in comune, in attesa della presenza gioiosa dei bambini, abbiate sempre lo sguardo rivolto al Padre celeste, che già vi guarda con tanto amore e proteggerà i vostri figli come suoi. Abbiate fede e coraggio. Nel segreto della vostra fede troverete la sorgente della forza per adempiere al meraviglioso compito di genitori cristiani, capaci di creare un mondo nuovo e migliore perché intessuto di amore e di generosità. Vi accompagni nelle vostre case la mia propiziatrice Benedizione.





Mercoledì, 18 gennaio 1984

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1. Oggi ha inizio l’annuale settimana di preghiera per l’unione dei cristiani. In ogni angolo della terra i cristiani, appartenenti a diverse Chiese o Comunità ecclesiali, consacrano alla preghiera questo tempo particolare. Noi, figli e figlie della Chiesa cattolica, dobbiamo entrare pienamente, con tutto il nostro essere, in questa preghiera. Un periodo di tempo consacrato alla preghiera, infatti, è carico di grazia: Dio, il Padre amoroso, ricco di misericordia (cf.
Ep 2,4), che non darà mai un sasso a chi gli domanda il pane (cf. Mt 7,9), sicuramente esaudirà la preghiera fervorosa dei suoi figli, preghiera che prolunga quella di suo Figlio, il Signore Gesù, e ci donerà infine la perfetta unità. Egli compirà tutto questo in modi e tempi a lui solo noti.

Il fatto stesso che i cristiani preghino insieme per questo dono così grande è già un dono di Dio: è la prima aurora dell’unità. Il tema di quest’anno: “Chiamati all’unità dalla croce di Nostro Signore” è centrale nel mistero della salvezza; esso richiama il fondamento della nostra fede. Sì, è una grazia, e grande, che i cristiani siano chiamati a stare insieme all’ombra e al riparo della croce - di quella croce che è nel contempo per noi motivo di dolore e di gioia, ed è simbolo di quello “scandalo” che per i credenti è vera gloria.

Questo tema risulta inoltre particolarmente appropriato per noi cattolici, che quest’anno celebriamo il Giubileo della Redenzione: il Giubileo del mistero della morte e risurrezione del Salvatore. Nella settimana di preghiera per l’unione, contemplando insieme ai nostri fratelli cristiani il mistero della croce - il mistero cioè della Vita che si è offerta in dono fino al sacrificio della morte - avremo la possibilità di fissare il cuore e la mente su quell’evento alla cui memoria abbiamo consacrato un anno intero, e lo faremo con dolore per le ferite e le lacerazioni del passato, ma anche con grande speranza, fondata sulla potenza di Dio.


2. Cari fratelli e sorelle, invito insistentemente voi qui presenti e, attraverso voi, tutti i fedeli cattolici a fare di questa settimana un tempo di preghiera costante e perseverante per il dono dell’unità. Mai dobbiamo scordare che la preghiera è potente! O meglio: non dobbiamo mai sottovalutare l’amorosa generosità con la quale Dio risponde sempre alle nostre preghiere, quand’anche esse somigliassero a un fragile e inarticolato balbettio, perché noi gliele offriamo nel Figlio: con lui e per lui. Abbiamo ascoltato, nell’odierna lettura, come Gesù pregasse nei suoi giorni terreni: “Egli, nei giorni della sua vita terrena offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime... e fu esaudito per la sua pietà” (He 5,7). E sappiamo pure che egli è sempre vivo e intercede per noi” (cf. He 7,25).

In virtù della croce e della risurrezione Gesù regna per sempre alla destra del Padre. Ma egli continua a vivere anche in noi, giacché: “quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo... tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Ga 3,27-28). Voi ben sapete che la Chiesa cattolica riconosce come fratelli e sorelle in Cristo quanti sono stati “giustificati nel Battesimo dalla fede” e solo in tal modo, “incorporati a Cristo crocifisso e glorificato”, sono chiamati cristiani (cf. Unitatis redintegratio UR 3 UR 22). Il Battesimo, che ci assimila alla morte di Cristo (cf. Rm 6,4), è il fondamento di ogni unità, di quella che abbiamo e di quella che bramiamo. La nostra preghiera per l’unione ha il suo fondamento nel Battesimo, è la fonte della nostra speranza. In quest’Anno Giubilare, ogni mercoledì, qui all’udienza generale, rinnoviamo le nostre promesse battesimali, la nostra fede battesimale; ciò facendo riaffermiamo, appunto, il fondamento della nostra unità, così come ho avuto l’opportunità di fare nella cattedrale di Canterbury, due anni or sono, nel corso di una comune celebrazione di fede. La memoria del Battesimo è sempre memoria della nostra vocazione all’unione.

3. Nell’odierna lettura abbiamo ascoltato che Cristo, “pur essendo figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì” (He 6,8). In quanto figli di Dio dobbiamo essere forti davanti alla croce; è la Croce, infatti, quella della vita di ognuno di noi, che ci dà la conferma di trovarci sul giusto sentiero. I peccati e gli errori degli uomini hanno tentato di lacerare il Corpo di Cristo. Certo, a nessun uomo di oggi si possono imputare colpe del passato. Ma anche noi, se con i nostri atteggiamenti o atti o omissioni perpetuiamo le divisioni o poniamo ostacoli nel cammino della riconciliazione, ci rendiamo complici in qualche modo del protrarsi delle lacerazioni nel Cristianesimo. Cristo, il figlio obbediente, ci chiama all’obbedienza e alla conversione, ci chiama a portare la croce insieme a lui. Volgiamoci a lui e chiediamogli umilmente di convertirci, di guarire le nostre divisioni e di renderci strumenti docili di riconciliazione.

Il nostro pentimento dev’essere però colmo di speranza, e ciò per una profonda ragione: abbiamo ascoltato come il Figlio obbediente “reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (He 5,9).

Siamo chiamati ad essere una sola cosa attraverso la croce: ma la croce non fu soltanto segno di sofferenza; essa è, prima di tutto, segno di vittoria e di speranza, speranza per i cristiani e per il mondo intero. L’arma della nostra preghiera deve quindi essere la speranza. “La speranza è la nostra guida, la preghiera è la nostra forza, la carità il nostro metodo” (PAULI VI, Allocutio Observatoribus Delegatis ad Concilium Oecumenicum Vaticanum II, die 17 oct.1963: Insegnamenti di Paolo VI, I [1963] 231). Sì, la nostra forza è la preghiera.

Radunandoci questa settimana attorno alla croce di Gesù insieme a tutti i cristiani, non possiamo non ricordare che presso la croce c’era sua Madre (cf. Jn 19,25), unita al Figlio nell’atto supremo di obbedienza alla volontà salvifica di Dio. Proprio lì, sulla croce, Gesù la diede come Madre al discepolo prediletto, e in lui alla Chiesa. Per questa ragione la causa dell’unità dei cristiani “appartiene specificamente all’ufficio della spirituale maternità di Maria. Difatti, quelli che sono di Cristo, Maria non li generò e non poteva generarli se non in un’unica fede e in un unico amore” (Leone XIII, Adiutricem Populi : ASS 28 (1895) 135 ; cit. in Palo VI, Marialis cultus, 33).

Possa ella ancora una volta apparire “innanzi al peregrinante Popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione” (Lumen gentium LG 68), mentre noi preghiamo con tutto il cuore perché tutti i credenti possano sentirsi davvero chiamati all’unione attraverso la croce di Nostro Signore.

A due gruppi di visitatori ecumenici



Ai pellegrini polacchi

A diversi gruppi di lingua italiana

Anche oggi sono presenti gruppi speciali, appartenenti a diversi Istituti religiosi, convenuti a Roma per prendere parte ad incontri di aggiornamento e per acquistare l’Indulgenza Giubilare. Tra essi sono: i Religiosi e le Religiose della Società delle Divine Vocazioni; i Missionari e le Missionarie partecipanti ad un corso di rinnovamento pastorale presso la Pontifica Università Urbaniana; un gruppo di Focolarini provenienti da varie nazioni d’Europa; gli appartenenti all’Associazione Silenziosi Operai della Croce (Volontari della Sofferenza di Roma), e i fedeli della Parrocchia del “Corpus Domini”, in diocesi di Porto e Santa Rufina.

Carissimi, con la vostra venuta mi avete procurato una grande consolazione, perché la vostra significativa rappresentanza dimostra la vitalità e i desideri di rinnovamento dei vostri rispettivi Istituto. La celebrazione del Giubileo ridesti nei vostri cuori un dinamismo interiore sempre più fervido, per vivere in pienezza il mistero della Redenzione a cui la Chiesa ci richiama in questo Anno Santo.
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Un saluto particolare va pure ai componenti del “Circo Rama” Orfei, i quali hanno chiesto di prendere parte a questa Udienza per manifestare al Papa i loro sentimenti religiosi e per dare un piccolo saggio della loro bravura. Vi ringrazio per questa vostra presenza e auguro ogni bene a voi ed alla Signora Alba Orfei, che quest’anno celebra i cinquant’anni di vita circense.
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Rivolgo ora il mio affettuoso saluto ai giovani. Carissimi, all’inizio di questa Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani, desidero ricordarvi che la ricerca di ciò che unisce, nel superamento delle divisioni tra le persone, è sempre stata una delle aspirazioni più sentite dai giovani, e deve essere un impegno costante per chi vuol essere discepolo di Cristo: Pastore Universale. E’ l’augurio che rivolgo con tutto il mio affetto.

Sono lieto che fra i ragazzi presenti a questa Udienza vi sia anche Rocco Lupini, che per lunghi mesi è stato sequestrato. Lo saluto cordialmente, esprimendogli la mia gioia per la sua liberazione.
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A voi, ammalati, che più di ogni altra persona potete comprendere il valore della solidarietà fraterna, assieme al mio saluto rivolgo un invito del tutto particolare a pregare e ad offrire le vostre croci, affinché il Redentore doni alla sua chiesa la grazia di diventare un esempio sempre più luminoso di unità, nella verità e nella carità.
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Saluto infine con particolare gioia voi, sposi novelli, che, con la grazia appena ricevuta nel sacramento del Matrimonio, siete diventati l’esempio più bello di unione, nell’incontro con il Dio dell’Amore. Le vostre famiglie siano sempre pronte e capaci di offrire un valido contributo all’attuazione di quella unità nella Chiesa, per la quale il Signore ha pregato nell’Ultima Cena.






Mercoledì, 25 gennaio 1984

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1. “. . .Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (
Mt 25,40).

Cristo, Figlio di Dio, incarnandosi assume l’umanità di ogni uomo, a partire dal più povero e derelitto. Egli diviene a tal punto solidale con ogni persona da farsi garante della sua stessa dignità. In effetti nella sua morte, espressione massima di quell’“umiliazione” umanamente inconcepibile di Dio di cui parla la lettera ai Filippesi (cf. Ph 2,6-11), Cristo redime la dignità di ogni uomo e ne fonda in modo insuperabile i diritti.

In Cristo il più reietto tra gli uomini può dire come Paolo: “Ha amato me e ha sacrificato se stesso per me” (Ga 2,20). Veramente si deve riconoscere che, con un crescendo inarrestabile dal Vecchio al Nuovo Testamento, si manifesta nel cristianesimo l’autentica concezione dell’uomo come persona e non più solo come individuo. Se perisce un individuo, la specie rimane inalterata: nella logica inaugurata dal cristianesimo invece, quando una persona viene meno, si perde qualcosa di unico e di irripetibile.

2. Il fondamento della dignità umana, che ogni uomo può cogliere riflettendo sulla sua natura di essere dotato di libertà, cioè di intelligenza, volontà ed energia affettiva, trova nella Redenzione di Cristo la sua piena intelligibilità. Nella Lettera enciclica Redemptor Hominis (RH 10) ho scritto che: “. . .quel profondo stupore riguardo al valore e alla dignità dell’uomo si chiama Vangelo, cioè la Buona Novella. Si chiama cristianesimo”.

Ciò non isterilisce lo sforzo che, da sempre, l’uomo ha fatto e continua a compiere per fondare nella propria natura la sua dignità di persona e stabilire i diritti fondamentali che ad ognuno debbono essere garantiti dai suoi simili e da tutte le istituzioni. Si può dire anzi che tale sforzo ne risulta esaltato, secondo la logica per cui il “cristiano” fa scoprire l’“umano” e la grazia la natura.

La radicazione della dignità dell’uomo in quel livello ultimo, realizzato da Cristo sulla croce, non distrugge quindi, ma compie e corona la ricerca razionale con cui l’uomo di ogni tempo, e quello moderno in particolare, tende verso la sempre più chiara definizione dei valori insiti nella propria realtà composta di anima e corpo.

3. Sempre e di nuovo l’uomo deve chinarsi su di sé per scoprire nella capacità di trascendersi come persona, cioè di decidere in tutta libertà e verità della propria vita, l’evidenza della propria dignità. È impossibile cogliere tale dignità al di fuori del nesso della persona con la verità. La verità dell’uomo è nel suo intimo rapporto con Dio, anzitutto per il sigillo che egli, creandolo, ha impresso nella sua struttura naturale. “Dio creò l’uomo a sua immagine: a immagine di Dio lo creò . . .” (Gn 1,27).


La grande tradizione patristica e scolastica, da Agostino a Giovanni Damasceno e a Tommaso, ha indagato a fondo la dottrina dell’“imago Dei”, giungendo a due importanti conclusioni.

Anzitutto l’uomo, fatto a immagine di Dio, è strutturalmente posto in relazione con la verità attraverso la sua “mens” (spirito), singolare sede della sua facoltà intellettiva e volitiva. L’energia intellettiva con cui egli scruta la verità e quella volitiva con cui vi tende, sono l’espressione elementare e universale della sua dignità. In secondo luogo, nell’esistere quotidiano l’uomo sperimenta la sua contingenza derivante dai suoi limiti e dal suo peccato. Egli si accorge allora di essere a immagine di Dio e non già immagine di Dio. Immagine di Dio è solo il Verbo, il Figlio in cui il Padre ha riposto tutta la sua compiacenza. L’uomo è solo un’immagine molto imperfetta di Dio (cf. Tommaso d’Aquino, Scriptum super Sententiis, I d. 3, q. 3 a 1 resp. ad 5um).

L’espressione ad immagine indica per l’uomo una tensione verso la piena trasparenza alla verità, gli traccia un cammino etico e ascetico fatto di virtù e di legge, di doveri e diritti. Su questa strada egli non può non imbattersi, presto o tardi, in colui che è immagine piena di Dio, il Cristo che ha “associato a sé” ognuno di noi.

4. Tuttavia l’uomo non possiede la Verità ultima che fonda la sua dignità. Egli da sempre vi aspira, ma essa continuamente lo supera. I greci attraverso la filosofia, gli ebrei attraverso la legge cercavano di avvicinarsi alla Verità, che l’uomo percepisce come fondamento reale, ma trascendente dal suo stesso essere.

Cristo ci indica nell’amore questa via d’accesso alla Verità ultima, che è poi lui stesso. La realizzazione piena della dignità dell’uomo si ha solo nel dinamismo di amore che conduce il singolo all’incontro con l’altro e lo apre così all’esperienza della trascendente presenza di colui che, incarnandosi, “si è unito in certo modo ad ogni uomo” (Gaudium et Spes GS 22).

“Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. La solenne parola, con cui il Giudice divino concluderà la storia, illumini i nostri passi nel tempo, facendoci scoprire nell’amore la via che conduce al riconoscimento del valore irripetibile di ogni nostro simile e in tal modo alla piena realizzazione della nostra stessa umanità.

A pellegrini francesi

A cineasti giapponesi

Sia lodato Gesù Cristo!

Dilettissimi componenti del gruppo di operatori cinematografici giapponesi, vi ringrazio di cuore per essere venuti a farmi visita qui in Vaticano.


Continuate ad offrire, per mezzo del cinema, il vostro contributo per la pace in Giappone e nel mondo.

A voi tutti e ai vostri cari imparto di cuore la mia Benedizione Apostolica.

Sia lodato Gesù Cristo!

A Suore Francescane spagnole della Madre del Divino Pastore

Ai polacchi

A vari gruppi presenti

Desidero rivolgere un particolare saluto al parroco e alla Comunità parrocchiale di Santa Maria del Soccorso in Prato; ai Dirigenti, al personale e agli Ospiti delle dieci Comunità della “Casa della Gioventù” in Pavia; ai Dirigenti, ai Docenti ed agli Alunni dell’istituto “Nazaret” in Roma; della Scuola Media Statale “Grazia Deledda” in Roma; della Scuola media Statale “Don Scauda” in Torre del Greco- Santa Maria La Bruna (Napoli); e inoltre ai partecipanti al Congresso Internazionale di Bioterapia e Psicotronica, tenutosi nei giorni scorsi a Milano.

A voi e a tutti i Gruppi di lingua italiana presenti a questa Udienza, porgo l’augurio che il vostro pellegrinaggio alle tombe gloriose degli Apostoli, in occasione del Giubileo della Redenzione, sia uno stimolo fecondo per vivere e realizzare le finalità spirituali dell’Anno Santo straordinario, vale a dire la conversione interiore e la riconciliazione con Dio.

Con tali auspici, ben volentieri invoco dal Signore sulle vostre persone e sui vostri cari l’effusione dei favori celesti, in pegno dei quali vi imparto di cuore la Benedizione Apostolica.

Ai giovani

Mi rivolgo ora, a voi giovani, con un pensiero particolare al numeroso gruppo che partecipa al Congresso del “Movimento Gen”, seconda generazione del Movimento dei Focolari, sul tema: “Gesù crocifisso e abbandonato, chiave dell’unità dell’anima con Dio”. Penetri nei vostri cuori l’invocazione di Gesù al Padre per l’unità di tutti i suoi discepoli: “Che tutti siano una cosa sola; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato”. Carissimi giovani, perché voi siate testimoni vivi e convincenti del Cristo e il mondo creda in Lui, è necessario che la vostra mente sia profondamente impregnata del suo Vangelo, che la vostra carità sia grande e che eliminiate, con fortezza e decisione, ogni aspetto della vostra vita che possa impedire agli altri di vedere, in voi, cristiani autentici e pienamente uniti al Signore.

Agli ammalati

Un saluto affettuoso agli ammalati qui presenti. Carissimi, siamo “chiamati all’unità della Croce del nostro Signore”: questo è il tema sul quale tutti coloro che credono in Cristo hanno meditato durante la settimana di preghiere per l’unione dei cristiani. Nella vostra personale sofferenza, voi siete particolarmente associati alla Croce del Signore: vogliate, oggi soprattutto, offrire il vostro dolore perché Dio doni a tutti i cristiani la gioia di riunirsi in un solo gregge con un solo Pastore.

Agli sposi novelli

Saluto, infine, voi, sposi novelli, che, con la grazia ricevuta nel Sacramento del Matrimonio, avete iniziato una vita di indissolubile comunione. Il Signore vi conceda di vivere sempre “in perfetta unione di pensiero e di intenti” e di essere misericordiosi e generosi verso il vostro prossimo, in modo che la vostra famiglia sia, dinanzi a tutti, un esempio di unità, di concordia e di amore.




Mercoledì, 1° febbraio 1984

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1. “Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune” (
Ac 2,44). Nel brano degli Atti degli Apostoli che abbiamo ascoltato e in altri analoghi (cf. Ac 4,32-36 Ac 5,12-16), è visibilmente espressa una realtà fondamentale della nostra fede. La novità cristiana investe la totalità della persona e coinvolge reciprocamente gli uomini che la incontrano, suggerendo loro un nuovo modo di impostare la propria esistenza quotidiana.

La comunità cristiana diventa in tal modo, sin dai primi tempi, un fatto pubblico ben individuabile dentro la società: “Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone” (Ac 5,12), ci dice il libro degli Atti. Gli aspetti più comuni dell’esistere umano sono affrontati secondo una nuova logica, quella della comunione, e ognuno, con libertà, è chiamato a soccorrere al bisogno, anche materiale, di tutti.

Il libro degli Atti si preoccupa più di una volta di rilevare come la conversione implichi l’appartenenza in modo pubblico alla comunità dei credenti: “Il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati” (Ac 2,48). Tale dimensione sociale è la conseguenza inevitabile della presenza dei cristiani nel mondo come uomini nuovi, che generano una società rinnovata. L’incontro con Cristo infatti tocca l’uomo alla radice e determina in lui una nuova identità religiosa, che non può non influire anche sulla sfera culturale e sociale.

2. La Chiesa, nella sua struttura di comunione, si pone così come segno efficace della Redenzione di Cristo in atto nel mondo. Essa “costituisce per tutta l’umanità - secondo le parole del Concilio Vaticano II - un germe validissimo di unità, di speranza e di salvezza” (Lumen Gentium LG 9). Questo germe è l’insieme del popolo di Dio che, come comunione sensibilmente espressa, affronta l’esistenza. L’opera della Chiesa nel mondo è quindi opera di salvezza inaugurata da Cristo e che da Cristo attende la pienezza. Essa si attua attraverso la diffusione del Regno a cui si collega indissolubilmente il compito di perfezionamento e di animazione della realtà del mondo mediante lo spirito del Vangelo.


Perciò la partecipazione alla vita della società, in vista dell’edificazione del bene comune, trova nel cristiano, consapevole del significato profondo della sua appartenenza ecclesiale, un lucido e instancabile attore. Egli, che si sente profondamente trasformato dalla novità della Redenzione, testimonierà, con tutte le energie di cui dispone, che il Cristo lievita la storia e dà ai credenti la capacità di costruire la civiltà della verità e dell’amore. Il cristiano, che è veramente tale, non si sottrae mai all’affascinante compito di documentare all’uomo di oggi la possibilità di una convivenza umana più vera, più giusta, più permeata dallo spirito di pace.

3. Il veicolo normale mediante il quale la Chiesa, fedele alla sua natura sacramentale di segno e di strumento dell’unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano (cf. Lumen Gentium LG 1), testimonia la Redenzione operante nella società, è la missione del cristiano nel mondo. Al cristiano, e in particolare al laico protagonista, grazie all’indole secolare della sua vocazione, dell’impegno ecclesiale, spetta di rendere presente in ogni ambiente l’evento salvifico di Cristo. Compito essenziale della missione appare allora il dovere di esprimere in modo sensibile l’unità dei cristiani nelle varie situazioni esistenziali, proponendo l’esperienza di uomini nuovi capaci di collaborare alla costruzione di brani di società più vera e più giusta.

Il Concilio richiama con vigore questo grande dovere al cristiano: “Il distacco che si constata in molti tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverato tra i più gravi errori del nostro tempo . . . Siano contenti piuttosto i cristiani seguendo l’esempio di Cristo, che fu un artigiano, di poter esplicare tutte le loro attività terrene, unificando gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di Dio” (Gaudium et Spes, 43).

L’invito a divenire edificatori della civiltà della verità e dell’amore non può non estendersi a tutti gli uomini sinceramente impegnati col proprio destino. Questo è il senso dell’incessante richiamo alla necessità della pace, tanto minacciata oggi, richiamo che la Chiesa non si stanca di ripetere e per cui non smette, per quanto è in suo potere, di lavorare. Ma perché vinca la pace è necessario un cambiamento di logica all’interno della nostra civiltà. Bisogna che la verità si imponga sulla menzogna. Ciò potrà avvenire solo se l’amore saprà prevalere nel cuore di ogni uomo, nei piccoli come nei grandi. Allora la società potrà avere come fulcro la dignità della persona, e al suo orizzonte si affaccerà la prospettiva di giorni migliori.

Ai pellegrini di lingua francese

Ad un gruppo di militari del Collegio di difesa della NATO


Ai fedeli di lingua tedesca

Ai pellegrini spagnoli

Ai pellegrini portoghesi

Ai fedeli polacchi

Ai fedeli italiani

Saluto con speciale affetto, e li ringrazio per la loro presenza, i singoli pellegrini italiani, e tutti i gruppi: parrocchie, associazioni, scuole.


Saluto in particolare i partecipanti al Corso ignaziano di spiritualità organizzato dai padri della Compagnia di Gesù per la preparazione sia dei direttori e promotori di Esercizi, sia dei direttori spirituali e formatori.

Il compito di guidare le singole anime verso la perfezione della vita spirituale, resta sempre uno dei ministeri specifici della missione sacerdotale. E’ un servizio ecclesiale nel quale il carisma sacerdotale può dare i frutti più belli per l’azione pastorale. Per questo la vostra iniziativa giunge molto opportuna, al fine di sensibilizzare maggiormente i ministri di Cristo all’importanza essenziale di tale servizio, faticoso e gravido di responsabilità, ma ricco anche di copiosissimi benefici per i fratelli e per coloro stessi che lo esercitano.

Per questo, benedico di cuore i vostri lavori.
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Mi rivolgo ora al folto gruppo di Religiose provenienti dalla Diocesi di Milano.

Venute per la celebrazione giubilare dei Religiosi che si terrà domani, voi avete voluto altresì restituire la visita che ho compiuto alla vostra città, lo scorso anno.

Carissime, ve ne ringrazio di cuore; ed esprimo il voto che dalla devota visita alla tomba di San Pietro voi possiate trarre, con la forza dello Spirito e l’intercessione della Beata Vergine, ulteriori luci ed energie per una comunione sempre più convinta e fattiva con la Chiesa ed i suoi Pastori, al fine di rendervi sempre più chiari testimoni del Regno di Dio e mietere più larga messe di frutti spirituali nel servizio ai fratelli.
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Rivolgo ora un pensiero ai giovani qui presenti e, in particolare, a quelli del “Movimento Gen” che sono venuti da vari Pesi europei per partecipare a un Congresso sul tema “Gesù Crocifisso e Abbandonato, chiave dell’unità dell’anima con Dio”. Carissimi, desidero chiedervi di vivere la speranza con tutta la freschezza e l’energia tipiche della vostra età. Desidero altresì invitarvi alla preghiera proprio quale atto ed espressione della speranza per l’uomo e per il mondo. Infatti la preghiera permette di guardare verso quella realtà alla quale aspira il cuore umano, poggiando la nostra certezza su Cristo, che mai delude.

Il mio affetto e la mia Benedizione vi siano sempre di aiuto e di conforto nel custodire e comunicare l’impeto di vita, che dimora nei vostri cuori.
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Saluto poi gli ammalati, che con il loro essere tra noi ci portano in dono i meriti delle loro sofferenze e della loro vita tanto crocifissa. Il Getsemani e il Calvario ci insegnano che il Figlio di Dio si è trovato nella stessa situazione di ogni uomo alle prese, in questo mondo, con il peso del male. Cristo si è messo accanto all’uomo che soffre, per proclamargli la verità dell’amore più forte della passione e della morte. Accogliete l’occasione, che Egli vi dà, per innestarvi nella redenzione che viene dalla sua Croce e dalla sua risurrezione, e siate, così, testimoni del suo amore.

Vi accompagni sempre la mia Benedizione.
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Mi è gradito, infine, rivolgermi agli sposi novelli. La famiglia merita, più di ogni altra forma di vita umana, la qualificazione di “comunione di persone”, che designa la profondità e l’intensità dei rapporti reciproci. Chiedete dunque al Signore che vi renda sempre più capaci di vivere il vostro dono reciproco da cristiani autentici, che hanno creduto e credono all’amore (Jn 4,16).

La mia Benedizione e il mio affetto vi siano di aiuto e di stimolo per perseverare con amore sempre più profondo nel cammino che avete intrapreso.





Catechesi 79-2005 11184